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Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie - Orientamenti Civilistici, Commesione Orientamenti Civilistici
Problematiche connesse alla costituzione del condominio in relazione alla disciplina del DL. 78/2010 > Elaborato dalla Commissione Civile 1 coordinata dai notai Rizzi e Bullo Problematiche connesse alla costituzione del condominio in relazione alla disciplina del DL. 78/2010.
1. Posti auto condominiali e DL. 78/2010:

1.1 Se si vuole riconoscere un diritto reale, è opportuno non ricorrere a qualificazioni fuorvianti come “diritto esclusivo” o “uso esclusivo” o “godimento perpetuo” e procedere, invece, al trasferimento del posto auto in proprietà; la costituzione di altri diritti reali appare particolarmente problematica in quanto:
- i diritti di usufrutto e di uso incontrano un limite nella temporaneità del diritto (che si estingue con la morte del titolare); inoltre il diritto di uso è per legge incedibile.
- la ammissibilità di una servitù di sosta di veicoli è tutt’altro che pacifica; anzi la posizione della Cassazione è contraria all’ammissibilità di una servitù di parcheggio.
Ovviamente con il trasferimento del posto auto in proprietà, trova piena applicazione la disciplina del DL 78/2010, per cui:
- i posti auto debbono essere accatastati (in cat. C/6) con presentazione delle relative planimetrie
- vanno riportatati in atto, a pena di nullità, l’identificativo catastale, il riferimento alle planimetrie catastali depositate in catasto e la dichiarazione di parte di conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale (dichiarazione, peraltro, che può essere sostituita, da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato).

1.2 Se vi vuole rimanere nell’ambito della condominialità si può prevedere l’uso “ripartito” (e quindi l’uso “individuale”) dei posti auto condominiali, ricorrendo ad apposita clausola da inserire nei titoli traslativi ovvero (soluzione preferibile) nel Regolamento di Condominio. Ciò, peraltro, sarà possibile SOLO a CONDIZIONE che sia, comunque, consentito a ciascun condomino di utilizzare l’area comune, sulla quale (o su parte della quale) siano stati ricavati i posti auto. Anche in questo caso appare opportuno evitare il ricorso a qualificazioni fuorvianti come “diritto esclusivo” o “uso esclusivo” o “godimento perpetuo”, e precisare, invece, che i posti auto costituiscono parti comuni condominiali ai sensi dell’art. 1117, c. 1, n. 2, cod. civ., soggetti alla particolare disciplina regolamentare per l’utilizzo “ripartito” contenuta nel Regolamento di Condominio, al cui rispetto sono, conseguentemente tenuti, tutti i condomini.
I posti auto, anche ad uso “ripartito”, se ed in quanto qualificabili come posti auto condominiali, restano fuori dal perimetro di applicazione del D.L. 78/2010, al pari di tutte le parti condominiali.

2. Le servitù nel condominio e D.L. 78/2010

La disciplina del DL. 78/2010 trova applicazione solo quando il fondo servente consista in una “unità immobiliare urbana” ossia in un’unità che sia (o che debba essere in base alla normativa vigente) accatastata al catasto dei Fabbricati mediante deposito di apposita planimetria catastale ed attribuzione di rendita; e ciò anche nel caso in cui la servitù riguardi non l’intera unità, ma solo una porzione della stessa, porzione che se denunciata autonomamente al Catasto, rientrerebbe tra le categorie fittizie, come, ad esempio, nel caso delle aree scoperte di corte .
In tutti gli altri casi (ossia nel caso che fondo servente sia una parte comune condominiale, un terreno o un bene accatastato in categoria fittizia F1, F2, F3, F4, F5) non si applica il D.L. 78/2010.
Per quanto riguarda gli impianti di distribuzione dei servizi va escluso che si vengano a costituire servitù a carico delle unità di proprietà esclusiva nelle quali tali impianti sono collocati. Al riguardo si può parlare di “limiti legali alla proprietà” derivanti dalla struttura condominiale del fabbricato e discendenti dagli artt. 1117 e segg. c.c.; pertanto è esclusa l’applicabilità del DL. 78/2010.


MOTIVAZIONE
PREMESSA

Innanzitutto necessitano alcune premesse di carattere sistematico in ordine alla disciplina dettata dall’art. 19, c. 14 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito in legge con legge 30 luglio 2010 n. 122 (di seguito DL. 78/2010) con riguardo specifico:
- alle parti comuni condominiali
- ai posti auto scoperti
- alle servitù

DL. 78/2010 e CONDOMINIO
Si rammenta che l’art. 19, c. 14 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito in legge con legge 30 luglio 2010 n. 122 così dispone:
“All\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'articolo 29 della legge 27 febbraio 1985, n. 52, e\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\' aggiunto il seguente comma: \\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\"1-bis. Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unita\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\' immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale.
Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari.”
Le parti comuni condominiali sono, peraltro, escluse dall’ambito di applicazione del DL. 78/2010.
Sicuramente esclusi sono i cd. “beni comuni non censibili”: si tratta di tutte le parti comuni condominiali denunciate al Catasto mediante elaborato planimetrico, per le quali pertanto è escluso l’obbligo della presentazione delle planimetrie e quindi l’obbligo di classamento (ad esempio cortili, ingressi, vani scale, centrale termica, ....).
Qualche dubbio, invece, era sorto per i beni comuni censibili, ossia per le parti comuni condominiali per le quali sussiste l’obbligo di accatastamento mediante presentazione di planimetria catastale e conseguente classamento (ad esempio garage condominiale, cantina condominiale, alloggio del portiere, ecc. ecc.)1. Infatti:
- da un lato se ne dovrebbe sostenere l’esclusione dall’ambito di applicazione della norma in commento, in quanto, come tutte le parti comuni, anche il loro trasferimento avviene, per la quota di competenza, ex lege, a prescindere da una volontà espressa in atto dalle parti 2
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1 come previsto nella Circolare Direzione generale del catasto e dei servizi tecnici erariali n. 2 del 250 gennaio 1984
2 In questo senso C.N.N. nella Circolare pubblicata in C.N.Notizie n. 123 del 28 giugno 2010 (“La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 31 maggio 2010 n. 78. Prime note”) ove si escludono dal perimetro applicativo della norma le parti comuni condominiali “posto che queste si trasferiscono, pur nel silenzio del contratto, per quote millesimali unitamente al bene condominiale di proprietà esclusiva (cfr. art. 1117 c.c.) e non sono autonomamente cedibili”

- dall’altro si tratta, pur sempre, di beni accatastati (o da accatastare); si tratta, infatti, di unità immobiliari dotate di propria autonoma capacità reddituale e come tali rientranti, a pieno titolo, nella nozione di “unità immobiliare urbana” cui fa riferimento la norma in commento.
Sul punto è intervenuta la Agenzia del Territorio (Circolare n. 3/2010 del 10 agosto 2010) per la quale:
- anche i beni comuni censibili restano al di fuori dell’ambito di applicazione della norma in commento, al pari dei beni comuni non censibili, a condizione peraltro che siano effettivamente destinati a servizio del condominio e siano trasferiti “ex lege” unitamente all’unità negoziata, per la quota di competenza del disponente;
- detti beni rientrano, invece, nell’ambito di applicazione della norma se “cessano” la loro destinazione a servizio del condominio, con conseguente loro intestazione in catasto ai singoli comproprietari per le quote di rispettiva competenza (non potendo più rimanere nella partita speciale “beni comuni censibili”), circostanza quest’ultima che si può verificare, ad esempio, nel caso dell’autonomo trasferimento da parte di tutti i condomini.

