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Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie - Orientamenti Societari, Commesione Società
Q.A. Società tra professionisti > Società tra professionisti
Q.A.1 - (DISCIPLINA DELLE S.T.P. PRIMA DELL’ENTRATA IN VIGORE DEL REGOLA-MENTO INTERMINISTERIALE – 1° pubbl. 9/12 – motivato 9/13)
Ai sensi del comma 4, lett. c) dell’art. 10 della legge n. 183/2011, l’atto costituti-vo delle s.t.p. deve obbligatoriamente prevedere i criteri e le modalità affinché l’esecuzione dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per la prestazione professionale richiesta.
La disciplina statutaria sul punto non è però rimessa alla discrezionalità dei soci ma deve essere conformata a quanto sarà disciplinato dal regolamento intermi-nisteriale previsto dal successivo comma 10 del medesimo art. 10 della legge. n. 183/2011.
Stante quanto sopra si ritiene che non sia possibile formare un atto costitutivo di s.t.p. conforme al modello legale fino a quando non sarà emanato il regola-mento interministeriale.

Motivazione
L’Orientamento, di natura transitoria, ha affrontato il problema che si era posto agli operatori giuridici nelle immediatezze dell’entrata in vigore della legge n. 183/2011 circa la possibilità di procedere fin da su-bito alla costituzione di s.t.p. con le caratteristiche previste dall’art. 10 di detta legge.
In considerazione della tecnica normativa seguita dal Legislatore, che ha rimesso all’autonomia statutaria, nell’ambito del tipo prescelto, la disciplina dei fondamentali momenti organizzativi e funzionali della s.t.p., nel rispetto della legge e del regolamento di attuazione, presuppo-sto necessario per procedere alla sua costituzione è apparsa essere l’emanazione del Regolamento (poi intervenuta con il D.M. 8 febbraio 2013 n. 34, entrato in vigore il 21 aprile 2013). Infatti, l’autonomia statu-taria non può operare una efficace relatio ad un provvedimento regola-mentare non ancora emanato, venendo in tal caso a mancare la volontà contrattuale ed organizzativa dei soci chiamata dal Legislatore a disci-plinare le materie espressamente indicate, per difetto del requisito di conoscenza e consapevolezza della disciplina normativa di secondo grado.
Un’eventuale relatio statutaria all’emanando decreto avrebbe natura chiaramente “sostanziale” svuotando del tutto la rilevanza della volontà dei soci contraenti.


Q.A.2 – (NATURA GIURIDICA DELLE S.T.P. – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
Le società professionali di cui all’art. 10 della Legge 12 novembre 2011 n. 183, non costituiscono un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche disciplinate dai titoli V e VI del libro V del codice civile.
A ciò consegue che le stesse sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto, salve unicamente le deroghe e le integrazioni espressamente previste dalla normativa speciale in relazione al loro particolare oggetto.

Motivazione
Con l’art. 10 commi 3 e seguenti della legge 12 novembre 2011 n. 183, modificato poi dal D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito con legge 24 marzo 2012 n. 27, ed il successivo D.M. 8 febbraio 2013 n. 34, in vi-gore dal 21 aprile 2013, si è completato un tormentato iter iniziato con l’art. 24 della legge 7 agosto 1997 n. 266, che abrogò l’art. 2 della legge n. 1815/1939, rinviando ad un decreto attuativo la fissazione dei requi-siti per l’esercizio dell’attività di cui all'art. 1; decreto che tuttavia, a se-guito del parere negativo del Consiglio di Stato, non venne mai emana-to.
Con la nuova normativa in tema di s.t.p. si è inteso consentire l’esercizio in forma societaria delle attività professionali ordinistiche, contemperando il principio dell’esecuzione personale della prestazione da parte del professionista con la titolarità societaria del rapporto d’opera professionale, di cui sono chiari indici normativi il comma 4 lett. c) (ove si parla di incarico professionale conferito alla società) e il comma 7 (per cui la società è soggetta ad iscrizione all’Ordine profes-sionale e soggetta al relativo regime disciplinare). Naturalmente, questo contemperamento è in funzione della tutela degli interessi pubblicistici sottesi e protetti dalle normative di riferimento dei singoli ordinamenti professionali, che oggi hanno trovato espressione anche nel D.P.R. n. 137/2012 di Riforma degli Ordinamenti Professionali.
Bisogna infatti considerare che le professioni ordinistiche ricevono una disciplina propria in funzione e per la presenza di interessi di natura pubblicistica che ne pervadono l’intera regolamentazione. In primo luo-go con la prescrizione di un esame di Stato per l’abilitazione che ha rango costituzionale (art. 33 Cost.); poi con le disposizioni codicistiche (artt. 2229-2238), in alcun modo toccate dai recenti interventi normativi, che disciplinano la prestazione d’opera intellettuale e l’esecuzione dell’opera, con le conseguenze significative di cui all’art. 2231 c.c. per il caso di prestazione di attività riservata da parte di non iscritto, che pri-va di azione per il pagamento della retribuzione, non la negligente pre-stazione professionale svolta da chi non ne aveva i requisiti, ma qual-siasi prestazione professionale svolta dal non iscritto (paradossalmente anche quella con risultati positivi per il cliente) privando, dunque, il pro-fessionista abusivo financo della normale azione generale di arricchi-mento di cui all’art. 2041 c.c.
Normativa dunque che presuppone la personalità della prestazione professionale e quindi l’individualità del prestatore.
Fatta questa premessa, necessaria e fondamentale nella interpreta-zione di tale nuova sintetica normativa, appare chiaro che la s.t.p. deli-neata dal Legislatore non determina dei modelli societari sui generis, con disciplina ispirata a quelli legali richiamati e modificata nei termini ri-chiesti dalla nuova normativa, ma consente - per la finalità dell’esercizio societario dell’attività professionale ordinistica – l’impiego dei modelli societari tipici regolati dai Titoli V e VI del Libro V del Codice Civile e, quindi, dei modelli della società semplice, della società in nome colletti-vo, della società in accomandita semplice, della società per azioni, della società in accomandita per azioni, della società a responsabilità limitata e delle società cooperative, valorizzando l’autonomia statutaria di tutti i modelli impiegati, con la previsione necessaria che l’atto costitutivo contenga la disciplina dei punti previsti al comma 4 dell’art. 10.
Da tale tecnica adottata dal Legislatore appare desumibile quindi, in conformità con l’orientamento dottrinale prevalente, che le s.t.p. non costituiscono un genere autonomo con causa propria ma sono delle normali società del tutto disciplinate dalla normativa propria del tipo legale, salve unicamente le deroghe e le integrazioni espressamente pre-viste dalla legge n. 183/2011.

Q.A.3 – (DENOMINAZIONE O RAGIONE SOCIALE DI S.T.P. – 1° pubb. 9/13 – moti-vato 9/13)
La denominazione o la ragione sociale di una s.t.p. devono contenere l’indicazione “società tra professionisti”.
L’indicazione “società tra professionisti”, o la sua sigla, non è sostitutiva dell’ulteriore precisazione del modello societario prescelto (s.n.c, s.a.s., s.r.l., s.a.p.a., s.p.a., s.coop.) pertanto tale indicazione dovrà essere aggiunta a quella del modello adottato.

Motivazione
In ragione del fatto che le s.t.p. non costituiscono un genere autono-mo con causa propria ma sono delle normali società del tutto discipli-nate dalla normativa propria del tipo legale prescelto, salve unicamente le deroghe e le integrazioni espressamente previste dalla legge n. 183/2011 (v. Orientamento Q.A.2), il comma 5 dell’art. 10 - il quale prescrive che la denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l’indicazione di “società tra professionisti” - deve essere coordinato con le norme che disciplinano la ragione o la denominazione sociale dei modelli utilizzati e, quindi, deve intendersi che l’indicazione di “società tra professionisti” deve essere aggiunta alla normale indica-zione del tipo prescelto in quanto prescritta dalla relativa normativa.
Solo una s.t.p. che adotti il modello della società semplice potrà, quindi, recare l’indicazione nella ragione sociale unicamente della di-zione “società tra professionisti” senza aggiungere quella di “società semplice”, in quanto per tale tipo la legge non prescrive l’indicazione del rapporto sociale.
Sulla base della prassi e della giurisprudenza dominanti in tema di ragione e denominazione sociale dei modelli societari contenuti nei Ti-toli V e VI del Libro V del Codice Civile, per le quali le medesime pos-sono essere indicate anche solo in sigla, è da ritenere che anche l’indicazione di “società tra professionisti” possa essere espressa sola-mente in sigla (s.t.p.).

