:: giovedì 18 aprile 2024  ore 20:23
Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie - Orientamenti Societari, Commesione Società
E.C. Sede - Trasferimento dall'estero > Trasferimento all'estero
E.C.1. – (LEGITTIMITÀ DEL TRASFERIMENTO IN ITALIA DELLA SEDE DI SOCIETÀ ESTERA CON MUTAMENTO DELLA “LEX SOCIETATIS” – 1° pubbl. 9/14 – motivato 9/15)
Si ritiene ammissibile il trasferimento in Italia della sede legale di una società co-stituita in uno Stato estero con contemporaneo suo assoggettamento all'ordi-namento giuridico italiano (c.d. mutamento della “lex societatis”) e adozione di una forma societaria propria del nostro ordinamento interno (c.d. “trasforma-zione internazionale”).
Ai fini dell'iscrivibilità della società nel registro delle Imprese italiano, sarà ne-cessario il deposito ex art. 106 legge not. presso un Notaio italiano di una copia autentica dell’atto estero di trasferimento della sede in Italia (munito, ove ne-cessario, della apostille ai sensi della convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, ovvero della legalizzazione), debitamente tradotta ed asseverata.
Il notaio depositario potrà effettuare l’iscrizione nel Registro imprese solo dopo aver effettuato con esito positivo il controllo di legalità.
L’atto di trasferimento in Italia di una società costituita all’estero potrà anche essere ricevuto direttamente da un notaio italiano, conformemente alle leggi degli Stati interessati ex art. 25 della legge n. 218/95.

Motivazione
Il trasferimento della sede di una società straniera in Italia è consen-tito dall'art. 25, comma 3, della legge n. 218/1995, che stabilisce il prin-cipio di continuità soggettiva dell'ente trasferito, a condizione che anche l'ordinamento del paese di origine vi acconsenta.
In particolare la norma, nel legittimare tale trasferimento, ne subor-dina l'efficacia al rispetto della normativa straniera ed italiana. Ne con-segue l'inammissibilità del trasferimento sede (con continuità soggettiva e quindi senza estinzione e nuova costituzione) se lo Stato straniero lo vieta. In tal caso si produrrà l'effetto estintivo della società dall'ordina-mento di provenienza e l'effetto costitutivo di una nuova società nell'or-dinamento italiano. Pertanto, presupposto necessario affinché non si debba costituire una nuova società in Italia è la mancata dissoluzione della società secondo l'ordinamento di provenienza.
Tuttavia, con riguardo ai trasferimenti transfontralieri all'interno dell'Unione Europea, gli stessi devono ritenersi sempre consentiti, anche nell'ipotesi che nell'ordinamento dello Stato membro sia stabilito il prin-cipio dell'estinzione dell'ente nel caso di suo trasferimento all'estero. In-fatti il principio di libertà di stabilimento, di cui al combinato disposto degli artt. 49 (ex 43 TCE) e 54 (ex 48 TCE) del Trattato sul Funziona-mento dell'Unione Europea, data la sua collocazione nel sistema delle fonti, è prevalente rispetto ad ogni contraria normativa nazionale.
In tal senso è orientata la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che ritiene contrario al principio di libertà di stabi-limento ogni divieto di trasferimento della sede legale delle società da uno Stato membro ad un altro. Si deve, pertanto, senz'altro ammettere il trasferimento in Italia della sede legale di una società costituita in un altro paese membro.
Ulteriore questione è quella relativa al mutamento della “lex societa-tis”, che si realizza quando la società straniera scelga di sottoporsi alle regole dell'ordinamento italiano. È la cosiddetta “trasformazione inter-nazionale”, con la quale la società di diritto straniero adotta un tipo so-ciale proprio del nostro ordinamento, conservando tutti i diritti e gli ob-blighi e proseguendo in tutti i rapporti della società trasformata. In tal modo la società verrà cancellata dai pubblici registri del paese di prove-nienza ed iscritta nel nostro Registro delle Imprese, senza che si verifi-chi l'estinzione ed una nuova costituzione.
In ambito comunitario la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha mostrato di interpretare estensivamente il concetto di libertà di stabili-mento, ricomprendendovi anche il diritto al mutamento di “nazionali-tà” della società (in questo senso si legga la sentenza C 210/06 “Carte-sio”). In base a tale orientamento giurisprudenziale, pertanto, gli Stati membri non possono vietare alle proprie società di trasformarsi in so-cietà rette da altro ordinamento comunitario, con il solo limite delle “ragioni imperative di interesse pubblico”. Si può osservare come tale principio, stante la natura sovraordinata del diritto comunitario, com-porti l'implicita abrogazione di qualsiasi contraria normativa nazionale.