DL. 78/2010 e POSTI AUTO SCOPERTI
Rientrano, invece, nell’ambito di applicazione del D.L. 78/2010 i posti auto scoperti (censiti con attribuzione alla categoria catastale C/6) la cui realizzazione abbia richiesto un’attività edilizia o, comunque, una trasformazione urbanistica permanente del terreno sul quale sono stati ricavati, con conseguente obbligo di preventiva progettazione ed autorizzazione mediante rilascio del titolo edilizio abilitativo (normalmente si tratta dello stesso progetto e dello stesso titolo edilizio relativi al fabbricato e/o ai manufatti al cui servizio sono posti i suddetti posti auto); pertanto detti posti auto possono considerarsi “costruzioni” in senso lato, tant’è vero che si sostiene che con riguardo alla disciplina urbanistica per tali beni trova applicazione la disciplina propria dei fabbricati, consistente nella menzione dei titoli edilizi, e non la disciplina dei terreni, che comporterebbe l’obbligo di allegazione del certificato di destinazione urbanistica3; per tali beni è prevista la presentazione della planimetria catastale e l’attribuzione di rendita e possono quindi ricondursi, a pieno titolo, nella categoria delle “unità immobiliari urbane”
Quanto detto vale, peraltro, per i posti auto scoperti dotati di propria “autonomia funzionale e di propria capacità reddituale” e, come tali, qualificabili in termini di “unità immobiliari urbane” e che siano trasferiti o assegnati in piena proprietà o sui quali vengano costituiti dei diritti reali (esclusi i diritti reali di garanzia)4
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3 Vedasi al riguardo la Circolare C.N.N. “La legge 28 febbraio 1985 n. 47. Criteri Applicativi” trasmessa con nota del marzo 1987 in “Condono Edilizio - Circolari. Studi e riflessioni del Notariato” Giuffrè Editore 1999: “Facciamo il caso dei posti auto scoperti e dei parcheggi, oggetto di autonoma previsione contrattuale, per la cui costruzione siano state eseguite opere edilizie urbanisticamente rilevanti. Questa circostanza li fa rientrare nell’ambito degli “edifici” nel significato indicato (ossia di “ogni tipo di manufatto rilevante ai fini urbanistici”) con conseguente applicazione della normativa edilizia per gli “edifici” ... e irrilevanza della normativa dei “terreni”.
4 In questo senso la Circolare C.N.N. “La legge 30 luglio 2010 n. 122, di conversione del DL 30 maggio 2010 n. 78 in materia di circolazione immobiliare - Novità ed aspetti controversi” a cura di M. Leo, A. Lomonaco, G. Monteleone e A. Ruotolo, pubblicata in C.N.N. Notizie del 6 dicembre 2010 (Parte II paragrafo 1.3)

DL. 78/2010 e SERVITU’
E’ ricompreso nell’ambito di applicazione del DL. 78/2010 anche l’atto costitutivo di servitù, facendo lo stesso riferimento agli atti di costituzione di .. diritti reali senza limitazioni di sorta (al contrario ad esempio di quanto prevede la normativa in materia urbanistica ove da un lato si fa riferimento agli atti costitutivi di diritti reali ma dall’altro si escludono espressamente gli atti costitutivi, modificativi o estintivi di servitù); prevale in dottrina l’opinione che ritiene la norma in commento applicabile solo se fondo servente sia un “fabbricato esistente” (al contrario non si applica se invece il “fabbricato esistente” sia il fondo dominante)5 e ciò per i seguenti motivi:
- innanzitutto in questo senso depone il tenore “letterale” della norma in commento: la norma prescrive l’obbligo di osservare detta disciplina per gli atti costitutivi di diritti reali “su” fabbricati esistenti (il fabbricato interessato deve essere pertanto quello a carico del quale viene costituita la servitù e non anche quello che “gode” della servitù)
- la servitù (quale “ius in re aliena”) ha per “oggetto” il fondo servente e non il fondo dominante che beneficia del vantaggio connesso alla servitù
- la dichiarazione di conformità deve essere resa dal “disponente” ossia da colui che in atto “dispone del diritto” (che può essere anche un soggetto diverso dall’intestatario catastale ovvero dall’intestatario effettivo) e solo con riguardo al fondo servente si può parlare di un disponente;
- si pensi poi a tutti i casi di servitù senza “fondo dominante”: servitù a favore dell’ENEL, della SNAM, dei Comuni per condotti fognari, ecc. ecc.; in questo caso necessariamente la disciplina in commento si dovrebbe applicare solo con riguardo al fondo servente
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5 In questo senso la Circolare C.N.N. “La legge 30 luglio 2010 n. 122, di conversione del DL 30 maggio 2010 n. 78 in materia di circolazione immobiliare ??\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\" Novità ed aspetti controversi” a cura di M. Leo, A. Lomonaco, G. Monteleone e A. Ruotolo, pubblicata in C.N.N. Notizie del 6 dicembre 2010 (Parte II paragrafo 3)

PRIMA QUESTIONE
I POSTI AUTO CONDOMINIALI E IL DL. 78/2010


IL CASO: area scoperta di pertinenza di un edificio condominiale destinata a parcheggio. Il costruttore ha individuato più posti auto che intende attribuire “in godimento esclusivo” ai singoli acquirenti.
IL QUESITO: trova applicazione nel caso di specie la disciplina del DL. 78/2010?