Q.A.4 – (ISCRIZIONE NEL REGISTRO DELLE IMPRESE – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
L’iscrizione delle società tra professionisti nella Sezione Speciale del Registro del-le Imprese, ai sensi dell’art. 7 del Decreto del Ministro della Giustizia n. 34 dell’8 febbraio 2013, non è sostitutiva dell’iscrizione della medesima società nella Se-zione Ordinaria o in altra Sezione Speciale eventualmente richiesta dalle norme proprie del tipo prescelto, ma si aggiunge ad essa.
L’iscrizione di cui all’art. 7 del Regolamento ha solo la funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia ai fini della verifica dell’incompatibilità di cui all’art. 6 del medesimo Regolamento, mentre l’iscrizione richiesta dalla disciplina del modello prescelto produce tutti gli effetti che gli sono propri, compreso quel-lo costitutivo della persona giuridica per le società di capitali.

Motivazione
Con questo Orientamento si è inteso chiarire che il regime pubblici-tario delle s.t.p. è quello ordinario del tipo prescelto.
Nonostante la sinteticità della normativa, appare chiara la volontà del Legislatore di consentire la costituzione di s.t.p. esclusivamente adottando uno dei modelli societari tipici regolati dai Titoli V e VI del Libro V del Codice Civile e, quindi, con applicazione di tutte le regole organizzative e di funzionamento che sono proprie del modello prescel-to, in primis le regole sulla efficacia costitutiva e/o dichiarativa dell’iscrizione nel Registro delle Imprese degli atti costitutivi e delle successive modifiche.
Per quanto riguarda le s.t.p. costituite in forma di società di capitali, con l’iscrizione nel Registro delle Imprese le stesse acquistano la perso-nalità giuridica (artt. 2331 c.c. in tema di s.p.a., applicabile ex art. 2454 c.c. alla s.a.p.a.; art. 2464, ultimo comma, c.c. che richiama l’art. 2331 c.c., in tema di s.r.l.; art. 2523, comma 2, c.c. in tema di soc. cooperati-ve che richiama l’art. 2331 c.c.). Quindi troveranno applicazione le rego-le sull’autonomia patrimoniale perfetta e quelle in tema di rappresen-tanza proprie di tali modelli societari, per cui il potere di rappresentan-za attribuito agli amministratori è generale ed eventuali limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisio-ne degli organi competenti, anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società (art. 2384 c.c. in tema di s.p.a.; art. 2475bis c.c. in tema di s.r.l.; applicabili alla soc. cooperativa ex art. 2519 c.c.).
In tema di società personali l’iscrizione nella Sezione Ordinaria del Registro delle Imprese è prevista dall’art. 2200 c.c. solo per le s.n.c. e le s.a.s., con le conseguenze, per la mancata iscrizione, regolamentate ri-spettivamente dagli artt. 2297 e 2317 c.c.
Non vi è obbligo di iscrizione nel Registro delle Imprese per le socie-tà semplici aventi ad oggetto attività professionali.
A tal proposito l’art. 16, comma 2, del D.Lgs. 2 febbraio 2001 n. 96 ha disposto l’istituzione ai fini della iscrizione nel Registro delle Impre-se di una Sezione Speciale relativa alle società tra professionisti con funzioni di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia. È evidente che tale norma non poteva disporre che in relazione all’oggetto della sua disciplina e quindi non poteva che riferirsi alla sola “società tra av-vocati”. Società tra avvocati che in forza della citata normativa, pur di-sciplinata - per quanto non previsto - dalle norme che regolano la socie-tà in nome collettivo, non è iscrivibile nella Sezione Ordinaria, con im-portanti problematiche circa le conseguenze di tale mancata iscrizione, in primo luogo l’applicabilità del regime, meno favorevole, di cui all’art. 2297 c.c. e quindi, sostanzialmente, l’applicazione delle norme sulla so-cietà semplice, ferma restando la responsabilità illimitata e solidale dei soci laddove la legge speciale non abbia dettato regole particolari (art. 26).
Le s.t.p. costituite ai sensi dell’art. 10 legge n. 183/2011, fatta ecce-zione quindi per quelle costituite in forma di società semplice, saranno sempre soggette all’iscrizione nella Sezione Ordinaria del Registro delle Imprese (ex art. 2200 c.c.), beneficiando così dell’efficacia dichiarativa (art. 2193 c.c.) della pubblicità dei fatti concernenti la rappresentanza, secondo le regole del tipo adottato, nonché degli eventi modificativi dell’organizzazione.
Le s.t.p. costituite in forma di società semplice saranno solo soggette ex art. 7 del Regolamento alla iscrizione nella Sezione Speciale del Regi-stro delle Imprese in funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, disciplina questa introdotta dal Regolamento ai fini della verifi-ca dell’incompatibilità di cui all’art. 6 della legge n. 183/2011 e saranno pertanto regolate, per quanto riguarda la rappresentanza e la responsa-bilità, dalla disciplina di tale tipo, riproponendosi le questioni già solle-vate in dottrina circa l’eventuale idoneità presunta dell’iscrizione in tale Sezione Speciale quale mezzo per portare a conoscenza dei terzi even-tuali limitazioni ai poteri di rappresentanza ovvero limitazioni alla re-sponsabilità solidale dei soci ex art. 2267 c.c.

Q.A.5 – (S.T.P. UNIPERSONALE – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
Si ritiene possibile costituire una s.t.p. con un unico socio ove ciò sia consentito dal modello societario prescelto.

Motivazione
Chiarito con l’Orientamento Q.A.2 che le s.t.p. delineate dal Legisla-tore non costituiscono un genere autonomo con causa propria ma sono delle normali società in tutto disciplinate dalla normativa propria del ti-po legale prescelto, salve unicamente le deroghe e le integrazioni espres-samente previste dalla legge n. 183/2011, si è ritenuta perfettamente ammissibile la s.t.p. unipersonale, ovviamente, se consentita dal model-lo societario prescelto.
È vero che la disciplina della s.t.p. è essenzialmente volta a consenti-re l’esercizio in forma collettiva di un’attività professionale necessaria-mente individuale, sfruttando a tal fine lo strumento societario, ma un’interpretazione restrittiva, diretta a escludere la facoltà di costituire una società professionale ove l’esercizio collettivo manchi, è da rifiutare per ragioni di ordine sistematico, essendo senza limiti il richiamo ai modelli societari utilizzabili per realizzare una s.t.p., dunque senza al-cuna esclusione di quelli “unipersonali”.
Una simile interpretazione restrittiva non potrebbe neanche essere sostenuta sulla base di una presunta contrarietà all’ordinamento di una eventuale limitazione di responsabilità dell’unico socio professionista nei confronti della clientela realizzata attraverso lo schermo societario, considerato che risulterebbe assai difficile sostenere che la limitazione di responsabilità per i professionisti è meritevole di tutela solo se esercita-no la loro professione con uno o più soci. In realtà, per tutti i professio-nisti che svolgono la loro attività all’interno di una s.t.p., che siano da soli o con altri soci, il regime della responsabilità sarà identico.

Q.A.6 – (FORMAZIONE DEL CAPITALE DI S.T.P. – INSUSSISTENZA DI OBBLIGHI DI CONFERIMENTO D’OPERA DA PARTE DEI PROFESSIONISTI – 1° pubbl. 9/13 – mo-tivato 9/13)
Il capitale di una s.t.p. può essere legittimamente costituito da soli conferimenti in denaro.
Né la legge n. 183/2011, né il regolamento n. 34/2013 richiedono che il socio pro-fessionista debba assumere l’obbligo di prestare la propria opera a favore della società a titolo di conferimento d’opera (a liberazione di capitale e/o di patri-monio).
Stante quanto sopra, si ritiene che il socio professionista possa assumere nei confronti della società l’obbligo di eseguire l’incarico professionale ad essa con-ferito dal cliente in una qualsiasi delle forme consentite dall’ordinamento (tipi-che o atipiche).

