A.A. Aspetti formali ed elementi generali > Aspetti formali
A.A.1 - (VERBALIZZAZIONE IN DATA SUCCESSIVA ALLA RIUNIONE - 1° pubbl. 9/04)
Qualora un verbale assembleare o consigliare sia ricevuto da un notaio per atto pubblico, e sia formato o terminato in giorno diverso e successivo rispetto alla data di svolgimento della riunione, il notaio che l’ha ricevuto dovrà iscriverlo nel proprio repertorio alla data di completamento, in quanto il repertorio è registro di atti e non di fatti.
A.A.2 - (LEGITTIMAZIONE A RICHIEDERE L’ISCRIZIONE DI UN ATTO COSTITUTIVO DI SOCIETÀ DI CAPITALI - 1° pubbl. 9/04)
Unici soggetti legittimati a richiedere l’iscrizione di un atto costitutivo sono il no-taio che lo ha ricevuto e ciascuno degli amministratori della società, salva l’ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 2330 c.c.
A.A.3 - (PARTECIPAZIONE DI STRANIERI A SOCIETÀ ITALIANE - 1° pubbl. 9/04 - modif. 9/05)
Un cittadino straniero non può partecipare a società italiane se, in base al prin-cipio di reciprocità, al cittadino italiano non sia consentito partecipare a società nello stato estero di appartenenza dello straniero.
Tale principio non si applica ai cittadini stranieri titolari di carta di soggiorno, ovvero di permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o di lavoro au-tonomo o per l’esercizio di un’impresa individuale, e per i relativi familiari in re-gola con il soggiorno, i quali tutti sono pertanto sempre legittimati a partecipare a società italiane.
A.A.4 - (RAPPRESENTANZA DI ENTI STRANIERI - 1° pubbl. 9/04)
I rappresentanti di enti o società straniere che partecipano a società italiane debbono essere legittimati secondo le norme del proprio ordinamento.
A.A.5 - (RISERVA AI NOTAI DELLA RICEZIONE DI ATTI SOCIETARI - 1° pubbl. 9/04 – motivato 9/15)
I pubblici ufficiali abilitati alla ricezione di atti pubblici, quali i segretari comuna-li, gli ufficiali roganti o i diplomatici all’estero, non possono ricevere atti costitu-tivi o modificativi di società di capitali, essendo tale competenza riservata ai no-tai che svolgono anche la funzione di controllo di legalità ai sensi degli artt. 2330, comma 1, e 2436, comma 1, c.c. richiamati anche in materia di s.r.l. e di cooperative.
Motivazione
L’art. 32 della legge 24 novembre 2000, n. 340 ha eliminato del tutto il controllo preventivo del giudice sugli atti societari in sede di costitu-zione della società, mantenendolo in via meramente eventuale in sede di modificazioni dell’atto costitutivo. In particolare, la novella ha previsto che:
- in sede di costituzione della società di capitali, l’unico controllo cui è soggetto l’atto costitutivo è quello svolto dal notaio che lo riceve;
- nei casi di modifica dell’atto costitutivo è attribuito al notaio il compito di verificare l’esistenza delle condizioni stabilite dalla legge e, all’esito positivo di tale verifica, di iscrivere la modifica nel registro im-prese, con possibilità di ricorrere al tribunale solo nel caso in cui il no-taio rifiuti l’iscrizione.
Di regola, dunque, il giudice non svolge più alcun controllo.
A completamento della riforma, la novella ha inserito un nuovo arti-colo nella legge notarile (l’art.138 bis, legge 16 febbraio 1913, n. 89), il quale stabilisce che il notaio che abbia chiesto l’iscrizione nel registro delle imprese di deliberazioni da lui verbalizzate, quando risultino ma-nifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge, viola l’articolo 28, comma 1, n.1 della stessa legge ed è dunque punito con la sospensione (già prevista dall’art. 138) e con la nuova sanzione ammini-strativa pecuniaria che va da lire 1 milione a 30 milioni (oggi da 516 a 15.493 Euro). Analoga sanzione colpisce il notaio che richieda l’iscrizione di un atto costitutivo di società, qualora, risultino manife-stamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge.
Per quanto riguarda la tecnica legislativa, la riforma è stata collocata in una legge detta di semplificazione, in quanto volta a velocizzare la fase costitutiva e modificativa delle società di capitali.
Nella relazione governativa di presentazione del testo della novella al Parlamento si è tenuto a precisare che, nonostante la soppressione del controllo del giudice, “le esigenze di certezza e di tutela dei terzi sono soddisfatte dall’atto costitutivo pubblico redatto dal notaio, nonché dal-la verifica da parte dello stesso dell’adempimento delle condizioni stabi-lite dalla legge per le delibere di assemblea che comportano modifiche dell’atto costitutivo”.
Nell’Unione Europea, la possibilità di superare il controllo dell’autorità giudiziaria in sede di costituzione e di modificazione statu-taria delle società di capitali era già prevista dall’art. 10 della Prima di-rettiva comunitaria in materia di società (la n. 68/151/CEE del Consi-glio, del 9 marzo 1968), intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie richieste alle società a mente dell'articolo 58, secondo comma, del Trattato (la cui applicazione in Italia è prevista dall’art. 1 della Di-rettiva stessa per le s.p.a., per le s.a.p.a. e per le s.r.l.).
La soppressione del controllo giudiziario voluta dall’art. 32 della leg-ge 24 novembre 2000, n. 340 è stata in seguito trasfusa nella riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.
Successivamente, la funzione notarile di controllo di legalità degli at-ti societari è stata ampliata da ulteriori interventi legislativi, tra cui la ri-forma delle procedure concorsuali operata con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, la quale, modificando l’originario testo dell’art. 152 legge fall., ha previsto che, nelle società di capitali e nelle cooperative, la decisione di presentare l'istanza di ammissione al concordato sia soggetta a verba-lizzazione, controllo notarile e iscrizione ai sensi dell'art. 2436 c.c.
Dalla relazione illustrativa al D.Lgs. 5/2006 si apprende che la scelta di prevedere per le società di capitali e le cooperative la verbalizzazione notarile della decisione dell'organo amministrativo sulla domanda di concordato deriva da un’esigenza di simmetria con l’impostazione della riforma del diritto societario che ha enfatizzato, per tali tipi di società, la forma notarile come elemento perfezionativo dei procedimenti deci-sionali di maggior rilevanza. Il formalismo prescritto dall’art. 152 legge fall. trova, quindi, la propria giustificazione nell’importanza degli effetti derivanti dalla proposizione della domanda di concordato, con partico-lare riferimento al divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio dell’imprenditore (art. 168 legge fall.) e all'obbligo di auto-rizzazione del tribunale per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione (artt. 167 e 161, comma 7, legge fall.). In tale prospet-tiva, l’intervento del notaio ha la funzione di garantire un controllo di legalità rispetto ad un atto idoneo ad incidere pesantemente sulla sfera giuridica dei terzi creditori, nonché sulla capacità di agire della società (e quindi sul concreto perseguimento dell'oggetto sociale).
