U.A. – IMPRESA SOCIALE > Impresa sociale
U.A.1 – (IMPRESA SOCIALE: GERARCHIA DELLE FONTI E CRITERI DI APPLICAZIONE – 1° pubbl. 9/21– motivato 9/21)
Le norme applicabili agli Enti che vogliono costituirsi o trasformarsi in Imprese Sociali devono essere individuate rispettando rigorosamente la gerarchia delle fonti richiamate dall’art. 1, comma 5 del D.Lgs. 112/2017 (Revisione della disciplina delle imprese sociali).
Tale norma dispone: “Alle imprese sociali si applicano, in quanto compatibili con le disposizioni del presente Decreto, le norme del Codice del Terzo Settore (D.Lgs. 117/2017) e, in mancanza e per gli aspetti non disciplinati, le norme del codice civile e le relative disposizioni di attuazione concernenti la forma giuridica in cui l’impresa sociale è costituita”.
Quindi si applicheranno anzitutto le norme del D.Lgs. 112/2017; successivamente, ed in via integrativa, le norme del D.Lgs. 117/2017 (c.d. CTS) e, solo in mancanza di norme specifiche e per gli aspetti non disciplinati nei primi due Decreti, le norme del codice civile e delle disposizioni di attuazione concernenti la forma giuridica in cui l’impresa sociale è costituita.
L’art. 1, comma 5 del D.Lgs. 112/2017, inoltre, prevede che l’individuazione delle norme integrative applicabili (diverse da quelle del Decreto) venga attuata con il vaglio del criterio di “compatibilità”, che, quindi, impone una valutazione attenta e critica delle norme richiamate, comparandone la “coerenza” tra la loro ratio nell’ambito originario e le conseguenze dell’applicazione nel diverso ambiente delle Imprese Sociali.
Motivazione
Il rigoroso rispetto della gerarchia delle fonti indicate dalla legge nell’applicazione della rilevante disciplina è reso necessario dalla duplicità di fonti (D.Lgs. 112/2017 e D.Lgs. 117/2017) che, insieme, regolano il Terzo Settore e dalla variegata differenziazione degli enti che vi possono gravitare: si spazia, infatti, dalla associazione non riconosciuta, alle cooperative, agli Enti Ecclesiastici, passando per tutti gli enti intermedi.
Per la stessa ragione si è reso indispensabile richiamare in modo netto il vaglio di compatibilità, come posto in rilievo, oltre che dalla norma sopra richiamata, anche più chiaramente dall’art. 3 del D.Lgs. 117/2017 (CTS), Intitolato “Norme applicabili” che dispone:
“1. Le disposizioni del presente Codice si applicano, ove non derogate ed in quanto compatibili, anche alle categorie di enti del terzo settore che hanno una disciplina particolare.
2. Per quanto non previsto dal presente Codice, agli Enti del Terzo settore si applicano, in quanto compatibili, le norme del codice civile e le relative disposizioni di attuazione...”
Il notaio, nel predisporre gli “statuti” (in senso atecnico) degli enti – in particolare, per quanto qui viene in rilievo, delle Imprese Sociali – deve prestare particolare attenzione sia nell’individuare la norma di settore applicabile, sia nell’attuare un ragionevole vaglio di compatibilità, che per la verità non è sempre facile applicare, per la formulazione a volte non precisissima delle norme.
Per un immediato esempio, l’individuazione delle attività di interesse generale che possono essere esercitate dalle Imprese Sociali sono disciplinate esclusivamente dall’art. 2 del D.Lgs. 112/2017 (simile, ma non identico, all’art. 5 del D.Lgs. 117/2017).
U.A.2 – (IMPRESA SOCIALE: DENOMINAZIONE - RAGIONE SOCIALE – 1° pubbl. 9/21 – motivato 9/21)
La denominazione o la ragione sociale di una società commerciale o di una società cooperativa non sociale che si assoggetti alla disciplina dell’impresa sociale deve contenere tanto l’indicazione di “impresa sociale” quanto le indicazioni prescritte per il tipo di società nella quale l’impresa è costituita (“s.n.c. con il nome di uno o più soci”, “s.a.s. con il nome di almeno uno dei soci accomandatari”, “s.p.a.”, “s.a.p.a. con il nome di almeno uno dei soci accomandatari”, “s.r.l.”, o “società cooperativa”).