Quando, invece, l'ordinamento di provenienza della società straniera è extracomunitario lo Stato di costituzione potrebbe imporre la perma-nenza della nazionalità straniera alla società che si trasferisce (è il co-siddetto principio dell'incorporazione)
In tal caso si deve comunque ritenere legittimo il trasferimento della sede legale in Italia, con precisazione che, se il trasferimento coinvolge anche la sede dell'amministrazione, ai sensi dell'art. 25, comma 1, se-condo periodo della legge n. 218/95, la società si dovrà conformare alle disposizioni inderogabili della legge italiana nelle materie previste dal comma 2 dell'art. 25 della suddetta legge. Si ritiene, infatti, che l'ade-guamento dello statuto sociale alle disposizioni inderogabili della legge italiana non osti al permanere della nazionalità straniera in capo alla società trasferita, con conseguente applicazione alla stessa della norma-tiva dell'ordinamento di costituzione, nei limiti di compatibilità con le norme imperative italiane.
Con riguardo all'aspetto operativo, si ritiene necessario il deposito, ai sensi dell'art. 106 della legge notarile (legge 16 febbraio 1913, n. 89), presso un Notaio italiano dell'originale o di una copia autentica dell'atto estero di trasferimento della sede in Italia (munito, ove necessario, della apostille ai sensi della convenzione dell'Aia del 5 ottobre 1961, ovvero della legalizzazione), debitamente tradotti ed asseverati.
Si ritiene che sia il notaio depositario e non il notaio straniero che ha ricevuto l'atto di trasferimento a dover svolgere il controllo di legalità previsto dall'art. 2436, comma 1, c.c.
Da un lato, infatti, non sembra che gli obblighi concernenti l'iscrizio-ne del verbale societario nel nostro registro delle imprese possano essere posti a carico del notaio (o del pubblico ufficiale) straniero, che ha rice-vuto il verbale della società. È lo stesso art. 106 della legge notarile a stabilire che gli atti pubblici rogati in Stato estero (e le loro copie) deb-bano essere depositati e conservati presso un archivio notarile distret-tuale o presso un notaio esercente in Italia, prima di farne uso nello Sta-to italiano. Pertanto nessuna competenza può avere il notaio straniero (cui potrebbe, invece, competere il controllo per l'iscrizione della delibe-ra nel pubblico registro straniero, se non devoluto ad altra autorità) per il deposito della deliberazione societaria nel nostro registro delle impre-se.
Dall'altro lato, non si può dubitare che il pubblico ufficiale, al mo-mento della verbalizzazione della deliberazione assembleare, non può effettuare alcun controllo di legalità sul contenuto della delibera verba-lizzata, ma si deve limitare a riprodurre fedelmente quanto avanti a lui accaduto in assemblea. A conferma di ciò si può leggere l’art. 32 della legge 24 novembre 2000, n. 340 (sostanzialmente trasfuso nell' art. 2436 c.c. novellato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) che, nei casi di modifica dello statuto di società di capitali, ha attribuito al notaio esercente in Italia il compito di verificare l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge, stabilendo che il notaio, una volta redatto il verbale, debba effettuare la suddetta verifica, in esito alla quale:
- se positiva, debba richiedere l’iscrizione della modifica statutaria nel registro delle imprese;
- se negativa, debba darne comunicazione agli amministratori i quali, nei trenta giorni successivi, possono ricorrere al Tribunale per ottenere l’iscrizione rifiutata dal notaio.
La norma in parola, inoltre, ha inserito un nuovo articolo nella legge notarile (l’art. 138 bis) che stabilisce che il notaio che abbia chiesto l’iscrizione nel registro delle imprese di deliberazioni da lui stesso verba-lizzate, quando risultino manifestamente inesistenti le condizioni richie-ste dalla legge, viola l’art. 28, comma 1, n. 1 della stessa legge ed è dun-que punito con la sospensione già prevista dall’articolo 138 della legge notarile e con la nuova sanzione amministrativa pecuniaria che va da li-re 1 milione a 30 milioni (oggi da 516 a 15.493 Euro).
