:: sabato 20 aprile 2024  ore 10:57
Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie - Orientamenti Societari, Commesione Società
I.H. - SRL - RECESSO > I.H. - SRL - RECESSO
I.H.1 - (MODIFICA DELL’OGGETTO E RECESSO - 1° pubbl. 9/04)
Per le s.r.l. si deve ritenere che non sia sufficiente una qualsiasi modifica dell’oggetto, anche se di lieve entità, per legittimare il socio non consenziente ad esercitare il recesso, benché l’art. 2473 c.c. parli semplicemente di “cambiamento dell’oggetto”, ma sia invece necessario un cambiamento significativo dell’attività sociale (così come prescrive espressamente l’art. 2437 c.c. per le società per azioni).

I.H.2 - (APPLICAZIONE ANALOGICA DEI TERMINI PER L’ESERCIZIO DEL RECESSO PREVISTA DALL’ART. 2437 BIS, C.C. - 1° pubbl. 9/04)
In mancanza di una previsione dell’atto costitutivo disciplinante i termini di esercizio del recesso nei casi previsti dal primo comma dell’art. 2473 c.c. è appli-cabile per analogia la disciplina dettata dal primo comma dell’art. 2437 bis, c.c.

I.H.3 - (MODIFICA DEL TERMINE DI DURATA DA INDETERMINATO A DETERMINA-TO E RECESSO - 1° pubbl. 9/04)
L’introduzione di un termine di durata in una società a tempo indeterminato, avendo come effetto l’eliminazione di una causa di recesso, attribuisce ai soli so-ci che non hanno consentito alla adozione di tale delibera il diritto di recesso.

I.H.4 - (ADEGUAMENTO DELLA CLAUSOLA COMPROMISSORIA: QUORUM E RE-CESSO - 1° pubbl. 9/05)
L’adeguamento della clausola compromissoria alle nuove disposizioni di legge ef-fettuato dal 1° ottobre 2004 non richiede il voto favorevole dei due terzi del ca-pitale e non dà il diritto di recesso ai soci non consenzienti posto che l’art. 34, comma 6, D.Lgs. 5/2003 si riferisce alle sole introduzione e soppressione di clau-sole compromissorie (per gli adeguamenti fatti sino al 30 settembre 2004 vi era, al riguardo, una norma, l’art. 41 D.Lgs. 5/2003, che confermava espressamente la non applicabilità dell’art. 34, comma 6, D.Lgs. 5/2003); la norma di cui all’art. 34 comma 6 D.Lgs. 5/2003, infatti, imponendo un quorum deliberativo particolar-mente elevato, e riconoscendo il diritto di recesso al socio non consenziente, non può che trovare applicazione che per le clausole già redatte in conformità alla nuova normativa (in quanto relative a società costituite dopo il 1° gennaio 2004 o a società che hanno già adeguato il proprio statuto) e cioè quando i soci sono chiamati ad introdurre ovvero a sopprimere una clausola compromissoria la cui disciplina sia già conforme alla nuova disciplina normativa. È cioè ragione-vole ritenere che la nuova disciplina in materia di introduzione e soppressione di clausole compromissorie si debba applicare alle sole clausole volute dai soci sul-la base della medesima nuova disciplina. Non può invece, ragionevolmente, tro-vare applicazione nel caso di società preesistenti al 1° gennaio 2004, già dotate di clausola compromissoria, che non abbiano adeguato sul punto il proprio sta-tuto, per le quali ogni “operazione” sulla clausola compromissoria (sia che si tratti di modificazione che di soppressione) va considerata, pertanto, alla strega di un “adeguamento” alla nuova normativa, che ha radicalmente innovato la di-sciplina in materia (mutando le condizioni ed i presupposti stessi sui quali in precedenza poteva basarsi la scelta in tema di clausola compromissoria). Non può, in particolare, condividersi l’opinione di chi ritiene che dal 1° gennaio 2004 la clausola compromissoria, essendo divenuta nulla, è come se non ci fosse, per cui un suo adeguamento equivarrebbe a “nuova introduzione” con conseguente applicabilità dell’art. 34, comma 6, D.Lgs. n. 5/2003.

I.H.5 - (TERMINI DI EFFICACIA DEL RECESSO - 1° pubbl. 9/05)
La dichiarazione di recesso ha natura di atto unilaterale recettizio, risolutiva-mente condizionato ex lege alla revoca della delibera legittimante il recesso o al-la messa in liquidazione volontaria della società, pertanto produce effetti dalla data del suo ricevimento.
Da tale data i diritti sociali connessi alla partecipazione per la quale è stato eser-citato il recesso sono sospesi, conservando il socio recedente esclusivamente la titolarità formale della partecipazione finalizzata alla liquidazione della stessa.

I.H.6 - (QUORUM COSTITUTIVI E DELIBERATIVI IN PRESENZA DI PARTECIPAZIONI PER LE QUALI È STATO ESERCITATO IL RECESSO - 1° pubbl. 9/05)
Le partecipazioni per le quali è stato esercitato il recesso, e quelle non trasferite mortis causa pendente il termine per la loro liquidazione, non sono computate nei quorum costitutivi e deliberativi previsti per le decisioni dei soci.

I.H.7 - (TERMINE PER LA REVOCA DELLA DELIBERA LEGITTIMANTE IL RECESSO O PER LA MESSA IN LIQUIDAZIONE DELLA SOCIETÀ - 1° pubbl. 9/05)
In mancanza di un termine determinato per legge si ritiene che la società possa adottare la revoca della delibera che legittima il recesso, ovvero la delibera di scioglimento della società, entro il termine di centottanta giorni previsto per l’eventuale rimborso delle partecipazioni.

I.H.8 - (LIMITI ALLA REVOCABILITÀ DELLA DELIBERA LEGITTIMANTE IL RECESSO - 1° pubbl. 9/05)
La revoca della delibera che legittima il recesso, ancorché adottata nei termini di legge, non rende inesercitabile tale diritto o inefficace quello già esercitato nell’ipotesi in cui la delibera revocata abbia prodotto effetti sostanziali nel pe-riodo di validità (ad esempio sono stati compiuti atti di amministrazione finaliz-zati al perseguimento del diverso oggetto sociale deliberato e poi revocato).

I.H.9 - (REVOCA DELLA DELIBERA DI SCIOGLIMENTO CHE AVEVA RESO INEFFICACE UN RECESSO - 1° pubbl. 9/05)
Nell’ipotesi in cui venga deliberato lo scioglimento della società, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2473 c.c., per rendere inesercitabile il recesso o inef-ficace quello già esercitato, la successiva revoca dello scioglimento è possibile so-lo nei seguenti casi:
a) che il socio originario recedente abbia manifestato il suo consenso, rinuncian-do al rimborso della partecipazione;
b) che il socio originario recedente abbia ottenuto il rimborso della partecipa-zione.

I.H.10 - (REVOCABILITÀ DELLA DICHIARAZIONE DI RECESSO - 1° pubbl. 9/05)
La dichiarazione di recesso è irrevocabile una volta pervenuta alla società. Il va-lore della partecipazione da liquidare deve essere effettuato con riferimento a detta data. Da tale momento inoltre decorrono:
a) il termine per la liquidazione della partecipazione;
b) il termine per adottare le eventuali delibere di revoca o di scioglimento.

I.H.11 - (RECESSO PARZIALE - 1° pubbl. 9/05)
È ammissibile la clausola statutaria che ammette il recesso parziale perché mi-gliorativa dei diritti del recedente.

I.H.12 - (CLAUSOLA STATUTARIA LIMITATIVA DELLA FACOLTÀ DI REVOCA DELLA DELIBERA LEGITTIMANTE IL RECESSO - 1° pubbl. 9/05)
È legittima la clausola statutaria che preveda che la delibera di revoca della pre-cedente deliberazione che ha originato il recesso debba essere la prima delibera utile, pena la perdita del diritto di revoca.