Poiché la L. 381/1991 deve considerarsi lex specialis rispetto al D.Lgs. 112/2017, nella denominazione delle cooperative sociali e dei loro consorzi, che acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali, l’unica indicazione necessaria è la locuzione di “cooperativa sociale”.
Essendo l’impresa sociale anche un Ente del Terzo Settore, la sua denominazione o ragione sociale può contenere anche l’indicazione “Ente del Terzo Settore” o l’acronimo “ETS”: ma tale circostanza è una possibilità, non un obbligo.
Motivazione
L’articolo 1, comma 5, del D.Lgs. 112/2017 individua, tra le fonti di disciplina delle imprese sociali ulteriori rispetto al D.lgs. 112/2017, le norme del codice del Terzo settore (D.Lgs. 117/2017) “in quanto compatibili ..... e, in mancanza e per gli aspetti non disciplinati, le norme del codice civile e le relative disposizioni di attuazione concernenti la forma giuridica in cui l’impresa sociale è costituita.”.
Con riguardo alla ragione sociale o denominazione dell’impresa sociale costituita in forma di società commerciale o di cooperativa non sociale vengono pertanto in considerazione:
- anzitutto l’art. 6 del D.Lgs. 112/2017 secondo cui, fatta eccezione per gli enti religiosi civilmente riconosciuti, “La denominazione o ragione sociale, in qualunque modo formate, devono contenere l’indicazione di «impresa sociale».”;
- in quanto compatibile l’art. 12 del D.Lgs. 117/2017 secondo cui, fatta eccezione per gli enti religiosi civilmente riconosciuti, “La denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l’indicazione di ente del Terzo settore o l’acronimo ETS. ..... L’indicazione di ente del Terzo settore o dell’acronimo ETS, ovvero di parole o locuzioni equivalenti o ingannevoli, non può essere usata da soggetti diversi dagli enti del Terzo settore.”;
- in mancanza e per gli aspetti non disciplinati gli artt. 2292, 2314, 2326, 2453, 2463, comma 2, n. 2) e 2515 del codice civile per i quali la ragione sociale o la denominazione delle società commerciali devono contenere:
. nelle società in nome collettivo il nome di uno o più soci con l’indicazione di s.n.c.;
. nelle società in accomandita semplice il nome di almeno uno dei soci accomandatari con l’indicazione di s.a.s.;
. nelle società per azioni l’indicazione di s.p.a.;
. nelle società in accomandita per azioni il nome di almeno uno dei soci accomandatari con l’indicazione di s.a.p.a.;
. nelle società a responsabilità limitata l’indicazione di s.r.l., con precisazione che la rigidità del modello standard tipizzato dell’atto costitutivo delle s.r.l. semplificate sembra incompatibile con la disciplina dell’impresa sociale prevista dal D.Lgs. 112/2017;
. nelle società cooperative non sociali l’indicazione di “società cooperativa”.
Il D.Lgs. 112/2017 non contiene la disciplina propria del tipo di società in cui l’impresa sociale è costituita, facendo rinvio alle relative norme del codice civile. Si deve ritenere che le sopra ricordate norme su ragione sociale e denominazione costituiscano parte integrante della disciplina del tipo societario cui sono riferite. Pertanto la specifica disciplina relativa alla ragione sociale o alla denominazione del tipo di società nella quale l’impresa è costituita debbono essere direttamente applicate anche all’impresa sociale. Consegue che la denominazione o la ragione sociale di una società commerciale che si assoggetti alla disciplina dell’impresa sociale deve contenere non solo l’indicazione di impresa sociale, ma anche le indicazioni previste per la ragione sociale o la denominazione del tipo di società da cui è disciplinata.
A diverse conclusioni si deve giungere per l’indicazione di ente del Terzo settore o dell’acronimo ETS. Fatta eccezione per la normativa concernente la forma giuridica in cui l’impresa sociale è costituita, il D.Lgs. 112/2017 disciplina compiutamente l’impresa sociale. Il codice del Terzo settore in questa materia risulta invece disciplina meramente residuale da applicare solo in quanto compatibile. Consegue che all’impresa sociale non sembra estensibile l’obbligo di inserire nella denominazione l’indicazione di ente del Terzo settore o l’acronimo ETS, in quanto assorbito dalla necessità di “indicazione di «impresa sociale»“ previsto dall’art. 6 del D.Lgs. 112/2017. Tuttavia ai sensi dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 117/2017 “Sono enti del Terzo settore .... le imprese sociali .....” e pertanto alle stesse non si applica il divieto di utilizzo dell’indicazione di ente del Terzo settore o dell’acronimo ETS. Consegue che la denominazione o ragione sociale dell’impresa sociale può contenere anche l’indicazione “Ente del terzo Settore” o l’acronimo “ETS”: tuttavia tale circostanza è una possibilità, non un obbligo.