Le stesse motivazioni addotte a sostegno della tesi che esclude la competenza al controllo di legalità degli atti delle società di capitali in capo ad altri pubblici ufficiali italiani diversi dal notaio (in tal senso decr. giud. reg. del Tribunale di Verona del 7 novembre 2001 ed orien-tamento A.A.5) debbono a maggior ragione escludere tale competenza in capo ai pubblici ufficiali e ai notai stranieri.
Infine non si può dubitare che il verbale di deliberazione di trasferi-mento in Italia di una società costituita all'estero possa essere ricevuto anche da un notaio italiano.
In tal caso il notaio, verificato l’adempimento delle condizioni stabi-lite dalla legge, potrà richiedere l’iscrizione nel nostro registro delle im-prese; ma dovrà anche rivolgersi alla competente autorità straniera per l'iscrizione della delibera nel pubblico registro del paese estero.

E.C.2. - (CONTROLLO DEL NOTAIO DEPOSITARIO DI ATTO ESTERO AI FINI DELL’ISCRIZIONE NEL REGISTRO DELLE IMPRESE DI UNA SOCIETÀ PROVENIENTE DA UN ORDINAMENTO STRANIERO – 1° pubbl. 9/14 – motivato 9/15)
Al notaio depositario di un atto di trasferimento in Italia di società di capitali estera, con contemporaneo assoggettamento all’ordinamento interno, è affidato il controllo di legalità di cui all’art. 2436 c.c. Egli, pertanto, potrà procedere all'i-scrizione nel competente registro delle imprese della società trasferita, solo do-po aver verificato che la stessa, assumendo la forma di una società italiana, ab-bia tutti i requisiti essenziali richiesti dalla normativa interna per il tipo societa-rio adottato.
Qualora tale verifica si concluda con esito negativo, il notaio non potrà procede-re all’iscrizione fino a quando l'assemblea della società non provveda all'ade-guamento dello statuto alle disposizioni inderogabili della legge italiana (ex art. 25, comma 3, legge n. 218/95), al fine di conformare la società ad uno dei model-li tipizzati dal nostro ordinamento. Tale adeguamento potrà essere contestuale all’atto di deposito della delibera estera di trasferimento della sede sociale in Italia, come anche successivo a tale deposito.
In caso di rifiuto di iscrizione il notaio dovrà comunque dare comunicazione agli amministratori ex art. 2436, comma 3, c.c. al fine di consentirgli di attivare i ri-medi previsti da detta disposizione.
Si ritiene che i conservatori degli archivi notarili, pur legittimati a ricevere in de-posito e conservare gli originali e le copie degli atti pubblici rogati e delle scrittu-re private autenticate in uno Stato estero prima di farne uso nello Stato italiano (art. 106 legge not.), non possano ricevere in deposito atti costitutivi o modifica-tivi di società di capitali formati all’estero, non essendo investiti della funzione di controllo di legalità di cui agli artt. 2330, comma 1, e 2436, comma 1, c.c., ri-chiamati anche in materia di s.r.l. e di cooperative (vedi orientamento A.A.5)
Nel caso di società di persone, il notaio italiano dovrà rifiutarsi di ricevere in de-posito l’atto estero di trasferimento in Italia di società straniera con mutamento della lex societatis qualora non ricorrano le condizioni previste dalla legge, poi-ché per dette società il controllo di legalità avviene ex ante, tant’è che l’iscrizione nel registro imprese può avvenire anche su richiesta dei soli ammini-stratori o dei soci ai sensi dell’art. 2296 c.c.

Motivazione
Nell'orientamento A.A.5 si è motivata la riserva ai notai (con esclu-sione degli altri pubblici ufficiali cui è attribuita una, seppur limitata, fa-coltà di rogito) della competenza a ricevere atti costitutivi o modificativi di società di capitali, essendo la stessa necessariamente collegata allo svolgimento della funzione di controllo di legalità ai sensi degli artt. 2330, comma 1, e 2436, comma 1, c.c. richiamati anche in materia di s.r.l. e di cooperative.
Nell'orientamento E.C.1 si è sostenuto che queste stesse ed altre ra-gioni (ricavabili dall'art. 106 legge not.) debbono a maggior ragione escludere da tale competenza i pubblici ufficiali ed i notai stranieri.