A questo punto ci si può chiedere se la legittimazione al controllo di legalità attribuita al notaio in materia di società di capitali sia estensibile anche agli altri soggetti occasionalmente abilitati alla ricezione di atti pubblici, quali i segretari comunali, gli ufficiali roganti o i diplomatici all’estero, ovvero ai conservatori degli archivi notarili relativamente al deposito ed alla conservazione degli atti pubblici rogati in uno Stato estero, prima di farne uso nello Stato italiano (art. 106 L.N.).
Appare senz’altro preferibile l’opinione contraria, stante il carattere di specialità dell’intera disciplina sul controllo di legalità degli atti delle società di capitali, che implicitamente esclude la sua applicazione ad al-tri pubblici ufficiali diversi dal notaio (così decr. giud. reg. del Tribunale di Verona del 7 novembre 2001).
Vari argomenti militano a favore di questa interpretazione.
Anzitutto l’argomento testuale, che osserva come in tutti gli inter-venti legislativi (legge 24 novembre 2000, n. 340, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 e D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5) si sia sempre fatto specifico ri-ferimento al solo notaio e mai ad un generico pubblico ufficiale abilitato alla recezione di atti pubblici.
Ma sono soprattutto considerazioni di carattere sistematico ad im-pedire l’estensibilità della competenza sul controllo di legalità degli atti societari a pubblici ufficiali diversi dal notaio.
Si deve, infatti, notare come gli oneri di controllo di legalità attribuiti ai notai siano stati accompagnati dall’introduzione di uno specifico ap-parato sanzionatorio (sia disciplinare, che amministrativo) a carico del notaio che li abbia violati.
Il suddetto apparato sanzionatorio, che funge da contrappeso all’attribuzione della funzione di controllo di legalità ed è ad essa com-plementare, è stato specificamente previsto per i soli notai e non per gli altri pubblici ufficiali, ai quali, dunque, non è estensibile per analogia, stante la sua natura disciplinare e la sua collocazione all’interno all’ordinamento del notariato. A questo punto, se si ammettesse che soggetti diversi dai notai abbiano il potere di effettuare il controllo di le-galità degli atti societari si dovrebbe anche ritenere che in caso di omis-sione di tale controllo sarebbero esenti da sanzioni. Una siffatta conclu-sione appare talmente paradossale da smentirsi da sola.
Sempre sotto il profilo sistematico si deve, poi, sottolineare come il controllo di legalità degli atti societari abbia natura pubblicistica, in quanto facente parte del procedimento amministrativo di costituzione e modifica della persona giuridica, procedimento complesso, all’interno del quale il perfezionamento di un atto pubblico costituisce solo uno degli elementi costitutivi della fattispecie. Anche per tale motivo, dun-que, in assenza di una specifica previsione legislativa sul punto, non può ritenersi che soggetti abilitati al ricevimento di soli atti pubblici ab-biano anche il potere di compiere il diverso e più complesso iter ammi-nistrativo che produce il riconoscimento da parte dello Stato di una per-sona giuridica e ne rende efficaci le modifiche statutarie.
A.A.6 - (STATO DI COSTITUZIONE DI ENTI SOCI DI SOCIETÀ DI CAPITALI - 1° pubbl. 9/04 – modif. 09/06)
Nell’atto costitutivo delle società di capitali e delle cooperative è necessario in-dicare lo stato di costituzione degli eventuali enti soci diversi dalle persone fisi-che e non anche la data in cui detti enti soci sono stati costituiti.
A.A.7 - (DURATA PRIMO ESERCIZIO DI UNA SOCIETÀ DI CAPITALI - 1° pubbl. 9/04 - modif. 9/05-9/11 – motivato 9/11)
Il primo esercizio sociale di una società di capitali può avere eccezionalmente una durata ultrannuale, purché non scada oltre il quindicesimo mese successivo alla formazione dell’atto costitutivo.
Motivazione
Come è noto il codice civile non detta una norma esplicita sulla du-rata degli esercizi sociali, né impone la determinazione contrattuale del-la data di chiusura degli stessi.
Ancor meno si preoccupa di dettare una disciplina relativa al primo esercizio.
La regola dell’annualità è ricavabile tuttavia con chiarezza, oltre che dall’intero sistema, dalla disposizione contenuta nell’art. 2364, comma 2, c.c., nella parte in cui prevede l’obbligo di convocazione dell’assemblea ordinaria almeno una volta l’anno, entro centoventi o, ricorrendone le condizioni, centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale.
Tale regola assume i connotati di vero e proprio principio di ordine pubblico, in quanto le risultanze del bilancio sono destinate a generare affidamento nei soci, nei creditori, nei terzi e nella collettività economi-ca in generale, sulla reale situazione economica e finanziaria della socie-tà.
È tuttavia evidente che un bilancio riferito ad un esercizio di durata inferiore o superiore ai dodici mesi, per quanto redatto con assoluta correttezza, è con ogni probabilità destinato a non essere rappresentati-vo del reale andamento della società, in quanto non può tener conto del-la fisiologica ciclicità annuale della stragrande maggioranza delle attivi-tà economiche (peraltro posta a base anche del sistema tributario).
L’annualità degli esercizi costituisce infatti un presupposto essenziale per la formazione di bilanci che rappresentino in maniera chiara, veri-tiera e corretta la situazione patrimoniale e finanziaria delle società e il risultato economico d’esercizio (art. 2423, comma 2, c.c.) e che, soprat-tutto, siano tra loro confrontabili in una logica di continuità ed omoge-neità (art. 2423 bis, comma 1, n. 6, c.c.).
È inoltre da considerare che il bilancio non deve essere redatto in una prospettiva statica, bensì seguendo la logica dinamica dettata appunto dalla ciclicità annuale dell’economia, cioè nella prospettiva della conti-nuità dell’attività (art. 2423 bis, comma 1, n. 1, c.c.).
La regola dell’annualità dell’esercizio appare dunque in linea di prin-cipio non derogabile, né in aumento né in diminuzione.
L’esigenza, tuttavia, di far coincidere l’esercizio sociale con l’anno solare o, quanto meno, con l’ultimo giorno di un determinato mese, rende di fatto impossibile l’applicazione di tale regola al primo eserci-zio, in quanto lo stesso non può che avere la durata necessaria per por-tare a regime l’annualità dedotta nel contratto.
Le possibili opzioni per portare a regime l’esercizio sociale sono ov-viamente due: quella di prevedere un primo esercizio di durata inferiore ai dodici mesi, ovvero superiore.