Infine con riguardo alle cooperative sociali e ai loro consorzi:
. l’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 112/2017 stabilisce che “acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali”;
. l’art. 1, comma 3 della suddetta L. 381/1991 stabilisce che “La denominazione sociale, comunque formata, deve contenere l’indicazione di “cooperativa sociale”.”.
Da una lettura sistematica delle due norme di riferimento si evince che la L. 381/1991 deve considerarsi lex specialis rispetto al D.Lgs. 112/2017: infatti tale ultima normativa, pur essendo cronologicamente posteriore rispetto alla prima, sembra porre il suo ambito di applicazione ristretto ai casi in cui non trova applicazione la norma più specifica, ponendosi con essa in un rapporto di regola ed eccezione (con esclusione di quei punti specifici in cui la L. 381/1991 è stata espressamente modificata dal D.Lgs. 112/2017).
In base al criterio di specialità la fonte di disciplina delle cooperative sociali è anzitutto la L. 381/1991, mentre la disciplina generale dell’impresa sociale vede il suo ambito di applicazione ristretto ai casi in cui non trova applicazione la norma più specifica.
Consegue che alle cooperative sociali non sembra estensibile l’obbligo di inserire nella denominazione l’indicazione di “impresa sociale” previsto dall’art. 6 del D.Lgs. 112/2017. Tuttavia, poiché ai sensi dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 112/2017 le cooperative sociali “acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali”“, alle stesse non si applica il divieto di utilizzo dell’indicazione di “impresa sociale”.
U.A.3 – (MODIFICA DELL’ATTO COSTITUTIVO PER ACQUISIRE LA QUALIFICA DI IMPRESA SOCIALE – 1° pubbl. 9/21 – motivato 9/21)
L’adeguamento dell’atto costitutivo di una società lucrativa (sia di persone, che di capitali) allo schema organizzativo e funzionale dell’impresa sociale di cui al D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 112:
a) deve in ogni caso (anche per le società di persone) rivestire la forma dell’atto pubblico ai sensi dell’art. 5 del suddetto D.Lgs.;
b) costituisce un vero e proprio atto di trasformazione eterogenea, ancorché atipica, in quanto, pur in mancanza di una modificazione tipologica della società che assoggetta il proprio atto costitutivo alla disciplina dell’impresa sociale, l’assunzione della qualifica di impresa sociale comporta una modifica alla causa (intesa come scopo del contratto sociale), che da lucrativa viene mutata in sociale, e soprattutto comporta una modifica alla propria normativa di riferimento;
c) ha effetto dopo 60 (sessanta) giorni dall’iscrizione delle modificazioni dell’atto costitutivo nel Registro delle Imprese, salvo che consti il consenso dei creditori o il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso (art. 2500-novies c.c.) e solo successivamente al decorso di tale termine la società potrà essere iscritta nell’apposita sezione del Registro delle Imprese dedicata alle imprese sociali.
Motivazione
Per l’art. 1 del D.Lgs. 112/2017 l’impresa sociale può essere svolta da tutti gli “enti privati e da tutti i tipi di società disciplinati dal libro V del codice civile, che esercitano in via stabile principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività” (art. 1, comma 1). Le “attività d’impresa di interesse generale” sono elencate nell’art. 2 del citato decreto legislativo.
L’impresa sociale deve, in linea generale, essere svolta senza scopo di lucro e cioè con un fine diverso dalla ripartizione di un ricavato economico, anche se il terzo comma dell’art. 3 del D.Lgs. 112/2017 stabilisce che l’impresa sociale può, per i fini e con le modalità tassativamente indicate, utilizzare “una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili e degli avanzi di gestione annuali”.
L’impresa sociale, pertanto, si caratterizza non solo per il suo “scopo sociale” ma soprattutto per la sua disciplina specifica, che impone il tipo di attività da svolgere, l’indicazione di “impresa sociale” nella denominazione o ragione sociale, la forma e le modalità di costituzione, e, più in generale, una determinata regolamentazione, sia organizzativa che strutturale.