Motivazione
Corollario del precedente Orientamento Q.A.2 è che il rapporto in forza del quale il socio professionista esegue gli incarichi professionali conferiti alla società può essere inquadrato in una qualsiasi delle forme consentite dall’ordinamento all’interno del tipo prescelto per lo svolgi-mento dell’attività professionale in forma societaria. Ampia libertà è la-sciata alle parti: ai sensi dell’art. 10 comma 4 lett. c) lo statuto deve con-tenere una disciplina dell’esecuzione dell’incarico professionale esclusi-vamente rivolta alla tutela dell’interesse pubblicistico immanente nella singola professione ordinistica costituente l’oggetto sociale della società e, quindi, sostanzialmente a garantire ai terzi contraenti che la presta-zione professionale sarà resa da un professionista abilitato.
La norma non sembra imporre una disciplina statutaria delle modali-tà con cui la società si garantisca la prestazione professionale che il so-cio eseguirà nei confronti dell’utente, il cui incarico è dato direttamente alla società. Naturalmente, ove statutariamente si voglia disciplinare anche tale aspetto organizzativo interno, dovranno essere rispettate le normative inderogabili del tipo prescelto, così non potrà, ad esempio, effettuarsi un conferimento d’opera ove la s.t.p. sia costituita in forma di s.p.a. Del resto, l’inquadramento statutario del rapporto sottostante tra società e socio professionista diretto a disciplinare l’esecuzione dell’incarico professionale rimane libero e, quindi, potrà sostanziarsi ol-treché in un conferimento, anche in altre forme compatibili con il tipo: saranno utilizzabili, così, in caso di s.p.a. gli strumenti delle prestazioni accessorie ex art. 2345 c.c., gli strumenti finanziari con apporto da parte dei soci di opera o servizi ex art. 2346 ultimo comma, c.c., fino all’inquadramento nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto delle normative vigenti.

Q.A.7 – (INDEROGABILITÀ DEL REGIME LEGALE DI RESPONSABILITÀ DEI SOCI DI S.T.P. - 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
Non è possibile derogare convenzionalmente al regime legale di responsabilità dei soci di s.t.p. previsto dal modello societario prescelto.

Motivazione
Il tema del rapporto tra la responsabilità professionale dell’esecutore della prestazione professionale (socio professionista) e quello della re-sponsabilità della società che assume l’incarico è assai dibattuto.
Considerato tuttavia (v. Orientamento Q.A.2) che alla s.t.p. si appli-ca la disciplina ordinaria del tipo prescelto non saranno ammissibili de-roghe statutarie alla responsabilità dei soci e del rapporto socio-società propri del modello prescelto.
Tale facoltà non è contemplata dalla nuova normativa, trovando in-vece espressa disciplina per il tipo “società tra avvocati” di cui al D.Lgs. n. 96/2001 nell’art. 26, ove si distingue tra obbligazioni sociali non deri-vanti dall’attività professionale (art. 26 comma 3), per le quali trova ap-plicazione la regola generale dell’art. 2291 c.c., e obbligazioni derivanti dall’attività professionale svolta da uno dei soci, per le quali sono re-sponsabili, oltre alla società con il suo patrimonio, il socio che ha ese-guito l’incarico e, solo se sia mancata la comunicazione di cui all’art. 24 comma 3 (comunicazione al cliente del nome del socio incaricato, in caso di omessa scelta da parte del cliente) anche gli altri soci illimitata-mente e solidalmente.
In assenza di una disciplina positiva analoga a quella sopra esamina-ta, non appare consentito all’interprete ritenere l’autonomia privata le-gittimata a derogare ad aspetti strutturali della disciplina societaria dei tipi adottabili.
Rimane aperto il problema della responsabilità verso il cliente del so-cio professionista esecutore della prestazione professionale, pur in pre-senza di un tipo societario che comporta la responsabilità limitata del socio, inderogabile quindi dall’autonomia privata.

Q.A.8 – (OPERATIVITÀ DELLA S.T.P. IN ASSENZA DEL REQUISITO DELLA MAGGIORANZA DEI 2/3 DEI SOCI PROFESSIONISTI – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
La legge n. 183/2011 prevede espressamente che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti debba essere tale da de-terminare la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci.
Il venir meno di tale condizione integra una causa di scioglimento della società, e di cancellazione dall’albo professionale, solo nel caso in cui questa non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perento-rio di sei mesi.
A quanto sopra consegue che il venir meno della maggioranza dei 2/3 dei soci professionisti non inibisce in alcun modo l’adozione di valide deliberazioni o de-cisioni dei soci, ciò tanto nei sei mesi in cui la società non è ancora sciolta, quan-to nella eventuale successiva fase di liquidazione.
Nelle società di capitali, la causa di scioglimento derivante dalla mancata ricosti-tuzione nei sei mesi della maggioranza dei 2/3 dei soci professionisti opererà dalla iscrizione nel Registro delle Imprese dell’accertamento di tale causa di scio-glimento operato dagli amministratori, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 2484 c.c.

Motivazione
Con il presente orientamento si è inteso affrontare il problema dell’operatività della speciale causa di scioglimento prevista dall’art. 10 comma 4 lett. b) della legge n. 183/2011.
In conformità all’orientamento dottrinale prevalente si è ritenuto che la causa di scioglimento sia operativa solo dopo il decorso del termine di sei mesi senza che la società abbia provveduto a ristabilire la preva-lenza dei soci professionisti.
Considerato (v. Orientamento Q.A.2) che alla s.t.p. trova applicazio-ne la normale disciplina prevista per i tipi adottabili, anche per tale cau-sa speciale di scioglimento troverà applicazione la disciplina prevista in tema di società di persone e di società di capitali.
Per quanto riguarda le società di persone, la causa di scioglimento in esame è assimilabile alle ipotesi previste dall’art. 2272 n. 4 c.c. e dall’art. 2323 c.c., per cui, sulla base degli orientamenti dottrinali e giurispru-denziali prevalenti, essa sarà operativa solo con il decorso del termine di sei mesi.
Per quanto riguarda le società di capitali, essa è assimilabile all’ipotesi prevista dall’art. 2484, comma 1, n. 4 c.c. e quindi, sulla base degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali prevalenti, solo scaduto il termine di sei mesi si concretizzerà per gli amministratori l’obbligo di accertare il verificarsi della causa di scioglimento ai sensi degli artt. 2485 e 2484, comma 3, c.c., richiamati espressamente dall’art. 2484 comma 2, c.c. trattandosi di causa di scioglimento prevista dalla legge per la quale appare compatibile l’applicabilità delle citate disposizioni .
Una volta che la causa di scioglimento sia divenuta efficace, secondo le regole del tipo prescelto, produrrà i suoi effetti sull’organizzazione nel rispetto della normativa generale e quindi decisioni organizzative saranno sempre possibili purché compatibili con lo stato di liquidazione ai sensi dell’art. 2488 c.c.
È da osservare, tuttavia, che la parallela cancellazione della società dall’Albo professionale determinerà l’impossibilità dell’assunzione di nuovi incarichi e, quindi, la gestione in fase di scioglimento sarà pret-tamente diretta alla liquidazione del patrimonio, senza le facoltà con-cesse dall’art. 2487 c.c. in caso di liquidazione di società di capitali, e pertanto la medesima sarà sostanzialmente analoga alla gestione in fase di liquidazione delle società personali, regolata dall’art. 2279 c.c. con il divieto di nuove operazioni.
Addirittura nell’ipotesi in cui vengano a mancare tutti i soci profes-sionisti, dovranno essere interrotti anche gli incarichi professionali in corso, potendo ravvisarsi un obbligo dell’organo di liquidazione di tra-sferire gli stessi, con il consenso del cliente, ad altri professionisti abili-tati.

Q.A.9 – (LEGITTIMITÀ DI CLAUSOLE CHE PREVEDONO MAGGIORANZE SUPERIORI AI DUE TERZI NELLE DECISIONI DEI SOCI – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
La legge n. 183/2011 prevede espressamente che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti debba essere tale da de-terminare la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci.
Tale previsione non si sostituisce alle regole proprie del modello societario pre-scelto (artt. 2252, 2368, 2369 e 2479-bis c.c.), ma si aggiunge ad esse.
Stante quanto sopra, si ritiene preferibile ritenere che il legislatore non abbia in-teso riservare ai soli soci professionisti l’adozione delle decisioni dei soci, ma semplicemente abbia voluto garantire a quest’ultimi una maggioranza partico-larmente qualificata al fine di impedire che la società sia controllata dai soci non professionisti, ai quali comunque non è stato sottratto il diritto di voto.
A ciò consegue che in tutte le s.t.p., ferma restando la riserva legale della mag-gioranza dei 2/3 dei consensi esprimibili nelle decisioni dei soci ai professionisti, trovano applicazione integrale le altre regole sulla determinazione delle maggio-ranze decisionali proprie del modello societario prescelto, compresa quella eventuale che consente di prevedere nei patti sociali o nello statuto quorum de-cisionali superiori ai due terzi, rendendo in tal modo necessario il concorso dei soci non professionisti nell’adozione delle decisioni dei soci.