Entrambe le opzioni possono tuttavia portare alla formazione di bi-lanci non rappresentativi.
Un bilancio, ancorché riferito al primo esercizio, può rappresentare il reale andamento economico della società, in una prospettiva di conti-nuità aziendale, privilegiando la sostanza sulla forma, solo se sia riferito ad un periodo di tempo “autonomamente significativo”, intendendosi come tale un arco temporale che consenta di evidenziare risultati il più possibile confrontabili con un bilancio a regime, ancorché proporzio-nalmente rapportati alla maggior o minor durata del periodo preso in esame rispetto all’annualità.
Che il primo esercizio debba essere riferito ad un periodo “autono-mamente significativo” non dipende solo dall’esigenza di rispettare i principi di corretta rappresentatività del bilancio, ma anche da quella, sempre di ordine pubblico, di non eludere il disposto dell’art. 2435 bis c.c., che alle risultanze di tale esercizio fa riferimento (con valore addi-rittura analogo a quello del risultato di due esercizi consecutivi) per consentire o meno la redazione del bilancio in forma abbreviata e, nelle srl, per la nomina obbligatoria del collegio sindacale (art. 2477 c.c.).
Definire astrattamente il limite temporale di significatività di un esercizio, nel senso sopra esposto, è ovviamente impossibile, anche per-ché ben può accadere che un’operazione economicamente assai rilevan-te sia perfezionata in un giorno, come anche che non accada nulla di si-gnificativo per mesi.
È tuttavia certo che un bilancio che prenda in considerazione un pe-riodo di pochi giorni non può che fornire una rappresentazione alterata della situazione aziendale.
A maggior ragione se l’esercizio di pochi giorni preso in considera-zione sia il primo, poiché è normale che nella fase di costituzione la so-cietà non abbia entrate ma solo uscite, in particolare quelle collegate ai costi di impianto (consulente, notaio, imposte, oneri di vidimazione, ecc.), che se non ammortizzati ai sensi del n. 5) dell’art. 2426 c.c. po-trebbero addirittura incidere sul capitale sociale, se di entità modesta, in misura superiore al terzo, integrando così una causa di scioglimento.
Un bilancio riferito ad un esercizio di pochi giorni subirebbe poi le ulteriori distorsioni derivanti dai criteri di arrotondamento, previsti in maniera non omogenea da varie disposizioni. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di un esercizio di durata inferiore ai 15 giorni, nel cui bilancio lo stipendio dei dipendenti andrebbe indicato per l’esatto numero di giorni di durata dell’esercizio, mentre il relativo T.F.R. non andrebbe indicato, dovendosi arrotondare al mese solo per periodi superiori ai 15 giorni ai sensi dell’art. 2120, comma 1, ultimo periodo, c.c.
Se la previsione di un primo esercizio di pochi giorni difficilmente potrà soddisfare l’esigenza della formazione di un bilancio “rappresen-tativo”, analogamente potrà accadere anche nel caso di un bilancio rife-rito ad un periodo ultrannuale.
In tale ipotesi, infatti, i risultati di esercizio saranno potenzialmente inquinati dalla aggiunta al risultato di un ciclo economico annuale di una porzione del ciclo precedente o successivo.
Ulteriore elemento che assume rilevanza nella determinazione con-trattuale della durata del primo esercizio sociale è l’incertezza della sua decorrenza.
La società verrà infatti ad esistenza con l’iscrizione nel registro im-prese che, legittimamente, può essere richiesta dal notaio nei 20 giorni successivi alla sua costituzione, e che può essere, altrettanto legittima-mente, evasa dal registro nei 5 giorni lavorativi successivi.
Prevedere dunque che il primo esercizio di una società costituita i primi giorni di un determinato mese (ad esempio dicembre) si chiuda l’ultimo giorno di tale mese potrebbe in concreto coincidere con la pre-visione che la sua chiusura sia anteriore alla sua apertura.
Preso dunque atto che non è possibile individuare un termine di du-rata del primo esercizio sociale che sia pienamente coerente con il si-stema, ma che tale individuazione è comunque necessaria, rispondendo ad un esigenza concreta insopprimibile non considerata dal legislatore, la precedente versione dell’orientamento in commento (settembre 2004) era stata formulata con spirito pragmatico, sottraendo al termine di se-dici mesi (da sempre ritenuto legittimo nel Triveneto all’epoca dell’omologa giudiziale degli atti costitutivi) i due mesi che erano me-diamente necessari per l’omologa, ormai soppressa, arrivando quindi a ritenere possibile un primo esercizio di durata non superiore ai quattor-dici mesi (la commissione mista triveneta magistrati-notai-commercialisti, allora operante, aveva approvato nel 1995 la seguente massima: “P/1 – La disposizione dell’art. 2364, comma 2, che stabilisce la du-rata annuale dell’esercizio sociale, è inderogabile. La durata annuale può coinci-dere o meno con l’anno solare. Il primo esercizio sociale può avere eccezionalmente una durata ultrannuale quando la società viene costituita successivamente al 1 set-tembre di ciascun anno”).
La prassi nazionale si è da allora evoluta, al punto che è ora possibile riconoscere la prevalenza dell’opinione di chi ritiene legittimo un primo esercizio di durata non superiore ai quindici mesi (vedi: massima n. 116 della Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano; Caso n. 7/2010 Assonime).
Preso atto di tali prassi, e nel presupposto che l’individuazione della regola della durata del primo esercizio, quale che essa sia, deve essere la più omogenea e condivisa possibile su tutto il territorio nazionale, in omaggio al principio della certezza del diritto, nella versione 2011 dell’orientamento in commento si è ritenuto di aderire al suddetto ter-mine di quindici mesi.
Tale termine consente comunque di bilanciare gli interessi sottostanti alla regola dell’annualità dell’esercizio, senza alterare in maniera signi-ficativa l’obbligo di verifica e pubblicità periodica dei risultati economici e patrimoniali dell’attività sociale.
I tre mesi coincidono infatti con il periodo minimo che l’ordinamento ha individuato per le verifiche obbligatorie del collegio sindacale (art. 2404 c.c.), il quale, anche se nel caso concreto potrebbe non effettuare la revisione dei conti, ha comunque funzioni di verifica dell’assetto contabile della società e del suo concreto funzionamento (art. 2403 c.c.).
Se dunque il periodo di novanta giorni coincide con quello massimo all’interno del quale non è necessario effettuare verifiche nelle società azionarie e nelle srl di maggiori dimensioni (quelle dotate di collegio sindacale), lo stesso deve necessariamente essere congruo anche ai fini dell’individuazione di quello massimo non autonomamente rilevabile in un bilancio di esercizio di una società di qualunque dimensione.