PROPRIETA’ E DIRITTI REALI
Normalmente ciò che vogliono le parti è riconoscere al singolo proprietario il diritto perpetuo, trasferibile a propri eredi ed aventi causa, di usufruire (per uso diretto o indiretto) di un determinato poso auto ricavato sull’area comune. Questo è l’obiettivo che, nella maggior parte dei casi, si prefiggono le parti.
L’obbiettivo suddetto può esser raggiunto SOLO riconoscendo all’acquirente un diritto reale sul posto auto (solo in questo modo si può riconoscere un diritto “esclusivo”); la natura condominiale del posto auto è antitetica al riconoscimento al singolo di un “diritto esclusivo”, posto che la condominialità presuppone pur sempre un godimento comune di tutti i condomini ex art. 1102 c.c. (godimento che può essere anche “ripartito” o “individuale” come si vedrà in appresso, ma mai esclusivo).
Si possono prospettare le seguenti soluzioni:
a) costituzione di un diritto di uso ex art. 1021 c.c.: “chi ha il diritto di uso di una cosa può servirsi di essa ... per i bisogni suoi e della sua famiglia”; tuttavia un simile diritto mancherebbe di talune delle caratteristiche volute dalle parti:
- sarebbe consentito un utilizzo esclusivamente diretto e non un utilizzo indiretto (neppure un comodato a terzi) (art. 1021 e 1024 c.c.)
- è vietato il trasferimento a terzi o la locazione a terzi (art. 1024 c.c.)
- mancherebbe la perpetuità del diritto, in quanto destinato a cessare alla morte dell’usuario (artt. 1026 e 979 c.c.)
Da segnalare che una vasta giurisprudenza della Cassazione6 ha riconosciuto, con riguardo ai posti auto realizzati in ossequio alle prescrizioni dell’art. 41 sexies legge 17 agosto 1942 n. 1150 (norma che prescrive l’obbligo, nelle nuove costruzioni, di riservare appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione), un diritto reale di uso a favore dei proprietari degli alloggi dei quali i posti auto costituiscono pertinenza. Si tratta, peraltro, di un diritto di uso sui generis, di creazione giurisprudenziale, che trova il suo fondamento in norme di natura pubblicistica, quali sono le norme in materia edilizia, e difficilmente “trasferibile” in altri contesti.
b) costituzione di un diritto di usufrutto; anche un simile diritto mancherebbe di talune delle caratteristiche volute dalle parti:
- mancherebbe la perpetuità del diritto, in quanto destinato a cessare alla morte dell’usufruttuario (art. 979 c.c.)
- non è trasferibile per successione mortis causa (estinguendosi con la morte del suo titolare), e sarebbe, inoltre, difficilmente trasferibile per atto inter vivos, in quanto diritto la cui durata è legata alla vita dell’alienante.
c) costituzione di una servitù; è discussa, peraltro, la legittimità di una servitù di “sosta di un veicolo”. La Cassazione7 ha più volte affermato la non usucapibilità della servitù di parcheggio, mancando l’utilitas a favore del fondo dominante. Infatti a parere della Cassazione, il parcheggio di un veicolo non può valutarsi come una utilitas per il fondo dominante, bensì come un vantaggio personale per colui al quale è consentito di parcheggiare il veicolo. In particolare la comodità di parcheggiare l’auto, per specifiche persone che dispongono del fondo dominante, non potrebbe valutarsi come un’utilità inerente il fondo stesso ma deve valutarsi come un vantaggio del tutto personale dei proprietari. Per la Cassazione, pertanto, non sarebbe neppure configurabile una servitù di parcheggio. Non è mancato peraltro chi, invece, contestando la ricostruzione della Cassazione, ha ammesso la possibilità di costituire una servitù di sosta di veicolo a favore di un’unità ad uso abitativo. Infatti è innegabile che, nell’attuale contesto, un’abitazione priva di un parcheggio ha un valore ed un’appetibilità commerciale obiettivamente inferiori a quelli di un’abitazione dotata di un parcheggio; non può quindi negarsi che la costituzione di una servitù di sosta di veicoli a favore di un’unità abitativa costituisca un’evidente utilità per il fondo dominante, sia sotto il profilo funzionale che economico.
Anche ad ammettere la possibilità di costituire una simile servitù, comunque, il titolare del diritto non potrebbe poi disporre dello stesso indipendentemente dal trasferimento del bene servito. Il diritto di sosta potrebbe essere “trasferito” solo unitamente al fondo dominante.
d) trasferimento della proprietà: in realtà, al di là delle ricostruzioni e delle qualificazioni più o meno stravaganti, ciò che le parti effettivamente vogliono, è trasferire il posto auto in proprietà, l’unico diritto che effettivamente può garantire la piena attuazione di tutte le aspettative delle parti:
- opponibilità del diritto ai terzi
- perpetuità del diritto (salva l’acquisto per usucapione da parte del terzo possessore in buona fede)
- trasferibilità del diritto sia per successione mortis causa che per atto inter vivos
- pieno godimento (diretto e/o indiretto)
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6 Fra le molteplici sentenze sull’argomento si ricordano le tre sentenze delle Sezioni Unite della cassazione le nn. 6600, 6601, 6602 del 17 dicembre 1984
7 Cass. 28.4.2004 n. 8137, Cass. 21.1.2009 n. 1551, Cass. 13.9.2012 n. 15334

La disciplina del DL. 78/2010:
In tutti i casi di cui sub a) b) c) e d) debbono, comunque, essere rispettate le prescrizioni del Dl 78/2010 in quanto con il trasferimento in proprietà o con la costituzione di un diritto reale su di un posto auto lo stesso cesserebbe con ciò stesso di essere una parte comune condominiale (un “diritto esclusivo” di un condomino sarebbe in netta contraddizione con il godimento comune che caratterizza una parte comune condominiale) e pertanto non varrebbe più la causa di esclusione dall’ambito di applicazione del DL 78/2010 operante per le parti comuni condominiali. Tornerebbe applicabile la disciplina applicabile ai posti auto dotati di propria “autonomia funzionale e di propria capacità reddituale” e, come tali, qualificabili in termini di “unità immobiliari urbane”.
A parità di “condizioni”, in relazione alla portata applicativa del DL. 78/2010, appare pertanto preferibile proporre la soluzione del trasferimento in proprietà, più rispondente, per i motivi sopra indicati, alle esigenze ed alle aspettative delle parti.