Motivazione
Il limite quantitativo al numero dei soci o alla partecipazione al capi-tale introdotto nel testo del comma 4 lett. b) dell’art. 10 della legge n. 183/2011 attenua i conflitti che inevitabilmente si possono presentare nella dialettica tra soci professionisti e soci non professionisti in funzio-ne della tutela dell’interesse pubblicistico sotteso ad una specifica pro-fessione ordinistica.
La previsione che il numero dei soci professionisti o la partecipazio-ne al capitale sociale degli stessi debba essere tale da determinare la maggioranza dei 2/3 nelle deliberazioni o decisioni dei soci e la com-plementare previsione di una causa di scioglimento specifica delle s.t.p. ove vengano meno tali condizioni con la sanzione accessoria della can-cellazione della società dal Consiglio dell’Ordine o Collegio professio-nale presso il quale è iscritta se il suddetto limite non è stato ristabilito nel termine perentorio di 6 mesi, consentono, in teoria, ai soci profes-sionisti di avere il controllo sulle decisioni dei soci.
Come osservato da autorevole dottrina la disposizione è costruita fondamentalmente pensando alla s.p.a. in cui la detenzione dei 2/3 dei voti accorda ai professionisti la signoria su qualsivoglia decisione di competenza dei soci, tanto strutturali quanto di nomina alle cariche so-ciali. Distinguendo questi due ambiti, l’alternativa che si pone all’interprete è se siano possibili, quindi, nella s.p.a. innalzamenti di quorum per le materie di competenza dell’assemblea ordinaria, in primis nomina degli amministratori. Se la funzione del vincolo proprietario è quella di non sottrarre ai professionisti la designazione dei soggetti de-putati alla gestione, comunque l’art. 2369, comma 4, c.c. impedisce chiaramente la possibilità di innalzare i quorum decisionali.
Per quanto riguarda le competenze dell’assemblea straordinaria, la questione che si pone è se sia possibile derogare ai quorum codicistici, come consentito statutariamente, in presenza di una siffatta disposizio-ne normativa, in quanto si finirebbe così per accordare di fatto un pote-re di veto ai soci non professionisti.
All’interprete si pone l’alternativa fra una interpretazione rigorosa, volta a non ritenere ammissibili deroghe statutarie al principio dei 2/3 dei voti esprimibili in assemblea, e quindi alla signoria sulle scelte as-sembleari spettante ai soci professionisti a tutela della loro autonomia - che, non dimentichiamo, è espressione dei principi sottesi e assicurati con il sistema delle professioni ordinistiche - oppure ritenere ammissibili deroghe statutarie compatibili con il tipo prescelto in quanto espressio-ne della normale autonomia statutaria consentita al fine di equilibrare all’interno i vari assetti proprietari. In questo senso l’innalzamento dei quorum costitutivi/decisionali comporta sostanzialmente un diritto di veto riconosciuto alla componente non professionale che trova la sua ragione nei normali principi di tutela dell’investimento, mentre non in-cide sul necessario assetto proprietario che deve, comunque, rispettare il limite massimo del terzo del capitale nelle mani di non professionisti.
Dunque, potremmo dire, una interpretazione che pone l’accento sull’assetto proprietario – quale elemento di garanzia e di tutela dell’interesse pubblicistico sotteso alla professione ordinistica esercitata in forma societaria – e sulla potenziale, ma non necessaria, spettanza di una conseguente signoria ai soci professionisti, signoria che deriva solo dalla normale applicazione delle regole maggioritarie di funzionamento del tipo capitalistico prescelto ma che non appare inderogabile se non nell’ambito della medesima disciplina del tipo adottato.
In tal senso l’art. 2369, comma 4, c.c. è indicativo: i quorum legali dell’assemblea ordinaria di seconda convocazione in tema di approva-zione del bilancio e nomina delle cariche sociali non possono essere ele-vati e, quindi, prescindono dal supposto principio decisionale spettante ai soci professionisti titolari dei diritti di voto di almeno 2/3 del capita-le. I soci professionisti avranno quindi l’onere di intervenire e di votare in assemblea in quanto altrimenti i soci non professionisti più virtuosi potranno comunque far approvare decisioni assembleari senza il con-corso dei soci professionisti. A questi ultimi quindi non spetta una si-gnoria sulle decisioni se non derivante potenzialmente dalla loro parte-cipazione garantita nella quota dei 2/3, nel rispetto delle regole orga-nizzative di funzionamento del tipo sociale.
Nella s.t.p. s.r.l. il quadro si complica ulteriormente in quanto in tale tipo sociale è possibile statutariamente innalzare senza limiti i quorum decisionali, tanto delle decisioni gestionali che di quelle organizzative, financo a giungere alla regola dell’unanimità e, inoltre, il principio della proporzionalità del peso del socio subisce l’importante temperamento dei diritti particolari ex art. 2468, comma 3, c.c. che nelle s.r.l. possono essere attribuiti ai soci in tema di diritti riguardanti l’amministrazione della società e la distribuzione degli utili, oggi per la quasi unanime dot-trina da interpretarsi nel senso estensivo di “diritti amministrativi” e “diritti patrimoniali” e, quindi, con possibile incidenza ed elusione so-stanziale del principio del peso proporzionale della maggioranza dei 2/3 che deve necessariamente spettare ai soci professionisti.
Anche in questo ambito è possibile ritenere necessario il rispetto non solo formale ma anche sostanziale della normativa, in considerazione dell’interesse pubblicistico connesso: il Legislatore ha presunto che con il rispetto di quel limite sia tutelato l’interesse pubblicistico immanente nella singola professione regolamentata, quindi l’autonomia statutaria troverebbe il suo limite sostanziale nel rispetto di quel limite quantitati-vo, che dovrebbe sempre consentire - in ogni decisione, tanto organizza-tiva che gestoria - la prevalenza dei soci professionisti sui soci non pro-fessionisti (sarebbe pertanto inammissibile nella s.r.l., ad esempio, un diritto particolare del socio non professionista di essere amministratore o di designare gli amministratori che costituisca deroga sostanziale alla possibilità dei soci professionisti di determinare la maggioranza dei 2/3 nelle decisioni dei soci e quindi anche nella decisione di nomina dei componenti dell’organo amministrativo).
Ovviamente nessun problema quando il diritto particolare spetti al socio professionista.
In alternativa è possibile reputare i vincoli organizzativi non estensi-bili oltre la regola enunciata della potenziale maggioranza dei 2/3 spet-tante ai soci professionisti e quindi sostanzialmente neutralizzabile in via statutaria in relazione al raggiungimento di equilibri endosocietari fra le varie componenti, con un limite individuabile nel rispetto del prin-cipio generale di correttezza e buona fede affinché con l’utilizzo del di-ritto particolare in concreto, non si svuoti completamente la disciplina della s.t.p., volta comunque a garantire un potenziale controllo decisio-nale ai soci professionisti.
È da sottolineare l’importanza dell’intervento del notaio che è chia-mato a svolgere qui il suo controllo di legalità sostanziale e, quindi, a valutare in concreto la permanenza o meno di un equilibrio fra compo-nenti societarie che non eluda tale principio basilare della s.t.p., espres-sione della tutela dell’interesse pubblicistico connesso alla professione ordinistica svolta in maniera societaria.
A sostegno di quest’ultima preferita interpretazione, è possibile ri-chiamare la normativa sulla s.a.p.a. (tipo anch’esso adottabile quale s.t.p.) per la quale l’art. 2460 c.c. prevede che le modificazioni dell’atto costitutivo, oltreché approvate dall’assemblea con le normali maggio-ranze previste per la s.p.a., debbano essere anche approvate da tutti i soci accomandatari. Una volta chiarito (v. Orientamento Q.A.11) che il limite introdotto dal Legislatore attiene al solo piano degli assetti pro-prietari e potenzialmente decisionale e, quindi, non impedisce che a ri-coprire l’ufficio gestorio (e quindi nella s.a.p.a. anche la qualifica di so-cio accomandatario) possano essere anche soci non professionisti, da ta-le normativa si evince che il requisito dei 2/3 non necessariamente deve tradursi in una signoria senza limiti dei professionisti ma ammette tem-peramenti compatibili con i vari assetti statutari connaturati al tipo pre-scelto.
Nelle società di persone, il criterio maggioritario stabilito dall’art. 10 comma 4 lett. b) si palesa addirittura contrario al criterio legale del peso del voto dei soci che l’art. 2257 c.c. individua nella partecipazione agli utili, nonché al principio della modificazione del contratto sociale all’unanimità di cui all’art. 2252 c.c., salve le ipotesi legali di deroga allo stesso in tema di trasformazione, fusione e scissione.
Anche qui una interpretazione esclusivamente letterale presuppor-rebbe una necessaria deroga pattizia alla regola dell’unanimità prescritta dall’art. 2252 c.c., al fine di rispettare il principio che la maggioranza dei 2/3 nelle decisioni dei soci spetti ai soci professionisti apparendo, quindi, contraria al regime legale, e lasciando così preferire la tesi segui-ta di contemperare il principio posto dall’art. 10 comma 4 lett. b) con le regole generali di formazione della volontà sociale presenti nei vari tipi societari adottabili quali s.t.p., in coerenza con quanto sostenuto con l’Orientamento Q.A.2 circa la natura giuridica della s.t.p. .