A.A.8 - (ATTI DI UNA SOCIETÀ DI CAPITALI COMPIUTI PRIMA DELL’ISCRIZIONE - 1° pubbl. 9/05)
Prima dell’iscrizione nel registro delle imprese di una società di capitali non esi-stono soggetti legittimati ad obbligare la società.
A.A.9 – (COMPUTO DEI TERMINI – 1° pubbl. 9/09)
Il computo dei termini nel diritto delle società, in mancanza di una diversa di-sposizione espressa, soggiace alle regole ordinarie del codice civile (artt. 1187 e 2963 c.c.).
Non è quindi possibile ritenere come riferito a “giorni liberi” un termine previsto da una disposizione di legge o di contratto che non imponga espressamente tale modalità di calcolo.
A.A.10 - (NATURA DI VERBALE DELL’ATTO PUBBLICO NOTARILE CHE RECEPISCE LE DETERMINAZIONI DEGLI ORGANI MONOCRATICI - 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
Le determinazioni degli organi monocratici delle società (amministratore unico e liquidatore unico) hanno la stessa identica natura delle analoghe deliberazioni degli organi collegiali. Le medesime costituiscono un elemento del procedimento endosocietario di formazione della volontà sociale, non assurgono al rango di negozi giuridici autonomi e si formalizzano attraverso la loro enunciazione al no-taio.
L’atto pubblico con il quale vengono recepite le determinazioni degli organi mo-nocratici ha dunque la natura di verbale e soggiace alle regole di ricevibilità e di controllo di legittimità da parte del notaio previste par tali atti.
A ciò consegue che il notaio non può rifiutarsi di far constare dal verbale le de-terminazioni assunte in sua presenza da un organo monocratico, anche se con-trarie a norme espresse o all’ordine pubblico.
Motivazione
L’orientamento in oggetto affronta la questione di quale sia la natura dell’atto pubblico che recepisce le determinazioni di un organo mono-cratico.
Se, infatti, nessun dubbio sorge sulla natura di verbale dell’atto che documenta il procedimento (endosocietario) di formazione delle deci-sioni di un organo collegiale, altrettanto non può dirsi per l’organo mo-nocratico, poiché nessun procedimento formale è di regola richiesto, e dunque documentabile, perché questi assuma le sue decisioni.
La volontà degli organi unipersonali coincide con quella della perso-na che li costituisce, attiene al suo intimo pensare, pertanto può evol-versi liberamente fino a quando non viene rappresentata all’esterno, so-lo in quel momento si formalizza divenendo rilevante. Negli organi unipersonali, l’atto di amministrazione finisce col sovrapporsi, fino a coincidere, con quello di rappresentanza.
L’esigenza di documentare attraverso un verbale l’adozione delle de-cisioni degli organi sociali non è dunque generica, ma è riferibile unica-mente agli organi collegiali, in quanto solo tali organi sono incapaci di esprimere una qualunque volontà al di fuori di un procedimento tipizza-to che consenta la sintesi delle volontà dei loro componenti, cioè la ce-lebrazione di una riunione in cui avvenga una discussione, una votazio-ne e si concluda con la redazione di un verbale che documenti quanto accaduto. La circostanza che una volta verbalizzata la decisione adotta-ta da un organo collegiale diventi immodificabile (salvo una sua formale revoca con una delibera successiva), non è voluta dall’ordinamento, ma è una conseguenza necessaria della sua natura di sintesi delle volontà di più persone, dunque non e riferibile agli organi unipersonali, i quali, possono liberamente mutare la loro volontà fino a quando non l’hanno attuata.
Esistono tuttavia delle eccezioni a tale principio, dei casi, cioè, in cui l’ordinamento pretende che anche l’organo monocratico formalizzi l’adozione di una determinata decisone mediante un atto pubblico pri-ma di attuarla. Si pensi al caso della decisione di emissione di obbliga-zioni da parte dell’amministratore unico (art. 2410 c.c.) o a quello dell’approvazione della proposta e delle condizioni del concordato da parte dell’amministratore unico o del liquidatore unico (art. 152 legge fall). In tali casi si pone il problema di individuare la natura dell’atto che recepisce le determinazioni dell’organo unipersonale, posto che non viene celebrata alcuna riunione, non c’è discussione, né votazione, sem-plicemente la persona che costituisce l’organo esprime la sua volontà al notaio, il quale la riceve in un atto sottoscritto da lui e dalla parte, come accade per qualsiasi atto pubblico. Tale atto può dunque essere ritenuto un verbale?
La domanda non ha una rilevanza solo formale, poiché nel caso in cui si tratti di un normale atto pubblico il notaio dovrà rifiutarsi di rice-verlo ogniqualvolta sia contrario ad una norma imperativa, al buon co-stume o all’ordine pubblico (art. 28 legge notarile), sarà inoltre necessa-ria a pena di nullità la sottoscrizione della parte, mentre nel caso in cui si tratti di un verbale il notaio avrà l’obbligo di riceverlo indipendente-mente dalla legalità del suo contenuto, e lo stesso si perfezionerà anche di fronte al rifiuto della parte di sottoscriverlo.
La risposta al quesito viene fornita dallo stesso legislatore, il quale, negli articoli che impongono l’adozione formale di determinate decisio-ni degli organi amministrativi definisce espressamente “verbale” l’atto dal quale tali decisioni devono risultare, indipendentemente dalla circo-stanza che siano adottate da un organo collegiale ovvero da un organo monocratico (vedi ad es. artt. 2410 c.c., sull’emissione delle obbligazio-ni, e art. 2505, comma 2, c.c., sulla fusione di società interamente pos-seduta).
Bisogna inoltre considerare che il codice prevede che determinate de-cisioni degli organi gestori, anche se adottate in composizione monocra-tica, sono soggette al cosiddetto controllo “omologatorio” ex art. 2436 c.c. da parte del notaio che le ha ricevute (vedi ad es. art. 152 legge fall. e 2410 c.c.). Tale controllo è per sua natura compatibile con i soli verba-li, in quanto effettuandosi ex post non può mai concludersi con il rifiuto da parte del notaio di ricevere l’atto.
Per tali motivi si deve ritenere che l’atto pubblico con il quale un no-taio riceve le determinazioni di un organo unipersonale ha natura di verbale.
A.A.11 - (LEGITTIMITÀ DELLE PARTECIPAZIONI DI ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI IN SOCIETÀ - 1° pubbl. 9/18 – motivato 9/19)
Appare legittima l’assunzione di partecipazioni, anche in società di capitali, da parte di associazioni fra professionisti.
Motivazione
Come noto, la legge 7 agosto 1997, n. 266 ha abrogato l’art. 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1815, che vietava la costituzione o l’esercizio in comune di attività professionali cd. tutelate in forma diver-sa da quella indicata dall’art. 1 della medesima legge.