In questo orientamento si precisa che il notaio italiano, unico legit-timato a ricevere in deposito l'atto di trasferimento in Italia della sede di società di capitali estera, in quanto titolare esclusivo del controllo di le-galità di cui all'art. 2436 c.c., deve procedere al suddetto vaglio di legit-timità non al momento della ricezione in deposito del verbale dell'as-semblea redatto dal notaio straniero, ma nei trenta giorni successivi al deposito e cioè nel termine concesso dalla norma in parola per procede-re al controllo medesimo.
Per opinione unanime il notaio che è chiamato a ricevere in deposito un atto redatto da pubblico ufficiale estero, oltre ad un controllo forma-le relativo alla provenienza dell'atto estero, alla sua legalizzazione o all'apostille e alla sua traduzione certificata conforme, deve effettuare anche il controllo di legalità dell'atto medesimo, al fine di evitare che possa essere utilizzato nel nostro ordinamento un atto che non sia compatibile con le norme ed i principi interni. Tuttavia, detto controllo di legalità effettuato all'atto del deposito del verbale di trasferimento della sede di società straniera in Italia deve limitarsi ad un mero accer-tamento della completezza e della legittimità formale della deliberazio-ne assembleare. Infatti, l'eventuale rilievo di illegittimità di quanto og-getto della deliberazione assembleare non può essere fatto attraverso il rifiuto di ricevere in deposito l'atto; poiché in tal caso gli amministratori della società non potrebbero ricorrere al tribunale per ottenere l'iscrizio-ne nel registro delle imprese della deliberazione ritenuta illegittima dal notaio.
Al fine di permettere alla società di accedere al rimedio giurisdizio-nale del ricorso al tribunale, una lettura costituzionalmente orientata delle norme sul deposito degli atti stranieri e di quelle sul controllo delle deliberazioni societarie prima dell'iscrizione nel registro delle imprese, impone al notaio di ricevere in deposito il verbale della società straniera, pur in presenza di un oggetto della deliberazione assembleare che egli ritiene non conforme alle condizioni stabilite dalla legge. In tal caso il notaio depositario, nei quarantacinque giorni successivi al ricevimento dell'atto in deposito (in tal senso l'articolo unico della legge 13 marzo 1980, n. 73, come modificato dall'art. 6 del D.Lgs. 29 dicembre 1992, n. 516 dispone che “1. Per gli atti ricevuti od autenticati all'estero, i termini di cui all'art. 2671 del codice civile decorrono dalla data del deposito ef-fettuato a norma dell'art. 106, n. 4, della legge 16 febbraio 1913, n. 89. 2. Per gli atti ricevuti o autenticati all'estero per i quali sia prevista la pub-blicità nel registro delle imprese, i termini decorrono dalla data stabilita nel comma 1, ma il deposito per l'iscrizione deve avvenire entro il qua-rantacinquesimo giorno successivo al compimento dell'atto”), dovrà comunicare agli amministratori della società che non ritiene adempiute le condizioni stabilite dalla legge e gli amministratori, nei trenta giorni successivi, potranno convocare l'assemblea per gli opportuni provvedi-menti, oppure ricorrere al tribunale affinché ne ordini l'iscrizione nel competente registro delle imprese.
La riserva ai notai (con esclusione degli altri pubblici ufficiali cui è attribuita una, seppur limitata, facoltà di rogito) della funzione di con-trollo di legalità ai sensi degli artt. 2330, comma 1, e 2436, comma 1, c.c., fa ritenere che i conservatori degli archivi notarili non possano ri-cevere in deposito atti costitutivi o modificativi di società di capitali formati all'estero (vedi orientamento A.A.5).
Nel caso di società di persone, invece, il notaio italiano non è tenuto ad alcun controllo di legalità ulteriore rispetto a quello che deve effet-tuare all'atto del deposito dell'atto estero, non essendo obbligato ad ese-guirne l’iscrizione nel registro delle imprese. In tal caso, pertanto, si ri-tiene che il controllo dell'atto della società di persone che trasferisce la propria sede in Italia effettuato al momento del deposito debba investire anche la valutazione sulla compatibilità sostanziale dell'atto con il no-stro ordinamento.
In pratica, in questo caso il controllo dovrà essere analogo a quello previsto dall'art. 28 della legge notarile e quindi dovrà essere quello che il notaio esegue sugli atti da lui direttamente ricevuti, sempre al fine di evitare che si immettano nel nostro ordinamento atti sostanzialmente il-legittimi.