I.H.13 ? (LIMITI ALLE CLAUSOLE STATUTARIE VOLTE A DETERMINARE IL VALORE DELLA PARTECIPAZIONE IN CASO DI RECESSO PER CAUSE LEGALI ? 1° pubbl. 9/05 – modif. 9/20 – motivato 9/21)
Stante la tipicità delle cause di recesso legali (disinvestimento) non è possibile prevedere statutariamente che al socio recedente per tali cause venga rimborsa-to un importo diverso dal valore di mercato della partecipazione al momento della dichiarazione di recesso.
È tuttavia possibile, in assenza di un metodo legale e univoco di valutazione del-le partecipazioni societarie, prevedere criteri statutari volti a determinare in ma-niera oggettiva il valore di mercato della partecipazione, dovendosi ritenere ille-gittime solo quelle clausole che determinano il rimborso della partecipazione se-condo criteri diversi dal valore di mercato.
Sono quindi da ritenersi lecite le clausole volte a determinare il valore dell’avviamento secondo calcoli matematici rapportati alla redditività degli eser-cizi precedenti.
Sono invece da ritenersi illecite le clausole che determinano il rimborso della partecipazione in misura pari al valore nominale della stessa o che tengano in considerazione i soli valori contabili.
Sono del pari da ritenersi illecite le clausole che rimettono ad una decisione pe-riodica dei soci, anche unanime, la predeterminazione del valore delle partecipa-zioni ai fini di un eventuale recesso.

Motivazione
L’orientamento in commento, approvato nel 2005, prendeva in con-siderazione genericamente tutte le ipotesi di recesso.
Essendo stato approvato nel 2020 l’orientamento I.H.21 specificata-mente riferito all’ipotesi di recesso per cause convenzione, alla cui mo-tivazione si rinvia, quello in commento è stato modificato nel primo ca-poverso precisando che si intende riferito alle sole cause di recesso “le-gali”.

I.H.14 ? (DEROGA STATUTARIA AL TERMINE DI LIQUIDAZIONE DELLA PARTECIPA-ZIONE DEL RECEDENTE - 1° pubbl. 9/05 – modif. 10/23 – motivato 10/23)
Non è possibile derogare statutariamente al termine di centottanta giorni previ-sto dal quarto comma dell’art. 2473 c.c., per il rimborso della partecipazione al socio receduto.
Quanto sopra, ovviamente, con riferimento alle cause di recesso legali ed inde-rogabili, nulla ostando alla libera determinazione statutaria di modalità e termi-ni diversi se riferiti ad ipotesi in cui il socio esercita il diritto di recesso invocan-do una causa convenzionale introdotta nello statuto ai sensi del comma 1, pri-mo periodo, dell’art. 2473 c.c.
Deve intendersi, invece, precluso all’autonomia statutaria di intervenire sulle prescrizioni poste a presidio dell’integrità del capitale sociale, e dunque, finaliz-zate a tutelare interessi riferibili anche a soggetti terzi.

Motivazione
L’istituto del recesso, nell’ambito della disciplina societaria, ha as-sunto grande rilevanza ed interesse. Lo stesso legislatore della riforma, nella Relazione al D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, ha enfatizzato l’istituto come “lo strumento più efficace di tutela per il socio” e ha conseguen-temente ampliato le possibilità di ricorrere al recesso da un lato incre-mentando, rispetto al sistema previgente, le cause legali di recesso, dall’altro, e soprattutto, autorizzando l’atto costitutivo a prevederne di ulteriori concedendo così ampi spazi all’autonomia statutaria. Il recesso è posto, quindi, a tutela del socio, onde assicurargli una possibilità di «uscita» dalla società nel caso in cui siano venute meno le condizioni che lo avevano indotto ad entrarvi ed è particolarmente importante in un tipo come la s.r.l. dove il disinvestimento per trasferimento si presen-ta non agevole in quanto la partecipazione è ben difficilmente negozia-bile sul mercato.
Tale accentuato favor verso il socio recedente ha trovato tuttavia contrappeso nella considerazione degli interessi della società (o della maggioranza dei soci) e del principio di tutela dell’integrità del capitale sociale e quindi degli interessi dei creditori sociali che trovano sviluppo rispettivamente nel penultimo ed ultimo comma dell’art. 2473 c.c.
È ormai pacifico, anche in base ad argomenti testuali, che le cause legali di recesso siano insopprimibili e che la stessa disciplina prevista dal legislatore nell’art. 2473 c.c. sia inderogabile se riferita appunto alle cause legali di recesso (pur se in materia di s.r.l. non viene ripetuta la disposizione dell’art. 2437, ultimo comma, c.c. che in materia di s.p.a. commina la nullità di ogni patto volto a rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso). Diversamente si deve concludere con riferimento alle cause di recesso facoltative, stante l’ampia autonomia statutaria concessa dal legislatore. Ciò trova conferma testuale nella prima parte del comma 1 dell’art. 2473 c.c. ove è espressamente stabilito che l’atto costitutivo può individuare ipotesi (ulteriori a quelle legali enucleate dal successivo periodo) in cui il socio è legittimato a recedere dalla società ed è pure espressamente previsto che in tal caso l’atto costitutivo ne de-termina “le relative modalità”.
Nelle ipotesi convenzionali di recesso (cioè quelle introdotte nello statuto nell’ambito dell’autonomia statutaria ai sensi dell’art. 2473, comma 1, primo periodo, c.c.), infatti, avuto riguardo alla natura degli interessi tutelati dalle norme disciplinanti i vari profili del procedimen-to, salvi divieti specifici e salvo il divieto generale comminato dall’art. 2965 c.c., l’autonomia è abbastanza ampia e quindi lo statuto può libe-ramente determinare il valore di liquidazione della quota del socio rece-duto in maniera inferiore rispetto a quello che risulterebbe applicando i criteri legali previsti dall’art. 2473 c.c. (cfr. Orientamento I.H.21), fissare termini finali per l’esercizio del recesso inferiori a quello di quindici giorni riveniente dall’applicazione analogica dell’art. 2437-bis c.c. e, pu-re, estendere il termine per il rimborso della partecipazione oltre i cen-toottanta giorni previsti dall’art. 2473 c.c.
Inoltre, è da ritenere che la stessa disciplina prevista in tema di pro-cedimento di liquidazione sia in qualche misura derogabile per via sta-tutaria: così può essere modificata e/o invertita la sequenza dei passag-gi della procedura di liquidazione, nel senso ad esempio di anteporre l’offerta a terzi all’offerta ai soci; oppure può essere limitata solo ad al-cune delle fasi previste ex lege (ad esempio escludendo la cessione a ter-zi).
In sostanza: in ipotesi di recesso esercitato in base ad una causa in-trodotta liberamente dall’atto costitutivo ogni alterazione anche in sen-so peggiorativo delle modalità di esercizio deve ritenersi consentita in quanto comunque rappresenta una concessione migliorativa per i soci rispetto al divieto di recesso per detta causa.
Resta fermo che, reputata lecita una previsione statutaria dei termini diversa da quella legislativa in ipotesi rimesse all’apprezzamento dei so-ci, resta comunque fermo il valore residuale di quanto previsto dal c.c. (anche in materia di s.p.a.) in mancanza di apposita regolamentazione convenzionale.
Deve intendersi invece precluso all’autonomia statutaria di interveni-re sulle prescrizioni poste a presidio dell’integrità del capitale sociale, e dunque, finalizzate a tutelare interessi riferibili anche a soggetti terzi; in tale ottica è da ritenersi sempre inderogabile la disposizione della parte finale del comma 4 dell’art. 2473 c.c. stante il ruolo preponderante che gioca il ceto creditorio nell’ipotesi in cui - anche per cause di recesso di-verse da quelle legali - la liquidazione al recedente risulti possibile solo attraverso la riduzione del capitale sociale, anziché mediante l’utilizzo di risorse di bilancio disponibili.

