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P.B.1 – (DELIBERAZIONI SULLE PERDITE DI SOCIETÀ SOGGETTA A CONCORDATO PREVENTIVO O AD ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI OMOLOGATI – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15)
Ai sensi dell’art. 182 sexies L.F., alle società che domandano l’ammissione al con-cordato preventivo o l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti non si applicano, dalla data della domanda e fino all’omologazione, le disposi-zioni sulla tutela dell’integrità del capitale sociale dettate dagli artt. 2446, commi 2 e 3; 2447; 2482 bis, commi 4, 5 e 6; 2482 ter e 2484, n. 4, c.c.
Successivamente all’omologazione le suddette disposizioni tornano a trovare piena applicazione, ancorché il piano o l’accordo non siano stati ancora eseguiti.
In tale fase, per determinare se la società si trovi in uno stato di perdita rilevan-te che imponga una riduzione del capitale, una trasformazione o il suo sciogli-mento, occorre tenere conto di quanto previsto dal piano concordatario o dall’accordo di ristrutturazione, dunque:
a) delle sopravvenienze attive determinate dalla riduzione dei debiti (falcidia);
b) dell’eventuale maggior valore di realizzo dei beni sociali, di cui è prevista la vendita per soddisfare i creditori, rispetto a quello contabile;
c) dell’eventuale previsione che contempli il pagamento di una percentuale di determinate passività con utili futuri prodotti dalla società;
d) di ogni altro eventuale accordo idoneo a modificare la situazione patrimoniale e finanziaria della società.
All’assemblea chiamata a deliberare sulle perdite dovrà comunque essere sotto-posta la situazione patrimoniale di cui agli artt. 2446 o 2482 bis c.c., la quale, do-vendo rappresentare in maniera veritiera e corretta la situazione patrimoniale e finanziaria della società tenendo conto degli effetti del piano concordatario o dell’accordo di ristrutturazione, dovrà essere redatta, ai sensi dell’art. 2423, comma 4, c.c., derogando alle disposizioni di legge sul bilancio incompatibili con tale rappresentazione veritiera (potranno, ad esempio, essere operate rivaluta-zioni o create nuove poste rappresentanti specifici effetti del piano).
Dell’eventuale deroga e della sua influenza sulla rappresentazione della situa-zione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico si dovrà dare motiva-zione e conto nella relazione degli amministratori (o nella nota integrativa, se predisposta - vedi orientamenti H.G.26 e I.G. 40).
Motivazione
L’orientamento in oggetto affronta il problema della corretta deter-minazione del patrimonio netto contabile di una società che abbia visto omologata la propria domanda di concordato preventivo in continuità, o il proprio accordo di ristrutturazione dei debiti ex art 182 bis legge fall., ma che non abbia ancora eseguito il relativo piano.
Tale determinazione è di particolare importanza, posto che l’art. 182 sexies legge fall. (introdotto dall’art. 33 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83) dispone che successivamente all’omologa di uno dei suddetti piani tor-nano a trovare piena applicazione gli articoli del codice civile posti a tu-tela dell’integrità del capitale sociale, con la conseguenza che ove venis-sero riscontrate perdite di capitale rilevanti la società dovrebbe adottare gli opportuni provvedimenti di ricapitalizzazione o trasformazione, pe-na il suo scioglimento.
Nella fase in cui una società non ha ancora eseguito un piano di ri-strutturazione dei debiti omologato (sia esso un concordato o un accor-do ex art. 182 bis legge fall.) non è però semplice determinare quale sia il suo patrimonio netto contabile civilisticamente rilevante, posto che le regole legali sulla redazione del bilancio mal si prestano a rappresentare in maniera veritiera e corretta la reale situazione patrimoniale e finan-ziaria di una società che si trovi in tale fase.
Non può comunque sussistere alcun dubbio sulla circostanza che nel predisporre la situazione patrimoniale di una società che abbia visto omologato un piano di ristrutturazione dei debiti è necessario tenere conto anche degli effetti legali del piano.
Per quanto riguarda i debiti, l’omologa del piano incide immediata-mente sulla loro riduzione, poiché chiude la procedura e rende esecutivo l’accordo, vincolando i creditori. La circostanza che il piano omologato possa essere risolto in ipotesi di inadempimento del debitore o per im-possibilità sopravvenute non incide sulla immediatezza dei suoi effetti, che comunque si producono.
È dunque necessario, nella predisposizione della situazione patrimo-niale, tener conto della sopravvenienza attiva determinata dalla falcidia prevista dal piano, al fine di rappresentare in maniera veritiera e corret-ta la reale esposizione debitoria che si è venuta a determinare dopo l’omologa.