COMPROPRIETA’ CONDOMINIALE
Nella prassi, peraltro, sono molto più frequenti i casi in cui, anziché ricorrere al trasferimento della proprietà e/o alla costituzione di un diritto reale, l’obiettivo che le parti si prefiggono viene perseguito rimanendo nell’ambito della condominialità dei posti auto, e riconoscendo ai singoli condomini un non sempre ben precisato diritto di “uso esclusivo”. Le espressioni “diritto esclusivo” o “uso esclusivo” o “godimento perpetuo” che spesso ricorrono nella prassi, peraltro, sono alquanto infelici ed inadeguate, in quanto creano profonda incertezza sulla natura giuridica del diritto che si è voluto creare in relazione alla reale volontà delle parti.
L’art. 1117, c. 1, n. 2, cod. civ. (nel testo così modificato dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220) stabilisce che sono parti comuni condominiali (se non risulta il contrario dal titolo) le aree destinate a parcheggio. Si tratta di una delle cd. “parti condominiali facoltative”. Infatti si distingue al riguardo tra:
- le parti condominiali necessarie alla sussistenza stessa del condominio, quali ad es. il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri, i tetti, ecc. (art. 1117, c. 1, n. 1, c.c.)
- le opere e gli impianti che servono all’uso ed al godimento comuni, quali ad es. gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, ecc. (art. 1117, c. 1, n. 3, c.c.)
- le parti condominiali “facoltative” in quanto strumentali ad un miglior utilizzo del condominio e dei servizi offerti, quali ad es. l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditori e per l’appunto le aree destinate a parcheggio (art. 1117, c. 1, n. 2, c.c.)
Di conseguenza:
i) l’esistenza di un condominio non presuppone necessariamente la presenza di un’area, di proprietà comune, destinata a parcheggio (non essendo questa una parte necessaria per la sussistenza stessa del condominio)
ii) non è detto che un’eventuale area scoperta, adibita a parcheggio, debba considerarsi necessariamente parte comune ex art. 1117: ciò può essere escluso dal titolo (attraverso il riconoscimento ai singoli proprietari della proprietà o di altri diritti reali sui posti auto, riconoscimento che esclude per ciò stesso la condominialità dei posti auto; vedi sopra)
iii) non è detto che un’eventuale area scoperta di pertinenza di un edificio condominiale debba per ciò stesso considerarsi area destinata a parcheggio, rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 1117, c. 1, n. 2, c.c.; tutto dipende dalla destinazione impressa all’area medesima; valgono a tale riguardo le precisazioni e le prescrizioni risultanti:
- dal titolo con cui vengono trasferite le unità facenti parte del condominio (ove si può convenire tra le parti che l’area scoperta debba essere destinata alla sosta dei veicoli)
- dal regolamento di condominio; è questa, senza dubbio, la sede più appropriata ove specificare la destinazione di tutte le porzioni comuni che non costituiscano “parti comuni necessarie” e quindi con destinazione che può essere rimessa alla volontà dei condomini.
Una destinazione impressa inizialmente dal titolo o dal regolamento di condominio può, comunque, essere in qualsiasi momento modificata, nel rispetto della procedura ora disciplinata dall’art. 1117ter c.c. (nel testo introdotto ex novo dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220): “per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'edificio, può modificare la destinazione d\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'uso delle parti comuni”. Peraltro ciò vale solo per i posti auto (ricavati su area condominiale) che non rientrino nella cd. “riserva” di cui all’art. 41sexies legge 17 agosto 1942 n. 1150 (norma che così dispone: “nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione). Si pensi al caso del condominio, nel quale siano stati realizzati dei posti auto nell’interrato, nelle proporzioni di cui alla norma citata (1 mq ogni 10 mc di costruzione), posti auto trasferiti in proprietà ai singoli condomini, e nel quale siano stati individuati ulteriori posti auto anche nell’area scoperta condominiale: per questi ultimi posti auto, realizzati in eccesso rispetto al rapporto di legge, e di proprietà condominiale, non vi sono vincoli di sorta, con la conseguenza che i condomini ben potrebbero, con le maggioranze di cui all’art. 1117 ter c.c., mutare la destinazione d’uso dell’area scoperta, rinunciando in tal modo ai posti auto, per altre destinazioni ritenute più utili. Tutto ciò non sarà, invece, possibile se i posti auto, previsti nel progetto edilizio per garantire il rispetto del rapporto funzionale di cui all’art. 41 sexies legge 17 agosto 1942 n. 1150, sono proprio (ed esclusivamente) quelli ricavati nell’area scoperta condominiale: in questo caso la destinazione a parcheggio dell’area condominiale non è “negoziabile”, in quanto imposta da norme di carattere pubblicistico, per cui non si pone neppure un problema di verifica della destinazione dell’area stessa in base al titolo o al regolamento di condominio; la destinazione a posti auto, in questo caso, non può essere revocata o modificata per decisione dei condomini. La destinazione è inderogabile, discendendo da una prescrizione normativa.
La condominialità dei posti auto consente a ciascun condomino un godimento comune, un utilizzo promiscuo dei posti auto stessi; si pensi, ad esempio, al cortile condominiale di fatto utilizzato dai condomini per la sosta a “turnazione” dei veicoli (nel senso che la corte è a disposizione di tutti i condomini per la sosta senza limite alcuno ma anche senza alcun diritto esclusivo)
Ciò non toglie, peraltro, che questa non sia l’unica modalità di utilizzo dei posti auto: non sembra contrastare con il carattere condominiale dei posti auto un’eventuale loro utilizzo “ripartito”, se ed in quanto questa modalità di utilizzo possa, comunque, garantire a ciascun condomino il migliore godimento della cosa comune, senza “impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso”.
Anzi un uso ripartito può garantire, meglio di un uso promiscuo e privo di regole, una fruizione disciplinata dei posti auto comuni, evitando litigi e/o soprusi tra condomini ed assicurando a ciascun condomino il godimento del bene comune.
Ciò, peraltro, sarà possibile solo a CONDIZIONE che sia, comunque, consentito a ciascun condomino di utilizzare l’area comune, sulla quale (o su parte della quale) siano stati ricavati i posti auto. Tale condizione, ad esempio, potrà considerarsi verificata nei seguenti casi:
- qualora nella corte comune sia stato ricavato un numero di posti auto quanto meno pari al numero dei condomini, così da consentire a ciascun condomino l’utilizzo di almeno un posto auto e da non escludere nessun condomino dal godimento della cosa comune;
- qualora nella corte comune sia stato ricavato un numero di posti auto anche inferiore al numero dei condomini, se ne è previsto un utilizzo a “turnazione”, così da non escludere, neppure in questo caso, nessun condomino dal godimento della cosa comune;
- qualora nella corte comune sia stato ricavato un numero di posti auto anche inferiore al numero di tutti i condomini, in caso di condominio “parziale” (ossia se la corte stessa, per espressa previsione contenuta nei titoli o nel regolamento, non sia considerata parte comune a servizio di tutte le unità del condominio, ma solo di talune unità, di modo che i posti auto ricavati sulla stessa siano in numero non inferiore a quello dei condomini che hanno diritto alla corte stessa);
- qualora nella corte comune sia stato ricavato un numero di posti auto anche inferiore al numero dei condomini, se comunque siano possibili diversi utilizzi di ulteriori porzioni dell’area comune, non destinate a posti auto (ad es. può essere che uno o più condomini, che non possiedono veicoli da posteggiare, preferiscano vedersi “attribuito” un altro spazio, ad esempio destinato ad orto o a giardino piuttosto che a posto auto);
- qualora nella corte comune sia stato ricavato un numero di posti auto anche inferiore al numero dei condomini, se comunque nella corte comune siano stati ricavati altri spazi o realizzati altri impianti posti a servizio di tutti i condomini (ad esempio un giardino, una piscina, un campo da tennis, ecc.).
L’importante è che, nell’ottica di un uso “ripartito” della cosa comune, ognuno ne possa usufruire secondo le proprie aspettative, senza impedire agli altri di farne parimenti uso; non è, invece, necessario per il verificarsi della condizione de quo, che l’utilizzo sia proporzionale al valore della proprietà spettante a ciascun condomino; bisogna infatti distinguere l’aspetto della titolarità del diritto dall’aspetto dal godimento; per quanto riguarda il primo aspetto, il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene, salvo che il titolo disponga altrimenti, (così , infatti, dispone l’art. 1118 c.c.); per quanto riguarda il secondo aspetto, il godimento, per espressa pattuizione intervenuta tra tutti i condomini, può, invece, essere attribuito in maniera non proporzionale al valore delle singole proprietà: ciò che è essenziale (in relazione a quanto disposto dall’art. 1202 c.c., richiamato per il condominio dall’art. 1139 c.v.) è che ciascun partecipante possa servirsi del bene comune purchè non ne alteri la destinazione economica e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso. Ciò non esclude, peraltro, che nel disciplinare l’uso ripartito si tenga conto anche del criterio proporzionale (ad esempio riconoscendo al proprietario dell’appartamento di 200 mq l’utilizzo ripartito di due posti auto comuni ed al proprietario dell’appartamento di 100 mq. l’utilizzo ripartito di un solo posto auto comune); non sembra, invece, possibile, escludere un condomino dal godimento del bene comune, in relazione proprio a quanto disposto dall’art. 1202 c.c., in quanto verrebbe “snaturato” nella sua essenza il diritto stesso di comproprietà. Ciò non toglie che il condomino, di fatto, possa non avvalersi della facoltà di godimento riconosciutagli (a tutto vantaggio degli altri condomini) ma questa è situazione ben diversa da quella della esclusione pattizia della facoltà di godimento spettante ad un condominio, che, per i motivi di cui sopra, non si ritiene possibile.
Se non ricorre, invece, la condizione de quo, non si sarà più in presenza di un uso “ripartito” della cosa comune, ma di una disciplina volta ad escludere per taluni beni (ad es. per i posti auto attribuiti in cd. “uso esclusivo”) la “condominialità”, una forma, probabilmente, molto comoda per sfuggire alla tassazione degli immobili (si può, infatti, ricorrere alla formula dell’uso esclusivo al fine di evitare il trasferimento in piena proprietà di uno o più posti auto, trasferimento che implicherebbe il previo accatastamento in categoria C/6, e quindi l’assoggettamento all’imposizione fiscale, dei posti auto suddetti).
L’uso ripartito dei posti auto condominiali, pertanto, consente un uso “individuale” di quelle che sono parti condominiali, che presupporrebbero, per definizione, un uso e godimento promiscui. Ciascun condomino, in particolare, potrà utilizzare il posto auto che gli è stato attribuito a seguito della ripartizione, posto auto che per converso non potrà essere utilizzato da tutti gli altri condomini. La possibilità di prevedere un uso individuale di beni comuni, peraltro, sembra trovare un testuale riscontro nella disposizione dell’art. 1122 del c.c. (nel testo modificato dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220): “Nell\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'edificio.” La norma in commento sembra lasciare spazio a forme di “uso individuale” di parti comuni condominiali (in alternativa al trasferimento in proprietà esclusiva delle parti altrimenti “normalmente destinate all’uso comune”), forme di uso individuale che debbono, comunque, sempre soddisfare la condizione sopra illustrata di cui all’art. 1102 c.c. (e cioè che attraverso forme di uso individuale sia comunque consentito a tutti i condomini di fare parimenti uso della cosa comune)
L’uso ripartito dei posti auto condominiali, richiede un’apposita manifestazione di volontà in tale senso, manifestazione di volontà che dovrà risultare:
- o dal titolo con cui vengono trasferite le unità facenti parte del condominio
- o dal regolamento di condominio; è questa, certamente, la sede più appropriata ove disciplinare le modalità di utilizzazione e di godimento dei posti auto condominiali.
Le clausole del regolamento che prevedono l’utilizzo ripartito dei posti auto, in quanto incidenti su diritti soggettivi dei singoli condomini (in quanto da un lato attribuiscono una posizione di favore rispetto al posto auto assegnato che non potrà essere utilizzato dagli altri condomini, ma dall’altro limitano i diritti di ciascun condomino, che non potrà, a sua volta, utilizzare i restanti posti auto attribuiti agli altri condomini) debbono considerarsi di natura “contrattuale” con la conseguenza che:
- potranno essere inserite in un regolamento di condominio solo col consenso unanime di tutti i condomini
- potranno essere modificate e/o eliminate sempre solo col consenso unanime di tutti i condomini.
Con questa particolare modalità di disciplina del posto auto, il singolo condomino non acquisisce alcun diritto “esclusivo” sul posto auto, né un diritto autonomamente trasferibile. Egli rimarrà titolare del diritto di comproprietà (per la corrispondente quota millesimale) di tutti i posti auto ricavati nell’area comune e, al contempo, sarà tenuto a rispettare ed osservare (così come potrà pretendere anche da parte di tutti gli altri condomini il rispetto) della particolare disciplina dettata nel Regolamento di Condominio relativa all’uso “ripartito” dei posti auto. Egli potrà trasferire il suo diritto (di comproprietà ad uso ripartito) sui posti auto condominiali solo trasferendo il bene principale. Per converso il trasferimento a terzi del bene principale porterà con sé, necessariamente, anche il trasferimento del diritto (di comproprietà ad uso ripartito) sui posti auto condominiali.
La situazione, almeno sotto questo profilo, appare ben diversa da quella sopra delineata del trasferimento del posto auto in proprietà.
Le clausole del regolamento che prevedono l’utilizzo ripartito dei posti auto, danno pertanto luogo a delle vere e proprie obbligationes propter rem, per la cui opponibilità a terzi, secondo l’opinione tradizionale, non necessita la trascrizione nei RR.II. Tutte le clausole contenute in un Regolamento di Condominio (che non comportino la costituzione di servitù), anche se determinano il sorgere di una obbligatio propter rem, sono di per sé stesse opponibili a terzi (si ritiene in dottrina che le stesse non possano neppure essere trascritte). Ne consegue che nel caso di trasferimento di un’unità cui competa una quota millesimale di comproprietà su posti auto condominiali ad “uso ripartito”, l’acquirente subentrerà nell’intera posizione giuridica del proprio dante causa con riguardo ai posti auto suddetti: potrà pertanto utilizzare solo il posto auto di competenza fermo restando che lo stesso non potrà essere invece utilizzato dagli altri condomini.
Da segnalare che vi sono casi in cui:
A) l’uso “ripartito” dei posti auto condominiali è, di fatto, “obbligato”
B) l’uso “ripartito” dei posti auto condominiali non è, al contrario, in alcun modo possibile
Si rientra nella fattispecie di cui sub A, ad esempio, nel caso di posti auto soggetti al cd. “vincolo Tognoli” (art. 9 legge 122/1989); nel caso di “vincolo Tognoli” si viene, infatti, a creare un vincolo pertinenziale indissolubile tra unità singola e posto auto, per cui quest’ultimo non potrà che essere utilizzato dal proprietario dell’unità singola della quale costituisce pertinenza. L’uso “ripartito” è insito nel modo stesso di operare del “vincolo Tognoli”. Ovviamente, per le ragioni di cui si è detto sopra, sarà possibile mantenere la condominialità di posti auto gravati da “vincolo Tognoli”, e quindi soggetti ad uso “ripartito”, solo a CONDIZIONE che sia, comunque, consentito a ciascun condomino di utilizzare l’area comune, sulla quale (o su parte della quale) siano stati ricavati i posti auto. Se, invece, tale condizione non si verifica, non sarà possibile mantenere questi posti auto in condominialità, ma gli stessi dovranno necessariamente essere trasferiti in proprietà agli aventi titolo; si pensi al caso in cui siano stati ricavati posti auto con “vincolo Tognoli” in numero inferiore a quello dei condomini (con vincolo pertinenziale solo a favore di talune unità) e sull’area comune non vi siano altri spazi e/o impianti destinati ai condomini, diversi da quelli cui spetta il posto auto (si rammenta che i posti auto con “vincolo Tognoli” possono essere realizzati sono nel sottosuolo di edifici ovvero nei locali al piano terreno ovvero nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne).
Si rientra nella fattispecie di cui sub B, ad esempio, nel caso di posti auto soggetti a vincolo di uso pubblico. Si pensi al progetto edilizio che, per garantire il rispetto della vigente normativa urbanistica in tema di dotazione di standard, preveda espressamente la realizzazione sulla corte comune di posti auto da vincolare ad uso pubblico (spesso gli strumenti urbanistici comunali subordinano la realizzazione di spazi destinati ad attività commerciali o direzionali alla costituzione di un vincolo di destinazione di tutta o di parte dell’area scoperta a parcheggio ad uso pubblico). In questo caso l’area destinata parcheggio non solo ha una destinazione vincolata (e non negoziabile come nel caso sopra illustrato dei posti auto ex art. 41sexies legge 1150/1942) ma anche un uso vincolato: gli spazi a parcheggio debbono essere a disposizione del “pubblico”, ossia degli utenti delle attività commerciali e/o direzionali ubicate nell’edificio.
Un uso “ripartito” e “individuale” si porrebbe in contrasto con questo uso pubblico. Solo per eventuali posti auto ulteriori, rispetto a quelli da vincolare ad uso pubblico, sarebbe possibile prevedere un uso “ripartito”, sempreché ricorrano tutte le condizioni sopra illustrate.