Q.A.10 – (LEGITTIMITÀ DELLA DETENZIONE DA PARTE DEI SOCI NON PROFESSIO-NISTI DI AZIONI PRIVE DEL DIRITTO DI VOTO CHE SUPERINO IL TERZO DEL CAPI-TALE SOCIALE – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
La legge n. 183/2011 prevede che la partecipazione al capitale sociale dei profes-sionisti debba essere tale da determinare la maggioranza dei due terzi nelle de-liberazioni o decisioni dei soci, non anche che questi debbano detenere la mag-gioranza dei due terzi del capitale sociale prescindendo dai diritti di voto.
Si reputa pertanto legittimo che i soci non professionisti detengano azioni prive del diritto di voto anche in misura superiore al terzo del capitale sociale.
È anche possibile che i soci non professionisti detengano la maggioranza assolu-ta del capitale sociale ove la minoranza detenuta dai soci professionisti sia supe-riore ai due terzi delle azioni aventi diritto al voto.

Motivazione
Quale diretta conseguenza del precedente Orientamento Q.A.9, ap-pare chiaro che la normativa in tema di assetti proprietari è tesa a ga-rantire potenzialmente ai soci professionisti una maggioranza nelle de-cisioni organizzative e gestorie, nel rispetto delle regole del tipo prescel-to. Ove la s.t.p. sia una s.p.a., potranno adottarsi i vari strumenti statu-tari consentiti all’autonomia privata dall’art. 2351 c.c., purché sia rispet-tato il limite dei due terzi dei diritti di voto complessivi spettanti ai soci professionisti.

Q.A.11 – (COMPOSIZIONE SOGGETTIVA DELL’ORGANO AMMINISTRATIVO DI S.T.P. – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
In assenza di limiti legali si ritiene legittima qualsiasi composizione soggettiva dell’organo amministrativo di s.t.p.
Lo stesso potrà pertanto essere formato, anche per intero, da non professionisti ovvero da persone giuridiche.

Motivazione
Considerato che l’art. 10 comma 4 lett. b) della legge n. 183/2011 ri-tiene che l’assetto proprietario che garantisce ai soci professionisti la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni e decisioni dei soci sia cri-terio adeguato di contemperamento con l’esercizio in forma societaria degli interessi pubblicistici sottesi alla singola professione ordinistica esercitata in tale forma (v. Orientamento Q.A.9), in linea con l’orientamento dottrinale prevalente si è ritenuto che da tale normativa non si possa dedurre una riserva ai soci professionisti, o alla maggio-ranza degli stessi. nell’assunzione dell’ufficio gestorio.
Nonostante il contrasto con il precedente normativo in tema di socie-tà di revisione (art. 2 D.Lgs. n. 39/2010), disciplina che richiede che an-che la maggioranza dei componenti dell’organo amministrativo siano soci “professionisti”, alla luce del dettato normativo si è ritenuto che non vi siano limitazioni alla composizione soggettiva dell’organo am-ministrativo di s.t.p., se non individuabili all’interno delle singole disci-pline dei tipi adottabili.
Infatti, il problema del ruolo gerarchico di amministratori non pro-fessionisti rispetto agli esecutori professionisti dell’opera intellettuale - che potrebbe minare la fondamentale autonomia del professionista, sancita anche dall’art. 2 comma 2 del D.P.R. n. 137/2012, per il quale l’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia ed indi-pendenza di giudizio intellettuale e tecnico - può essere attenuato inter-venendo sui rispettivi poteri e doveri nella determinazione delle modali-tà dello svolgimento della dialettica fra i medesimi. Tuttavia rimangono importanti dubbi circa la potenziale incompatibilità tra l’autonomia del professionista e il potere di direzione dell’amministratore non profes-sionista. In tal senso l’art. 12 del Regolamento STP tenta un contempe-ramento di tale problematica prevedendo una responsabilità disciplinare della società con il socio professionista esecutore, anche se iscritto ad ordine diverso della società stessa (in caso di multidisciplinarietà), ove la violazione deontologica commessa dal socio professionista sia ricol-legabile a direttive impartite dalla società.
Rimane, inoltre, privo di tutela il segreto professionale del professio-nista nei confronti degli amministratori non professionisti, in quanto il comma 7 dell’art. 10 legge n. 183/2011 consente al socio professionista di opporre il segreto professionale solo agli altri soci e non all’organo amministrativo.
Nonostante i dubbi, il dato normativo non consente in alcun modo all’interprete di dedurre dalla normativa positiva in tema di assetti pro-prietari, limitazioni nella composizione dell’organo amministrativo del-la s.t.p.

Q.A.12 – (ESCLUSIVITÀ DELL’OGGETTO SOCIALE DELLE S.T.P. - 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
L’oggetto sociale delle s.t.p. deve essere limitato esclusivamente all’attività pro-fessionale (o alle attività professionali in caso di s.t.p. costituita per l’esercizio di più attività professionali) in funzione all’esercizio della quale (o delle quali) sono costituite.
L’oggetto sociale non può contenere l’espressa previsione di altre attività estra-nee all’attività professionale per l’esercizio della quale la s.t.p. viene costituita, ovvero attività non specificatamente e tipicamente riservate alla stessa attività professionale.