A tale conclusione era arrivata anche la giurisprudenza anteriore all’introduzione dell’art. 182 sexies nella legge fallimentare. Il Tribunale di Ancona, sezione II, in una sentenza del 12 aprile 2012, ha avuto mo-do di affermare che “la riduzione dell’ammontare dei debiti per effetto della ristrutturazione proposta a seguito dell’omologa del concordato è suscettibile di determinare una sopravvenienza attiva nel patrimonio so-ciale necessariamente destinata ad essere utilizzata per abbattere la per-dita maturata prima dell’ingresso della società in procedura, e può esse-re idonea alla ricostruzione del capitale”.
Che quanto affermato dal Tribunale di Ancona sia condivisibile è dimostrato anche dalla circostanza che, se fosse vero il contrario, l’omologa del piano determinerebbe di regola la sua impossibile esecu-zione, posto che imporrebbe l’obbligo di impiegare risorse finanziarie maggiori rispetto a quelle previste nell’accordo di risanamento. Una tale conclusione appare talmente paradossale da smentirsi da sola.
Accade poi di frequente che il piano di ristrutturazione preveda il pagamento di determinati debiti con il ricavato della vendita di beni so-ciali.
Di regola, la previsione sul prezzo di vendita contenuta nel piano è particolarmente attendibile, in quanto è verificata sia dal professionista attestatore (tanto nel concordato quanto nell’accordo di ristrutturazio-ne) che dal commissario giudiziale (ex art. 172 legge fall. in caso di con-cordato preventivo), è accettata dai creditori ed è omologata dal tribu-nale. Per rappresentare, dunque, in maniera corretta tale vicenda nella situazione patrimoniale della società, i beni destinati ad essere alienati per estinguere determinate passività dovrebbero essere iscritti allo stesso valore di queste ultime.
Nel caso concreto ciò potrebbe risultare in contrasto con la regola del costo contenuta nell’art. 2426 c.c.. Si pensi all’ipotesi di una società che abbia riscattato un bene da un leasing e che per tale motivo lo abbia iscritto in bilancio ad un valore sensibilmente inferiore a quello di mer-cato.
Verificandosi tale ipotesi, sarà dunque necessario procedere ad una rivalutazione del bene al fine di impedire che dalla situazione patrimo-niale risulti uno squilibrio tra passività e attività non corrispondente al vero.
La rivalutazione, essendo giustificata da un evento eccezionale e ti-pico, quale l’omologa da parte del tribunale di un piano di ristruttura-zione dei debiti, appare conforme al disposto dell’art 2423, comma 4, c.c., secondo il quale quando, in casi eccezionali, l’applicazione di una disposizione di legge sulla redazione del bilancio è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata.
Talvolta può anche accadere che nel piano sia previsto il pagamento di una percentuale di debiti con utili futuri.
Gli accordi sul punto sono di due tipi. Un primo, di certa legittimità, prevede l’impegno a pagare una determinata percentuale di debiti con gli utili che matureranno nella prosecuzione dell’attività di impresa, fal-cidiando la residua parte, con la conseguenza che se non verranno con-seguiti utili sufficienti a pagare detti debiti si verificherà l’inadempimento del piano e la conseguente sua risoluzione. Un secon-do, la cui legittimità non è del tutto pacifica, subordina il pagamento di una determinata percentuale di debiti all’effettivo raggiungimento di uti-li futuri, per cui, in ipotesi di mancato conseguimento di tali utili, i debi-ti residui saranno comunque estinti.
Gli esposti accordi sono di difficile rappresentazione in una situazio-ne patrimoniale redatta nel rispetto delle norme codicistiche sul bilan-cio, in quanto gli utili sperati non sono valorizzabili in alcun modo, sal-vo qualificarli impropriamente come “avviamento” (il quale a sua volta è iscrivibile in bilancio solo se acquistato a titolo oneroso), mentre i de-biti che si estinguono in caso di mancato conseguimento di utili futuri, essendo una categoria ipotizzabile solo nelle procedura di ristruttura-zione dei debiti, non sono presi in considerazione da nessuna norma contabile.
Si deve quindi ritenere che anche in questo caso sia necessario “for-zare” il sistema, derogando a quelle disposizioni di legge che siano in contrasto con una rappresentazione veritiera e corretta della realtà.
Pertanto, qualora il piano preveda che determinati debiti verranno pagati solo se si produrranno utili futuri, detti debiti dovranno essere stralciati dalla situazione patrimoniale attuale, in quanto non gravano sul patrimonio immediato della società: se gli utili futuri non verranno conseguiti detti debiti saranno comunque estinti.