Pertanto, nel caso di società di persone, il notaio dovrà rifiutarsi di ricevere in deposito l’atto estero di trasferimento in Italia di società straniera con mutamento della lex societatis qualora non ricorrano le condizioni previste dalla legge, poiché per dette società il controllo di legalità avviene ex ante, tant’è che l’iscrizione nel registro imprese può avvenire anche su richiesta dei soli amministratori o dei soci ai sensi dell’art. 2296 c.c.

E.C.3. - (CONTROLLO DELL’EFFETTIVITÀ DEL CAPITALE SOCIALE DELLA SOCIETÀ ESTERA CHE SI TRASFERISCE IN ITALIA – 1° pubbl. 9/14 motivato 9/15)
Per poter iscrivere nel registro imprese italiano una società proveniente dall’estero che si sia “trasformata” in società di capitali italiana, occorre verifica-re l’effettività del suo capitale sociale.
Tale verifica non è necessaria per quei tipi di società il cui capitale si sia formato in uno Stato comunitario che abbia recepito le direttive U.E. in tema di forma-zione e verifica del capitale (stima dei conferimenti).
Nelle altre ipotesi, invece, sarà necessario verificare l'effettiva consistenza del capitale attraverso uno dei procedimenti previsti dall’art. 2500 ter, comma 2, c.c.

Motivazione
La sentenza Cartesio ha affermato il principio per cui, ove una socie-tà “appartenente” ad uno Stato dell’Unione Europea intenda trasferire la sede sociale in altro Paese UE, risulta contraria al TFUE l’eventuale normativa nazionale (di diritto internazionale privato) che, “imponendo lo scioglimento e la liquidazione di tale società, impedisca a quest’ultima di trasformarsi in una società di diritto nazionale dell’altro Stato membro nei limiti in cui detto diritto lo consenta”.
Peraltro, come è stato affermato in un precedente orientamento (E.C.2), il notaio depositario di un atto di trasferimento in Italia di so-cietà estera è tenuto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 2436 c.c. e 25, comma 3, legge n. 218/1995, a verificare che la società trasfe-rita, assumendo la forma di società italiana, abbia tutti i requisiti essen-ziali richiesti dalla normativa interna per il tipo societario adottato.
Il presente orientamento intende affrontare la questione inerente alla necessità che, nell’ipotesi di trasferimento in Italia di società estera con “trasformazione” della stessa in una società capitalistica italiana, venga rispettato il principio di effettività del capitale sociale.
Detto principio, applicabile nelle fasi di costituzione ed aumento del capitale sociale, statuisce che il valore dei beni conferiti dai soci non può mai essere inferiore alla misura del capitale nominale fissata dalle parti.
Sul punto, si potrebbe obiettare che il trasferimento in Italia di una società estera non costituisce, di per sé, un’operazione tesa alla forma-zione di capitale nei termini sopra esposti, con conseguente irrilevanza della regola in parola.
Tuttavia, paiono condivisibili le considerazioni svolte da quella dot-trina che ha rilevato la sostanziale identità tra il trasferimento della sede sociale dall’estero e la c.d. trasformazione transfrontaliera, operazione “atipica” in forza della quale una società italiana può trasformarsi nel medesimo o in un differente tipo societario previsto da un altro diritto nazionale, e viceversa.
D’altronde, che il principio di effettività del capitale sociale sia rile-vante anche in punto di trasformazione societaria è circostanza confer-mata dal disposto dell’articolo 2500 ter, comma 2, c.c. il quale, con rife-rimento alla trasformazione c.d. “progressiva”, impone che il valore del capitale sociale risulti da apposita relazione di stima redatta a norma dell’articolo 2343 c.c. (2465 c.c. per le s.r.l.) o dalla documentazione di cui all’articolo 2343 ter c.c.
Il procedimento indicato dall’articolo 2500 ter, comma 2, c.c., infatti, risponde proprio all’esigenza di evitare una sopravvalutazione del capi-tale sociale.
Il principio de quo, invero, è suscettibile di applicazione analogica ogni qualvolta, in ragione di un’operazione straordinaria, si renda ne-cessario garantire il valore effettivo del patrimonio aziendale.
In tal senso, non v’è dubbio che la relazione di stima di cui all’articolo 2343 c.c. (2465 c.c. per le s.r.l.), pur non espressamente ri-chiesta dall’articolo 2500 octies c.c., risulti necessaria anche nell’ipotesi di trasformazione eterogenea in società di capitali.