L’eliminazione dell’art. 2 dal corpo della citata normativa del 1939, non ha tuttavia soppresso la possibilità per i professionisti di esercitare la specifica attività unitamente ad altri soggetti abilitati, in quanto espressamente consentito dall’art. 1 della medesima legge attualmente vigente.
In particolare, a coloro che esercitano una professione intellettuale, anche se subordinata ad iscrizione in appositi albi, è concessa la possibi-lità di costituire o partecipare direttamente ad una società tra professio-nisti, o costituire/partecipare ad una associazione con altri professioni-sti che risultino parimenti abilitati o autorizzati allo svolgimento di tale attività.
Con riferimento a tale ultima tipologia associativa, la giurisprudenza di legittimità non risulta univoca in ordine alla possibilità di riconoscer-vi la natura di autonomo centro di imputazione di interessi.
L’orientamento più recente tende tuttavia ad avvicinare la figura del-le associazioni tra professionisti a quella delle associazioni non ricono-sciute, affermando che le associazioni in discorso, pur prive di persona-lità giuridica, rientrano nel novero di quei «fenomeni di aggregazione di interessi cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi cen-tri di imputazione di rapporti giuridici» (cfr. Cass., sez. I, 23 maggio 1997, n. 4628; Cass., sez. II, 16 novembre 2006, n. 24410; Cass., sez. III, 13 aprile 2007, n. 8853; Cass., sez. I, 22 ottobre 2009, n. 22439; Cass., sez. I, 28 luglio 2010, n. 17683; Cass., sez. I, 15 luglio 2011, n. 15694; Cass., sez. I, 15 luglio 2016, n. 15417; Cass., sez. II, 2 febbraio 2018, n. 2575).
Conclusioni queste avvalorate anche dalla prassi, già consolidata prima della riforma del diritto societario, che consentiva alle associa-zioni non riconosciute di essere socie di società di capitali.
Eccezione a tale regola risulterebbero tuttavia le associazioni tra No-tai costituite ai sensi dell’art. 82 della legge not. in quanto queste ultime godono di una disciplina specifica e particolare: infatti la richiamata norma consente le associazioni fra notai purché finalizzate solamente a mettere in comune, in tutto o in parte, i proventi delle loro funzioni e ripartirli poi in tutto o in parte per quote uguali o diseguali. In relazione a tali tipologie associative la giurisprudenza ha ricordato come esse non siano quindi configurabili né come ente collettivo, né come centro di imputazione di interessi dotato di personalità giuridica (Cass. 9 settem-bre 1982, n. 4868).
È peraltro da segnalare che la recente riforma dell’art. 82 della legge not. (operata con la legge n. 124/2017) consente ora di costituire asso-ciazioni tra notai anche al fine di “svolgere la propria attività”, renden-do in tal modo incerto se i previgenti limiti alla loro operatività siano venuti meno.
In linea generale, con riguardo invece alle associazioni professionali aventi le caratteristiche generali previste dalla normativa del 1939, spet-terà agli associati regolare, nello statuto dell’associazione, gli ambiti operativi nei quali gli organi preposti all’amministrazione possono muoversi e conseguentemente attribuire la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti giuridici.
È peraltro importante rilevare come la natura di ente collettivo, qua-le autonomo centro di interessi, assegnata a tali strutture associative, debba negarsi laddove si tratti della titolarità dei rapporti fra cliente e professionista, stante l’essenziale carattere personale della prestazione.
Con riferimento invece alle questioni nelle quali tale carattere non sia presupposto, la giurisprudenza ammette al contrario la soggettività giu-ridica degli enti in esame.
Tale caratteristica comporta che le associazioni potranno porsi come soggetti autonomi, distinte dai propri appartenenti e, conseguentemen-te, partecipare ad altri fenomeni di aggregazione, comprese sia le socie-tà di persone che di capitali; nulla vieta infine a tali strutture di assume-re la qualità di socio unico, ad esempio anche nella costituzione di so-cietà a responsabilità limitata.
Va precisato tuttavia che la partecipazione di una associazione pro-fessionale ad una società di capitali resta comunque subordinata alla circostanza che l’operazione risulti in concreto consentita dalle regole statutarie adottate dall’associazione stessa e che tale partecipazione ri-sulti funzionale al raggiungimento degli scopi da questa perseguiti.
Quest’ultima circostanza dovrà pertanto ritenersi sussistente nella misura in cui l’oggetto sociale della società partecipata si ponga in rap-porto di strumentalità rispetto allo scopo dell’associazione partecipante.
A.A.12 - (INSUSSISTENZA DELL’OBBLIGO DI INTERVENTO IN ATTO DI “COMPA-RENTI” NEI VERBALI DI CONSTATAZIONE REDATTI DA NOTAIO - 1° pubb. 9/22 – motivato 10/23)
I verbali di constatazione, come quelli relativi alle delibere degli organi collegiali di società o alle determine dei loro organi monocratici, redatti da notaio nella forma dell’atto pubblico sono atti senza parti, i medesimi non richiedono per-tanto l’intervento necessario di alcun comparente né la sottoscrizione da parte di soggetti ulteriori e diversi rispetto al pubblico ufficiale accertante i fatti verba-lizzati.
La particolare efficacia probatoria prevista dall’art. 2700 c.c. di detti atti, infatti, è riferita unicamente alle attestazioni fatte dal pubblico ufficiale.
Non è tuttavia inibito al notaio verbalizzante di costituire in atto determinati soggetti, quali il presidente di un’assemblea o tutti i soci in essa intervenuti, ma anche in tal caso il verbale rimane atto senza parti per cui l’eventuale mancato rispetto dei formalismi previsti della Legge notarile per gli atti con l’intervento di parti non ne inficia la validità.
Motivazione
I “verbali di constatazione” sono quegli atti nei quali un pubblico uf-ficiale descrive eventi, riceve dichiarazioni o compie accertamenti con piena efficacia probatoria, o meglio con l’efficacia probatoria tipica dell’atto pubblico prevista dall’art. 2700 c.c.: «L'atto pubblico fa piena pro-va, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti».
Tra i verbali di constatazione espressamente previsti dalla legge si ri-cordano:
1) il verbale d’incanto (art. 591-bis c.p.c.);
2) il verbale di assemblea di società di capitali (artt. 2375 e 2479-bis, comma 4, c.c.);
3) i verbali di inventario (art. 770 c.p.c.);
4) il verbale di rifiuto della trascrizione da parte del Conservatore (art. 2674 c.c.);
5) la certificazione di esistenza in vita (art. 1, comma 2, n. 5, L.N.);
6) il protesto cambiario (art. 51 R.D. 1699/1933);
7) il verbale di dismissione del patrimonio pubblico (Mi.S.E. D.M. 18 dicembre 2001 e D.M. 16 luglio 2002).