Infatti, se è vero che il legislatore consente di utilizzare parte degli utili anche nell’impresa sociale, la differenza tra una società che persegue il “lucro soggettivo” e una società “impresa sociale”, non è solo nella causa, ma è anche e soprattutto nella disciplina applicabile.
Pertanto la modifica dell’atto costitutivo di una società lucrativa che assume la qualifica di impresa sociale incide sulla struttura dell’ente sotto un duplice profilo:
- causale: la causa da “lucrativa” diviene “sociale”, per via delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale imposte dal D.Lgs. 112/2017;
- normativo: l’ente trasformato trova disciplina anzitutto nella specifica normativa di settore (contenuta nel D.Lgs. 112/2017) e solo “in mancanza e per gli aspetti non disciplinati” nel libro quinto del codice civile.
Consegue che esiste impresa sociale solo in quanto ne sia rispettata l’intera disciplina e non soltanto lo “scopo sociale”.
In altri termini, caratterizza l’impresa sociale non solo e non tanto lo “scopo sociale” (che potrebbe essere perseguito anche da altri tipi di ente), ma soprattutto la circostanza che la società o l’ente si disciplini in conformità al D.Lgs. 112/2017.
La società che decide di assoggettarsi alla disciplina dell’impresa sociale non muta la sua struttura tipologica (che rimane pur sempre quella tipizzata dal libro V del c.c.) ma modifica il proprio scopo sociale e la propria normativa di riferimento.
La modifica avviene nel rispetto del principio di continuità: l’esistenza del medesimo soggetto non viene messa in discussione; v’è permanenza di un complesso di beni funzionalmente organizzati per lo svolgimento di un’attività d’impresa (sociale in luogo di lucrativa).
A tale fattispecie, che non viene espressamente disciplinata da alcuna norma (né del codice civile, né del citato decreto legislativo), appare opportuno applicare in via estensiva le norme dettate in materia di trasformazione eterogenea in quanto, ancorché non muti il tipo di società, ne viene modificata la causa e l’intera disciplina applicabile.
Al riguardo si può osservare che la disciplina della trasformazione eterogenea è stata introdotta con la riforma del diritto societario del 2003; mentre l’impresa sociale è figura giuridica temporalmente successiva (del 2005 poi revisionata nel 2017). Appare, quindi, evidente che il legislatore della riforma societaria non ha potuto disciplinare la fattispecie in esame, in quanto la normativa sull’impresa sociale è successiva alla novella societaria. Consegue che si tratta di applicazione estensiva delle norme sulla trasformazione eterogenea, in quanto la modifica della società in impresa sociale non è un caso analogo alla trasformazione, ma integra in sé una trasformazione eterogenea, anche se non espressamente disciplinata dalla riforma societaria.
Infatti, attraverso l’interpretazione estensiva la norma viene applicata anche a quelle “fattispecie che è ragionevole includere nella disciplina pur se il legislatore non vi ha fatto espresso riferimento” (ad esempio perché sotto il profilo temporale alcuni istituti sono successivi rispetto alla norma che si vuole estendere, o perché vi è stato difetto di coordinamento tra differenti normative, o, ancora, perché si è in presenza di una “svista” del legislatore).
L’analogia, invece, ha lo scopo di estendere a fattispecie non espressamente regolate la disciplina prevista per uno o più casi con cui la fattispecie ha una “somiglianza rilevante”. L’art. 12, secondo comma, delle Disposizioni sulla Legge in Generale del Codice Civile stabilisce che in mancanza “di una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe”. Pertanto l’analogia è un procedimento mediante il quale l’interprete, qualora vi sia una lacuna (ovvero quando un caso o una materia non siano espressamente disciplinati), applica le norme previste per casi simili o materie analoghe. L’applicazione dell’analogia non è consentita per le leggi penali ed eccezionali (art. 14 delle Disposizioni sulla Legge in Generale del Codice Civile), che invece ammettono l’interpretazione estensiva.