La disciplina del DL. 78/2010:
I posti auto, anche ad uso “ripartito”, se ed in quanto qualificabili come posti auto condominiali, ricorrendo tutte le condizioni sopra esposte, restano fuori dal perimetro di applicazione del D.L. 78/2010, al pari di tutte le parti condominiali.
Ciò vale:
- sia per i posti auto condominiali iscritti in Catasto come beni comuni non censibili
- che per i posti auto condominiali iscritti in Catasto come beni comuni censibili (con deposito della planimetria catastale ed attribuzione alla categoria C/6), siano essi confluiti nella Partita speciale denominata “beni comuni censibili” ovvero siano essi intestati ai singoli condomini pro quota, stante la specifica posizione assunta dall’Agenzia del Territorio con la Circolare n. 3/2010 del 10 agosto 2010, in ordine all’esclusione dall’ambito di applicazione della norma in commento anche dei beni comuni censibili.
Pertanto, a prescindere dalla circostanza che i posti auto condominiali siano stati iscritti al catasto come beni comuni non censibili ovvero come beni comuni censibili, la soluzione, ai fini dell’applicabilità o meno del DL. 78/2010, è sempre la stessa, nel senso cioè della loro esclusione dall’ambito applicativo di detta normativa. A condizione, lo si ribadisce, che i posti auto siano effettivamente qualificabili come parti condominiali, e non siano invece nella disponibilità di alcuni soltanto dei condomini (particolare attenzione va prestata, pertanto, nel caso di formule come quelle dell’attribuzione dell’uso esclusivo dei posti auto, che potrebbero celare forme di elusione fiscale, come sopra già segnalato).