Pertanto, è corretto ritenere che, nel caso di trasferimento di società estera in Italia, con “trasformazione” della stessa in una società di capi-tali italiana, la consistenza del capitale sociale debba necessariamente essere verificata attraverso uno dei procedimenti previsti dall’articolo 2500 ter, comma 2, c.c., e ciò ogni qualvolta il rispetto del principio di effettività non sia garantito dall’ordinamento di “partenza”.
A tal riguardo, può non essere superfluo osservare come, già prima della Direttiva 77/91/CE (c.d. Seconda Direttiva), il legislatore italiano avesse previsto all’art. 2343 c.c. un sistema teso a garantire la corri-spondenza tra il valore del bene conferito e la quota di capitale sotto-scritta dal socio conferente.
Il previgente articolo 2343 c.c. prevedeva:
a) la redazione di una relazione giurata di stima che attestasse il va-lore attribuito al bene conferito;
b) un controllo, da parte degli amministratori, delle valutazioni con-tenute nella relazione con eventuale revisione della stima precedente-mente effettuata;
c) l’impossibilità di alienare le azioni fino all’espletamento di tale controllo.
Con l’emanazione della Seconda Direttiva (vincolante per i soli tipi azionari, essendo rimessa ai legislatori nazionali ogni decisione per quanto concerne le società a responsabilità limitata), invero, il legislato-re europeo ha inteso “coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie richieste negli Stati membri alle società di cui all'art. 58, secondo com-ma, del Trattato, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa”.
L'art. 10 della Seconda Direttiva, infatti, prevedeva che “i conferi-menti non in contanti formano oggetto di una relazione redatta, prima della costituzione della società o prima che essa ottenga l'atto autoriz-zante l'inizio della propria attività, da uno o più esperti indipendenti dalla stessa, designati o autorizzati da un'autorità amministrativa o giu-diziaria”.
L'art. 9.2. della stessa Direttiva stabiliva inoltre che “le azioni emesse come corrispettivo di conferimento non in contanti al momento della costituzione della società o quando la società ottiene l'atto autorizzante l'inizio della propria attività devono essere interamente liberate entro cinque anni dalla costituzione della società o da quando la società ot-tiene l'atto autorizzante”.
La Seconda Direttiva è stata modificata dalla successiva Direttiva 2006/68/CE che, tra l’altro, introducendo (nel corpo della Seconda Di-rettiva) gli articoli 10 bis e 10 ter, ha riconosciuto agli Stati membri la fa-coltà (e non anche l’obbligo) di semplificare il sistema di valutazione dei beni, diversi dal denaro, oggetto di conferimento, attraverso la previsio-ne di un meccanismo di stima basato su valori oggettivamente accerta-bili.
Oggi, la Seconda Direttiva è stata sostituita dalla Direttiva 2012/30/UE la quale, ai fini che qui rilevano, sostanzialmente ne ri-produce il contenuto.
È d’uso, quindi, operare richiamo alle disposizioni della Seconda Di-rettiva, che devono intendersi sostituite da quelle corrispondenti di cui alla Direttiva 2012/30/UE.
Nell’ordinamento italiano, le novità apportate dal legislatore europeo sono state introdotte con il D.Lgs. n. 142/2008, a sua volta modificato con il D.Lgs. n. 224/2010.
Infine, il D.L. n. 91/2014, come modificato dalla legge n. 116/2014, ha aggiornato il secondo comma dell'articolo 2500 ter c.c. in tema di trasformazione c.d. progressiva: per effetto della novella, in caso di tra-sformazione di una società di persone in una azionaria, il patrimonio netto della società trasformanda può essere valutato non solo seguendo le rigorose prescrizioni stabilite dall'art. 2343 c.c., ma anche mediante i metodi alternativi, meno dispendiosi, previsti dall'art. 2343 ter c.c.
Si ritiene che nell’ipotesi di trasferimento in Italia di società capitali-stica avente sede in altro Stato UE, con contestuale “trasformazione” della stessa in una società di capitali italiana, il principio di effettività del capitale sociale possa ritenersi rispettato, alla condizione
- che l’ordinamento di provenienza abbia recepito i dettami della Se-conda Direttiva (oggi sostituita dalla Direttiva 2012/30/UE)
- che la normativa di attuazione adottata dal Paese di origine sia con-forme al diritto italiano
- che l’ordinamento di provenienza abbia esteso il recepimento dei principi della Direttiva anche alle società di capitali non azionarie (c.d. a responsabilità limitata).