Sicuramente la disciplina prevista per le trasformazioni eterogenee non rientra tra le leggi penali ed eccezionali che non ammettono l’applicazione analogica. Tuttavia il giudizio di “somiglianza rilevante”, a cui è subordinata l’applicazione analogica della norma, risulta nel nostro caso superfluo in quanto la modifica della società in impresa sociale, come si è detto, non è fattispecie simile o analoga a quelle indicate dall’articolo 2500-septies c.c., ma è “fattispecie che è ragionevole includere nella disciplina” della trasformazione eterogenea, anche se la normativa non vi ha fatto espresso riferimento: pertanto deve essere equiparata a tutte le ipotesi di trasformazione eterogenea testualmente previste, con applicazione estensiva della relativa normativa.
L’art. 2500-septies, comma 1, c.c. qualifica infatti come “eterogenea” la trasformazione di una società di capitali lucrativa in una identica società di capitali consortile, confermando che il mantenimento del modello di origine non esclude la natura eterogenea dell’operazione ove mutino le finalità dell’ente.
Inoltre, va sottolineato che la modifica dell’atto costitutivo che rende la società un’impresa sociale ha un rilievo tale da ingenerare l’esigenza di tutela dei creditori sociali e che anche a garanzia di questi ultimi si deve applicare la normativa sulla trasformazione eterogenea.
Sotto il profilo della tutela dei terzi e più in particolare dei creditori sociali, l’articolo 2500-novies c.c. prevede che la trasformazione eterogenea abbia “effetto dopo sessanta giorni dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari ....., salvo che consti il consenso dei creditori o il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso” attribuendo ai creditori la possibilità di fare opposizione. Infatti i creditori sociali potrebbero avere interesse a non veder modificata la propria aspettativa sulle potenzialità patrimoniali ed economiche della società, che potrebbero subire pregiudizi dall’assunzione da parte della società di una nuova finalità (non più lucrativa) e di una nuova normativa di riferimento.
Quindi, la modifica in esame potrà avere effetto solo dopo che saranno decorsi sessanta giorni dall’iscrizione della modifica nel Registro Imprese (salvo che consti il consenso dei creditori, o salvi gli altri casi previsti dall’art. 2500-novies c.c.).
L’applicazione estensiva delle norme sulla trasformazione, infine, viene incontro anche all’interesse di tutela dei soci sia in ordine al consenso ed alle maggioranze richieste, sia in ordine ai diritti riconosciuti a coloro che non hanno concorso alla decisione. Pertanto alla nostra fattispecie saranno sicuramente estensibili sia la normativa che prevede una maggioranza particolarmente qualificata per le deliberazioni di trasformazione eterogenea (l’art. 2500-sepies, terzo comma, c.c. prescrive che “La deliberazione deve essere assunta con il voto favorevole dei due terzi degli aventi diritto, e comunque con il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata”), sia la normativa che attribuisce il diritto di recesso ai soci non consenzienti.
U.A.4 – (IMPRESA SOCIALE ED ENTI ECCLESIASTICI CIVILMENTE RICONOSCIUTI - 1° pubbl. 9/21 – motivato 9/21)
Nel ricevere, per la successiva pubblicità nel Registro delle Imprese, il Regolamento obbligatorio previsto per la “costituzione di Ramo” Impresa Sociale da parte di Enti Ecclesiastici Civilmente riconosciuti (EECR) che siano cattolici, come consentito dall’art. 1, comma 3, del D.Lgs. 112/2017, il notaio deve tenere conto del fatto che il Regolamento è atto canonico dell’EECR costituente, quindi disciplinato dal diritto canonico universale (CIC) e dal diritto proprio dell’Ente specifico, i cui limiti sono opponibili in ambito civile ai sensi dell’art. 18 della L. 222/1985, attuativa degli Accordi di Revisione del Concordato del 1984 (normativa di rango costituzionale).
Inoltre, nel vagliare la legittimità delle norme regolamentari e, soprattutto, delle norme applicabili del D.Lgs. 112/2017, si deve tener conto – oltre che dell’ordinario criterio di “compatibilità” – che il vaglio deve specificamente essere attuato “in ogni caso nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti”, come espressamente previsto dalla norma richiamata e che a sua volta ripete l’obbligo assunto dallo Stato italiano negli accordi Concordatari.
Oltre alle norme che espressamente il D.Lgs. dichiara non applicabili “agli Enti di cui al comma 3 dell’art. 2 del presente Decreto”, quindi, sarà sempre necessario valutare la compatibilità tra le norme del D.Lgs. 112/17 e le “peculiarità disciplinari” del diritto canonico.