CONCLUSIONI:
1) se si vuole riconoscere un diritto reale, è opportuno non ricorrere a qualificazioni fuorvianti come “diritto esclusivo” o “uso esclusivo” o “godimento perpetuo” e procedere, invece, al trasferimento del posto auto in proprietà; la costituzione di altri diritti reali appare particolarmente problematica in quanto:
- i diritti di usufrutto e di uso incontrano un limite nella temporaneità del diritto (che si estingue con la morte del titolare); inoltre il diritto di uso è per legge incedibile;
- la ammissibilità di una servitù di sosta di veicoli è tutt’altro che pacifica; anzi la posizione della Cassazione è contraria all’ammissibilità di una servitù di parcheggio.
Ovviamente con il trasferimento del posto auto in proprietà, trova piena applicazione la disciplina del DL 78/2010, per cui:
- i posti auto debbono essere accatastati (in cat. C/6) con presentazione delle relative planimetrie
- vanno riportatati in atto, a pena di nullità, l’identificativo catastale, il riferimento alle planimetrie catastali depositate in catasto e la dichiarazione di parte di conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale (dichiarazione, peraltro, che può essere sostituita, da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato).
2) se vi vuole rimanere nell’ambito della condominialità si può prevedere l’uso “ripartito” (e quindi l’uso “individuale”) dei posti auto condominiali, ricorrendo ad apposita clausola da inserire nei titoli traslativi ovvero (soluzione preferibile) nel Regolamento di Condominio. Ciò, peraltro, sarà possibile SOLO a CONDIZIONE che sia, comunque, consentito a ciascun condomino di utilizzare l’area comune, sulla quale (o su parte della quale) siano stati ricavati i posti auto. Anche in questo caso appare opportuno evitare il ricorso a qualificazioni fuorvianti come “diritto esclusivo” o “uso esclusivo” o “godimento perpetuo”, e precisare, invece, che i posti auto costituiscono parti comuni condominiali ai sensi dell’art. 1117, c. 1, n. 2, cod. civ., soggetti alla particolare disciplina regolamentare per l’utilizzo “ripartito” contenuta nel Regolamento di Condominio, al cui rispetto sono, conseguentemente tenuti, tutti i condomini.
I posti auto, anche ad uso “ripartito”, se ed in quanto qualificabili come posti auto condominiali, restano fuori dal perimetro di applicazione del D.L. 78/2010, al pari di tutte le parti condominiali.