Qualora, invece, sia garantito il pagamento di una determinata per-centuale di passività con utili futuri il cui conseguimento è “certificato” nel piano, pena la risoluzione della procedura, detta percentuale di pas-sività non potrà essere stralciata dalla situazione patrimoniale, in quan-to rimane attuale, ma dovrà essere controbilanciata con l’inserimento di una specifica posta dell’attivo che evidenzi l’utile atteso, una sorta di “avviamento da piano di ristrutturazione”.
In conclusione, si ritiene che i bilanci e le situazioni patrimoniali di una società ammessa ad una procedura di concordato preventivo in continuità o ad un accordo di ristrutturazione dei debiti debbano essere redatti in modo da rappresentare in maniera chiara, veritiera e corretta gli effetti del piano omologato sul patrimonio della società, derogando, ove necessario, alle disposizioni di legge con ciò incompatibili ai sensi dell’art. 2423, comma 4, c.c., rendendo in tal modo possibile la corretta applicazione delle norme codicistiche che tutelano l’integrità del capita-le sociale.
P.B.2 – (DETERMINAZIONE DEL TERMINE DI SCADENZA DEGLI EFFETTI DELL’ART. 182 SEXSIES LEGGE FALL. NEL CASO DI MANCATA OMOLOGA – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15)
L’art. 182 sexies legge fall. dispone che alle società che domandano l’ammissione al concordato preventivo o l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti non si applicano, dalla data della domanda e fino all’omologazione, le di-sposizioni sulla tutela dell’integrità del capitale sociale dettate dagli artt. 2446, commi 2 e 3; 2447; 2482 bis, commi 4, 5 e 6; 2482 ter e 2484, n. 4, c.c.
Può tuttavia accadere che ad una di dette domande non segua l’omologa a cau-sa dell’inammissibilità della proposta (artt. 161, comma 9, e 162 legge fall.), della sua revoca (art. 173 legge fall.) o del suo rigetto (art. 180 legge fall.). In tali ipote-si si ritiene che l’effetto protettivo previsto dall’art. 182 sexies legge fall. cessi dalla data di emanazione di uno dei suddetti provvedimenti di chiusura del pro-cedimento.
Motivazione
L’articolo 182 sexies legge fall., introdotto dall’art 33 del D.L. 22 giu-gno 2012, n. 83, dispone la sospensione delle norme a tutela dell’integrità del capitale sociale dalla data di deposito della domanda per l’ammissione al concordato preventivo o per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e fino all’emanazione del provvedimento di omologazione, senz’altro aggiungere.
Si pone quindi problema di comprendere cosa accade nell’ipotesi in cui alla domanda di ammissione ad una di dette procedure non segua l’omologa.
La disposizione sulla sospensione è volta, con tutta evidenza, a favo-rire il perfezionamento di accordi che consentano di impedire la defini-tiva liquidazione delle aziende in stato di crisi, al fine di preservarne il valore sociale (occupazione, redditività, indotto, organizzazione, ecc.).
Non sarebbe, infatti, possibile omologare con successo un piano di ristrutturazione dei debiti nell’ipotesi in cui, nelle more della verifica della sua fattibilità, la società fosse costretta ad accertare il proprio scioglimento.
Conclusa la valutazione della domanda da parte del tribunale, posi-tivamente o negativamente, viene meno l’esigenza di tutela sottostante alla sospensione, in quanto, se la procedura si conclude con esito positi-vo, si produce la falcidia dei debiti e, dunque, la fisiologica prosecuzio-ne dell’impresa (vedi orientamento P.B.1), se, invece, si conclude con esito negativo, non vi è più motivo di impedire lo scioglimento della so-cietà.
Per tale motivo si deve ritenere che la definitiva conclusione della procedura di omologazione di una domanda di concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti, qualunque ne sia l’esito, produca la cessazione degli effetti sospensivi previsti dall’art 182 sexies legge fall.
P.B.3 - (ADOZIONE DELLA DECISIONE DI SCIOGLIMENTO DURANTE IL PROCEDI-MENTO DI ACCESSO AD UNO STRUMENTO DI REGOLAZIONE DELLA CRISI - 1° pubbl. 10/23 – motivato 10/23)
Si ritiene legittima l’adozione da parte dei soci della decisione di scioglimento anticipato della società e nomina dei liquidatori anche in pendenza del proce-dimento di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza, ossia nel periodo che decorre dalla data di iscrizione della relativa decisione e che termina con l’omologazione o il rigetto della domanda.
