I.G. SRL - Modifiche dell'atto costutitivo - operazioni sul capitale e operazioni di ripianamento perdite > SRL Modifiche dell'atto costitutivo - operazioni sul capitale e operazioni di ripianamento perdite
I.G.1 - (TERMINE LEGALE DI SOTTOSCRIZIONE DEGLI AUMENTI DI CAPITALE - 1° pubbl. 9/04)
Il termine non inferiore a 30 giorni dal momento in cui viene comunicato ai soci che l’aumento di capitale può essere sottoscritto, termine previsto dall’art. 2481 bis, comma 2, c.c., non può essere ridotto per disposizione statutaria o con deliberazione assembleare adottata a maggioranza. È tuttavia ammesso che tutti i soci della società rinuncino a tale termine di legge in riferimento allo specifico aumento di capitale deliberato.
I.G.2 - (COMUNICAZIONE DEL TERMINE DI SOTTOSCRIVIBILITÀ DEGLI AUMENTI DI CAPITALE - 1° pubbl. 9/04 - modif. 9/06)
L’art. 2481 bis, comma 2, c.c., pone a carico della società l’obbligo di comunica-zione del termine entro il quale il socio può sottoscrivere l’aumento di capitale.
La comunicazione può essere data o mediante invio di avviso al domicilio del so-cio, quale risultante dal libro soci, o direttamente ai soci in assemblea, qualora alla stessa partecipino tutti i soci della società.
Non è consentito, nemmeno a mezzo di previsione statutaria, sostituire la co-municazione ai soci con altre forme di pubblicità quali l’iscrizione della delibera-zione nel registro delle imprese o la trascrizione della stessa nel libro delle deci-sioni dei soci.
I.G.3 - (DELIBERA DI AUMENTO DI CAPITALE IN PRESENZA DI UN PRECEDENTE AUMENTO NON INTEGRALMENTE LIBERATO - 1° pubbl. 9/04 – modif. 9/11 - mo-tivato 9/11)
L’art. 2481, comma 2, c.c., che prevede che la decisione di aumentare il capitale sociale non può essere “attuata” fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti, implicitamente consente che un aumento di capitale possa essere deliberato anche in presenza di un precedente aumento sottoscritto e non integralmente versato.
L’aumento di capitale gratuito, essendo per sua natura incompatibile con un’esecuzione differita, risolvendosi in una mera imputazione contabile, può es-sere deliberato ed attuato anche in presenza di azioni non integralmente libera-te.
Motivazione
Per la motivazione dell’orientamento in oggetto si rinvia a quanto esposto nell’analoga fattispecie in materia di società azionarie sub orien-tamento H.G.2.
A livello sistematico si ritiene infatti che, nonostante la diversità di formulazione normativa adottata nell’art. 2481 c.c. rispetto a quella det-tata in tema di società per azioni all’art. 2438 c.c., non sussistano ragio-ni per addivenire a differenti conclusioni sulla adottabilità di delibere di aumento di capitale in pendenza di conferimenti ancora dovuti, posto che la ratio delle due norme appare identica.
I.G.4 - (OFFERTA DI SOTTOSCRIZIONE AD ALTRI SOCI O A TERZI DELLA PARTE DI AUMENTO DI CAPITALE INOPTATO - 1° pubbl. 9/04)
È possibile che l’assemblea con deliberazione adottata a maggioranza consenta, disciplinandone le modalità, che la parte dell’aumento di capitale non sottoscrit-ta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi, anche in assenza di una previsione in tal senso contenuta nell’atto costitutivo.
I.G.5 - (OFFERTA DI SOTTOSCRIZIONE DI AUMENTI DI CAPITALE A TERZI IN AS-SENZA DI ESPRESSA PREVISIONE STATUTARIA - 1° pubbl. 9/04)
È possibile, ma solo con deliberazione adottata con il voto favorevole di tutti i soci partecipanti alla società, che l’assemblea deliberi che l’aumento di capitale possa essere attuato mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi, an-che se l’atto costitutivo non preveda tale possibilità ed anche se si ricada nell’ipotesi di ricapitalizzazione della società, in esito a riduzione per perdite ex art. 2482 ter, c.c.
I.G.6 - (RIDUZIONE REALE DEL CAPITALE SOCIALE - 1° pubbl. 9/04)
La riduzione reale del capitale di cui all’art. 2482 c.c., non è più legata al requisi-to dell’esuberanza del capitale rispetto all’oggetto sociale. Essa può essere deli-berata senza obbligo di motivazione.
I.G.7 - (DEPOSITO DELLA RELAZIONE EX ART. 2482 BIS, COMMA 2, C.C. - 1° pubbl. 9/04)
L’inciso di cui all’art. 2482 bis, comma 2 c.c., “se l’atto costitutivo non prevede diversamente” anteposto in detta norma all’obbligo di depositare presso la sede della società almeno otto giorni prima dell’assemblea copia della relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni nei casi previsti dall’art. 2477 c.c. del collegio sindacale o del revisore, consente alla società di prevedere nell’atto costitutivo forme di accesso o di comunicazio-ni di tali documenti diversi dal deposito, quali ad es. la spedizione per posta al domicilio di ciascun socio, ovvero collegamento ad un sito internet della società ove quei documenti risultino accessibili. Consente inoltre di prevedere un termi-ne di deposito più breve rispetto agli otto giorni previsti dalla legge per il depo-sito e anche di esentare la società dall’obbligo del previo deposito.
L’esenzione può concernere il solo deposito e non anche la presentazione della documentazione in assemblea senza cui la deliberazione di riduzione non po-trebbe validamente adottarsi.
I.G.8 - (FATTI DI RILIEVO EX ART. 2482 BIS, COMMA 3, C.C. - 1° pubbl. 9/04)
I fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale della società di cui gli amministratori devono dare conto in assemblea ai sensi dell’art. 2482 bis, comma 3, c.c., consistono in fatti che incidono sulle prospettive future della società e quindi sulla previsione di andamento della stessa (ad esempio: stipulazione di un importante contratto), possono anche riguardare eventi sopravvenuti che abbiano inciso sulla entità della perdita riducendola o aumentandola.
In ogni caso il capitale, ai sensi del comma 4 dell’art. 2482 bis, c.c., deve essere ridotto sempre in proporzione delle perdite accertate e l’accertamento delle perdite è affidato ad un documento contabile quale è la relazione sulla situazio-ne patrimoniale della società e non al resoconto orale degli eventi sopravvenuti effettuato nella riunione assembleare da parte degli amministratori.
I.G.9 - (DEVOLUZIONE ALL’ORGANO AMMINISTRATIVO DELLA RIDUZIONE DEL CAPITALE PER PERDITE - 1° pubbl. 9/04)
L’art. 2482 bis, comma 6, c.c., prevede che in caso di riduzione del capitale si ap-plichi l’ultimo comma dell’art. 2446 c.c. in materia di s.p.a. La norma richiamata consente la devoluzione al consiglio di amministrazione delle competenze dell’assemblea in ordine alla riduzione del capitale per perdite. Considerato il dato letterale della norma richiamata che prevede la deliberazione del consiglio di amministrazione si deve ritenere che la competenza spetti al consiglio colle-gialmente anche nel caso di amministratori operanti in regime di amministrazio-ne disgiuntiva.
I.G.10 - (TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ IN PERDITA SENZA RIDUZIONE DEL CAPI-TALE - 1° pubbl. 9/04)
L’art. 2482 ter c.c. nel caso di perdita di oltre un terzo del capitale che riduca lo stesso al disotto del minimo legale, prevede al comma 1 che l’assemblea possa deliberare la riduzione del capitale ed il contestuale aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo.
Al comma 2, e quindi in un comma separato fa salva la possibilità di deliberare la trasformazione della società. Nel caso di trasformazione della società in mo-dello associativo più semplice è pertanto possibile trasformare la società senza procedere alla previa riduzione del capitale.