Motivazione
Nel testo dell’art. 10 commi 3 e seguenti della legge 12 novembre 2011, n. 183 e successive modifiche e integrazioni, non vi è un espresso riferimento all’oggetto sociale, ma solo la precisazione al comma 3 che “è consentita la costituzione di società per l’esercizio di attività profes-sionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del Libro V del Codice Civile”, al comma 4 che “possono assumere la qualifica di società tra professionisti le società il cui atto costitutivo preveda: a) l'esercizio in via esclusiva dell'attività professionale da parte dei soci”, aggiungendosi al comma 8 che “la so-cietà può essere costituita anche per l'esercizio di più attività professio-nali”.
In conformità all’orientamento dottrinale maggioritario si è ritenuto che l’attività professionale (o multiprofessionale) dedotta nell’oggetto sociale deve essere esclusiva, sia per ragioni di ordine storico-sistematico (artt. 17, comma 1, D.Lgs. n. 96/2001; art. 2, comma 1, lett. c), legge n. 248/2006), sia sulla base di considerazioni (già svolte, v. Orientamento Q.A.2) circa il contemperamento che la nuova normativa fa tra personalità della prestazione professionale ed esercizio della stes-sa in forma societaria.
In quest’ottica, si deve sottolineare il forte rilievo organizzativo che la definizione dell’oggetto sociale ha nella vita della società, sia nella fa-se ordinaria della stessa in relazione ai poteri degli amministratori in funzione del programma di investimento, sia nella fase estintiva, assu-mendo il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossi-bilità di conseguirlo rilevanza quale causa di scioglimento della società, con attivazione della procedura di liquidazione.
L’art. 10 comma 3 può quindi essere portato a sostegno dell’esclusività dell’oggetto sociale, in quanto la costituzione di società è in funzione dell’esercizio di attività professionali regolamentate nel si-stema ordinistico, sottolineando l’assonanza letterale fra “costituzione di società per l’esercizio di attività” e la formula normativa - ad es. dell’art. 2328, comma 2, n. 3 c.c. -“attività che costituisce l’oggetto so-ciale”.
Per l’esclusività è anche l’art. 1 del “regolamento STP” D.M. 8 feb-braio 2013 n. 34 (in G.U. 6 aprile 2013, n. 81), che testualmente defini-sce “società tra professionisti” o “società professionale” la società costi-tuita secondo i modelli societari regolati dai Titoli V e VI del Libro V C.C. e alle condizioni previste dall’art. 10 commi 3 – 11 legge n. 183/2011 avente ad “oggetto l’esercizio di una o più attività professio-nali per le quali sia prevista l’iscrizione in appositi Albi o elenchi rego-lamentati nel sistema ordinistico”.
Ove si ammettesse una s.t.p. con oggetto non esclusivo, che cumu-lasse l’attività professionale ordinistica con attività libere, nel senso di non specifiche e non riservate a quella determinata attività professiona-le, ma comuni anche ad altre (ad esempio attività generica di consulen-za) ovvero attività imprenditoriali pure, avremmo paradossalmente una società formalmente s.t.p. - e quindi con denominazione sociale ex art. 10 comma 5 che deve contenere l’indicazione di società tra professioni-sti - per la quale il venir meno nei soci professionisti dei requisiti profes-sionali non comporterebbe l’applicabilità della disciplina in tema di scioglimento della società per sopravvenuta impossibilità di consegui-mento dell’oggetto sociale. Un’ipotesi del genere sarebbe priva di san-zione da parte dell’ordinamento, consentendo il permanere di una socie-tà con denominazione ed oggetto sociale di s.t.p. ma priva di tutti i re-quisiti sostanziali richiesti, con evidente inganno dell’affidamento dei terzi che contrattano con la società e conseguente svalutazione degli in-teressi collettivi tutelati dalle professioni ordinistiche e dalla normativa sulla s.t.p., volta a contemperare con la veste societaria un tipo di attivi-tà “individuale” connotata di interessi di natura pubblicistica.
L’attività di consulenza generica – con la precisazione che la legge 31 dicembre 2012, n. 247 di riforma dell’ordinamento forense con la previ-sione dell’art. 2 comma 6 non sembra aver reso l’attività di consulenza nel campo legale esclusiva alla professione di avvocato - deve intendersi libera e come tale non inquadrabile in una prestazione professionale ti-pica.
Laddove, quindi, la consulenza sia resa indipendentemente da una prestazione professionale tipica, si tratta di attività non riservata, non esclusiva delle professioni ordinistiche, e perciò suscettibile di esser con-siderata alla stregua di una prestazione tecnica che, se resa fuori dall’incarico professionale tipico, ovvero se dedotta nell’oggetto sociale in via autonoma, si presta a rilievi sulla possibile natura commerciale (e non professionale) dell’attività costituente l’oggetto sociale.
La s.t.p. non può quindi avere quale attività ricompresa nell’oggetto sociale principale l’attività di consulenza generica, che invece potrà es-sere resa nei limiti della strumentalità rispetto all’attività professionale tipica, sconfinandosi altrimenti nel campo dell’impresa commerciale, sottratta alle regole dell’art. 10 legge n. 183/2011.

Q.A.13 – (AMMISSIBILITÀ DI ATTIVITÀ STRUMENTALI ALL’OGGETTO SOCIALE DEL-LE S.T.P. – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
Perfettamente compatibile con l’esclusività dell’oggetto sociale della s.t.p. è la possibilità per la stessa di compiere attività strumentali all’esercizio della profes-sione ordinistica prescelta e, quindi, la possibilità per la società professionale di rendersi acquirente di beni e diritti strumentali all’esercizio della professione e di compiere qualsiasi attività diretta a tale scopo, compresa la possibilità di as-sumere obbligazioni strumentali all’esercizio dell’attività professionale stessa. Comunque la previsione della legittimità di tali attività è ammissibile solo in quanto si tratti di attività collegate da un nesso di strumentalità funzionale con l’attività professionale ordinistica che costituisce l’oggetto esclusivo della s.t.p.

Motivazione
Nel silenzio dell’art. 10 della legge n. 183/2011 è da ritenere a tal proposito che sia applicabile – quasi come termine paradigmatico di raf-fronto, in quanto normativa settoriale di un tipo s.t.p. – il disposto dell’art. 17 comma 2 del D.Lgs. n. 96/2001 per il quale “la società può rendersi acquirente di beni e diritti strumentali all’esercizio della profes-sione e compiere qualsiasi attività diretta a tale scopo”. Tra tali attività sarà ricompresa anche l’assunzione di obbligazioni strumentali all’attività professionale, come si desume anche dall’art. 26 comma 3 del citato D.Lgs. n. 96/2001, il quale prevede uno specifico regime di responsabilità per le obbligazioni sociali non derivanti da attività profes-sionali, anche questo espressione di un principio generale applicabile a tutte le s.t.p.

Q.A.14 – (NECESSARIA SUSSISTENZA IN SEDE DI COSTITUZIONE DI S.T.P. DI SOCI ABILITATI ALL’ESERCIZIO DELLE PROFESSIONI PREVISTE DALL’OGGETTO SOCIALE – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
Non si ritiene legittimo costituire una s.t.p. se non sia presente nella compagine sociale almeno un socio professionista, legalmente abilitato, per ogni attività professionale dedotta nell’oggetto sociale.

Motivazione
La questione affrontata con l’Orientamento è se l’oggetto sociale multiprofessionale possa essere potenzialmente aperto a più attività professionali protette, anche se in concreto non siano presenti soci pro-fessionisti aventi l’abilitazione professionale per tutte le attività dedotte nell’oggetto sociale. Dai precedenti storici, nonché dalle disposizioni normative che presuppongono l’iscrizione della società professionale presso gli albi od ordini (comma 4, lett. b, comma 7 e artt. 8, 9 e 10 Re-golamento STP) relativi all’attività professionale esercitata in forma so-cietaria, sembra potersi dedurre un collegamento necessario tra qualifi-ca soggettiva del socio professionista ed attività professionale dedotta nell’oggetto della società costituita per l’esercizio di attività professiona-li regolamentate nel sistema ordinistico, così come testualmente prevede il comma 3 dell’art. 10, collegamento rafforzato anche dalla previsione del comma 6 che preclude la partecipazione dei soci a più società tra professionisti (v. Orientamento Q.A.17).
La tesi contraria, basata sul fatto che comunque la società non po-trebbe ottenere l’iscrizione nel relativo albo professionale finché non vi fosse un socio professionista abilitato ad esercitare quella determinata professione contemplata nell’oggetto sociale, non considera l’eccezionalità di tale disciplina. La nuova normativa, infatti, consente l’esercizio in forma societaria di un’attività necessariamente individuale (il Legislatore si preoccupa che l’esecuzione dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti: comma 4 lett. c), l’abilitazione alla quale è sottoposta a controlli di na-tura pubblicistica, con conseguenze che derogano ai normali principi privatistici (basti pensare alla previsione di cui all’art. 2231 c.c.).
L’esclusività dell’oggetto sociale – nel senso sopra delineato – deve intendersi quindi in concreto limitata all’effettiva attività svolta; e poi-ché l’attività della società tra professionisti è quella professionale essa, in caso di società tra professionisti multidisciplinare, non può che essere determinata dalla effettiva qualifica dei soci professionisti attuali.

Q.A.15 – (OGGETTO SOCIALE DELLE S.T.P. MULTIDISCIPLINARI E ATTIVITÀ PREVA-LENTI – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
Una s.t.p. multidisciplinare può, in conformità alla previsione contenuta nell’art. 8, comma 2, del D.M. 8 febbraio 2013 n. 34, individuare come prevalente una delle attività professionali ordinistiche dedotte nell’oggetto sociale, ma tale in-dividuazione di “prevalenza” non è da ritenersi necessaria né obbligatoria.