Il disposto dell’art. 120-bis, comma 4, C.C.I.I., nella parte in cui consente la revo-ca degli amministratori solo per giusta causa durante il suddetto periodo, appa-re infatti volto ad impedire ai soci di ostacolare il perfezionamento del procedi-mento di omologa dello strumento di risoluzione della crisi adottato dagli am-ministratori di una società operativa che intende proseguire la propria attività e non anche ad inibire ai suoi soci di porre fine anticipatamente a detta attività ai sensi dell’art. 2484, comma 1, n. 6), o dell’art. 2272, n.3), c.c..
Motivazione
L’orientamento in commento affronta una delle questioni più delica-te poste dal C.C.I.I., ossia quali siano i poteri dei soci in pendenza del procedimento di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza.
Le disposizioni del C.C.I.I. che assumono rilevo sono quelle in esso introdotte con il D.Lgs. n. 83/2022 e contenute negli artt.:
- 120-bis, comma 1, con la quale è attribuito in via esclusiva agli am-ministratori il potere di decidere l’accesso ad uno strumento di regola-zione della crisi e dell’insolvenza, senza alcuna possibilità per i soci di impedire l’adozione di tale decisione;
- 120-bis, comma 2, ove si dispone che il piano deciso in via esclusiva dagli amministratori può prevedere qualsiasi modificazione dello statu-to della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale an-che con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modifica-zioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni. Dette operazioni straordina-rie non sono poi deliberate dall’assemblea dei soci ma sono “determina-te” dal tribunale con il provvedimento di omologa o sono “poste in es-sere” successivamente dagli amministratori senza il concorso dei soci (art. 120-quinquies, comma 1);
- 120-ter che consente la collocazione dei soci in “classi” alle quali è attribuito il voto nelle forme e nei termini previsti per l’espressione del voto da parte dei creditori;
- 120-bis, comma 4, che prevede l’inefficacia della revoca degli am-ministratori adottata dai soci in assenza di una giusta causa durante la fase di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza.
Dette disposizioni sono state introdotte nel C.C.I.I. per dare esecu-zione all’art. 12 della Direttiva (UE) 2019/2023, nella parte in cui pre-vede che «gli Stati membri provvedono affinché ai detentori di strumenti di capi-tale non sia consentito di impedire o ostacolare irragionevolmente l'adozione e l'omologazione di un piano di ristrutturazione», ma per come sono formulate nel loro complesso potrebbero far ritenere che abbiano una portata più ampia di quella voluta dalla Direttiva e che di fatto dispongano una sor-ta di “esproprio” della società in crisi in danno dei suoi soci, che dun-que ne perdono il controllo, e a vantaggio dei sui creditori, degli stake-holders e del sistema economico in generale con il conseguente obbligo per gli amministratori di gestirla nell’esclusivo interesse di questi ultimi.
Una tale conclusione non sembra però condivisibile.
Le disposizioni contenute negli artt. 120-bis e ss. del C.C.I.I. sono in-fatti state dettate al solo scopo di impedire ai soci di ostacolare la ri-strutturazione della società che intende proseguire la propria attività se-condo un piano da loro non condiviso o per il quale mostrino disinte-resse e non anche con l’intento di privarli del potere di disporre del con-tratto sociale ove ciò non sia "irragionevole", per usare l'espressione del-la Direttiva, e sia volto a perseguire un interesse legittimo.
Sul punto la Relazione al D.Lgs. n. 83/2022 è esplicita precisando che «con l’articolo 120-bis si disciplina l’accesso agli strumenti di regola-zione della crisi e dell’insolvenza chiarendo che l’avvio della ristruttura-zione, e la determinazione del contenuto del piano, costituiscono esecu-zione degli obblighi di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attua-zione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamen-to della crisi e il recupero della continuità aziendale, previsti dall’articolo 2086, secondo comma, del codice civile. È dunque soppres-sa la possibilità di deroghe statutarie alla competenza degli amministra-tori […]. I commi 3 e 4 introducono disposizioni che impediscono ai soci, che potrebbero non avere più un interesse nella società, di ostaco-lare la ristrutturazione o anche solo una delle sue fasi. Per questa ragio-ne si è previsto che i soci, pur mantenendo un diritto di informativa sull’avvio e sull’andamento della ristrutturazione, non possano revocare gli amministratori senza giusta causa […] e che non è considerata giusta causa la presentazione della domanda di accesso allo strumento di rego-lazione della crisi e dell’insolvenza in presenza delle condizioni di leg-ge».