Tutti i verbali di constatazione si caratterizzano per essere atti senza parti.
Secondo la nozione del Giannini «la verbalizzazione è la narrazione dei fatti nei quali si concreta la storicità di una azione». La parola, d'origine fran-cese (procès-verbal), compare in Italia per la prima volta nel 1877, indi-cando una relazione scritta di ciò che si è detto o si è trattato in un'adu-nanza. Dunque, il verbale diviene il documento preordinato alla descri-zione di atti o fatti, rilevanti per il diritto, compiuti alla presenza di un soggetto verbalizzante di regola appositamente incaricato di tale compi-to.
L'essenza dei verbali è stata individuata dalla dottrina in tre fattori:
1) la sussistenza di fatti presenti all'autore del documento al momen-to in cui egli effettua la documentazione;
2) la considerazione di tali fatti nella loro materialità, per il modo in cui si manifestano e quindi come sono percepiti dai sensi, anche quando consistono in dichiarazioni;
3) la provenienza da soggetti a ciò legittimati dalla legge al fine di at-testare la verità.
È dunque nella provenienza “qualificata” (pubblico ufficiale) delle at-testazioni, ossia della testimonianza, che risiede l’intima natura del ver-bale.
Se fosse consentito ai soggetti le cui dichiarazioni o azioni sono con-tenute nel verbale di concorrere alla sua formazione si negherebbe al pubblico ufficiale procedente il suo potere esclusivo di accertamento, con l’aggravante che si attribuirebbe a detti soggetti il potere di impedire la formazione di un valido verbale opponendo un semplice rifiuto alla sua sottoscrizione.
È per tale motivo che i verbali non hanno “parti”, pur essendo rico-nosciuto a determinati soggetti qualificati il diritto di vedervi riportate le loro dichiarazioni (si pensi al verbale di assemblea di società che deve contenere le dichiarazioni dei soci pertinenti all’ordine del giorno ma non la loro sottoscrizione).
Non è mancato, in epoca assai risalente, chi ha ritenuto che il notaio non possa formare un atto pubblico avente natura di verbale se non compaia nell’atto un soggetto come parte.
Questa opinione è stata però rapidamente superata, in quanto è stato giustamente osservato che è ben possibile che un atto notarile sia forma-to per delega dell’autorità giudiziaria (e quindi senza parti), oppure che l’atto notarile sorga senza alcuna presenza di un soggetto come parte, come accade per il verbale societario.
La natura di “atto senza parti” dei verbali di constatazione comporta dunque l’insussistenza dell’obbligo di costituirvi in essi i soggetti presen-ti ai fatti documentati, di dare ai medesimi lettura del verbale, di racco-gliere le loro sottoscrizioni.
In questo senso le leggi e le prassi che governano i vari tipi di verbali di constatazione sono esplicite:
a) verbale di incanto ex art. 591-bis c.p.c.: ai sensi del comma 6 di tale disposizione «il verbale è sottoscritto esclusivamente dal professio-nista delegato ed allo stesso non deve essere allegata la procura speciale di cui all'articolo 579, secondo comma»;
b) verbale di rifiuto della trascrizione da parte del conservatore: L’art. 2674 c.c. dispone che tale verbale sia formato dal solo notaio o dall’ufficiale giudiziario incaricato dalle parti, con l’assistenza di due te-stimoni;
c) certificazione di esistenza in vita: l’art. 374 del R.D. 23 maggio 1924, n. 82, dispone che tali certificati siano rilasciati dal sindaco o da un notaio del luogo dove i creditori hanno domicilio, senza prevedere alcuna sottoscrizione da parte del richiedente;
d) verbale di protesto cambiario: il rifiuto dell'accettazione o del pa-gamento deve essere constatato con atto autentico da un notaio, da un ufficiale giudiziario, da un aiutante ufficiale giudiziario, nonché da un segretario comunale, senza che sia previsto l’intervento di una parte (artt. 51 e ss. R.D. 1699/1933 e L. 349/1973);
e) verbale di dismissione del patrimonio pubblico: secondo lo Stu-dio civilistico del C.N.N. n. 411/2003 questi verbali sono ricevuti “sen-za parti”, in quanto “i comparenti non possono essere ritenuti parti, perché essi non hanno un potere di disposizione di quanto avviene in-nanzi al notaio, ma debbono ritenersi persone assoggettate alla proce-dura rigida tracciata dalla norma per il migliore risultato della gara. Neppure la presenza come parte di un soggetto che rappresenti la socie-tà-veicolo avrebbe senso, considerato che ancora non si tratta di trasferi-re il bene, ma soltanto di individuare, sulla base di una gara condotta in modo trasparente, il soggetto disposto ad effettuare il versamento di prezzo più alto fra i concorrenti”.
Per quanto riguarda il verbale di assemblea di società di capitali la giurisprudenza (Trib. Di Reggio Calabria 26.2.1993) ha avuto modo di affermare che «il verbale è atto pubblico appunto perché redatto dal no-taio, pubblico ufficiale, il quale accerta, per questo la legge richiede la sua partecipazione, lui e lui solo, terzo qualificato ed imparziale, quali siano state le deliberazioni dell’assemblea, sicché l’eventuale sottoscri-zione del presidente non può essere che meramente superflua» (confor-me: Trib. Modena 18 febbraio 1985).
Nello stesso senso si è espresso lo Studio di Impresa n. 70-2009/I del C.N.N., nel quale si ritiene “preferibile l’orientamento, già sostenuto in giurisprudenza prima della riforma, secondo il quale è sufficiente che il verbale venga sottoscritto dal solo notaio”, e la massima 45 del Consi-glio Notarile di Milano.
A.A.13 - (VERBALE DI ASSEMBLEA CON INTERVENTO MEDIANTE MEZZI DI TELE-COMUNICAZIONE - 1° pubb. 9/22 – motivato 10/23)
Il verbale redatto da notaio delle riunioni assembleari di società di capitali svol-tesi esclusivamente o parzialmente mediante mezzi di telecomunicazione sog-giace alle stesse regole ed alle stesse modalità redazionali di quello relativo ad assemblee svoltesi con l’intervento in presenza fisica di tutti i partecipanti.
Lo stesso, pertanto, oltre a contenere gli elementi formali richiesti dalla forma pubblica (cfr. orientamento A.A.12), dovrà riportare quanto richiesto espressa-mente o implicitamente dal combinato disposto degli artt. 2375 e 2371 c.c. per ogni tipo di assemblea.