Il primo caveat è quindi quello di verificare che l’ordinamento “di partenza” abbia recepito la seconda Direttiva, e non abbia esercitato la facoltà c.d. di opt out; ossia il diritto di non uniformarsi ai dettami della Direttiva UE.
Il secondo caveat, è quello di verificare come l’ordinamento di par-tenza abbia recepito la Direttiva UE.
A tale ultimo riguardo, è opportuno osservare che, all’interno dell’Unione Europea, esistono diritti nazionali nei quali le azioni corri-spondenti ai conferimenti diversi dal denaro devono essere liberate al momento della sottoscrizione, ed altri, invece, in cui la liberazione può essere posticipata, nel termine massimo quinquennale statuito dall’art. 9.2 della Seconda direttiva (oggi rifuso nell’art. 9 della Direttiva 2012/30/UE).
Pertanto, potrebbe verificarsi l’ipotesi in cui una società azionaria, appartenente ad altro Stato UE, che abbia emesso azioni, corrisponden-ti a conferimenti in natura, non interamente liberate per il mancato de-corso del termine quinquennale stabilito dalla Seconda direttiva, decida di trasferirsi in Italia con “trasformazione” della stessa in una s.p.a. di diritto italiano. Orbene, in questo caso non pare revocabile in dubbio la circostanza per cui il notaio italiano, depositario dell’atto di trasferi-mento, non potrebbe procedere all’iscrizione della società nel Registro delle Imprese, atteso che la formazione del capitale sociale non risulte-rebbe conforme al disposto di cui all’art. 2342 c.c., a mente del quale “le azioni corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente li-berate al momento della sottoscrizione”.
Il terzo ed ultimo caveat, a cascata, ove la società che richiedesse di trasferire la sede in Italia non fosse una società azionaria, è quello di ve-rificare che l’ordinamento di partenza, pur avendo recepito i dettami della seconda Direttiva, lo abbia fatto anche per le società di capitali non azionarie (a responsabilità limitata).
Nell’ipotesi in cui fosse infatti una società a responsabilità limitata, proveniente da altro Stato UE, a trasferire la propria sede in Italia, “tra-sformandosi” in una società di capitali di diritto italiano, occorre consi-derare che la Seconda Direttiva (oggi rifusa nella Direttiva 2012/30/UE) risulta vincolante per i soli tipi azionari, essendo rimessa ai legislatori nazionali ogni decisione per quanto concerne le società a responsabilità limitata. Logica conseguenza è la circostanza per cui una società a responsabilità limitata, in procinto di trasferirsi in Italia, po-trebbe non aver attivato, conformemente alla normativa nazionale di ri-ferimento, alcuna procedura di verifica dell’effettività del suo capitale sociale, con conseguente impossibilità per il notaio, depositario dell’atto di trasferimento, di procedere sic et simpliciter all’iscrizione nel Registro delle Imprese, stante il mancato rispetto dell’art. 2465 c.c., a mente del qual “chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un revisore legale o di una società di revisione legale iscritti nell’apposito registro […]”.
Parimenti, nell’ipotesi in cui a trasferirsi in Italia sia una società avente sede in un Paese extra UE, con conseguente “trasformazione” in una società capitalistica italiana, il notaio, in assenza di una norma di rango superiore che coordini i procedimenti di formazione e valutazione del capitale sociale, è tenuto a verificare che la società trasferita, assu-mendo la forma di società di capitali italiana, abbia tutti i requisiti es-senziali richiesti dalla normativa interna per il tipo societario adottato, rendendosi quindi necessario valutare l’effettiva consistenza del capitale sociale attraverso uno dei procedimenti di cui all’art. 2500 ter, comma 2, c.c.
Sul punto, si è dell’opinione che, al fine dell’iscrizione nel Registro delle Imprese della società trasformata, l’atto estero debba essere depo-sitato presso il notaio italiano ai sensi dell’art. 106 legge not.
In tale frangente, il notaio eseguirà il controllo di cui all’articolo 2436 c.c., valutando la legittimità dei patti sociali alla luce del diritto italiano, e ciò anche in riferimento al rispetto del principio di effettività del capi-tale sociale.
Infatti, operato il trasferimento in Italia, la società risulterà sottopo-sta alla normativa italiana vigente in sedes materiae, stante il disposto di cui all’art. 25, comma 1, legge n. 218/1995, a mente del quale “si appli-ca, tuttavia, la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti”.