I.G.11 - (AUMENTI DI CAPITALE CON VERSAMENTI SOCI IN CONTO CAPITALE - 1° pubbl. 9/04)
Non è necessaria la stima se si procede all’aumento mediante passaggio a capi-tale del fondo soci-aumento di capitale, o soci-conto capitale, trattandosi di mezzi propri della società.
I.G.12 - DIVIETO DI AUMENTO DI CAPITALE MEDIANTE UTILIZZO DELLA RISERVA LEGALE - 1° pubbl. 9/04 – soppresso 9/05).
I.G.13 - (SITUAZIONE PATRIMONIALE IN PRESENZA DI PERDITE EX ART. 2482 BIS, COMMA 2, C.C. - 1° pubbl. 9/04 - modif. 9/05-9/11 – motivato 9/11)
Per procedere alla riduzione del capitale per perdite deve essere presentata ai sensi dell’art. 2482 bis, comma 2, c.c., in assemblea, una situazione patrimoniale, redatta con i medesimi criteri dell’ultimo bilancio e dalla quale emergano le per-dite. Tale situazione non può essere anteriore a 120 giorni rispetto alla data dell’assemblea.
L’esposta procedura non trova applicazione qualora le perdite emergano in sede di approvazione del bilancio e le stesse vengano ripianate nella medesima as-semblea (nell’ipotesi che il bilancio sia approvato con decisone collegiale) o in una successiva che si tenga nelle immediatezze della prima.
In ogni caso gli amministratori debbono dar conto nell’assemblea dei fatti di ri-levo avvenuti dopo la redazione della situazione patrimoniale o del bilancio.
Trascorsi più di centottanta giorni dalla data di riferimento del bilancio lo stesso non può più essere utilizzato per la copertura delle perdite e dovrà, pertanto, essere redatta una apposita situazione patrimoniale, con le caratteristiche di cui sopra.
Motivazione
L’art. 2482 bis, comma 2, c.c. dispone che in presenza di perdite su-periori ad oltre un terzo del capitale, “all’assemblea deve essere sottoposta una relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni nei casi previsti dall’art. 2477 del collegio sindacale o del revisore ....”.
In mancanza di qualsiasi prescrizione normativa in ordine alla data di riferimento della situazione patrimoniale da prendere a base per il ri-pianamento delle perdite, si è ritenuto ragionevole far riferimento al termine fissato dalla legge per l'approvazione del bilancio in via ordina-ria (art. 2478 bis, comma 1, c.c.), nonché alla disciplina dettata in tema di fusione ove, per l'appunto, si prescrive che la situazione patrimoniale deve essere “riferita ad una data non anteriore di oltre centoventi giorni al gior-no in cui il progetto di fusione è depositato nella sede della società" (in questo senso l'attuale art. 2501 quater, comma 1, c.c.).
Ovviamente la situazione patrimoniale da utilizzare per procedere al-la riduzione del capitale, dovrà essere redatta con i medesimi criteri dell’ultimo bilancio, e ciò per ragioni di coerenza, dovendosi garantire una continuità nelle modalità di redazione dei bilanci sociali, anche se infrannuali.
Ne consegue che per procedere alla riduzione del capitale per perdite non è sempre necessario predisporre una situazione patrimoniale ad hoc ma, dovendo la stessa essere redatta con i medesimi criteri da seguire nella redazione del bilancio, può procedersi anche sulla base dell’ultimo bilancio di esercizio approvato, sempreché le perdite accumulate venga-no ripianate nella medesima assemblea chiamata ad approvare il bilan-cio di esercizio (nell’ipotesi ovviamente che lo stesso sia approvato con decisione collegiale) o in una successiva assemblea che si tenga nelle immediatezze della prima.
In relazione a ciò si è sentita l'esigenza di individuare un termine en-tro il quale possa utilizzarsi il bilancio di esercizio in luogo della situa-zione patrimoniale ed affinché l'assemblea per il ripianamento delle perdite possa ritenersi tenuta nelle immediatezze di quella di approva-zione del bilancio.
Tale termine è stato individuato nei centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio cui il bilancio si riferisce.
L’individuazione del termine di centottanta giorni trae il suo fonda-mento dal disposto dell’art. 2364 c.c. (richiamato per le srl dall’art. 2478 bis, comma 1, c.c.) che, consentendo, quando la società sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato ovvero quando lo richiedano partico-lari esigenze relative alla struttura ed all'oggetto della società, di posti-cipare l’approvazione del bilancio al centottantesimo giorno dalla chiu-sura dell’esercizio, giudica congruo tale termine in ordine alla “verifica” e “pubblicità” legale della situazione patrimoniale annuale della società.
Anche in tema di fusione, alla cui disciplina si è fatto sopra riferi-mento per i termini di validità della “situazione patrimoniale”, viene ri-conosciuta al bilancio di esercizio una attendibilità per un tempo mag-giore rispetto a quella riconosciuta alla situazione patrimoniale: centot-tanta giorni contro centoventi (in questo senso l'art. 2501 quater, comma 2, c.c.: "la situazione patrimoniale può essere sostituita dal bilancio dell'ultimo esercizio, se questo è stato chiuso non oltre sei mesi prima del giorno del deposito indicato nel primo comma”).
Dunque, anche sotto questo profilo appare coerente riconoscere ad un’assemblea che si tenga entro i centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio il potere di ripianare le perdite sulla scorta delle risultanze del bilancio relativo a detto esercizio, anche se approvato tra il cento-ventesimo e il centottantesimo giorno dalla sua chiusura.
Trascorsi centottanta giorni non sarà più possibile utilizzare il bilan-cio di esercizio. Quindi, in una società il cui esercizio si chiuda il 31 di-cembre, dopo il 29 giugno (28 giugno negli anni bisestili) non sarà più possibile utilizzare il bilancio di esercizio per il ripianamento perdite.
I.G.14 - (RIDUZIONE PARZIALE DELLE PERDITE - 1° pubbl. 9/04)
Non è ammissibile in alcun caso la riduzione parziale delle perdite, neppure in caso di riduzione facoltativa del capitale sociale.
I.G.15 - (RICOSTITUZIONE DEL CAPITALE IN SEGUITO A RIDUZIONE PER PERDITE E NON CONTESTUALE SOTTOSCRIZIONE - 1° pubbl. 9/04)
Nell’ipotesi in cui l’assemblea riduca il capitale per perdite e ne disponga la rico-stituzione non è necessaria la contestuale sottoscrizione dell’aumento di capita-le da parte dei soci ai quali deve comunque essere riconosciuto il diritto di op-zione.
Rimane inteso che, ricorrendo l’ipotesi di cui all’art. 2484 n. 4 c.c., fino a quando il deliberato aumento non sia sottoscritto per un ammontare almeno pari a quello del capitale minimo legale, la causa di scioglimento è attuale.
I.G.16 - (AUMENTO DI CAPITALE IN NATURA IN MANCANZA DI APPOSITA PREVI-SIONE STATUTARIA - 1° pubbl. 9/04)
È possibile, ma solo con deliberazione adottata con il voto favorevole di tutti i soci partecipanti alla società, che l’assemblea deliberi che l’aumento di capitale possa essere liberato mediante conferimenti diversi dal danaro, anche se l’atto costitutivo non prevede tale possibilità e anche se si ricada nell’ipotesi di ricapi-talizzazione della società, in esito a riduzione per perdite ex art. 2482 ter c.c.
I.G.17 - (COPERTURA PERDITE E UTILE DI PERIODO - 1° pubbl. 9/05 – motivato 9/11)
In caso di operazione di copertura perdite sulla base di situazione patrimoniale infra annuale, che oltre alle perdite relative agli esercizi precedenti registri anche un c.d. “utile di periodo”, nella determinazione delle perdite da coprire si deve tener conto anche di detto risultato positivo di periodo.