NOTA BENE: le regole operative suggerite nel presente orientamento valgono per il caso di costituzione di un nuovo condominio. Non valgono, invece, nel caso di condomini già costituiti, per i quali non è più possibile ricorrere alla esatta qualificazione del diritto secondo le regole enunciate (proprietà o parte comune ad “uso ripartito”).
Che fare, allora, quando si deve ritrasferire un’unità condominiale alla quale sia stato attribuito un posto auto scoperto in “uso esclusivo” (normalmente non accatastato ma individuato con una sigla o con apposta numerazione in un elaborato grafico allegato al titolo di provenienza)?
A tal riguardo la prima questione da affrontare è quella della qualificazione giuridica di questo “diritto di uso esclusivo”: si tratta di un diritto di natura reale ovvero di un diritto di natura obbligatoria?
Sotto il primo profilo (diritto di natura reale) appare difficile qualificare tale diritto come diritto di uso e/o diritto di usufrutto, in quanto non era certo volontà della parti, al momento della sua costituzione, riconoscere all’acquirente un diritto incedibile a terzi (come nel caso del diritto di uso) o comunque un diritto temporaneo destinato ad estinguersi con la morte del titolare. Appare, anche, difficile qualificare tale diritto anche come servitù, dato che l’ammissibilità stessa di una servitù di sosta di veicoli è tutt’altro che pacifica (come ricordato la posizione della Cassazione è addirittura contraria all’ammissibilità di una servitù di parcheggio). Probabilmente ciò che le parti volevano trasferire era un vero e proprio diritto di proprietà, ma difficilmente quello che nel titolo di provenienza è stato qualificato come “diritto esclusivo” (in antitesi al diritto sull’alloggio indicato come “proprietà piena”) può essere riqualificato in termini di proprietà, sul piano puramente interpretativo (ad opera e sotto la responsabilità del Notaio chiamato a ricevere l’atto di ritrasferimento).
Non resta che ricostruire la fattispecie de quo come fattispecie complessa che, al di là delle espressioni utilizzate dalle parti, presenta sia profili di realità che profili di obbligatorietà. Ciò che il condomino, in questi casi, ha effettivamente acquistato è una quota di comproprietà dell’intera corte condominiale, sulla quale sono stati realizzati i suddetti posti auto (il profilo di realità) con contestuale subentro nello specifico regolamento condominiale riguardante l’uso di questa corte, che, al fine di garantire il rispetto dell’art. 1102 c.c., prevede l’utilizzo “ripartito” dei vari spazi individuati per la sosta di veicoli, e quindi un obbligo a carico dei condomini di rispettare tale “ripartizione” (profilo di “obbligatorietà). Al riguardo si è già avuto modo di ricordare che:
- non sembra contrastare con il carattere condominiale dei posti auto un’eventuale loro utilizzo “ripartito”, se ed in quanto questa modalità di utilizzo possa, comunque, garantire a ciascun condomino il migliore godimento della cosa comune, senza “impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso”;
- un uso ripartito può, addirittura, garantire, meglio di un uso promiscuo e privo di regole, una fruizione disciplinata delle parti comuni, evitando litigi e/o soprusi tra condomini ed assicurando a ciascun condomino il godimento del bene comune.
Tale ricostruzione, peraltro, presuppone il ricorrere delle seguenti condizioni:
i) che vi sia un Regolamento di Condominio che disciplina fra le altre cose anche l’uso della corte condominiale ovvero che via sia un accordo specifico (qualificabile comunque come regolamento condominiale) che disciplini esclusivamente l’utilizzo della corte suddetta
ii) che nel regolamentare la “ripartizione” degli spazi di sosta sia stata rispettata la prescrizione dell’art. 1102 c.c. nel senso che la stessa deve essere funzionale ad una corretta e ben disciplinata utilizzazione della corte comune, senza che siano attribuiti privilegi ad alcuni condomini a discapito degli altri; l’art. 1102 c.c., come già ricordato, prescrive che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca al altri di farne parimenti uso secondo il loro diritto” per cui un regolamento della cosa comune, che costituisca attuazione di detta disposizione, deve garantire l’utilizzo della cosa comune a tutti condomini e non solo ad alcuni di essi.
La corte, in questo caso, benché vi sia questo specifico regolamento per la disciplina dell’uso a sosta veicoli (ma non solo) rimane qualificabile quale “parte condominiale”, e come tale rimane esclusa dall’ambito di applicazione del D.L. 78/2010.
Se non ricorrono, invece, le condizioni sopra indicate (ed in particolare la condizione di cui sub ii), non siamo più in presenza di un uso “ripartito” della cosa comune, ma di una disciplina volta ad escludere per taluni beni la “condominialità”, una forma, probabilmente, molto comoda per sfuggire alla tassazione degli immobili.