La peculiarità della fattispecie, inoltre, richiede una particolare attenzione nelle modalità di attuazione dell’adempimento presso il Registro Imprese, dato che l’Ente Ecclesiastico è iscritto (esclusivamente) al REA, mentre il deposito del Regolamento deve avvenire presso il Registro delle Imprese.
Motivazione
Il Ramo Impresa Sociale dell’Ente Ecclesiastico Civilmente Riconosciuto è del tutto privo di soggettività giuridica, pur godendo di autonomia patrimoniale come meglio infra precisato, ed è costituito dall’insieme dei beni che l’EECR destina allo svolgimento di attività di interesse generale rientranti nelle previsioni di cui all’art. 1, comma 3, DIS, compatibili con, e conformi al, proprio carisma.
Unico soggetto di riferimento rimane l’Ente Ecclesiastico (Ente religioso della Chiesa Cattolica) come tale disciplinato, per quanto riguarda le proprie strutture e le finalità specifiche e caratterizzanti, dal diritto canonico universale e proprio, come riconosciuto dalla normativa Pattizia Concordataria, a cui si deve fare pieno ed integrale richiamo, in quanto normativa di rango costituzionale (a titolo meramente esemplificativo: Accordi di Revisione dei Patti Lateranensi del 18/2/1984, Protocollo di attuazione del 15/11/1984; legge italiana esecutiva n. 222/1985; Intesa interpretativa della Commissione Paritetica mista Santa Sede – Stato Italiano entrata in vigore il 30/4/1997).
La disciplina del Ramo Impresa Sociale degli E.E.C.R., quindi, sarà in parte derogata sia in virtù di disapplicazione espressa disposta dalla normativa sull’Impresa Sociale, sia in relazione al vaglio di incompatibilità “pattizia” sopra ricordato.
In particolare, ai fini dell’identificazione delle norme espressamente dichiarate inapplicabili, oppure applicabili in misura limitata, per il Ramo Impresa sociale dell’Ente Religioso si consultino, nel Decreto Impresa Sociale (D.Lgs. 112/2017): art. 2, comma 6; art. 5, comma 4; art. 6, comma 2; art. 9, comma 3; art. 11, comma. 5; art. 12, comma 1; art. 12, comma 5; art. 13, comma 2; art. 14, comma 6.
Possono inoltre, probabilmente, considerarsi inapplicabili per incompatibilità implicita gli artt. 1, comma 1, nella parte in cui richiede l’esclusività o la principalità dell’attività svolta; 7 (o comunque solo nei limiti di compatibilità); e 8.
Nel diritto canonico in particolare è rilevante la disciplina per i poteri amministrativi, la legale rappresentanza e la funzione di controllo interno ed esterno di cui le norme concordatarie (tra cui l’art. 18 della Legge 222/1985) e la disciplina del Terzo settore impongono il rispetto.
U.A.5 – (IMPRESA SOCIALE E CONTROLLO DI LEGALITÀ - 1° pubbl.9/21 - motivato 9/21)
Il controllo di legalità e la verifica dei requisiti che consentono l’iscrizione di un’impresa sociale nella apposita sezione speciale del registro delle imprese sono demandati alla competenza esclusiva del notaio che riceve il relativo atto costitutivo, modificativo o la delibera di trasformazione (o autentica il regolamento di cui all’art. 2 del D.Lgs. 112/2017).
Motivazione
L’articolo 5 del D.lgs. 112/2017 dispone che, ai fini del conseguimento della qualifica di Impresa sociale, gli enti privati e le società devono costituirsi per atto pubblico. Tale regola non soffre eccezioni, salvo che per gli enti religiosi civilmente riconosciuti che intendano svolgere, nell’ambito delle proprie funzioni, anche alcune delle attività indicate nell’art. 2 del D.lgs. 112/2017: in tal caso è comunque previsto che gli enti religiosi adottino uno specifico regolamento, per l’esercizio di dette attività, in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata.
La forma pubblica o quella autentica sono richieste dalla legge con il chiaro intento di garantire il rispetto dei profili di interesse generale che stanno alla base della stessa attribuzione della qualifica di Impresa sociale.
È stata quindi demandata al controllo diretto del pubblico ufficiale la verifica dell’esistenza, nel caso concreto, di quegli elementi ritenuti meritevoli di tutela e che rivestono un generale interesse per la collettività, al fine di poter assegnare quella particolare protezione e le correlate agevolazioni riservate dalla legge.