La perdita da coprire dovrà, pertanto, corrispondere all’importo delle perdite ac-cumulate nell’esercizio e/o negli esercizi precedenti decurtato dell’importo del “risultato positivo” infra annuale (perdite da coprire = risultato negativo - risul-tato positivo).
Motivazione
Con l’orientamento in commento si affronta la problematica della ri-levanza dell’utile di periodo, risultante da una situazione patrimoniale infra annuale, ai fini del calcolo delle perdite incidenti sul capitale socia-le.
In dottrina ed in giurisprudenza si sono confrontate due distinte opi-nioni:
- quella minoritaria ritiene illegittimo l’utilizzo degli utili di periodo, perché non si tratterebbe di risultati consolidati. Detti utili si risolvereb-bero in un dato puramente contabile, una posta attiva potenziale, la cui rilevanza si ha solo con l’approvazione definitiva del bilancio “finale” di esercizio; prima di tale momento gli utili non possono essere distribuiti e quindi non possono essere neppure utilizzati a copertura perdite;
- quella prevalente, al contrario, ritiene dovuto l’utilizzo degli utili di periodo a “decurtazione” delle perdite relative al medesimo periodo, perché altrimenti si finirebbe per non considerare la reale situazione pa-trimoniale della società al momento in cui viene assunta la delibera di copertura delle perdite, favorendo una possibile illegittima riduzione del capitale a fronte di un patrimonio netto positivo. Anche gli utili di pe-riodo, come qualsiasi altra sopravvenienza attiva, costituiscono un ele-mento del patrimonio sociale di cui si deve tener conto.
L’orientamento in commento segue l’opinione prevalente, alla quale ha aderito anche la Suprema Corte di Cassazione, che in più pronunce ha avuto modo di ribadire che "nella determinazione dell'entità com-plessiva delle perdite sulla quale l'assemblea, ai sensi dell'art. 2447 c.c., è chiamata a provvedere, si deve tener conto anche degli eventuali risul-tati positivi di periodo (cd. utili di periodo) manifestatisi nella frazione di esercizio successiva all'ultimo bilancio." (vedasi ad esempio Cass. 23 marzo 2004, n. 5740).
Pertanto nel caso di delibera di copertura perdite, assunta sulla base di una situazione patrimoniale infra annuale, che oltre alle perdite rela-tive agli esercizi precedenti registri anche un c.d. “utile di periodo”, nel-la determinazione delle perdite da coprire si deve tener conto anche di detto risultato positivo di periodo.
La perdita da coprire dovrà corrispondere, come espressamente indi-cato nell’orientamento in commento, all’importo delle perdite accumu-late nell’esercizio e/o negli esercizi precedenti decurtato dell’importo del “risultato positivo” infra annuale (perdite da coprire = risultato ne-gativo - risultato positivo).
Infatti:
- da un lato, la situazione infra annuale deve essere redatta con gli stessi criteri del bilancio di esercizio, cosicché anche in tale situazione, come nel bilancio di esercizio, possono essere indicati esclusivamente i risultati negativi ed i risultati positivi effettivamente realizzati;
- dall’altro, escludere tale utilizzabilità porterebbe ad una riduzione del capitale, pur in presenza di una posta attiva, al di fuori delle condi-zioni previste dall’art. 2482, commi 2 e 3, c.c. a tutela dei terzi.
Ne discende, anche, che se il risultato positivo, registrato nell’esercizio in corso, fosse di importo tale da coprire tutte le perdite precedenti non sarebbe neppure possibile procedere alla riduzione del capitale, mentre se fosse di importo tale da ricondurre dette perdite en-tro il limite del terzo del capitale sociale, la riduzione sarebbe puramen-te facoltativa.
I.G.18 - (AUMENTO DI CAPITALE DELEGATO ALL’ORGANO AMMINISTRATIVO - 1° pubbl. 9/05 – motivato 9/11)
L’attribuzione all’organo amministrativo della facoltà di aumentare il capitale sociale ai sensi dell’art. 2481 c.c. richiede la determinazione dei limiti e delle modalità dell’esercizio. Fra i limiti, in considerazione dell’eccezionalità dell’attribuzione di tale potere all’organo amministrativo nonché della non sop-primibilità della competenza dei soci ai sensi dell’art. 2479 c.c., deve intendersi ricompreso necessariamente - oltreché un limite quantitativo da intendersi come fissazione di un limite massimo numericamente determinato - anche un limite temporale.
Motivazione
Accogliendo l’interpretazione tradizionale secondo cui gli ammini-stratori che deliberano un aumento di capitale esercitano una compe-tenza derivata in forza di una delega di poteri da parte dei soci (così come in tema di spa, cfr. rubrica art. 2443 c.c.) e non una competenza propria, i soci, nonostante la delega, conservano sul punto una compe-tenza deliberativa concorrente.
Quanto sopra è giustificato dalla sovranità dell’organo assembleare; dalla considerazione che l’incipit dell’art. 2481 c.c. stabilisce l’attribuzione agli amministratori della mera facoltà di aumentare il ca-pitale e non fissa, invece, una regola in materia di ripartizione di com-petenze tra organi societari; nonché dalla circostanza che l’art. 2479, comma 2, c.c. stabilisce che le modificazioni dell’atto costitutivo sono riservate “in ogni caso” alla competenza dei soci.
Da tale principio discende che i soci possono, laddove lo ritengano opportuno, deliberare l’aumento pur in presenza della clausola statuta-ria di delega ed anche se essa non preveda espressamente detta compe-tenza concorrente.
Nel caso poi in cui l’atto costitutivo preveda per la delega agli am-ministratori limiti non previsti per l’assemblea dei soci, i soci possono ugualmente deliberare l’aumento di capitale già delegato agli ammini-stratori ignorando i limiti posti per questi ultimi.
Infine l’assemblea conserva il potere di modificare la decisione di aumento del capitale assunta dall’organo delegato, se non ancora ese-guita.
Non è ammissibile una delega che non contenga quantomeno le in-dicazioni (concorrenti e non alternative tra loro) del limite temporale (e cioè della durata della delega, da intendere come termine entro il quale adottare la delibera) e dell’importo dell’aumento.
Infatti, pur non richiamando espressamente l’art. 2481 c.c. i limiti temporali e quantitativi indicati dall’art. 2443 c.c. in tema di spa, si ri-tiene che tali elementi siano imprescindibili ai fini di non esautorare l’assemblea dei soci delle proprie competenze.
Ove limiti e modalità di esercizio (ad esempio: specificazione del ti-po di aumento da eseguirsi, gratuito o a pagamento, tempi di esecuzio-ne, in una o più tranches, entità dell’aumento, previsione della determi-nazione di un sovrapprezzo ed entità dello stesso, eventuali adempi-menti accompagnatori quali la redazione di un bilancio infrannuale ed anche quorum necessari per le deliberazioni dell’organo amministrativo o previsione del necessario consenso di tutti i componenti) vengano in-dicati in statuto, essi saranno vincolanti per gli amministratori e do-vranno essere oggetto di controllo di legalità da parte del notaio verba-lizzante la delibera di aumento assunta dagli amministratori.
Il limite quantitativo da fissare è da intendersi come limite massimo numericamente determinato o determinabile.
I.G.19 - (LIMITI TEMPORALI DELL’ATTRIBUZIONE ALL’ORGANO AMMINISTRATIVO DELLA FACOLTÀ DI AUMENTARE IL CAPITALE - 1° pubbl. 9/05 – motivato 9/11)
La durata dell’attribuzione all’organo amministrativo della facoltà di aumentare il capitale sociale ai sensi dell’art. 2481 c.c. non è inderogabilmente quella previ-sta dall’art. 2443 c.c. per le s.p.a. Detto termine potrà quindi essere superiore, ma andrà comunque mantenuto entro convenienti limiti di tempo.
Motivazione
La disciplina dettata per le srl dall’art. 2481 c.c., in tema di delega agli amministratori della facoltà di deliberare aumenti di capitale, è as-sai più generica di quella dettata per le società azionarie dall’art. 2443 c.c. nell’analoga fattispecie.