I.H.15 - (FORMA DELL’ACQUISTO DELLE PARTECIPAZIONI AL FINE DI LIQUIDARE IL SOCIO RECEDENTE O GLI EREDI DEL SOCIO DEFUNTO - 1° pubbl. 9/05)
Nell’ipotesi in cui il rimborso delle partecipazioni al socio recedente, o agli eredi del socio deceduto, avvenga tramite acquisto da parte degli altri soci, o da un terzo da questi individuato, è necessario porre in essere un regolare negozio di trasferimento nelle forme e con gli adempimenti previsti dall’art. 2470, comma 2, c.c.

I.H.16 - (ESERCIZIO DEL RECESSO SUBORDINATO AD UNA LIQUIDAZIONE MINIMA - 1° pubbl. 9/05)
Stante l’oggettiva incertezza di risultato che caratterizza il procedimento di de-terminazione del valore di liquidazione della partecipazione del socio recedente, incertezza che si traduce in una difficile valutazione dell’opportunità di esercita-re il diritto al disinvestimento, è possibile per il socio recedente - nel rispetto del procedimento legale di determinazione del valore di liquidazione - condizionare risolutivamente la propria dichiarazione di recesso all’ottenimento di una valu-tazione minima.
Non appare invece possibile che tale dichiarazione possa essere sospensivamen-te condizionata al verificarsi dei medesimi eventi.

I.H.17 - (SORTE DEGLI EVENTUALI DIRITTI DEI TERZI SULLE PARTECIPAZIONI SO-CIALI ALL’ESITO DELLA LIQUIDAZIONE DEL SOCIO RECEDUTO MEDIANTE L’UTILIZZO DI RISERVE DISPONIBILI – 1 pubbl. 9/14 – motivato 9/15)
In caso di liquidazione della quota di partecipazione del socio receduto (o esclu-so o defunto) attraverso l’utilizzo di riserve disponibili della società, l’eventuale diritto di pegno, usufrutto, sequestro o pignoramento gravante la quota di par-tecipazione liquidata si trasferisce per surrogazione reale sulle somme di denaro corrisposte al socio receduto (o escluso o agli eredi del socio defunto).
Gli eventuali diritti di pegno, usufrutto, sequestro o pignoramento già gravanti le partecipazioni dei soci superstiti si estendono sull’intera loro partecipazione come risultante all’esito della liquidazione.