Pertanto sia in fase costitutiva che in occasione di eventuali successivi interventi modificativi dell’assetto organizzativo interno alle Imprese sociali, il notaio sarà tenuto a controllare in modo specifico la sussistenza di tutti i requisiti necessari al conseguimento della qualifica di Impresa sociale ed in particolare che la denominazione contenga la locuzione di “impresa sociale” (tranne che per gli enti religiosi), che le attività indicate nell’oggetto siano quelle previste nel D.lgs. 112/2017, che venga formalizzata espressamente l’assenza dello scopo di lucro, che il rapporto sociale sia disciplinato in maniera non discriminatoria e che sia consentito il ricorso all’assemblea dei soci/associati in caso di diniego all’ammissione o di esclusione di un associato. Dovrà inoltre porsi attenzione al fatto che amministratori e sindaci siano dotati dei requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza e che sia prevista obbligatoriamente la nomina di un organo di controllo. Infine sarà necessario che l’atto costitutivo contenga anche l’indicazione delle modalità di devoluzione del patrimonio, nei casi di trasformazione o di cessazione dell’impresa, in conformità di quanto stabilito nell’art. 13 del D.Lgs. 112/2017.
U.A.6 - (IMPRESE SOCIALI: ATTIVITA’ CHE COSTITUISCONO L’OGGETTO SOCIALE – 1° pubbl. 9/21 - motivato 9/21)
L’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 117/2017 dispone che le Imprese sociali siano considerate Enti del Terzo Settore in quanto ne condividono l’obiettivo diretto al perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, nonché l’assenza dello scopo di lucro.
Le attività che costituiscono l’oggetto principale, per le imprese che intendono conseguire la qualifica “Sociale” e che sono dirette al raggiungimento delle richiamate finalità di interesse generale, sono quelle indicate nell’art. 2 del D.Lgs. 112 del 2017 e non quelle previste nell’art. 5 del D.Lgs. 117 del 2017.
Ne fanno eccezione:
a) le cooperative sociali e loro consorzi per le quali l’attività esercitata deve rientrare fra quelle indicate nella specifica disciplina, finalizzate al perseguimento dell’interesse generale della comunità alla promozione umana ed all’integrazione sociale dei cittadini e che viene attuato attraverso l’offerta di servizi alla persona (se di tipo A) o l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (se di tipo B);
b) le Imprese che, ai fini del perseguimento delle finalità di interesse generale, occupano in misura non inferiore al trenta per cento dei lavoratori impiegati, soggetti aventi le caratteristiche indicate nel comma 4 dell’art. 2 del D.Lgs. 112/2017. Tali categorie riguardano in particolare i “lavoratori molto svantaggiati” individuati in base ai criteri dell’art. 2, n. 99 del Regolamento (UE) n. 651/2014, le “persone svantaggiate o con disabilità” di cui all’art. 112, comma 2, del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, le “persone beneficiarie di protezione Internazionale” secondo quanto previsto nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251 ed infine le “persone senza fissa dimora” versanti in regime di povertà ed iscritte nel registro di cui all’art. 2, comma 4 della L. 24 dicembre 1954, n. 1228. In tutti questi casi l’attività esercitata per il conseguimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, può svolgersi anche al di fuori dall’elenco dell’art. 2, comma 1 del D.Lgs. 112 del 2017 e quindi può riferirsi anche alle attività indicate nell’art. 5 del D.Lgs. 117 del 2017.
Motivazione
L’art. 4 del D.Lgs. 117 del 2017 che disciplina in generale gli Enti che appartengono al Terzo settore, chiarisce che rientrano di diritto in tale ambito anche le Imprese sociali in quanto dirette al “perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale”.
Il successivo art. 5 precisa che gli Enti del Terzo settore, diversi dalle Imprese sociali, devono perseguire le dette finalità, esclusivamente mediante l’esercizio di una o più delle attività fra quelle dettagliatamente elencate nel medesimo art. 5; sono consentite, in via accessoria, anche altre attività, a condizione che ciò sia previsto nell’atto costitutivo o nello statuto e che siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale.
L’elencazione appare vincolante in quanto tali soggetti, per rientrare nel perimetro degli Enti del Terzo settore, devono operare nel rispetto di tale ambito.
Ne fanno eccezione le Imprese sociali, le quali, pur appartenendo al genere del Terzo settore, sono regolate, quanto all’ambito di esercizio delle proprie attività, direttamente dal D.Lgs. n. 112 del 2017.