In particolare, la disposizione sulla srl non chiarisce se sia necessario imporre nella delega un limite temporale e se tale limite, una volta rite-nuto necessario, non debba eccedere una qualche misura.
Sulla necessità di prevedere un limite temporale alla delega si riman-da all’orientamento “I.G.18” e alla sua motivazione, nella quale, so-stanzialmente, si aderisce all’opinione di chi ritiene che il potere delega-to non possa essere talmente ampio da integrare di fatto una abdicazio-ne da parte dei soci delle loro prerogative in ordine alla modifica dell’atto costitutivo.
Per quanto riguarda, invece, il limite massimo di cinque anni previ-sto per le spa dall’art. 2443 c.c., si ritiene che lo stesso non possa trova-re applicazione nella srl.
L’assenza, infatti, di una previsione in tal senso nell’art. 2481 c.c. non appare riconducibile ad una mancanza di disciplina, integrabile tramite il ricorso all’analogia, ma ad una vera e propria scelta del legi-slatore di rimettere all’autonomia dei soci il limite temporale di detta delega.
Ciò risulta coerente con il modello legale della srl.
È infatti rintracciabile nella disciplina positiva una maggior rigidità in materia di termini tra le società azionarie e la srl. Si pensi alla durata in carica degli amministratori (limitata a tre anni nelle spa, a discrezio-ne dei soci nella srl), al divieto di alienazione delle azio-ni/partecipazioni (limitato a cinque anni nella spa, determinabile dai soci nella srl, salvo il recesso), al termine dell’esercizio del recesso (de-terminato in quindici giorni nella spa, rimesso ai soci nella srl), e così via.
Il legislatore ha dunque inteso garantire, in un modello caratterizzato dalla stabilità della compagine sociale, il potere dei soci di disciplinare con maggior autonomia le proprie vicende corporative, poiché destinate a ripercuotersi, con ogni probabilità, sui medesimi soggetti che le hanno disciplinate, a differenza di ciò che presumibilmente accadrebbe in una società azionaria, i cui soci dovrebbero avere una maggior vocazione di investitori, e dunque una minor propensione alla stabilità.
Stante quanto sopra, si ritiene che nella srl sia consentito delegare aumenti di capitale agli amministratori fissando un limite di tempo an-che più ampio dei cinque anni, purché tale limite sia ragionevole e ri-conducibile ad un interesse meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c. (eventualmente anche certus an ma incertus quando), ovvero tale da non risultare elusivo dell’obbligo di apposizione del termine stesso.
I.G.20 - (AUMENTO DI CAPITALE DELEGATO MEDIANTE MODIFICA DELL’ATTO COSTITUTIVO - 1° pubbl. 9/05 – motivato 9/11)
Nonostante il tenore letterale dell’art. 2481 c.c., la delega all’organo amministra-tivo della facoltà di aumentare il capitale sociale ai sensi del predetto articolo può essere attribuita non solo in sede di atto costitutivo, ma anche di successiva modifica dello stesso.
Motivazione
È sembrato corretto, mancando nella disciplina codicistica l’espressa previsione della possibilità di introdurre la delega anche con successiva modificazione dell’atto costitutivo (a differenza di quanto previsto dall’art. 2443 c.c. per le spa), riconoscere in via interpretativa tale possi-bilità.
A favore della indicazione prospettata sussistono validi argomenti quali: assenza di un esplicito divieto al riguardo; valorizzazione dell’autonomia dei soci; non ricorrenza di un caso (eccezionale nella nuova disciplina) in cui l’adozione della decisione non possa essere pre-sa a maggioranza.
In relazione a tale ultima circostanza è anche da osservare come, ne-gando la possibilità di un inserimento successivo della delega, o richie-dendo per la stessa un consenso unanime, si imporrebbe un vincolo all’operato della maggioranza estraneo al sistema.
È poi da considerare come, da un punto di vista sistematico, la nor-ma in commento sia inserita nella sezione relativa alle modificazioni dell’atto costituivo, e che il corpus normativo riferito alle srl non conosce la distinzione terminologica tra atto costitutivo e statuto (per il legisla-tore l’atto costitutivo è sia quello sottoscritto dai soci al momento della costituzione, sia quello risultante dalle modifiche successivamente in-trodotte).
Di qui la conclusione che la delega può essere introdotta con una modificazione dell’atto costitutivo, da adottarsi con le relative maggio-ranze previste dalla legge o dall’atto costitutivo medesimo.
I.G.21 - (RIDUZIONE VOLONTARIA DEL CAPITALE – EFFICACIA ED ESEGUIBILITÀ - 1° pubbl. 9/05 – motivato 9/11)
In caso di riduzione volontaria del capitale a sensi dell’art. 2482 c.c. bisogna di-stinguere tra efficacia della decisione e sua eseguibilità:
- per quanto riguarda l’efficacia, anche in questo caso si applica la disciplina ge-nerale dettata dall’art. 2436, comma 5, c.c. (richiamato dall’art. 2480 c.c.), che non viene derogata dalla disposizione in commento; pertanto la decisione di ri-duzione volontaria del capitale produrrà i suoi effetti subito dopo la iscrizione al registro imprese;
- per quanto riguarda la eseguibilità della decisione, una volta che la stessa sia divenuta efficace, si applica la specifica disciplina dettata dall’art. 2482, comma 2, c.c., in base alla quale la decisione può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.
Da ciò discende che:
- una volta avvenuta l’iscrizione al registro imprese della decisione di riduzione volontaria del capitale, producendo la stessa tutti i suoi “effetti”, il capitale da indicare nello statuto, negli atti della società, e che dovrà risultare anche dal re-gistro imprese medesimo, dovrà essere il capitale nel suo minor importo, quale risulta dalla riduzione; per gli stessi motivi in caso di riduzione del capitale al di sotto dei 120.000 euro, qualora non sussistano le altre condizioni poste dall’art. 2477 c.c., non sarà obbligatorio il collegio sindacale sin dalla data di iscrizione della decisione al registro imprese;
- l’importo della riduzione potrà essere materialmente distribuito ai soci (o i soci saranno definitivamente liberati dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti) solo dopo che siano trascorsi novanta giorni dalla data di iscrizione al registro impre-se della decisione, sempreché entro questo termine nessun creditore sociale an-teriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.
Motivazione
Nel presente orientamento si prende atto della diversa terminologia utilizzata dal legislatore:
- nell’art. 2436, comma 5, c.c. (richiamato per le srl dall’art. 2480 c.c.) ove si parla di efficacia della delibera (“la delibera non produce effetti se non dopo l’iscrizione”);
- e nell'art. 2482, comma 2, c.c. ove, invece, si parla di eseguibilità della delibera (“la decisione dei soci può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese della decisione medesi-ma, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione”).
Se si vuole dare un significato concreto alla scelta “terminologica” del legislatore, efficacia ed eseguibilità della delibera vanno tenute di-stinte dovendo le stesse operare, nel caso di delibera di riduzione volon-taria del capitale, su piani diversi.
L'efficacia della delibera è disciplinata in via generale dall’art. 2436, comma 5, c.c. (richiamato per le srl dall’art. 2480 c.c.): dalla data di iscrizione al registro imprese la riduzione volontaria del capitale diventa "operativa", al pari di qualsiasi altra modifica statutaria, secondo quella che è la disciplina generale.
Da ciò discende che una volta avvenuta l'iscrizione nel registro im-prese della delibera di riduzione volontaria del capitale, producendo la stessa tutti i suoi "effetti", in relazione al disposto dell’art. 2436, comma 5, c.c., il capitale da indicare nello statuto, negli atti della società e che dovrà risultare anche nel registro imprese medesimo sarà quello risul-tante dalla riduzione.