In particolare, dovrà indicare:
1) la data dell’assemblea;
2) l’identità del soggetto che assume la presidenza e le modalità della sua desi-gnazione;
3) l’identità, anche in allegato, dei partecipanti e il capitale rappresentato da ciascuno, come accertati dal presidente;
4) l’identità dei membri degli organi sociali (gestori e di controllo) intervenuti, come accertati dal presidente;
5) gli esiti degli accertamenti eseguiti dal presidente in ordine alla regolare costi-tuzione dell’assemblea e all’identità e legittimazione dei presenti;
6) le modalità e il risultato delle votazioni, con l’identificazione, anche in allega-to, dei soci favorevoli, astenuti o dissenzienti, come accertati dal presidente;
7) il riassunto delle dichiarazioni pertinenti all’ordine del giorno dei soci che ne abbiano fatto richiesta;
8) l’attestazione, se del caso, che il presidente si è avvalso di un ufficio di presi-denza o di scrutatori per eseguire gli accertamenti di cui deve dare conto nel verbale;
9) le eventuali incongruenze riscontrate dal notaio tra quanto da lui percepito in assemblea e quanto il presidente gli dichiara di aver accertato.
A quanto sopra consegue che:
- i mezzi di telecomunicazione adottati dovranno permettere al notaio di perce-pire personalmente quanto avvenga durante tutto il corso dell'assemblea;
- il notaio dovrà raggiungere la certezza dell’identità personale del presidente e verificare la sua legittimazione formale a presiedere l’assemblea (anche se non vi è obbligo di fare menzione in atto di tali circostanze – cfr. orientamento A.A.12).
Anche nelle assemblee con interventi mediante mezzi di telecomunicazione spetta al notaio verbalizzante la scelta di procedere con la redazione di un ver-bale contestuale o non contestuale, così come quella di far comparire o meno in atto il presidente dell'assemblea.
Motivazione
Il verbale di un’assemblea di società di capitali redatto da notaio ha natura di atto di constatazione avente la particolare efficacia probatoria prevista dall’art. 2700 c.c. (cfr. orientamento A.A.12).
In esso deve essere pertanto resa dal notaio verbalizzante testimo-nianza diretta dei fatti accaduti e delle dichiarazioni rese in sua presen-za così come percepite dai suoi sensi.
La circostanza che taluni fatti o dichiarazioni siano percepiti dal soggetto verbalizzante attraverso mezzi di telecomunicazione piuttosto che direttamente non assume particolare rilevanza nell’attività di verba-lizzazione, anche perché l’intervento in assemblea con mezzi di teleco-municazione è un intervento reale e non virtuale in quanto un soggetto “collegato” a distanza partecipa effettivamente e attivamente alla riu-nione al pari di chi interviene fisicamente.
Del resto, anche nelle assemblee fisiche non è raro che la discussio-ne, la consultazione di documenti e le votazioni siano veicolate da mez-zi di telecomunicazione quali microfoni, altoparlanti, schermi o altri supporti elettronici.
Nell’orientamento in commento si è quindi affermato che non sussi-ste alcuna differenza tra il verbale di un’assemblea fisica e il verbale di un’assemblea telematica, entrambi devono riportare quanto richiesto espressamente o implicitamente dal combinato disposto degli artt. 2375 e 2371 c.c. senza deroghe.
Sarà dunque cura del notaio attestare:
1) la data dell’assemblea;
2) l’identità del soggetto che assume la presidenza e le modalità della sua designazione, anche se non vi è l’obbligo di indicare nel verbale che il notaio è certo della identità personale di tale soggetto;
3) le dichiarazioni rese dal Presidente sull’attività da lui effettuata di accertamento:
i) dell’identità dei partecipanti e il capitale rappresentato da ciascu-no;
ii) dell’identità dei membri degli organi sociali (gestori e di controllo) intervenuti;
iii) della regolare costituzione dell’assemblea e dell’identità e legitti-mazione dei presenti;
iv) delle modalità e del risultato delle votazioni, con l’identificazione dei soci favorevoli, astenuti o dissenzienti;
4) il riassunto delle dichiarazioni pertinenti all’ordine del giorno dei soci che ne abbiano fatto richiesta;
5) l’attestazione resa dal Presidente, se del caso, che si è avvalso di un ufficio di presidenza o di scrutatori per eseguire gli accertamenti di cui deve dare conto nel verbale.
Per poter attestare quanto sopra occorre dunque che nelle assemblee telematiche siano adottati mezzi di telecomunicazione che consentano al notaio di percepire personalmente quanto avvenga durante tutto il corso dell'assemblea.
Occorre inoltre che il notaio sia certo che il soggetto che rende le di-chiarazioni e che esegue gli accertamenti che la legge attribuisce al pre-sidente dell’assemblea sia effettivamente il soggetto a ciò legittimato.
Le modalità di accertamento dell’identità del presidente non sono codificate ma sono rimesse al notaio secondo la regola generale della legge notarile (art. 49 L.N.).
Nell’orientamento si è poi affrontata incidentalmente la questione di cosa deve risultare dal verbale ove il notaio riscontri incongruenze tra quanto dichiarato dal Presidente e quanto da lui percepito, questione che non è tipica delle assemblee telematiche ma che si pone in maniera analoga anche per le assemblee fisiche, differenziandosi unicamente per le modalità attraverso cui tali incongruenze vengono percepite.
Si pensi all’ipotesi di scuola di un Presidente che dichiari validamen-te costituita in forma totalitaria e in assenza di deleghe l’assemblea di una società ove il notaio riscontri che il numero dei presenti (di persona o a distanza) sia inferiore a quello dei soci.
In tali ipotesi il notaio dovrà rendere testimonianza delle dichiara-zioni effettivamente rese dal Presidente, senza nulla omettere, eviden-ziando al contempo la loro incongruenza rispetto a quanto da lui perce-pito, consentendo in tal modo al verbale di assolvere la sua funzione di atto di accertamento di quanto realmente avvenuto e delle eventuali ir-regolarità commesse.
Ovviamente il notaio potrà evidenziare tali incongruenze solo in quelle ipotesi in cui emergano per quanto abbia il dovere di accertare personalmente, per quanto da lui percepito e per quanto sia a lui noto.
Così, ad esempio, nell’ipotesi in cui il Presidente attesti falsamente che un determinato soggetto intervenuto in assemblea sia il socio di maggioranza il notaio potrà dar conto della non rispondenza al vero di tale attestazione solo ove tale socio sia persona a lui nota e non la rico-nosca in quella presente, diversamente dovrà fare affidamento sulle di-chiarazioni del Presidente cui la legge (art. 2371 c.c.) attribuisce in esclusiva il potere/dovere di accertare l’identità degli intervenuti.
Si è infine ritenuto di precisare che anche nelle assemblee telematiche spetta al notaio verbalizzante la scelta di procedere con la redazione di un verbale contestuale o non contestuale, così come quella di far com-parire o meno in atto il presidente dell'assemblea, che in tal caso dovrà ovviamente essere presente fisicamente al momento del perfezionamen-to del verbale.