Motivazione
L’art. 2473, comma 3, c.c., stabilisce che “i soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale”.
Al comma 4 aggiunge che il rimborso può avvenire alternativamente, e secondo determinati criteri di preferenza:
a) mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni;
b) mediante acquisto da parte di un terzo concordemente individuato dai soci;
c) mediante utilizzo di riserve disponibili;
d) mediante riduzione del capitale sociale.
Appare evidente la mancanza di coerenza giuridica tra i due commi.
Da un punto di vista dogmatico il recesso integra un evento estintivo del rapporto contrattuale, limitatamente ad un socio, e non il suo trasfe-rimento.
Anche il concetto di “rimborso” della partecipazione evoca l’annullamento della medesima e non il suo trasferimento.
Prevedere, dunque, che il rimborso al socio receduto possa avvenire anche, o meglio preferibilmente, mediante acquisto della sua quota da parte degli altri soci o di un terzo, quindi senza annullamento sostanzia-le della partecipazione, integra una contraddizione che pone notevoli problemi di ordine interpretativo circa la reale natura dell’istituto del re-cesso nella s.r.l.
L’espressione “recesso”, infatti, assume la valenza che gli è propria di estinzione del rapporto contrattuale nei confronti di un determinato contraente (come previsto dalle disposizioni sul contratto in generale, art. 1373 c.c.) nella sola ipotesi in cui, in seguito al suo esercizio, venga annullata la partecipazione in cui detto rapporto è incorporato.
Nel caso, invece, in cui la medesima posizione contrattuale prosegua nei confronti di altri soggetti ciò che si verifica non è un recesso, bensì un trasferimento.
La disposizione sul recesso dalla s.r.l. deve dunque essere interpreta-ta in senso sostanziale, prescindendo dalle espressioni tecniche utilizza-te dal legislatore. Ciò che si è voluto disciplinare nell’art. 2473 c.c. non è tanto il diritto alla “risoluzione unilaterale del contratto” quanto, piut-tosto, quello al “disinvestimento”, diritto, quest’ultimo, compatibile sia con la cessione della quota che con il suo annullamento.
È per questo che il comma 4 dell’art. 2473 c.c. consente di perfezio-nare il procedimento di “disinvestimento” non solo mediante annulla-mento della partecipazione, ma anche attraverso la sua cessione.
Che le diverse modalità di “rimborso” previste dal comma 4 dell’art. 2473 c.c. determinino effetti giuridici diversi sul rapporto contrattuale facente capo al socio receduto è pacifico. Quello che non risulta chiaro è quale effetto determini la liquidazione attuata mediante utilizzo di ri-serve disponibili.
Se, infatti, la liquidazione mediante acquisto della partecipazione da parte di soci o di terzi produce sicuramente il trasferimento del rapporto contrattuale, mentre la liquidazione mediante riduzione del capitale ne determina l’estinzione, la liquidazione con riserve disponibili potrebbe essere astrattamente compatibile sia con il trasferimento che con l’estinzione della partecipazione rimborsata.
Si pone dunque il problema di comprendere se nella s.r.l. il rimborso della partecipazione mediante utilizzo di riserve disponibili determini:
a) il suo trasferimento alla società (come accade per le società per azioni);
b) il suo trasferimento ai soci superstiti;
c) la sua estinzione, con conseguente espansione delle partecipazioni dei soci superstiti.
La prima ipotesi si può senz’altro escludere.
La chiara disposizione contraria contenuta nell’art. 2474 c.c., che vie-ta “in ogni caso” alle s.r.l. di acquistare le proprie partecipazioni, rende infatti impossibile un’applicazione analogica a dette società della disci-plina prevista per la s.p.a. dall’art. 2437, comma 5, c.c.
Anche l’ipotesi sub b) appare difficilmente sostenibile.
Per ipotizzare un trasferimento diretto ai soci della partecipazione rimborsata dalla società si dovrebbe ritenere che tale ipotesi concretizzi una sorta di contratto a favore del terzo, nel quale la società assume la veste di stipulante e i suoi soci quella dei terzi beneficiari del trasferi-mento.
Tale ricostruzione appare assai problematica.
Se si trattasse di un contratto a favore del terzo, infatti, si dovrebbe ritenere che il trasferimento in capo ai soci superstiti possa essere da lo-ro impedito rendendo la dichiarazione di non voler profittare della sti-pulazione fatta a loro favore (ai sensi dell’art. 1411 c.c.), con la conse-guenza, incompatibile con il recesso, che in tale caso la partecipazione rimarrebbe di titolarità del socio rimborsato, non potendo, ovviamente, essere acquistata direttamente dalla società stipulante ex art. 1411, comma 3, c.c., stante il divieto per la s.r.l. di acquistare le proprie parte-cipazioni.
Per ovviare a tale problema si dovrebbe dunque ritenere che il rim-borso da parte della società realizzi una sorta di “acquisto legale coatti-vo a favore del terzo”, destinato a perfezionarsi prescindendo dall’eventuale volontà contraria dei soci superstiti.
Anche tale ricostruzione non appare condivisibile, in quanto nel no-stro ordinamento non esiste una sola ipotesi di acquisto a titolo deriva-tivo che possa perfezionarsi prescindendo dalla volontà dell’acquirente. Ogni bene trasferito, infatti, potrebbe recare danno a chi lo acquista, non sarebbe dunque ragionevole prevedere fattispecie di acquisto obbli-gatorio subordinate alla sola volontà del cedente.
Ciò vale anche per le partecipazioni societarie. Si pensi all’ipotesi che le quote rimborsate non siano interamente liberate. In tale ipotesi i soci superstiti, eventuali acquirenti ex lege, diverrebbero obbligati a versare i decimi residui in totale assenza di una causa che giustifichi l’assunzione di tale obbligazione. Potrebbe anche accadere che le quote ad essi tra-sferite coattivamente siano costituite in pegno con diritto di voto in ca-po al creditore garantito. Anche in questo caso l’acquirente verrebbe chiamato ad assumere rischi e subire limitazioni in totale assenza di un nesso causale con la sua posizione di socio superstite, così come il socio receduto verrebbe liberato dai rischi connessi con la garanzia pignorati-zia prestata senza alcuna giustificazione.
Appare, dunque, assai più coerente con il sistema ritenere che, in presenza del divieto di acquisto delle proprie partecipazioni da parte delle s.r.l., il rimborso al socio receduto eseguito con patrimonio dispo-nibile della società determini l’annullamento sostanziale delle sue parte-cipazioni, analogamente a quanto accade nel caso di rimborso con capi-tale sociale.
Da un punto di vista civilistico, infatti, il patrimonio della società è unico, non esiste alcuna distinzione tra riserve disponibili e capitale so-ciale. La distinzione evidenzia esclusivamente un vincolo di indisponibi-lità relativa che grava sulla parte del patrimonio sociale qualificabile come “capitale”. Tale parte, peraltro, è indeterminata, in quanto il pa-trimonio sociale è dinamico e nessuna realità è specificamente vincolata a capitale. La parte vincolata è individuata esclusivamente da un punto di vista quantitativo e può mutare nella sua materialità infinte volte.
Le partecipazioni sociali rappresentano una quota del patrimonio sociale indistinta. Quando la società rimborsa al socio receduto la sua parte del patrimonio annulla di fatto tale rappresentazione, ciò indipen-dentemente dal fatto che il rimborso avvenga con la parte del patrimo-nio priva del vincolo del capitale o con quella vincolata: in entrambe le ipotesi sarà comunque stata rimborsata la parte di patrimonio rappre-sentata dalla partecipazione del socio receduto.
La circostanza che in caso di liquidazione effettuata con riserve di-sponibili il capitale non subisce modifiche e, dunque, il valore nominale delle partecipazioni dei soci superstiti si espande per compensare quello delle partecipazioni annullate, non deve trarre in inganno, facendo rite-nere che si realizzi un qualche trasferimento dal socio recedente ai soci superstiti.
Dopo la riforma del diritto societario le quote di partecipazione di s.r.l. non hanno un valore nominale esplicito. Le stesse sono propria-mente individuate con una percentuale o con una frazione (ad esempio 20% o 1/5), pertanto non mutano con il mutare solo nominale del capi-tale sociale. Tale principio è espresso nell’art. 2481 ter, comma 2, c.c., il quale dispone espressamente che le quote di partecipazione non mutano in caso di aumento gratuito di capitale, e nell’art. 2482 quater c.c., il qua-le esclude ogni modifica delle partecipazioni sociali nel caso di riduzio-ne per perdite.
Le quote di partecipazione non rappresentano dunque un valore no-minale rapportato al capitale sociale, come accadeva anteriormente alla riforma, ma più propriamente una quota nell’affare, determinante la misura dei diritti amministrativi e dei diritti patrimoniali spettanti al so-cio.
È per questo che in tutti i casi di rimborso di partecipazioni ai soci receduti con patrimonio della società, vincolato o meno a capitale, si verifica sempre un corrispondente aumento delle percentuali di parteci-pazione dei soci superstiti. Ciò è una conseguenza necessaria della neu-tralità patrimoniale dell’operazione di rimborso.
Per chi preferisce individuare le partecipazioni sociali esclusivamente attraverso il loro valore nominale implicito, tale fenomeno risulta meno evidente nel caso di rimborso con capitale sociale rispetto a quello di rimborso con riserve disponibili, poiché nel primo caso i valori nominali delle partecipazioni dei soci superstiti non cambiano mentre nel secon-do aumentano, ma in entrambi i casi le modifiche delle percentuali di partecipazione dei soci superstiti sono esattamente le stesse, trattandosi di fenomeni assolutamente identici.
Si pensi all’ipotesi di una società con capitale di euro 9.000,00 parte-cipata da tre soci in parti uguali, dunque titolari di una quota di parteci-pazione pari ad 1/3 ciascuno, di valore nominale implicito di euro 3.000,00. In tale ipotesi, nel caso in cui un socio receda e venga liquida-to con il capitale sociale, il valore nominale implicito delle partecipa-zioni dei soci superstiti rimarrebbe invariato in euro 3.000,00, mentre nel caso in cui venga liquidato con riserve disponibili il valore nominale implicito delle partecipazioni dei soci supersiti aumenterebbe ad euro 4.500,00. In entrambi i casi, tuttavia, la percentuale di partecipazione dei soci superstiti si espande fino al 50% ciascuno a fronte di un patri-monio netto della società post-liquidazione identico, con ciò eviden-ziando che da un punto di vista patrimoniale, sostanziale e giuridico le due modalità di liquidazione producono i medesimi effetti.
All’esito del rimborso della partecipazione di un socio receduto con mezzi propri della società il patrimonio netto residuo e le percentuali di partecipazione dei soci superstiti saranno sempre le stesse, indipenden-temente dalla circostanza che i mezzi propri utilizzati siano riserve di-sponibili o capitale sociale.
In entrambe le modalità di liquidazione, dunque, non si verifica al-cun fenomeno traslativo a titolo derivativo di posizioni contrattuali già spettanti al socio receduto, ma unicamente il loro annullamento al qua-le consegue una necessaria espansione delle percentuali di partecipazio-ne dei soci superstiti.
La circostanza, poi, che solo nell’ipotesi di liquidazione con riserve disponibili si verifichi anche, e solo nominalmente, un aumento di valo-re delle partecipazioni dei soci superstiti non modifica i termini della questione. Anche perché, salva un’ipotesi di scuola assai improbabile, non accade mai che il rimborso ad un socio receduto avvenga unica-mente con capitale sociale, posto che è praticamente impossibile che i valori reali della partecipazione da rimborsare siano identici a quelli nominali, dunque, che il patrimonio netto contabile, quello reale e il ca-pitale sociale siano identici.
È pertanto, naturale che il rimborso al socio receduto avvenga, anche nell’ipotesi di utilizzo del capitale sociale, in forma mista, utilizzando in parte riserve disponibili, con ciò evidenziando ancora una volta la so-stanziale irrilevanza delle due modalità di liquidazione ai fini della clas-sificazione giuridica del fenomeno.
A quanto sopra consegue che tutte le volte che il socio receduto sia liquidato con patrimonio della società (soggetto o meno al vincolo di capitale) non si verifica alcun trasferimento a titolo derivativo della sua partecipazione a favore dei soci superstiti, ma unicamente un’espansione nominale delle loro quote di partecipazione. Pertanto:
1) se la partecipazione del socio receduto era gravata da pegno, usu-frutto, sequestro o pignoramento, tali diritti si trasferiscono per surro-gazione reale sulle somme di denaro rinvenienti dalla liquidazione e non seguono la quota accresciuta ai soci superstiti;
2) gli eventuali diritti di pegno, usufrutto, sequestro o pignoramento gravanti le partecipazioni dei soci superstiti si estendono sulla percen-tuale oggetto di accrescimento nominale.