SECONDA QUESTIONE
LE SERVITU’ NEL CONDOMINIO E IL DL. 78/2010


IL CASO: normalmente in caso di costituzione di un condominio (ossia alla stipula del primo atto di vendita) vengono costituite servitù di vario tipo:
- o a carico di parti comuni ed a favore di unità di proprietà esclusiva
- o a carico di proprietà esclusive ed a favore di altre proprietà esclusive o di parti comuni
IL QUESITO: come si applica, nel caso di specie, la disciplina del DL. 78/2010?
Al riguardo bisogna distinguere:
Nel caso di servitù costituite a carico di parti comuni condominiali, la disciplina del DL. 78/2010 non troverà applicazione, in quanto le parti comuni condominiali (a prescindere dalle modalità di loro accatastamento come beni comuni non censibili o come beni comuni censibili) restano sempre al di fuori del perimetro di applicazione della disciplina dettata dal DL. 78/2010.
Diverse sono, invece, le soluzioni nel caso di servitù costituite a carico di proprietà esclusive:
- la disciplina del DL. 78/2010 troverà piena applicazione ogniqualvolta il fondo servente consista in una “unità immobiliare urbana” ossia in un’unità che sia (o che debba essere in base alla normativa vigente) accatastata al catasto dei Fabbricati con deposito di planimetria catastale ed attribuzione di rendita;
- la disciplina del DL. 78/2010 NON troverà, invece, applicazione ogniqualvolta il fondo servente consista in un immobile o in una porzione immobiliare che non possa farsi rientrare tra le “unità immobiliari urbane” tali da dover essere accatastate al catasto dei Fabbricati con attribuzione ad una categoria ordinaria (si pensi ad un’area ancora censita al catasto terreni, ad un ente denunciato al catasto dei fabbricati con attribuzione ad una categoria fittizia F1, F2, F3, F4, F5).
Un caso particolare (ma non infrequente) è quello della servitù costituita a carico di una pertinenza (non costituente fabbricato) di un’unità censita al catasto dei Fabbricati con planimetria, con attribuzione a categoria ordinaria e con riconoscimento di rendita, pertinenza censita unitamente al bene principale cui è asservita. Si pensi al caso di una servitù di passaggio pedonale a carico della corte scoperta di pertinenza di un’abitazione, quando sia l’abitazione che la corte risultano accatastate unitariamente e raffigurate nell’unica planimetria catastale presentata al catasto. Va comunque osservata la disciplina del DL. 78/2010?
Al riguardo sono state propugnate due diverse soluzioni.
Una prima soluzione, più rigorosa, propende per la piena applicazione, anche nel caso di specie, del D.L. 78/2010; si è osservato, al riguardo, come l’area abbia ormai perso la sua autonomia funzionale e sia divenuta parte integrante e imprescindibile del fabbricato cui è asservita, al punto da esser raffigurata nella planimetria unitamente all’abitazione stessa. Il dato catastale quindi rappresenterebbe un’immobile ormai da considerarsi nella sua unitarietà come “unità immobiliare urbana”, e come tale soggetto, in toto, alla disciplina dettata dall’art. 19, c. 14. DL. 78/2010.
L’altra soluzione, più possibilista, propende, invece, per l’inapplicabilità, nel caso di specie, del D.L. 78/2010, a condizione che, nell’atto di costituzione della servitù, oltre ad essere riportato il dato catastale riferito all’intero immobile, venga anche inserita una precisazione volta a limitare la servitù alla sola area scoperta (magari da individuarsi nel suo tracciato su apposito elaborato grafico da allegare all’atto); in questo modo si sarebbe in presenza di una servitù a carico di area scoperta, come tale esclusa dall’ambito di applicazione del D.L. 78/2010.
Sul punto non esistono argomenti testuali, ricavabili dal D.L. 78/2010, che possano far propendere per la soluzione più rigorosa piuttosto che per la soluzione più possibilista. Nella prassi si sono registrati comportamenti che hanno, parimenti, adottato l’una o l’altra soluzione, in mancanza, per l’appunto di indirizzi interpretativi uniformi.
Per il futuro, come regola operativa, si consiglia, di seguire la soluzione più rigorosa (con conseguente applicazione della disciplina del D.L. 78/2010), al fine di evitare ogni possibile contestazione in ordine alla validità dell’atto costitutivo di servitù (tenuto anche conto della mancanza di una interpretazione giurisprudenziale univoca).
Altra questione, sollevata in ordine alle servitù che vengono a costituirsi in occasione della nascita di un condominio, è quella riguardante gli impianti comuni, posti a servizio delle varie unità costituenti il condominio, e che possono essere collocati nei muri o nelle aree di pertinenza di unità di proprietà esclusiva. Si è anche suggerito, nella prassi, di “predisporre una formula unica, per così dire polivalente, da inserire in ogni atto del nuovo condominio che valga per qualunque servitù nascente dall’atto medesimo” (in particolare si è suggerito di inserire i dati catastali e i riferimenti alle planimetrie e di integrare la dichiarazione di conformità “anche con riferimento alle unità immobiliari di residua proprietà dell’alienante che sono quelle a carico delle quali la servitù potrebbe nascere ...”)8.
In realtà, gli impianti di distribuzione dei servizi (gas, energia elettrica, acqua, ecc. ecc.) non sono di proprietà dei singoli condomini, in quanto non sono posti solo a servizio di una singola unità. Quindi non è neppure configurabile una servitù in forza della quale il proprietario del fondo dominante abbia il diritto di collocare e mantenere nel fondo servente impianti di sua proprietà che consentano al fondo dominante di allacciarsi ai servizi pubblici. Gli impianti di distribuzione dei servizi sono essi stessi “parti comuni condominiali”, in quanti posti a servizio di tutte le unità facenti parte del condominio (e ciò sino al punto di diramazione nelle proprietà esclusive). In questo senso dispone l’art. 1117, c. 1, n. 3, c.c.: “sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio [...] i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche”.
Se un condomino ha diritto ad utilizzare gli impianti di distribuzione dei servizi è perché questi sono parti comuni condominiali e non perché esiste a suo favore una servitù. Nè gli altri condomini (ossia i proprietari delle unità ove sono collocati gli impianti di distribuzione) possono impedire l’utilizzo “condominiale” degli impianti stessi.
L’art. 1122 c.c. dispone che “nell\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'unità immobiliare di sua proprietà [...] il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'edificio.” Addirittura l’art. 1122bis c.c. consente al singolo condomino di installare “impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo” a condizione che siano “realizzati in modo da recare il minor pregiudizio alle parti comuni e alle unità immobiliari di proprietà individuale, preservando in ogni caso il decoro architettonico dell\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'edificio, salvo quanto previsto in materia di reti pubbliche”. Pertanto il singolo condomino ha il diritto di installare impianti di ricezione anche su unità di proprietà esclusiva di altri condomini, e ciò in virtù del diritto che gli deriva dalla norma in commento (senza che sorga una specifica servitù).
Si può parlare al riguardo, più che si servitù, di limiti legali al diritto di proprietà, derivanti dalla struttura condominiale del fabbricato e discendenti dagli artt. 1117 e segg. c.c.
Al riguardo, pertanto, non vi è neppure spazio l’applicabilità del D.L. 78/2010.
CONCLUSIONI:
La disciplina del DL. 78/2010 trova applicazione solo quando il fondo servente consista in una “unità immobiliare urbana” ossia in un’unità che sia (o che debba essere in base alla normativa vigente) accatastata al catasto dei Fabbricati mediante deposito di apposita planimetria catastale ed attribuzione di rendita; e ciò anche nel caso in cui la servitù riguardi non l’intera unità, ma solo una porzione della stessa, porzione che se denunciata autonomamente al Catasto, rientrerebbe tra le categorie fittizie, come, ad esempio, nel caso delle aree scoperte di corte .
In tutti gli altri casi (ossia nel caso che fondo servente sia una parte comune condominiale, un terreno o un bene accatastato in categoria fittizia F1, F2, F3, F4, F5) non si applica il D.L. 78/2010.
Per quanto riguarda gli impianti di distribuzione dei servizi va escluso che si vengano a costituire servitù a carico delle unità di proprietà esclusiva nelle quali tali impianti sono collocati. Al riguardo si può parlare di “limiti legali alla proprietà” derivanti dalla struttura condominiale del fabbricato e discendenti dagli artt. 1117 e segg. c.c.; pertanto è esclusa l’applicabilità del DL. 78/2010.
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8 LUCA IBERATI - La conformità catastale: considerazioni su alcuni aspetti della normativa incidenti sulle tecniche redazionali - Notariato 2/2012, 149