Motivazione
Il Regolamento STP (DM 8 febbraio 2013, n. 34) all’art. 8 comma 2 prevede che “la società multidisciplinare è iscritta presso l’albo o regi-stro dell’ordine o collegio professionale relativo all’attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo”. Tale disposizione è assai problematica in funzione sia della definizione anticipata di un criterio di “prevalenza” in sede di atto costitutivo, che potrebbe non corrispondere poi all’attività in concreto svolta, sia dell’esercizio di atti-vità professionale non prevalente per la quale la società non è iscritta al relativo ordine, con sviamento dagli interessi con il sistema delle profes-sioni ordinistiche.
La normativa presuppone all’art. 10 comma 7 che i professionisti so-ci siano tenuti all’osservanza del codice deontologico del proprio ordine così come la società sia soggetta al regime disciplinare dell’ordine al quale risulta iscritta, senza peraltro far riferimento a un criterio di “pre-valenza” per il caso previsto dal comma 8 dell’esercizio di più attività professionali.
Si consideri il regime disciplinare al quale sono assoggettati i profes-sionisti e le s.t.p.: l’art. 12 del Regolamento chiarisce che il socio profes-sionista è soggetto alle regole deontologiche dell’ordine cui è iscritto mentre la s.t.p. risponde disciplinarmente delle violazioni alle regole deontologiche dell’ordine al quale risulta iscritta oltre a concorrere con la responsabilità disciplinare del socio - anche iscritto ad ordine diverso da quello della società - nel caso in cui l’illecito disciplinare compiuto dal socio sia direttamente riconducibile a direttive impartite dalla s.t.p. Le anomalie che potrebbero sorgere in sede disciplinare dall’esposizione della s.t.p. alle regole di un ordinamento al quale non risulti iscritta, sembrerebbero consigliare di non evidenziare nell’atto costitutivo una prevalenza di un’attività professionale rispetto alle altre, con la conse-guenza che la s.t.p. dovrà essere iscritta a tutti gli ordini delle professio-ni dedotte nell’oggetto sociale, garantendo in tal modo certezza in ma-teria disciplinare.
Dal punto di vista notarile comunque, stante le problematiche evi-denziate, entrambe le soluzioni appaiono ammissibili (come evidenziato nella Relazione al Regolamento STP) cosicché sarà rimesso alla scelta dei contraenti il dichiarare una attività professionale prevalente ovvero non far menzione di tale prevalenza, con le conseguenze, nel primo ca-so, dell’iscrizione della s.t.p. al solo albo dell’attività professionale di-chiarata prevalente e, nel secondo caso, della multi-iscrizione a tutti gli ordini professionali la cui attività è dedotta nell’oggetto sociale multi-professionale.

Q.A.16– (INCOMPATIBILITÀ DI PARTECIPAZIONE A PIU’ S.T.P. – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
Stante il dettato normativo dell’art. 10, comma 6, della legge 12 novembre 2011 n. 183 e la disciplina contenuta nel Capo III (artt. 6 e 7) del D.M. 8 febbraio 2013 n. 34, la partecipazione ad una s.t.p. appare incompatibile con la partecipazione ad altra s.t.p. tanto per il socio professionista quanto per il socio per finalità d’investimento o per prestazioni tecniche.

Motivazione
La norma dell’art. 10 comma 6 appare coerente con i precedenti normativi, in particolar modo con il D.Lgs. n. 96/2001 sulla società tra avvocati e con l’art. 2 comma 1 lett. c) del D.L. n. 223/2006.
Il dato normativo non distingue tra soci professionisti e soci non pro-fessionisti. Ci si deve domandare se la medesima limitazione sia razio-nale solo per il “socio professionista” ovvero anche per i “soci non pro-fessionisti”.
La partecipazione di soggetti non professionisti ad una società con oggetto esclusivo l’attività professionale protetta non può che risentire nella struttura causale del rapporto partecipativo della tutela dell’interesse pubblicistico sotteso alla professione ed al fatto che la pre-stazione sia eseguita dal socio in possesso dei requisiti.
Ma la partecipazione alla s.t.p., più evidentemente per il socio non professionista che rende prestazioni tecniche ma anche per il socio capi-talista, pone questi soggetti in una posizione tale da poter influire sulla gestione ed esercitare all’interno dell’organizzazione poteri per orientare le strategie gestionali. Addirittura, nell’esercizio di alcune professioni la mera informativa da parte del socio non professionista dell’esistenza di un incarico professionale può essere elemento che può compromettere l’esecuzione stessa della prestazione professionale. A tal proposito non sembra aver portato elementi di novità il comma 7 (come modificato dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. con legge 24 marzo 2012, n. 27) che introduce la possibilità per il socio professionista di opporre agli al-tri soci il segreto concernente le attività professionali a lui affidate. In-fatti, tale facoltà in primo luogo non può essere opposta agli ammini-stratori che possono essere anche terzi o soci non professionisti (v. Orientamento Q.A.11) ed in secondo luogo, come sopra precisato, an-che la mera notizia dell’esistenza dell’incarico potrebbe nuocere al suo svolgimento.
In quest’ottica, allora, troverebbe spiegazione – e non appare irrazio-nale – il generale divieto posto dal comma 6 di partecipazione ad altra società tra professionisti, che quindi interesserebbe tanto i soci profes-sionisti che quelli non professionisti.
La norma dunque sarebbe diretta ad escludere conflitti di interessi e tutelare l’indipendenza e l’autonomia del socio professionista nell’esercizio della professione ordinistica.
Per quanto riguarda l’applicabilità pratica, l’art. 7.1 del Regolamento STP prevede l’iscrizione della società con funzione di certificazione anagrafica e pubblicità notizia nella sezione speciale del Registro Im-prese istituita ai sensi dell’art. 16 comma 2 del D.Lgs. n. 96/2001, pro-prio ai fini della verifica di tale incompatibilità. Così come previsto nella Relazione al Regolamento STP, l’accertamento della situazione di in-compatibilità deve essere svolto dal notaio in sede di costituzione della s.t.p. o di modifica dell’atto costitutivo. A tal proposito appare profes-sionalmente adeguata una verifica tramite visura nella Sezione Speciale del Registro delle Imprese istituita ai sensi dell’art. 16 comma 2 secondo periodo del D.lgs. 2 febbraio 2001 n. 96, iscrizione disposta per la s.t.p. dall’art. 7 del predetto D.M. 8 febbraio 2013 n. 34 proprio in funzione di detto controllo: quindi tale verifica appare necessariamente adeguata al-lo scopo stesso.

Q.A.17 – (MODIFICA DI SOCIETÀ NON PROFESSIONALE ESISTENTE IN S.T.P. – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
La sostituzione dell’oggetto sociale di una società non professionale esistente con quello esclusivo dell’esercizio di un’attività professionale ordinistica e la conseguente contestuale adozione di tutti gli elementi richiesti dall’art.10 della legge n. 183/2011, non costituisce trasformazione in senso tecnico/giuridico, in quanto le s.t.p. non sono un genere autonomo con causa propria (vedi orienta-mento Q.A.2); pertanto non trovano applicazione in detta fattispecie le regole di cui agli artt. 2498 e ss. c.c.

Motivazione
Stante quanto esposto con l’Orientamento Q.A.2, il mutamento dell’attività che costituisce l’oggetto sociale - con contestuale assunzione di tutti gli elementi tipologici della s.t.p. richiesti dall’art. 10 legge n. 183/2011, rimanendo inalterata la regolamentazione del tipo sociale esistente - non determina trasformazione della società ai sensi degli artt. 2498 e seguenti c.c., salvo che non venga contestualmente modificato anche lo scopo. Tale mutamento - a prescindere dai possibili significati-vi risvolti fiscali dell’operazione - costituisce una mera modifica statuta-ria da adottarsi con le forme e le modalità previste dal tipo esistente e, in considerazione della natura esclusiva dell’oggetto sociale della s.t.p., costituirà sempre un mutamento significativo dell’oggetto sociale, cau-sa, quindi, di recesso nelle società di capitali ai sensi degli artt. 2437 e 2473 c.c.
Diversamente, nel caso in cui contestualmente all’oggetto sociale sia anche adottato un tipo diverso, pur nell’ambito delle società a scopo lu-crativo, saremo in presenza di una trasformazione disciplinata dagli artt. 2498 – 2506 sexies c.c. a seconda del tipo di arrivo prescelto, con applicabilità quindi della relativa disciplina nel caso di trasformazione da società di persone in società di capitali o viceversa.
Ovviamente troverà anche in questo caso applicazione la disciplina del diritto di recesso.
Analoghe conclusioni nell’ipotesi in cui, fermo l’oggetto sociale già professionale, si adotti un modello societario diverso, nell’ambito delle società a scopo lucrativo.
Nel caso, invece, fermo l’oggetto professionale, sia modificato lo scopo (da lucrativo a mutualistico o viceversa) unitamente all’adozione di un modello societario diverso, ma pur sempre fra i tipi adottabili co-me s.t.p., ricorrono i presupposti per l’applicabilità della disciplina degli artt. 2500 septies e seguenti c.c.
Saranno poi configurabili altre ipotesi di trasformazione eterogenea con il passaggio da strutture societarie con oggetto professionale a strut-ture e modelli societari e non, anche incompatibili con l’oggetto profes-sionale, purché contestualmente questo sia sostituito con un oggetto compatibile con il tipo, modello o forma associativa di approdo.