I.H.18 (NON APPLICABILITÀ DELL’ART. 2474 C.C. ALLA LIQUIDAZIONE DELLE PAR-TECIPAZIONI IN CASO DI RECESSO OD ESCLUSIONE – 1° pubbl. 9/14 – motivato 9/15)
Si ritiene legittimo che la società contragga prestiti per liquidare la partecipazio-ne del socio receduto (o escluso o defunto) con l’utilizzo nominale di riserve di-sponibili (che potrebbero di fatto essere illiquide), poiché in tal caso non si veri-fica un’ipotesi di acquisto di partecipazioni cui all’art. 2474 c.c.

Motivazione
L’art 2473 c.c. prevede che il rimborso delle partecipazioni del socio receduto possa essere effettuato anche attraverso l’utilizzo di riserve di-sponibili, cioè di quella parte del patrimonio non soggetta ai vincoli di indisponibilità che gravano sul capitale sociale e sulla riserva legale.
Nella pratica, tuttavia, accade di frequente che tali riserve, pur sussi-stendo, siano di fatto illiquide, in quanto costituite da beni materiali o immateriali (diversi dal denaro) di difficile commerciabilità o la cui alienazione avrebbe effetti penalizzanti sull’efficienza dell’organizzazione aziendale.
Verificandosi detta situazione potrebbe essere utile per la società li-quidare il socio receduto con provvista ricavata da un finanziamento bancario, evitando così di svendere i beni sociali o di compromettere l’integrità dell’azienda sociale.
Da una veloce lettura dell’art. 2474 c.c., che vieta alle società a re-sponsabilità limitata di acquistare partecipazioni proprie o di accordare prestiti o fornire garanzie per il loro acquisto o la loro sottoscrizione, potrebbe apparire di dubbia legittimità la contrazione di un prestito da parte della società per liquidare le partecipazioni proprie.
Così non è.
La ratio dell’art 2474 c.c. è quella di evitare che il capitale sociale possa essere aumentato con l’utilizzo immediato o potenziale di risorse finanziarie facenti parte del capitale preesistente, realizzando in tal mo-do un sostanziale annacquamento dello stesso.
Se infatti fosse consentito alla società di concedere prestiti o prestare garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di proprie partecipazioni, po-trebbe accadere che, in caso di insolvenza del socio sottoscrittore o ac-quirente, la società sia costretta a pagare il proprio capitale sociale.
Lo stesso accadrebbe nell’ipotesi in cui fosse consentito alla società di acquistare direttamente le proprie partecipazioni, tant’è che nella s.p.a. la legge consente l’acquisto di azioni proprie nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio rego-larmente approvato.
Diversamente dalle suddette ipotesi, nel caso in cui una s.r.l. rimbor-si il socio recedente con il proprio patrimonio disponibile, reso liquido attraverso la contrazione di un prestito bancario, non ricorre alcun ri-schio di annacquamento del capitale sociale.
In primo luogo, all’esito di detta operazione, la società non diviene proprietaria delle proprie partecipazioni. Il rimborso delle medesime, in-fatti, non può che determinare l’estinzione della posizione contrattuale soggettiva del socio uscente (vedi orientamento I.H.17). L’accrescimento che si determina nelle partecipazioni dei soci superstiti in conseguenza della liquidazione del socio recedente è un fenomeno esclusivamente nominale, in quanto non è accompagnato da alcun in-cremento patrimoniale o trasferimento di beni.
In secondo luogo, l’operazione di rimborso delle partecipazioni del socio recedente mediante utilizzo di riserve disponibili della società non muta sotto il profilo economico, patrimoniale e sostanziale se avviene con mezzi propri della società o con finanziamenti bancari.
Sia nella prima che nella seconda ipotesi l’evento che determina la riduzione del patrimonio netto della società è la corresponsione del da-naro al socio recedente. La sola contrazione del mutuo, infatti, è patri-monialmente neutra, non determina alcun arricchimento o impoveri-mento della società, in quanto l’obbligo di restituzione delle somme ri-cevute a mutuo viene assunto a fronte della loro effettiva erogazione.
In sostanza, una volta contratto il mutuo, la società non avrà subito alcuna modifica nell’entità delle proprie riserve disponibili, che conti-nueranno a sussistere invariate, ma avrà acquisito la disponibilità delle somme liquide necessarie per rimborsare il socio recedente.
È solo all’esito del rimborso che la società vedrà ridotto il proprio patrimonio netto dell’entità rimborsata.
In un certo senso, il denaro che la società dovrà restituire alla banca è lo stesso che avrebbe dovuto versare al socio recedente (salvo l’aggravio degli interessi e il beneficio della rateizzazione).
Tale fattispecie, pertanto, non rientra in alcun modo in quella vietata dall’art 2474 c.c.

I.H.19 - (LEGITTIMITÀ DELLA CLAUSOLA DI ESCLUSIONE DEL SOCIO CHE SIA UNA SOCIETÀ LEGATA ALLA MODIFICA NON AUTORIZZATA DELLA SUA COMPAGINE SOCIALE – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15)
Si reputa legittima come giusta causa di esclusione del socio ex art. 2473 bis c.c. quella in forza della quale un socio possa essere escluso dalla società qualora il medesimo sia a sua volta una società e, senza il consenso dei restanti soci della partecipata, muti per qualsiasi causa la propria compagine sociale, anche in esito a operazioni di scissione o fusione (c.d. changing control).
Tale clausola può essere introdotta in statuto a maggioranza.