Tale conclusione risponde anche a ragioni di "trasparenza" e di “ef-fettività” della pubblicità, poiché consente in concreto, attraverso la ri-levazione del nuovo capitale nel registro imprese e negli atti della socie-tà:
- ai creditori sociali anteriori all’iscrizione della delibera presso il re-gistro imprese, di proporre opposizione
- ai creditori sociali successivi all'iscrizione della delibera, di fare af-fidamento sul minor capitale.
Si sottolinea l'importanza dell'indicazione del capitale nel suo nuovo ammontare negli atti e nello statuto della società sin dalla data di iscri-zione, e ciò soprattutto nei confronti dei terzi, potenziali creditori poste-riori all'iscrizione, che debbono conoscere da subito su quale capitale della società possono fare affidamento, posto che il diritto di opposizio-ne di cui all’art. 2482, comma 2, c.c. è riconosciuto ai soli "creditori so-ciali anteriori all'iscrizione".
Inoltre, una volta avvenuta l'iscrizione al registro imprese della deci-sione di riduzione volontaria del capitale, producendo la stessa tutti i suoi "effetti", se il capitale a seguito di detta riduzione diventi inferiore ai 120.000 euro e se non sussistono le altre condizioni poste dall'art. 2477 c.c. per il mantenimento dell’organo di controllo (istituzione facol-tativa o legale), non sarà più obbligatorio il collegio sindacale, e ciò sen-za che si debba attendere il decorso senza opposizione dei novanta giorni dalla iscrizione al registro Imprese.
Benché, con l’iscrizione al registro imprese, la delibera di riduzione del capitale sia divenuta efficace, l'importo della riduzione potrà essere materialmente distribuito ai soci (o i soci saranno definitivamente libe-rati dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti) solo dopo che siano tra-scorsi novanta giorni dalla data di avvenuta iscrizione al registro impre-se, sempreché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione.
Questa è la fase dell'esecuzione della delibera, distinta e successiva alla fase dell'efficacia legata all'iscrizione della delibera al registro im-prese.
Contabilmente, al passivo, il capitale verrà indicato nel suo minor importo mentre l'importo della riduzione verrà allocato in apposita ri-serva "vincolata", non distribuibile sino a che non siano trascorsi novan-ta giorni dalla data di iscrizione al registro imprese della delibera e sempreché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all'i-scrizione abbia fatto opposizione
Col garantire il mantenimento delle "risorse" corrispondenti alla ri-duzione del capitale nel patrimonio della società per i novanta giorni successivi alla iscrizione della delibera viene adeguatamente rispettato il dettato normativo, stante lo scopo perseguito dalla norma stessa. La legge infatti non richiede che venga mantenuto il vecchio capitale nomi-nale ma che vengano mantenute le risorse necessarie per garantire i cre-ditori anteriori all’iscrizione della delibera al registro imprese.
La norma in questione infatti non è volta a tutelare i "terzi" in gene-re, affinché la società mantenga un determinato capitale sociale contro la volontà manifestata dai soci, bensì a tutelare i creditori anteriori all'i-scrizione al registro imprese della delibera di riduzione, che hanno fatto affidamento su un determinato capitale sociale, a vedere garantite le proprie ragioni da risorse corrispondenti all'originario capitale.
L'art. 2482, comma 2, c.c., parlando di "esecuzione" e non di "effica-cia" della delibera, mira a garantire il mantenimento nella società delle "risorse" su cui avevano fatto affidamento i creditori anteriori alla iscri-zione, sino a che non sia scaduto il termine loro riconosciuto per l'op-posizione, e non certo ad attribuire a tali creditori un diritto di "incide-re" sulla struttura societaria, sospendendo gli effetti di una delibera le-gittimamente adottata dai soci.
Che questo sia lo scopo della norma è inoltre confermato dall'ultimo comma dell'art. 2482, comma 3, c.c.: il tribunale infatti può disporre che l'operazione abbia luogo (ossia il capitale venga materialmente rimbor-sato) qualora accerti infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori ovvero la società abbia prestato garanzia, ossia abbia comunque garan-tito le "risorse" per il soddisfacimento delle ragioni dei creditori anterio-ri all'iscrizione.
Da ricordare inoltre che la dottrina prevalente (ante riforma) riteneva che l'opposizione di un creditore non giovasse affatto ai creditori non opponenti, con la conseguenza che se la società soddisfaceva i diritti dell'opponente ed otteneva la revoca dell'opposizione poteva eseguire in modo del tutto legittimo la riduzione.
I.G.22 - (RIDUZIONE VOLONTARIA DEL CAPITALE – MODALITÀ DI ATTUAZIONE - 1° pubbl. 9/05 – motivato 9/11)
In caso di riduzione volontaria del capitale a sensi dell’art. 2482 c.c. la decisione può essere attuata, oltre che mediante il rimborso ai soci o la loro liberazione dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti, anche mediante l’imputazione ad ap-posita riserva dell’importo della riduzione.
Ovviamente anche nel caso di specie si applicano le disposizioni di cui all’art. 2482, commi 2 e 3, c.c.
Motivazione
Già prima della riforma del diritto societario si discuteva in giuri-sprudenza ed in dottrina se fosse ammissibile la riduzione “volontaria” del capitale (o “riduzione per esuberanza”) mediante imputazione a ri-serva dell’importo della riduzione medesima.
Secondo un’opinione minoritaria l'operazione era inammissibile, in quanto il passaggio a riserva della parte del capitale oggetto di riduzio-ne avrebbe finito col risolversi in una mera operazione contabile, ovvero in un mero spostamento di valori nell'ambito del patrimonio netto, inci-dendo solo sul "vincolo" di indisponibilità cui è assoggetta quella parte del patrimonio che è costituita dal capitale, in contraddizione con la motivazione che giustificava la riduzione volontaria del capitale, cioè l'esuberanza del patrimonio rispetto al conseguimento dell'oggetto so-ciale.
Sempre secondo tale opinione, la riduzione si poteva giustificare solo se consisteva in una reale diminuzione dei mezzi patrimoniali che la so-cietà poteva impiegare nella propria attività, come conseguenza di una accertata sproporzione tra mezzi disponibili e mezzi concretamente im-piegati per il conseguimento degli scopi sociali.
L’opinione prevalente riteneva, al contrario, ammissibile la riduzione del capitale mediante imputazione a riserva; affermando che l'esuberan-za andava considerata non solo in senso economico, come eccesso di mezzi finanziari, ma anche esuberante poteva essere considerato il vin-colo costituito sul capitale rispetto all'esigenza di una diversa struttura-zione del patrimonio.
La riduzione del capitale cioè poteva non riguardare tanto la deter-minazione dei mezzi propri necessari al conseguimento dell'oggetto so-ciale, quanto la determinazione dei mezzi soggetti al vincolo di indi-sponibilità proprio del capitale stesso.
Sempre a favore di tale modalità di riduzione si era osservato:
- che la possibilità dell'imputazione di riserve a capitale induce a rite-nere, all'inverso, la praticabilità dell'operazione più favorevole al socio, ossia l'imputazione a riserva di eccedenze prodotte dalla riduzione del capitale;
- che l'art. 2482 c.c. indica che il capitale deve essere rimborsato, ma non prescrive che esso debba essere fisicamente consegnato ai soci nell’istante in cui la delibera diventi eseguibile: l'imputazione ad una ri-serva disponibile che può distribuirsi liberamente in qualsiasi momento è di fatto un rimborso, perché i soci ne possono disporre a loro discre-zione;
- che non si comprende perché debba risultare illegittima la determi-nazione dell'assemblea di lasciare il capitale esuberante a disposizione dei soci, pur nel patrimonio netto della società, posto che ciò costituisce un minus rispetto al massimo consentito dalla legge, e non contrasta con lo scopo di tutelare i creditori.