L’esclusione espressa delle Imprese sociali dall’obbligo di veicolare la propria attività secondo l’elenco contenuto nell’art. 5 del D.Lgs. 117/2017, è giustificato dal fatto che la normativa dettata per gli Enti del terzo settore non ha inteso interferire sulla parallela disciplina tracciata espressamente per le Imprese sociali, per le quali il perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale è attuato con modalità ed indirizzi parzialmente diversi.
In particolare il D.Lgs. n. 112 del 2017 dispone che possono acquisire la qualifica di Impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, purché abbiano i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4 del richiamato decreto.
Ciò che accomuna le Imprese sociali agli Enti del terzo settore, è dunque il medesimo intento di realizzare interessi generali attraverso il perseguimento di “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”.
In relazione alle fonti del diritto applicabile, le regole dettate per le Imprese sociali prevedono che si debbano applicare, in primis, le norme indicate all’interno del medesimo D.Lgs. 112/2017 e, per quanto non espressamente previsto, le norme del codice del Terzo settore se compatibili ed infine, in ulteriore subordine, quelle del codice civile e le relative disposizioni di attuazione concernenti la forma giuridica in cui l’Impresa sociale è costituita.
Ne discende che, per quanto riguarda l’ambito di esercizio delle attività che debbono essere esercitate dalle Imprese che intendono fregiarsi della qualifica “sociale”, occorre guardare anzitutto a quanto previsto nello specifico dall’art. 2 del D.Lgs. 112/2017.
Quest’ultima regola, nel primo comma, fornisce un elenco esaustivo, peraltro passibile di aggiornamento con successivo DPCM, delle attività d’impresa che, se svolte in conformità alle relative norme particolari, appaiono idonee a conseguire quegli interessi generali perseguiti dalla norma.
L’elenco è rigido e tipico e non ammette, quanto alle attività da esercitarsi “in via stabile e principale”, l’inserimento di nuovi settori ad eccezione delle cooperative sociali e loro consorzi e degli altri enti collettivi i quali, pur non svolgendo una delle attività di produzione o scambio di beni o servizi di utilità sociale rientrante nei settori sopra individuati, svolgano attività d’impresa dirette all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati.
Per le cooperative sociali e loro consorzi l’oggetto di attività esercitata è quella definita nell’art. 1, comma 1, della L. 381/1991 e diretta a perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini, alternativamente attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi o lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Per gli altri “enti collettivi” che possono richiedere l’inserimento nella sezione delle Imprese sociali, l’art. 2 comma 4 del D.Lgs. 112/2017 chiarisce che si intende perseguito l’obiettivo di interesse generale diretto a raggiungere le volute finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, anche da parte di quelle imprese in cui sia occupato un numero di persone non inferiore al trenta per cento dei lavoratori, purché si tratti di soggetti rientranti in una delle categorie richiamate nell’orientamento in commento.
In questi casi dunque la finalità di perseguimento dell’interesse generale si intende realizzata in virtù della mera relazione solidaristica posta in essere nello svolgimento dell’attività d’impresa.
L’inserimento nel mondo del lavoro di soggetti svantaggiati o disabili costituisce quindi un obiettivo di politica sociale particolarmente meritorio ed idoneo, nel rispetto degli altri requisiti inderogabili, a dare la connotazione “sociale” all’impresa.
La norma va interpretata nel senso che, per questa tipologia di imprese, l’oggetto sociale, pur diretto a perseguire quegli interessi generali avuti di mira dalla legge, può anche non rientrare nell’elenco operato nel primo comma dell’art. 2, sempreché venga garantito l’inserimento nel modo del lavoro di quei soggetti. E dunque in questi casi l’oggetto sociale perseguito dall’impresa, potrebbe rivolgersi anche ad uno (o più) di quelli indicati nell’art. 5 del D.Lgs. 117/2017 sugli Enti del Terzo Settore.
Va infine ricordato che in ogni caso l’attività di pubblico interesse che costituisce l’oggetto sociale “principale” per tutte le imprese sociali, deve rientrare nei limiti previsti nel terzo comma dell’art. 2 del D.Lgs. 112/2017 e pertanto occorre che i ricavi derivanti all’impresa nell’esercizio di tale attività principale, siano superiori al settanta per cento dei ricavi complessivi dell’impresa sociale.