Motivazione
L’orientamento in commento analizza la problematica del cosiddetto “changing control” ossia del mutamento della compagine sociale delle so-cietà socie.
Come è noto, negli statuti delle società di capitali vengono assai spesso, ovvero nell’assoluta maggioranza dei casi per le società a re-sponsabilità limitata, introdotte clausole volte a limitare la circolazione delle partecipazioni sociali, quali prelazione, gradimento, blocco, etc., volte, da un lato, ad impedire l’entrata in società di soggetti non graditi e, dall’altro, a preservare la quota di partecipazione al capitale sociale dei soci originari.
Tali clausole sono, dunque, evidenti indicatori della natura persona-listica e “chiusa” di tali società e della conseguente centralità della rile-vanza della persona dei soci.
Le suddette limitazioni statutarie non sono, tuttavia, di per se stesse in grado di limitare la circolazione delle partecipazioni delle società che siano a loro volta socie della società nel cui statuto tali clausole siano inserite, in quanto solo gli statuti di quest’ultime possono validamente disciplinare tale circolazione. Le partecipazioni sociali di tali società so-cie sono, infatti, distinte da quelle da esse detenute nella società parteci-pata. Conseguentemente, soprattutto nei casi in cui un soggetto persona fisica decida di partecipare ad una nuova operazione economica con al-tri partners attraverso la costituzione di una newco alla quale egli, tutta-via, non partecipi personalmente, bensì con una società di cui egli stesso abbia il controllo (ad esempio una società holding), si pone spesso nella prassi la problematica di disciplinare non solo la circolazione delle par-tecipazioni della newco, bensì anche quella delle partecipazioni della suddetta società holding socia. I restanti partners si preoccupano, infatti, di assicurarsi che nella società holding rimanga quale socio per tutta la durata dell’operazione economica solo il soggetto suddetto al quale hanno accordato fiducia per la conclusione e per tutta la conseguente durata di tale affare e di evitare, dunque, che quest’ultimo possa cedere a terzi la propria partecipazione di controllo della predetta società so-cia, poiché ciò farebbe venire meno una delle condizioni fondamentali dell’accordo, rappresentata dalla persona di tutti gli originari partners.
A livello teorico, tutti i soci della newco potrebbero, peraltro, essere a loro volta società oppure solo alcuni di essi ed i restanti soci potrebbero essere, all’opposto, persone fisiche. Normalmente, la suddetta disciplina di tutela della natura personale dell’operazione economica opera su due diversi e distinti livelli, in quanto le limitazioni alla circolazione delle partecipazioni della newco vengono introdotte direttamente nello statuto di quest’ultima e si sostanziano, appunto, nella previsione di clausole di prelazione, di gradimento, di blocco, etc., mentre la disciplina anti elu-sione delle suddette clausole, ossia quella volta ad impedire la cessione delle partecipazioni delle società socie, trova la propria naturale sede all’interno di appositi patti parasociali. Quest’ultimi hanno, tuttavia, un’efficacia limitata e non ottimale a causa, da un lato, della loro durata necessariamente limitata e, dall’altro, della loro inopponibilità in caso di inadempimento degli obblighi ivi assunti dai soci verso la società di rife-rimento che, nel presente caso, è la newco.
Ciò più concretamente significa che nel caso in cui in tali patti para-sociali un soggetto si sia obbligato a non cedere senza il consenso degli altri aderenti al patto il controllo della società, la quale a sua volta sia socia (nel nostro caso la holding) nella società per la quale il patto para-sociale è stato stipulato (nel nostro esempio la newco) e, nonostante ciò, in palese inadempimento a tale obbligo, ceda, comunque, il controllo della sua società (holding) a terzi, i restanti aderenti al patto parasociale (ossia i soci della società newco) non potranno impedire al nuovo sogget-to di entrare di fatto nella newco e di votare nella medesima attraverso il cavallo di Troia della società socia (holding) di cui tale soggetto abbia così assunto il controllo. La loro tutela, infatti, è solo di tipo meramente risarcitorio verso il socio inadempiente al patto parasociale. La centrali-tà della persona del socio nella newco è, tuttavia, in tal caso definitiva-mente compromessa.
La clausola di “changing control” di cui al presente orientamento ha come scopo quello di dare una più efficace soluzione alla suddetta pro-blematica, in quanto la stessa viene inserita direttamente nello statuto della società interessata (nel nostro esempio la società newco) e permette ai soci di reagire in modo efficace e soddisfacente all’eventuale cambio di controllo sulle società socie non autorizzato dai restanti soci, esclu-dendo la società socia di cui sia appunto così mutato il controllo.
La legittimità di una siffatta clausola di esclusione del socio deve ri-spettare, tuttavia, in primis il requisito di analiticità e determinatezza ri-chiesto dall’art. 2473-bis c.c. Conseguentemente, essa deve disciplinare in modo analitico e puntuale la fattispecie per la quale opera che, nor-malmente, è rappresentata dal mutamento della compagine sociale o dal mutamento del controllo delle società socie senza il consenso di tut-ti i restanti soci ovvero di una determinata maggioranza di quest’ultimi espressa in sede assembleare ovvero anche per consenso scritto o con-sultazione scritta, ove ciò sia ammesso dallo statuto. La clausola deve, inoltre, determinare la data da prendere come parametro temporale di riferimento per stabilire se vi sia stato o meno un mutamento della compagine sociale o del controllo. Tale data è normalmente rappresen-tata da quella in cui è stata assunta le veste di socio, ossia:
- data della costituzione della società, qualora il soggetto sia stato socio fondatore;
- data di acquisto della partecipazione sociale, qualora il soggetto sia subentrato in società dopo la sua costituzione,
- data di sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale, qualora il soggetto sia subentrato in società dopo la sua costituzione per effetto di aumento di capitale sociale,
- data di efficacia della fusione o della scissione, qualora il soggetto sia subentrato a seguito di tali operazioni straordinarie.
Essa, inoltre, deve stabilire in maniera certa anche il tipo di muta-mento che, se non autorizzato dai restanti soci, determina l’exit.
Tale mutamento può essere legittimamente rappresentato:
a) dal cambio di controllo sulla società socia, determinato facendo ri-ferimento al concetto disciplinato dall’art. 2359 c.c. numeri 1), 2) e 3);
b) dal generico cambio anche della sola maggioranza dei soci per te-ste della società socia;
c) da qualsiasi mutamento delle persone dei soci della società socia.
La clausola può, inoltre, prevedere l’esclusione indipendentemente dalla causa del “changing control”, il quale può, dunque, avvenire per tra-sferimento volontario inter vivos, per trasferimento mortis causa, per fu-sione o scissione della società socia, per costituzione sulle sue parteci-pazioni di diritti di usufrutto e/o pegno con diritto di voto all’usufruttuario o al creditore pignoratizio, per introduzione di diritti particolari ex art. 2468, comma 3, c.c. a favore di nuovi soci, etc. ovvero selezionare solo alcune di tali cause, facendo salve le altre (ad esempio lasciando liberi: i trasferimenti mortis causa, i trasferimenti al coniuge o discendenti dei soci etc.) analogamente a quanto avviene per le clausole di prelazione impropria e/o di gradimento, eventualmente adattando ta-le clausola di esclusione proprio al contenuto delle prime, in modo da avere una disciplina omogenea e coordinata in materia di circolazione diretta ed indiretta delle partecipazioni sociali.
La clausola dovrebbe opportunamente anche indicare le modalità con le quali la società socia debba comunicare ai restanti soci in via preventiva il futuro cambio di controllo ovvero la futura modifica della sua compagine sociale e i termini entro i quali i restanti soci debbano manifestare il proprio consenso ovvero, se tale competenza sia stata ri-messa ai soci in sede assembleare, l’assemblea debba concedere la sua autorizzazione. Ciò allo scopo di dare certezza alla procedura, posto che manca qualsiasi disciplina legale di riferimento.
Come per tutte le restanti clausole di esclusione, lo statuto deve poi stabilire quale organo sia competente a deliberare l’esclusione del socio, laddove, peraltro, l’attribuzione di tale competenza all’assemblea dei soci appare la soluzione preferibile in quanto la delibera di esclusione incide sul diritto del socio alla permanenza nella compagine sociale ai sensi dell’art. 2479, numero 5), c.c. Lo statuto deve anche stabilire le eventuali modalità di difesa concesse al socio escludendo, come ad esempio il diritto di essere presente alla riunione chiamata a deliberare sull’esclusione per potere svolgere le proprie difese, sebbene senza dirit-to di voto, in quanto in conflitto di interessi con la società e il termine di efficacia della delibera di esclusione, che si reputa non possa essere infe-riore a trenta giorni, in analogia a quanto stabilito dagli artt. 2466, comma 1 e 2287, comma 1, c.c.