Dopo la riforma, essendo venuto meno il requisito stesso “dell'esube-ranza" quale presupposto imprescindibile per poter procedere alla ridu-zione volontaria del capitale, le motivazioni a suo tempo addotte per delegittimare una simile soluzione, che si fondavano proprio sul concet-to di esuberanza, sono venute meno, per cui non può che confermarsi l'opinione, peraltro già prevalente in dottrina ed in giurisprudenza ante riforma, favorevole alla legittimità della delibera di riduzione volontaria del capitale da attuarsi mediante imputazione a riserva.
È fuori dubbio che anche nel caso di specie, trattandosi pur sempre di una riduzione volontaria del capitale, si applicano le disposizioni di cui all’art. 2482, commi 2 e 3, c.c. (con tutte le precisazioni in relazione ai diversi momenti dell’efficacia e della eseguibilità della delibera di cui all’orientamento I.G.21).
Per quanto riguarda, più specificatamente, il momento della esegui-bilità della delibera nel caso di specie, la riserva cui è stato imputato l’importo della riduzione, dovrà considerarsi “vincolata e non distribui-bile” sino a che non siano trascorsi novanta giorni dalla data di iscrizio-ne al registro imprese della delibera; dopodiché, e sempreché entro que-sto termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione, la riserva stessa potrà considerarsi “disponibile” (e quindi anche distribuibile ai soci).
I.G.23 - (APPOSIZIONE DI UN TERMINE O DI UNA CONDIZIONE ALL’ATTO DI SOT-TOSCRIZIONE DI UN AUMENTO DI CAPITALE - 1° pubbl. 9/06 – modif. 9/10 – mo-tivato 9/11)
È legittimo apporre all’atto di sottoscrizione di un aumento di capitale, anche nel caso che sia previsto un sovrapprezzo o il conferimento non avvenga in de-naro, un termine iniziale o una condizione sospensiva, purché detti termine o condizione esauriscano il loro effetto anteriormente al termine concesso dalla delibera per l’esercizio del diritto di sottoscrizione.
Non risulta invece legittimo apporre un termine iniziale od una condizione so-spensiva al solo atto di conferimento a fronte di una sottoscrizione immediata, in quanto i due momenti devono coincidere.
È così ad esempio possibile sottoscrivere un aumento di capitale mediante con-ferimento di un’azienda apponendo, per motivi di semplificazione contabile, a detta sottoscrizione un termine iniziale coincidente con l’inizio di un mese sola-re, ovvero sottoscrivere un aumento di capitale scindibile con la condizione so-spensiva che entro i termini di sottoscrizione dell’intero aumento sia esercitato il diritto di sottoscrizione dagli altri soci.
Finché l’atto di sottoscrizione non è divenuto efficace non è possibile depositare nel registro delle imprese per l’iscrizione l’attestazione che l’aumento di capitale è stato eseguito ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2481-bis c.c.
Motivazione
Vedi sub. H.G.12.
I.G.24 - (RIDUZIONE DEL CAPITALE IN MISURA NON PROPORZIONALE - 1° pubbl. 9/06)
È legittimo, con il consenso di tutti i soci, sia nell’ipotesi di riduzione reale che in quella per perdite, deliberare la riduzione del capitale in misura non proporzio-nale rispetto alle singole partecipazioni, modificando in tal modo le percentuali di partecipazione dei singoli soci.
Il disposto dell’art. 2482-quater c.c., è infatti applicabile alle sole delibere adot-tate a maggioranza.
I.G.25 - (DELIBERA DI RIDUZIONE PER PERDITE DI CAPITALE NON INTERAMENTE LIBERATO - 1° pubbl. 9/06)
È legittimo deliberare ed eseguire una riduzione del capitale per perdite anche in presenza di partecipazioni non interamente liberate.
I titolari delle partecipazioni non interamente liberate non sono liberati dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti.
I.G.26 - (RIDUZIONE O AUMENTO DI CAPITALE DI SRL CON PARTECIPAZIONI PRI-VE DI VALORE NOMINALE AD UN IMPORTO NON ESATTAMENTE DIVISIBILE TRA LE QUOTE DI PARTECIPAZIONE PREESISTENTI - 1° pubbl. 9/07 – motivato 9/11)
Nel caso in cui una s.r.l. con partecipazioni prive di valore nominale, quindi con valore nominale implicito (vedi orientamento I.I.28), riduca o aumenti il proprio capitale sociale, non sussiste l’obbligo di rideterminare nel contratto il nuovo va-lore nominale implicito delle singole partecipazioni.
Non è quindi necessario porre in essere operazioni che consentano arrotonda-menti qualora la nuova misura del capitale sociale non sia esattamente divisibile tra le quote di partecipazione esistenti.
Se la riduzione del capitale sociale avviene in misura proporzionale, o l’aumento avviene a titolo gratuito ovvero viene sottoscritto da tutti i soci in misura pro-porzionale, le quote di partecipazione dei singoli soci resteranno infatti invariate (cfr. art. 2481 ter, comma 2, c.c.); se invece la riduzione del capitale avviene in misura non proporzionale, o alcuni soci rinuncino in tutto o in parte a sottoscri-vere la quota di aumento a pagamento loro riservata, sarà necessario ridetermi-nare l’entità delle quote di partecipazione ma non il loro valore nominale, il quale si adeguerà automaticamente e implicitamente.
Così ad esempio una società che abbia tre soci titolari ciascuno di una quota di partecipazione pari ad un terzo, che riduca il proprio capitale sociale da euro 15.000 ad euro 10.000, manterrà inalterate le dette quote di partecipazione dei singoli soci, anche se il valore nominale implicito delle stesse diverrà un numero periodico.
Lo stesso avviene nell’ipotesi inversa di aumento di capitale.
Motivazione
Vedi sub I.I.28.
I.G.27 - (LEGITTIMITÀ DELLA DELIBERA DI AUMENTO DI CAPITALE ADOTTATA A MAGGIORANZA SENZA SOVRAPPREZZO – 1° pubbl. 9/07)
È legittimo deliberare a maggioranza un aumento di capitale senza sovrapprezzo (ossia ad un prezzo non congruo), nell’ipotesi in cui sia riconosciuto a tutti i soci il diritto di sottoscrizione ai sensi del primo periodo del comma 1 dell’art. 2481 bis c.c., ciò anche nel caso che la decisione consenta che la parte di aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi.
Nell’ipotesi invece in cui il diritto di sottoscrizione da parte dei soci sia escluso o limitato l’aumento di capitale deliberato a maggioranza deve necessariamente prevedere l’eventuale sovrapprezzo (ossia deve essere deliberato ad un prezzo congruo), fermo il diritto di recesso a condizioni che non tengano conto della de-libera di aumento.
I.G.28 - (LEGITTIMITÀ DELLA DELIBERA DI AUMENTO DI CAPITALE ADOTTATA ALL’UNANIMITÀ SENZA SOVRAPPREZZO – 1° pubbl. 9/07)
È legittimo deliberare all’unanimità un aumento di capitale senza l’eventuale so-vrapprezzo (ossia ad un prezzo non congruo), anche nell’ipotesi in cui non sia ri-conosciuto ai soci il diritto di sottoscrizione ai sensi del primo periodo del com-ma 1 dell’art. 2481-bis c.c.
I.G.29 - (LIMITAZIONE AL DIRITTO DI SOTTOSCRIVERE PARZIALMENTE GLI AU-MENTI DI CAPITALE - 1° pubbl. 9/07)
Il diritto dei soci di sottoscrivere gli aumenti di capitale in proporzione delle partecipazioni da essi possedute (riconosciuto dall’art. 2481 bis, primo periodo, comma 1, c.c.) comprende la facoltà di sottoscrivere anche solo parzialmente la quota di aumento ad essi riservata.
Pertanto la delibera che riconosca ai soci esclusivamente la facoltà di sottoscri-vere integralmente (e non anche parzialmente) la quota di aumento ad essi ri-servata concretizza un’ipotesi di limitazione del più ampio diritto di sottoscrizio-ne riconosciuto dal codice.