A.A.14 - (COINCIDENZA DELLE VERIFICHE NOTARILI RICHIESTE DALLE ASSEMBLEE IN PRESENZA CON QUELLE RICHIESTE DALLE ASSEMBLEE CON INTERVENTO A DI-STANZA - 1° pubb. 9/22- motivato 10/23)
La circostanza che un’assemblea si sia tenuta con l’intervento in presenza dei partecipanti o con il loro intervento, totale o anche solo parziale, con mezzi di telecomunicazione non assume alcuna rilevanza in ordine ai controlli e alle veri-fiche che deve effettuare il notaio al fine di:
1 - attribuire ai fatti da lui testimoniati nel verbale la qualifica di “riunione as-sembleare” di una determinata società;
2 - verificare l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge nel caso di adozione di delibere soggette ad “omologa”.
Le diverse modalità di svolgimento dell’assemblea influenzano unicamente la ti-pologia di detti controlli e verifiche in quanto gli stessi non sono standardizzati ma devono essere adeguati, secondo il libero apprezzamento del notaio, al caso concreto.
Per attribuire ai fatti cui ha assistito il notaio la qualifica di “riunione assemblea-re” di un determinata società, sia nel caso di assemblea telematica che di as-semblea in presenza, appare necessario che lo stesso verifichi la corrispondenza di quanto accaduto e percepito con quanto richiesto dalla legge e dallo statuto perché si verifichi tale fattispecie, nonché l’identità personale del presidente e la sua legittimazione formale a presiedere quella specifica assemblea.
Per la verifica delle condizioni richieste dalla legge al fine di “omologare” le de-libere adottate da assemblee tenute con mezzi di telecomunicazione il notaio dovrà prestare particolare attenzione alla circostanza che sia stato rispettato il metodo collegiale.
In ogni caso i poteri di verifica e accertamento di cui all’art. 2371 c.c. spettano al presidente dell’assemblea, fermo restando l’obbligo del notaio di evidenziare nel verbale le eventuali incongruenze tra quanto dichiarato dal presidente con quanto da lui percepito o a lui noto.
Motivazione
Il diffondersi delle assemblee dei soci di società di capitale con l’intervento di tutti o alcuni dei partecipanti con mezzi di telecomunica-zione ha reso ancor più evidente che l’attività di verbalizzazione e quel-la di verifica ed eventuale “omologa” di quanto verbalizzato da un no-taio nella forma di atto pubblico sono tra loro distinte e si svolgono di regola in tempi diversi.
L’attività di verbalizzazione consiste nel rendere testimonianza scrit-ta di un evento al quale si è assistito personalmente (cfr. orientamento A.A.12); quella di verifica nell’attribuire ai fatti verbalizzati la qualifica di “riunione assembleare” di una determinata società in luogo di quella di “assemblea apparente” o “assemblea inesistente”; mentre l’attività di “omologa” consiste nell’effettuare il controllo di legalità previsto all’art. 2436 c.c. ai fini dell’iscrizione delle delibere soggette a tale controllo nel registro delle imprese.
Tali attività sono comuni a tutte le assemblee, prescindendo dalla circostanza che gli interventi siano avvenuti in presenza fisica o tramite mezzi di telecomunicazione. Eventuali differenze possono sussistere so-lo sul tipo di verifiche e controlli che il notaio deve porre in essere al fi-ne di escludere che i fatti cui ha assistito integrano un’assemblea appa-rente o inesistente, dato che tali controlli e verifiche non sono standar-dizzati ma sono rimessi alla sua libera e diligente valutazione e devono essere adattati al caso concreto.
È peraltro da evidenziare che la legge attribuisce al solo presidente dell’assemblea il compito di verificare: i) l’identità dei partecipanti e il capitale rappresentato da ciascuno; ii) l’identità dei membri degli organi sociali (gestori e di controllo) intervenuti; iii) la regolare costituzione dell’assemblea e l’identità e legittimazione degli intervenuti; iv) le moda-lità e il risultato delle votazioni, con l’identificazione dei soci favorevoli, astenuti o dissenzienti, potendo il notaio rilevare, sotto questo profilo, solo eventuali incongruenze tra quanto accertato e dichiarato dal presi-dente e quanto da lui percepito o noto (cfr. orientamento A.A.13).
Nell’orientamento si è quindi ritenuto di affermare che per poter at-tribuire ai fatti verbalizzati la qualifica di “riunione assembleare” di una determinata società in luogo di quella di “assemblea apparente” o “as-semblea inesistente” il notaio deve:
a) verificare la corrispondenza di quanto accaduto e percepito con quanto richiesto dalla legge e dallo statuto perché si sia tenuta una va-lida assemblea, ossia deve verificare direttamente, per quanto di sua competenza, o tramite le dichiarazioni rese dal presidente, per quanto di competenza di quest’ultimo, che la riunione alla quale ha assistito si sia tenuta nel rispetto delle regole procedimentali che sono proprie dell’assemblea dei soci di quella specifica società; dunque, ad esempio, che siano state rispettate le formalità di convocazione; che la discussio-ne e deliberazioni siano avvenute su argomenti all’ordine del giorno; che l’assemblea fisica si sia tenuta in un luogo consentito dallo statuto; che sia stato raggiunto l’eventuale quorum costitutivo; che siano state ri-spettate le modalità con le quali sono stati effettuati gli eventuali inter-venti con mezzi di telecomunicazione, che sia stato rispettato il metodo collegiale;
b) essere certo dell’identità personale del presidente e che il mede-simo abbia la legittimazione formale a presiedere quella specifica as-semblea, anche se di tali certezze non vi è obbligo di fare menzione nel verbale posto che il medesimo è atto senza parti, ossia senza “compa-renti”, (cfr. orientamento A.A.12).
Che il notaio raggiunga la certezza dell’identità personale del presi-dente e della sua legittimazione formale ad assumere tale ruolo è indi-spensabile (anche nelle assemblee in cui questi si intervenuto con mezzi di telecomunicazione) posto che il medesimo notaio potrà fare affida-mento sugli accertamenti effettuati dal presidente ai sensi del combinato disposto degli artt. 2375 e 2371 c.c. solo se provengano dal soggetto in concreto legittimato a ricoprire tale funzione.
A.A.15 - (LEGITTIMITÀ DELLE CLAUSOLE CHE PREVEDONO LO SVOLGIMENTO DI UNA ATTIVITÀ ECONOMICA CON CRITERI DIVERSI DA QUELLO DEL MASSIMO PROFITTO - 1° pubb. 9/22 – abrogato 10/23)
L’Orientamento A.A.15 è stato abrogato nel 2023 per motivi siste-matici e sostituito dall’Orientamento A.B.1 inserito nello specifico pa-ragrafo dedicato ai temi ESG e alle clausole sulla sostenibilità.