La delibera di esclusione dovrà, infine, essere motivata e indicare con precisione i fatti in forza del quale si è realizzato il “changing control”, soprattutto nel caso in cui ciò avvenga ai sensi dell’art. 2359, numero 3), c.c. (controllo contrattuale) non autorizzato.
In secundis, la legittimità della suddetta clausola dipende, altresì, dalla sua meritevolezza di tutela, ossia se essa possa effettivamente rappre-sentare una “giusta causa” di esclusione del socio ai sensi dei principi generali dell’ordinamento in materia. Ai fini di dare risposta positiva a tale essenziale interrogativo bisogna, evidentemente, analizzare gli inte-ressi che tale clausola si propone di tutelare e, successivamente, con-frontare tali interessi con quelli contrapposti del socio escludendo, in modo da stabilire se i primi siano così importanti da potere prevalere sui secondi. Come già in principio affermato, l’interesse che tale clauso-la si prefigge di tutelare è quello della centralità della persona del socio nella società a responsabilità limitata che costituisce il principio cardine della disciplina di tale tipo sociale, come affermato espressamente sia dal Legislatore delegante nell’art. 3, comma 1, lett. a), della legge delega n. 366/2001, sia dal Legislatore delegato nella relazione accompagnato-ria alla riforma del diritto societario, sia dall’unanime dottrina.
Al centro della disciplina della società a responsabilità limitata, di-versamente da quanto previsto in epoca precedente alla riforma del di-ritto societario, è stata, dunque, posta la figura della persona del socio e, conseguentemente, hanno assunto rango privilegiato di tutela tutti i rapporti fiduciari tra i soci medesimi, alla luce dell’evidente considera-zione pratica che l’economia italiana è rappresentata da un numero ele-vatissimo di società a responsabilità limitata aventi una ristretta com-pagine sociale, spesso addirittura di semplice natura familiare che si ba-sano unicamente sui rapporti interpersonali di fiducia reciproca dei soci e le cui partecipazioni non sono destinate a circolare sul mercato, posto che non conta la partecipazione in se stessa, quale bene autonomo e astratto, bensì solo la persona del suo titolare e la partecipazione attiva di quest’ultimo all’impresa sociale. Alla luce di tale presupposto, prima sociale che giuridico, appare, allora, del tutto legittimo e coerente tute-lare il mantenimento di tale rapporto fiduciario tra i soci in tutte quelle società a responsabilità limitata che siano conformi al modello persona-listico sopra descritto, ossia la stragrande maggioranza delle società esi-stenti e che presentino degli statuti confezionati in tale direzione attra-verso l’inserimento di clausole volte a limitare la circolazione delle par-tecipazioni sociali a favore di terzi ovvero anche di altre clausole di per-sonalizzazione, quali, ad esempio, i diritti personali dei soci ex art. 2468, comma 3, c.c., etc.
La clausola di exit per “changing control”, di cui al presente orienta-mento permette un’ulteriore personalizzazione dello statuto della socie-tà nella direzione tracciata dallo stesso Legislatore a completamento delle clausole che limitano il trasferimento a estranei delle quote sociali e appare, dunque, come tale meritevole di tutela. Dalla parte opposta si contrappone, invece, l’interesse del socio alla permanenza in società e alla libera circolazione delle partecipazioni sociali della società socia. Tra tali contrapposti interessi sembra, tuttavia, preminente quello della società ad escludere il socio quando sia venuto meno il rapporto fidu-ciario tra i propri soci, poiché tale rapporto è necessario ed, anzi, vitale per la prosecuzione dell’attività sociale. La società non deve, infatti, ri-manere prigioniera di un socio portatore di interessi incompatibili con quelli propri ovvero che sia incompatibile con la persona dei restanti so-ci. L’interesse della società alla tutela del rapporto fiduciario tra i propri soci coincide, nella maggior parte dei casi, con l’interesse alla sua stessa sopravvivenza e deve, quindi, potere prevalere sull’interesse del socio escludendo a mutare la propria compagine sociale. L’effetto di tale clausola, infatti, non è quello di impedire alle società socie di mutare il controllo su se stesse, bensì solo di rendere possibile l’exit forzoso dalla società partecipata il cui controllo sia passato di mano con conseguente diritto alla liquidazione della propria partecipazione.
Evidentemente quanto sopra affermato può trovare applicazione unicamente nelle società a responsabilità limitata caratterizzate di fatto da una base personale, i cui indici sono, appunto, rappresentati princi-palmente dalla presenza in statuto delle clausole di limitazione alla cir-colazione delle partecipazioni sociali. Al contrario, nei limitati casi in cui la società non sia, invece, caratterizzata dal principio personalistico e sia all’opposto strutturata come società aperta con uno statuto che ammetta la libera circolazione delle partecipazioni sociali, la legittimità di una siffatta clausola di exit per “changing control” appare venire meno perché difetta, in tal caso, è carente il suo necessario presupposto appli-cativo.
Una volta affermata la legittimità di tale clausola di esclusione non pare dubitabile che la sua introduzione in statuto possa avvenire con le normali maggioranze statutarie e non richieda affatto l’unanimità ovve-ro il consenso di tutti i soci, ciò anche nel caso in cui uno solo dei soci al momento della sua introduzione sia una società alla quale tale moti-vo di esclusione possa di fatto essere applicato, posto che la clausola deve redigersi in modo generico, ossia non riferita specificamente a sin-goli casi nominativamente indicati nella medesima, affinché sia così ap-plicabile in via generale e astratta a qualsiasi socio che assuma, anche in futuro, la veste di società. L’introduzione a maggioranza di tale causa di esclusione rappresenta, dunque, una personalizzazione dello statuto del-la società espressamente ammesso dal Legislatore e rimesso alla libera autonomia dei soci secondo le normali regole societarie, ossia la possi-bilità d’inserimento in statuto di pattuizioni che prima della riforma del diritto societario potevano trovare sede solo al di fuori di quest’ultimo ossia solo in patti parasociali. Tale novità non deve, dunque, essere va-lutata come negativa, bensì come vantaggiosa nel processo di evoluzio-ne del modello della società a responsabilità limitata verso il massimo grado di personalizzazione volto ad attribuire a tale tipo societario maggiore competitività sul mercato ed anche maggiore favore da parte dei rispettivi soci. Non sembra nemmeno che a eventuali soci che non acconsentano all’introduzione in statuto di detta clausola possa spettare il recesso legale ai sensi dell’art. 2473 c.c., posto che tale caso non è ivi contemplato. Peraltro, sia nel caso in cui la causa di esclusione venga formulata come esclusione facoltativa sia in quello in cui essa operi au-tomaticamente, il socio non consenziente all’introduzione in statuto di detta clausola di exit forzoso potrebbe in concreto non essere mai esclu-so ovvero, anche qualora dovesse subire tale esclusione in futuro, egli troverà, comunque, tutela attraverso il richiamo operato dall’art. 2473-bis c.c. delle norme sulla liquidazione della partecipazione previste per il recesso. L’art. 2473-bis c.c. richiama, infatti, espressamente le disposi-zioni sulla liquidazione contemplate dall’art. 2473 c.c., fatta eccezione per la sola possibilità di riduzione del capitale sociale ivi comprese, dunque, anche le norme sulla valorizzazione della quota del socio. L’esclusione non appare, dunque, sotto l’aspetto puramente economico, affatto punitiva nei confronti del socio escluso, posto che questi conser-va sempre e comunque il diritto alla piena liquidazione della sua parte-cipazione a valore effettivo di mercato, come stabilito, appunto, in ma-teria di recesso.
Solo nel caso in cui la società produca utili l’escluso perderà il diritto alla percezione degli stessi per gli anni successivi alla sua esclusione nel-la parte in cui gli stessi non siano già stati conteggiati nel valore di mer-cato della sua partecipazione sotto forma di avviamento in sede di li-quidazione; a ben vedere, tuttavia, anche qualora al socio non consen-ziente spettasse il diritto di recesso in sede di introduzione della clauso-la di esclusione, questi non potrebbe mai ottenere di più di quanto gli spetterebbe in caso di successiva sua esclusione dalla società per effetto dell’applicazione concreta di detta clausola.