Tale delibera può dunque essere legittimamente adottata solo se prevista dall’atto costitutivo ed ai soci dissenzienti deve essere riconosciuto il diritto di recesso.
I.G.30 – (AUMENTO DI CAPITALE IN PRESENZA DI PERDITE RILEVANTI AI SENSI DI LEGGE – 1° pubbl. 9/07)
In presenza di perdite superiori al terzo del capitale sociale deve ritenersi non consentita una deliberazione dell'assemblea dei soci di aumento del capitale so-ciale ove non sia accompagnata dalla copertura integrale delle perdite accertate.
I.G.31 - (AUMENTO GRATUITO DEL CAPITALE IN MISURA NON PROPORZIONALE - 1° pubbl. 9/07)
È legittimo, con il consenso di tutti i soci, deliberare l’aumento gratuito del capi-tale imputandolo alle partecipazioni in misura non proporzionale, modificando in tal modo il rapporto tra le singole quote di partecipazione.
Il disposto dell’art. 2481 ter, comma 2, c.c., è infatti applicabile alle sole delibere adottate a maggioranza.
I.G.32 – (INDICAZIONE STATUTARIA DEL CAPITALE SOCIALE NEL CASO DI DELIBE-RA DI RIDUZIONE DELLO STESSO AL DI SOTTO DEL MINIMO LEGALE E NON CON-TESTUALE SOTTOSCRIZIONE DELLA SUA RICOSTITUZIONE – 1° pubbl. 9/07)
La riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale ed il suo contestua-le aumento in misura non inferiore a detto minimo, ex art. 2482 ter c.c., integra-no una delibera unitaria e non due distinte decisioni tra loro collegate.
Pertanto non sarà possibile, nelle more della sottoscrizione dell’aumento di ca-pitale previsto da tale delibera unitaria di riduzione e contestuale aumento, in-dicare nello statuto e nel registro delle imprese l’importo derivante dalla sola ri-duzione (inferiore al minimo legale o azzerato).
L’indicazione statutaria del capitale sociale dovrà essere aggiornata ad avvenuta sottoscrizione dell’aumento.
I.G.33 - (AUMENTO DI CAPITALE CON PREZZO DI EMISSIONE INFERIORE AL VA-LORE NOMINALE IMPLICITO – 1° pubbl. 9/07 – motivato 9/11)
Nel caso in cui le partecipazioni di una s.r.l. siano prive di valore nominale, come normalmente previsto dal codice civile (vedi orientamento I.I.28), è legittimo de-liberare un aumento di capitale offrendo in sottoscrizione nuove partecipazioni ad un prezzo inferiore al loro valore nominale implicito, a condizione che il capi-tale sociale non sia aumentato di un importo superiore alla somma dei nuovi conferimenti.
Qualora il prezzo richiesto non sia congruo dovranno essere rispettati i diritti di prelazione a favore dei soci o la delibera dovrà essere adottata all’unanimità (vedi orientamenti I.G.27 e I.G.28).
È dunque legittimo che una s.r.l. che abbia un capitale sociale di euro 10.000, e due soci aventi una quota di partecipazione nella società pari ad un mezzo cia-scuno (quindi di valore nominale implicito di euro 5.000 ognuna), possa delibe-rare di aumentare il proprio capitale sociale di euro 2.000 offrendo in sottoscri-zione a tale prezzo una quota di partecipazione nella società pari ad un terzo (quindi di valore nominale implicito di euro 4.000).
Qualora tale aumento (come qualsiasi altro aumento) non sia proporzionalmen-te e integralmente sottoscritto dai vecchi soci le quote di partecipazione preesi-stenti si ridurranno nelle dovute proporzioni.
Motivazione
L’eliminazione dal codice civile del valore nominale esplicito delle quote, unitamente alla ridefinizione delle quote stesse come “quote di partecipazione” piuttosto che come “quote di conferimento” (vedi commento all’orientamento I.I.28), ha prodotto come conseguenza an-che il venir meno dei previgenti limiti legali alla libera determinabilità del prezzo di sottoscrizione degli aumenti di capitale, prezzo che ante-riormente alla riforma non poteva essere inferiore al valore nominale delle quote offerte in sottoscrizione.
La questione è stata affrontata dalla dottrina successiva all’entrata in vigore della riforma con particolare riferimento alla fattispecie della s.p.a. con azioni senza valore nominale.
Le argomentazioni svolte e le soluzioni proposte non sono però del tutto trasferibili alle società a responsabilità limitata, poiché il quadro normativo di riferimento è sostanzialmente diverso.
Prima della novella il divieto di emissione di azioni ad un prezzo in-feriore al valore nominale era espressamente contenuto nell’art. 2346 c.c., allora vigente.
Per le società a responsabilità limitata, al contrario, mancava una norma che vietasse tale operazione.
La stessa era inibita dalla semplice circostanza che la quota di s.r.l. era una “quota di conferimento di capitale” ed esclusivamente come ta-le poteva e doveva essere riportata nel contratto.
Per comprendere quindi come sia ora possibile nelle s.r.l. effettuare aumenti di capitale ad un prezzo inferiore alla parità contabile occorre svolgere un’indagine autonoma rispetto a quella svolta per le s.p.a. con azioni prive di valore nominale.
Preliminarmente è assai importante rilevare, considerato che sono frequenti gli equivoci sul punto, come la questione del prezzo di sotto-scrizione inferiore alla parità contabile non ha nulla a che vedere con la diversa fattispecie, già ampiamente dibattuta prima della riforma, del prezzo di emissione inferiore al valore effettivo della quota offerta in sottoscrizione (mancanza di un sovrapprezzo adeguato).
È infatti possibile che il prezzo richiesto per la sottoscrizione di un aumento di capitale sia “congruo” anche se inferiore al valore nomina-le, come è altresì possibile che tale prezzo sia “non congruo” ancorché determinato in misura superiore al detto valore nominale.
Così, ad esempio, per una società che abbia una valutazione di mer-cato di euro 100.000,00, a fronte di un capitale sociale nominale di euro 120.000,00, sarà “congruo” un prezzo di sottoscrizione di eventuali au-menti di capitale determinato in misura inferiore del 20% alla parità contabile.
Al contrario, per una società che abbia una valutazione di mercato di euro 240.000,00, sempre a fronte di un capitale nominale di euro 120.000,00, sarà “non congruo” un prezzo di sottoscrizione di eventuali aumenti di capitale determinato in misura inferiore al doppio della pari-tà contabile.
La questione degli aumenti di capitale ad un prezzo “non congruo” prescinde dunque dal valore nominale delle partecipazioni.
Detti aumenti, quelli cioè con prezzo di emissione inferiore al valore effettivo della quota offerta, continueranno pertanto ad essere consenti-ti, secondo il convincimento che si era formato anteriormente alla ri-forma, solo se saranno preventivamente offerti in sottoscrizio-ne/opzione ai vecchi soci (art. 2481 bis, comma 1, primo periodo, c.c., per le s.r.l., e art. 2441, comma 1, c.c., per le s.p.a.), ovvero se saranno deliberati all’unanimità.
Del resto, è lo stesso legislatore che ha stabilito che il prezzo di emissione degli aumenti di capitale, quando gli stessi non siano propor-zionalmente sottoscrivibili dai vecchi soci, deve essere “congruo”, e come tale deve essere certificato dal collegio sindacale ai sensi dell’art. 2441, comma 6, c.c. (vedi orientamenti I.G.27 e I.G.28).
Chiarito dunque che la questione della determinazione del prezzo di emissione in misura inferiore alla parità contabile non è in alcun modo collegata con la diversa questione del rischio di annacquamento delle partecipazioni preesistenti in caso di prezzo di emissione “non con-gruo”, è ora relativamente semplice comprendere come sia oggi consen-tito alle s.r.l. di deliberare aumenti di capitale ad un prezzo libero, senza che tale prezzo debba quantomeno uguagliare la parità contabile.