Q.A.18 – (TRASFORMAZIONE DI UNA S.T.P. LUCRATIVA IN UNA S.T.P. COOPERA-TIVA – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
La trasformazione di una s.t.p. costituita secondo uno dei modelli societari pre-visti dal Titolo V del Libro V del c.c. in una s.t.p. che adotta il modello societario disciplinato dal Titolo VI del medesimo Libro V del c.c., integra una trasformazio-ne eterogenea, con applicazione quindi della disciplina di cui agli artt. 2500septies – 2500novies c.c.

Motivazione
Vedi sub Q.A.17.

Q.A.19 – (MAGGIORANZA DEI SOCI PROFESSIONISTI NELLA S.T.P. – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15)
In una s.t.p. appare legittimo che il numero di soci professionisti sia inferiore ai due terzi della compagine sociale ovvero che la partecipazione degli stessi al ca-pitale sociale sia inferiore ai due terzi del medesimo, purché in ogni possibile de-cisione, considerando il metodo di approvazione concretamente adottato (per teste, per partecipazione agli utili, per partecipazione al capitale), ad essi spetti la maggioranza dei due terzi dei voti esercitabili.
La disposizione sulla composizione qualitativa della compagine sociale contenu-ta nell’art. 10, comma 4, lett. b) della legge 12 novembre 2011, n. 183 appare, in-fatti, volta a garantire ai soci professionisti i due terzi dei voti esercitabili e non anche una maggioranza di mera partecipazione slegata dai diritti di voto.
Motivazione
È preferibile interpretare restrittivamente i requisiti richiesti dall’art. 10, comma 4, lett. b) della legge n. 183/2011 e, quindi, considerare legit-timo lo statuto di una s.t.p., che non imponga contemporaneamente la presenza di due terzi dei soci professionisti nella compagine sociale e la partecipazione degli stessi ai due terzi del capitale sociale, purché ga-rantisca loro, in tutte le decisioni sociali, la maggioranza dei due terzi dei voti esercitabili.
Anzitutto, tale lettura si rivela rispettosa della ratio della novella legi-slativa, diretta a prevenire possibili condizionamenti da parte dei soci di solo capitale, e la conseguente prevalenza dell’interesse alla remunera-zione dell’investimento sull’interesse generale all’adeguatezza e qualità della prestazione professionale: l’obiettivo perseguito è quello di salva-guardare la direzione e l’organizzazione dell’attività professionale svol-ta dalla società, suscettibile di essere influenzata in maniera determinan-te da soggetti investitori, con il rischio che si generi, di conseguenza, un conflitto d’interesse del socio professionista, tenuto verso il cliente all’esecuzione della prestazione secondo indipendenza ed autonomia di giudizio.
Senza dubbio, è questa una condizione critica facilmente configurabi-le applicando le regole di governance proprie di ciascun tipo sociale (libe-ramente adottabili per la s.t.p., a norma dell’art. 10, comma 3, legge n. 183/2011) declinate nelle molteplici forme consentite dai tipi societari personalistici e capitalistici.
Individuato in questi termini l’intento del legislatore, è ragionevole affermare che la tutela dell’indipendenza dei soci titolati, a garanzia di coloro che fruiscono della prestazione professionale, non richieda impe-rativamente lo loro presenza maggioritaria tanto nella compagine socia-le quanto nella partecipazione al capitale sociale, ma, piuttosto, un’allocazione dei poteri direttivi tale da garantire, in ogni sede, che i soci professionisti vantino la maggioranza dei due terzi dei voti eserci-tabili in merito a ciascuna decisione/deliberazione (valendo, dunque, quale regola sugli assetti organizzativi, più che sugli assetti proprietari).
Tale conclusione, d’evidenza nell’ambito delle società per azioni, ove la semplice presenza numerica non può rivestire alcun ruolo con riferi-mento ai meccanismi decisionali della società, vale anche in relazione alle società personali, considerato che il codice civile conferisce rilevan-za, ai fini del voto, alla partecipazione agli utili, e non già a quella al capitale sociale.
D’altro canto, il solo riferimento alla compagine sociale e alla ripar-tizione del capitale si presenta inevitabilmente incompleto, in quanto omette di considerare tutte le altre forme, diverse dall’assemblea, in cui, nei vari modelli, trova attuazione la direzione dell’impresa.
Ad una attenta analisi, l’interpretazione proposta si presenta con-forme anche alle scelte del legislatore europeo in tema di liberalizzazio-ne del mercato dei servizi.
È noto, infatti, che l’introduzione nel diritto interno della disciplina sulle società tra professionisti abbia rappresentato un tentativo di rispo-sta agli impulsi riformatori provenienti dagli organismi europei.
Tale disciplina, trovando quindi base giuridica nella normativa euro-pea sulla liberalizzazione dei servizi nel mercato interno, deve confor-marsi alle direttive ed ai limiti che quella pone, altrimenti ponendosi in contrasto con la stessa, in violazione dell’art. 117 Cost.
A riguardo si evidenzia allora come la lettura restrittiva soddisfi il criterio di proporzionalità previsto dalla Direttiva CE 27 dicembre 2006, n. 123 a presidio di qualsiasi limitazione alla libertà di prestazione dei servizi, comprese quelle che “impongono al prestatore di avere un de-terminato stato giuridico” o stabiliscono “obblighi relativi alla detenzio-ne del capitale di una società”.
Tale criterio, imponendo l’adozione della misura minima necessaria per il raggiungimento dell’obiettivo di tutela (ossia quella misura che, a parità di risultati, non sia sostituibile da altre meno restrittive) difficil-mente potrebbe dirsi rispettato qualora dalla norma di legge si facesse derivare una limitazione alla partecipazione dei soci non professionisti alla s.t.p. e, dunque, una maggiore, e non necessaria, restrizione all’esercizio dell’attività professionale in forma associata.
In altri termini, se lo scopo perseguito dal legislatore italiano con la novella dell’art. 10, comma 4, let. b), è stato quello di prevenire inop-portuni condizionamenti della qualità delle prestazioni professionali, dettati da (prevalenti) ragioni di massimizzazione della remunerazione delle risorse investite, lo stesso può dirsi adeguatamente raggiunto per il tramite di una regola che garantisca l’allocazione dei poteri decisori a vantaggio dei soli soci professionisti, senza imporre, contemporanea-mente, ulteriori limitazioni alla partecipazione di soggetti diversi, nel capitale ovvero nella compagine sociale.
Il rispetto del criterio di proporzionalità potrebbe orientare l’interprete anche nella soluzione di un problema ulteriore, ossia se l’attribuzione preferenziale ed inderogabile dei poteri decisionali in capo ai soci titolati debba essere interpretata nel senso di considerare illegit-timi quegli statuti che, pur rispettando la divisione dei voti designata dal legislatore, impongano dei quorum rafforzati, impedendo, in sostanza, ai soci professionisti, di adottare tutte le decisioni in piena autonomia (e consegnando, di fatto, ai membri non professionisti, un potere di veto).
Alla luce del canone della proporzionalità, appare preferibile l’interpretazione maggiormente liberale, che assegni alla norma di legge la funzione di soglia minima di tutela degli interessi dei professionisti e dei loro clienti e che consideri ammissibili deroghe statutarie compatibi-li con il tipo prescelto, in quanto espressione della normale dialettica tra gli assetti proprietari: il bilanciamento tra gli interessi degli utenti e quelli degli investitori nel libero mercato dei servizi trova il punto di equilibrio in una normativa che permetta di conservare in capo ai soci professionisti un peso preponderante, ma non mai esclusivo, e cioè che sia tale da precludere scelte direttive della società non condivise da chi è chiamato a fornire effettivamente la prestazione professionale (nel ri-spetto, peraltro, delle proprie regole deontologiche) senza sottrarre ai soci di mero capitale qualsiasi possibilità di incidere sull’andamento del-la società, nel rispetto del coordinamento tra poteri gestionali e rischio d’impresa proprio di ciascun tipo societario.