I.H.20 - (LEGITTIMITÀ DELLA CLAUSOLA DI ESCLUSIONE DEL SOCIO INATTIVO O IRREPERIBILE – 1° pubbl. 9/19 – motivato 9/19)
Si ritiene legittima la clausola statutaria che preveda, quale causa di esclusione del socio ex art. 2473-bis c.c., la mancata partecipazione, per un periodo di tem-po significativo, all’attività assembleare.
La predetta causa di esclusione può essere introdotta nello statuto, successiva-mente alla costituzione della società, con le maggioranze richieste per le modifi-cazioni statutarie e può riferirsi esclusivamente a comportamenti del socio suc-cessivi alla data di introduzione della clausola stessa.

Motivazione
La pratica conosce società caratterizzate da un costante assenteismo dei soci, con conseguenti difficoltà assembleari e talora amministrative. La mancata partecipazione dei soci alla vita sociale può essere volonta-ria, come anche involontaria (ad esempio per decesso del socio-persona fisica, ed irreperibilità o incuria dei suoi successori, od estinzione del socio-persona giuridica).
Per prevenire l’impasse nella quale gli organi sociali potrebbero veni-re a trovarsi, può prevedersi nello statuto che la mancata partecipazione del socio ad alcune assemblee consecutive entro un determinato arco temporale costituisca giusta causa di esclusione dalla società, consen-tendo così di espungere dalla compagine sociale quei soci che, di fatto, non partecipino più all’attività sociale e di “sfoltire” compagini sociali diffuse, composte da numerosi soci “inattivi” o irreperibili.
Come noto, due sono i requisiti che l’art. 2473-bis c.c. richiede per la valida introduzione nello statuto di una causa di esclusione del socio di società a responsabilità limitata: deve, infatti, trattarsi di specifiche ipo-tesi di esclusione per giusta causa.
La causa di esclusione al vaglio appare legittima, in quanto rispetto-sa di entrambi i requisiti suddetti.
Anzitutto, può ritenersi rispettato il requisito della specificità: la cau-sa, così come prospettata, sembra poter essere sufficientemente analiti-ca e determinata, in quanto individua in modo inequivocabile e, quindi, prevedibile per il singolo socio, il comportamento legittimante l’esclusione.
La specificità delle ipotesi statutarie di esclusione è volta, infatti, a tutelare due interessi contrapposti:
- da un lato, la specificità della fattispecie difende gli interessi del so-cio, il quale ha il diritto, a priori, di avere contezza del comportamento – in questo caso omissivo – idoneo ad integrare la causa di esclusione, e di conseguenza il potere di evitare di porre in essere la condotta previ-sta;
- dall’altro lato, la specificità funge da limite alla discrezionalità dell’organo competente a deliberare l’esclusione, riducendone l’attività ad un mero accertamento di fatto e tutelando parallelamente l’interesse della collettività dei soci ad escludere colui che ponga in essere un de-terminato comportamento, assunto come rilevante.
La previsione, quale causa di esclusione, della mancata partecipa-zione ad alcune assemblee consecutive (ad es. la mancata partecipazio-ne ad alcune assemblee consecutive di approvazione del bilancio, che rappresentano l’impegno minimo cui è chiamata l’assemblea e, nel con-tempo, presuppongono l’assunzione di una deliberazione essenziale per la stessa sopravvivenza della società) appare precisa e ben delineata, con un ambito di applicazione delimitato, come richiesto dalla giuri-sprudenza espressasi in materia, oltre che agevolmente accertabile (tra-mite la consultazione del libro delle decisioni dei soci); il comportamen-to omissivo che il singolo socio deve evitare di porre in essere, al fine di non essere passibile di essere escluso dalla società, è in definitiva tipiz-zato e predefinito.
In secondo luogo, può ritenersi rispettato anche il requisito della giu-sta causa: nelle s.r.l. “chiuse”, aventi una ristretta compagine sociale o un accentuato carattere personalistico, o comunque contraddistinte da un rapporto fiduciario tra soci, può assumere fondamentale rilevanza- nella valutazione dei contraenti, trasfusa nello statuto - il coinvolgimen-to del singolo socio nell’attività sociale e, in particolare, la partecipazio-ne costante all’attività assembleare, all’interno della quale sono adottate le decisioni più importanti per la vita stessa della società. In tali società a responsabilità limitata (“chiuse”, appunto), il socio sovente non repu-ta di rivestire il ruolo di mero investitore, bensì di imprenditore, assieme ad altri, per cui il comportamento di ciascun socio può assumere parti-colare rilievo, e la mancata partecipazione alla vita sociale può essere ri-tenuta influente (in negativo) sul perseguimento dei risultati comuni.
Ove la partecipazione attiva del socio all’attività sociale assurga a regola organizzativa, detto comportamento diviene socialmente rilevan-te, e la mancata partecipazione può costituire lesione del rapporto fidu-ciario esistente tra i soci e può integrare una giusta causa di esclusione del socio dalla società.
La valutazione del comportamento, omissivo o commissivo, del so-cio quale giusta causa di esclusione non può, si noti, essere operata in astratto, né essere riferita al tipo srl, bensì va effettuata in concreto, par-tendo dalle clausole dello statuto proprie di ciascuna società a respon-sabilità limitata. La giustezza della causa di esclusione va valutata quindi alla luce delle specifiche regole proprie della società di cui tratta-si; caso per caso. Sarà lo statuto sociale, nel suo diverso atteggiarsi, a fungere da cartina di tornasole al fine di denotare il carattere “persona-listico” della società (ad es. mercé la presenza di clausole limitative del-la circolazione delle partecipazioni); e la clausola di esclusione in parola connoterà in termini ulteriormente fiduciari il rapporto tra i soci.
La clausola statutaria che contempli, quale giusta causa di esclusione del socio, la mancata partecipazione consecutiva ad un certo numero di assemblee, entro un determinato arco temporale, sembra rappresentare un giusto contemperamento tra l’esigenza, da un lato, di partecipazione attiva del socio alla vita sociale, intesa quale espressione del rapporto fiduciario tra i soci, in società ove l’apporto di ciascuno sia reputato ri-levante per il perseguimento dell’oggetto sociale, e la facoltà o l’esigenza, dall’altro lato, dei singoli soci di non partecipare, per scelta o per necessità, magari anche solo temporaneamente, alla vita sociale.
Giova sottolineare, infine, che la clausola che consente l’esclusione del socio di s.r.l. deve riferirsi necessariamente ad una condotta succes-siva all’introduzione della causa di esclusione, pena l’illegittimità della clausola o dell’esclusione “forzosa”, ove deliberata in virtù di compor-tamenti antecedenti alla sua entrata in vigore (il socio deve poter essere messo in condizione di conoscere in anticipo le condotte legittimanti una sua eventuale esclusione dalla società).
La modificazione statutaria con cui si introduca una simile causa di esclusione (che avrà effetto esclusivamente per le condotte omissive po-ste in essere successivamente al suo inserimento nello statuto sociale) può essere deliberata con le ordinarie maggioranze richieste, dalla legge o dallo statuto, per le modifiche statutarie, in omaggio al principio in virtù del quale non esistono, nelle società di capitali, posizioni indivi-duali dei soci che non siano modificabili dalla maggioranza, nel rispetto dei principi di correttezza, buona fede e parità di trattamento dei soci stessi.

I.H.21 ? (LIMITI ALLE CLAUSOLE DI DETERMINAZIONE DEL VALORE DI LIQUIDA-ZIONE IN CASO DI RECESSO PER CAUSE CONVENZIONALI ? 1° pubbl. 9/20 – moti-vato 9/21)
È legittimo che le eventuali clausole che ammettono il recesso per cause diverse da quelle legali determinino il valore di liquidazione della quota del socio rece-duto in maniera inferiore rispetto a quello che risulterebbe applicando i criteri legali previsti dall’art. 2473 c.c.
In tale ipotesi il minor valore di liquidazione conseguito dal socio assolve sostan-zialmente alla funzione del corrispettivo per il diritto di recesso ammesso in via generale dall’art. 1373, comma 3, c.c.

Motivazione
Vedi sub H.H.15