In sostanza la disciplina contenuta negli artt. 120-bis e ss. è volta esclusivamente a garantire agli amministratori, cui è attribuita la com-petenza esclusiva in materia ai sensi dell’art. 2086 c.c., di poter predi-sporre ed eseguire il piano di risanamento anche contro la volontà dei soci o in caso di loro inerzia per mancanza di interesse.
In assenza delle disposizioni in commento i soci contrari al piano e che intendano proseguire l’attività sociale avrebbero infatti il potere di revocare gli amministratori sostituendoli con altri inclini ad assecondare le loro indicazioni sulla ristrutturazione, mente quelli non interessati al piano potrebbero disertare l’assemblea chiamata a deliberare le opera-zioni straordinarie in esso previste.
Tali esigenze non sono peraltro nuove, già nella previgente Legge Fallimentare era stata prevista la possibilità di dar corso ad un aumento di capitale di una società in crisi senza il consenso dei suoi soci nell’ipotesi in cui il piano fosse stato proposto dai creditori (art. 185, ul-timo comma, L.F.).
La Legge Fallimentare prevedeva un “rimedio” all’inerzia dei soci nell’adottare un operazione straordinaria a servizio di un piano concor-datario solo nell’ipotesi in cui lo stesso fosse di provenienza esterna, os-sia dei creditori, poiché si riteneva che nell’ipotesi opposta, quella cioè in cui fosse stato di provenienza interna, ossia deciso dall’organo gesto-rio espresso dai soci, il rischio di inerzia o di mancata cooperazione da parte di questi ultimi fosse trascurabile se non del tutto inesistente.
È inoltre da considerare che la suddetta disciplina era stata introdot-ta nella Legge fallimentare unitamente a quella sulle offerte concorrenti (operata con il D.L. n. 83/2015) ed è dunque fisiologico che sia stata ri-ferita solo a queste ultime.
Con la revisione integrale della materia operata con il C.C.I.I. si è quindi provveduto ad armonizzare e rendere omogeneo il sistema pre-vedendo appunto che tutte le operazioni straordinarie previste dal piano non richiedono la collaborazione dei soci.
Per adeguarsi alla previsione generale contenuta nell’art. 12 della di-rettiva (UE) 2019/1023, è stata poi aggiunta la previsione contenuta nell’art. 120-bis, comma 4, secondo la quale dalla iscrizione della deci-sione di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza nel registro delle imprese e fino alla omologazione, la revoca degli amministratori è inefficace se non ricorre una giusta causa.
Per tutelare i soci da eventuali comportamenti pregiudizievoli dei lo-ro diritti da parte degli amministratori è stato infine attribuito ad una loro percentuale che rappresenti almeno il 10% del capitale sociale il di-ritto di presentare proposte concorrenti (art. 120-bis, comma 5, C.C.I.I.).
Le disposizioni in commento hanno quindi una portata specifica e non di sistema, non sono volte a sottrarre ai soci la loro società ma molto più banalmente a limitare il rischio di mancata esecuzione del piano per contrarietà o disinteresse di questi ultimi.
Le stesse si occupano inoltre della sola ipotesi in cui siano coinvolte società operative dotate di un organo amministrativo che abbia l’obbligo di recuperare la continuità aziendale.
Gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza offerti dal C.C.I.I. non sono però riservati alle sole società operative ben potendo essere adottati anche da società in scioglimento prive di continuità aziendale e di un organo amministrativo, anzi dalle prime esperienze applicative del nuovo C.C.I.I. risulta che siano proprio le società in li-quidazione quelle che maggiormente ricorrono a tali strumenti, con fini evidentemente liquidatori e non di recupero della continuità aziendale.
Nell’orientamento in commento si è quindi ritenuto di affermare che i soci di una società attiva i cui amministratori abbiano adottato la deci-sione di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza conservano il diritto di disporre del contratto sociale per quanto non espressamente ed eccezionalmente loro inibito dalle dispo-sizioni speciali contenute nel C.C.I.I. e dunque anche quello di delibera-re lo scioglimento della società e di nominarne i liquidatori, facendo ve-nir meno in tal modo l’obbligo delle ricerca della continuità aziendale.
Se tale conclusione non fosse corretta si dovrebbe affermare che il C.C.I.I. ha introdotto nell’ordinamento l’obbligo per i soci di società in crisi, comprese quelle di persone a cui espressamente si applica, di pro-seguire l’attività economica intrapresa anche contro la loro volontà, af-fermazione evidentemente insostenibile perché contraria ai principi dell’ordinamento, in particolare a quelli costituzionali sulle libertà indi-viduali e delle attività economiche private.