Anteriormente alla riforma, l’impossibilità per le s.r.l. di offrire in sottoscrizione quote di valore superiore al conferimento di capitale non discendeva da un divieto espresso, bensì dalla circostanza che il confe-rimento di capitale e la quota di partecipazione erano la stessa cosa.
Così stabilivano gli allora vigenti artt. 2474 e 2475, comma 2, n. 5), c.c.
Oggi, al contrario non esiste più alcun rapporto tra conferimento di capitale e quota, al punto che per esplicita previsione normativa ad un socio può essere contrattualmente attribuita una quota di partecipazio-ne di valore nominale implicito superiore al conferimento di capitale da lui effettuato (art. 2468, comma 2, c.c.).
L’unico limite a tale facoltà è quello previsto dall’art. 2464, comma 1, c.c., in base al quale il valore dei conferimenti non può essere com-plessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale.
Se è dunque possibile in sede di costituzione di una s.r.l. ottenere quote di partecipazione di valore nominale implicito superiore al confe-rimento di capitale, tale facoltà deve necessariamente sussistere anche in sede di aumento di capitale.
Anche perché al momento della costituzione l’eventuale differenza tra conferimento e partecipazione integra quasi sicuramente un’ipotesi di prezzo “non congruo”, mentre nell’aumento di capitale a pagamento una siffatta differenza potrebbe proprio essere giustificata dalla necessi-tà di offrire in sottoscrizione delle partecipazioni al minor prezzo che in quel momento il mercato è disposto ad offrire, quindi ad un prezzo “congruo”.
In ogni caso, l’eventuale offerta di sottoscrizione di quote di parteci-pazione ad un prezzo inferiore alla parità contabile integra una libera scelta dei soci, vecchi e nuovi, pienamente legittima e conforme al si-stema.
È poi importante considerare come il totale delle nuove “quote di partecipazione” (determinate in base ad una percentuale o ad una fra-zione), a differenza di quello delle vecchie “quote di conferimento” (de-terminate in base al valore nominale), non può mutare per effetto del variare del capitale.
La somma delle partecipazioni espresse con una percentuale sarà sempre il 100%, indipendentemente dall’entità del capitale.
Nel nuovo sistema, dunque, l’aumento di capitale non sottoscritto proporzionalmente dai vecchi soci si conclude sempre con una ridistri-buzione esplicita delle quote (percentuali) di partecipazione.
In detta fattispecie, la ridistribuzione delle partecipazioni accadeva ovviamente anche prima della riforma, in presenza di valori nominali espressi, ma tale aspetto non appariva, risultando documentato esclusi-vamente l’“aumento” delle quote di conferimento e non la conseguente variazione delle percentuali di partecipazione dei singoli soci.
Da un punto di vista dogmatico ciò che oggi viene offerto in sotto-scrizione in sede di aumento di capitale non è una quota nominale dello stesso, ancorché implicita, bensì una percentuale dell’affare e del patri-monio.
Pertanto, nessun valore nominale delle partecipazioni rileva in tale vicenda, né può condizionarla.
L’unico limite rimane ovviamente quello imposto dall’art. 2464, comma 1, c.c.: il capitale sociale non potrà essere incrementato di un importo superiore alla somma dei conferimenti eseguiti a tale titolo.
I.G.34 – (LEGITTIMITÀ DELLA SOTTOSCRIZIONE ANTICIPATA DEGLI AUMENTI DI CAPITALE – 1° pubbl. 9/08)
La sottoscrizione in via preventiva, integrale o in una determinata misura, da parte del socio, di un aumento di capitale programmato ma non ancora formal-mente deliberato dalla società, persegue un interesse meritevole di tutela nell’ottica dell’art. 1322 c.c., ossia quella di assicurare a priori il buon esito dell’operazione di aumento.
Il riconoscimento di un titolo di preferenza (diritto di sottoscrizione) non impe-disce sotto alcun profilo che, in correlazione all’interesse della società ad avere garantita anticipatamente l’integrale sottoscrizione del previsto aumento di ca-pitale, il socio si vincoli in via preventiva, nei confronti della società stessa, non solo ad esercitare effettivamente il diritto di sottoscrizione a lui spettante ma anche a sottoscrivere la parte di aumento sulla quale non vanti affatto tale dirit-to, in quanto eccedente la quota proporzionale della partecipazione posseduta: e ciò, si intende, per l’eventualità in cui la predetta parte di aumento non venis-se sottoscritta dagli altri soci cui il diritto compete.
In entrambi i casi, si è al cospetto di un obbligo sottoposto a condizione: solo che, nella prima ipotesi – esercizio anticipato del diritto di sottoscrizione - la condizione è semplice, concretandosi nell’approvazione della deliberazione di aumento del capitale entro il termine stabilito o desumibile dalle circostanze; mentre nella seconda - sottoscrizione delle nuove quote sulle quali il socio non vanta il diritto di sottoscrizione - la condizione è complessa sostanziandosi non solo nell’approvazione della delibera, ma anche nel mancato esercizio del diritto di sottoscrizione da parte degli altri soci nel termine all’uopo assegnato.
I.G.35 – (RICAPITALIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ DA PARTE DEI SOLI SOCI PRESENTI IN ASSEMBLEA – 1° pubbl. 9/08)
È legittima l’operazione di ricapitalizzazione della società da parte dei soli soci presenti in assemblea, laddove la delibera faccia salva la facoltà dei soci assenti di sottoscrivere la propria quota di capitale entro il termine previsto dalla legge a tutela del diritto di sottoscrizione.
Tale operazione, pur formalmente differente, rispecchia fedelmente lo spirito della legge e non compromette in alcun modo i diritti dei soci assenti i quali, nel-lo stesso termine previsto dall’art. 2481 bis c.c., hanno la possibilità di sottoscri-vere il capitale sociale in proporzione della partecipazione precedentemente posseduta.
In tal caso il diritto di sottoscrizione, il cui esercizio è suscettibile di rimuovere, pro quota, l’acquisto da parte dei soci originari sottoscrittori dell’intero aumen-to di capitale, è salvaguardato mediante la previsione dell’esercizio successivo dello stesso.
Ciò che deve ritenersi non consentito è la previsione in sede assembleare di esclusione del diritto di sottoscrizione da parte dei soci assenti.
I.G.36 – (EFFICACIA IMMEDIATA DELLE SOTTOSCRIZIONI NEL CASO DI AUMENTO DI CAPITALE SCINDIBILE IN RICOSTITUZIONE DI QUELLO PERSO – 1° pubbl. 9/08)
Non si ritiene possibile introdurre in una delibera di aumento di capitale scindi-bile, in ricostituzione di quello perso, la clausola secondo la quale ciascuna sot-toscrizione sia immediatamente efficace, prima dunque del termine finale di sot-toscrizione (indipendentemente dalla circostanza che in detta delibera sia altresì consentito ai soci presenti di sottoscrivere anticipatamente anche quanto spet-tante in diritto di sottoscrizione ai soci assenti – vedi orientamento I.G.35).
Se così non fosse si violerebbe il principio secondo il quale, perso il capitale so-ciale e pendente il termine legale per l’esercizio del diritto di sottoscrizione sulla sua ricostituzione, il socio assente si deve trovare nella condizione di conservare la propria qualità di socio, con tutti i corrispondenti diritti, compreso la pienezza di quello di voto.
I.G.37 – (LEGITTIMITÀ DELLA RICAPITALIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ DELIBERATA A MAGGIORANZA E INTEGRALMENTE SOTTOSCRITTA SOLO DA ALCUNI SOCI – 1° pubbl. 9/08)
In caso di perdita di cui all’art. 2482 ter c.c., la deliberazione di ricostituzione può essere legittimamente adottata a maggioranza e la sottoscrizione del relati-vo capitale può essere fatta da parte di alcuni soltanto dei soci originari.
Quanto affermato non si pone in contrasto con l’art. 2482 quater c.c., poiché tale norma tutela il socio contro le alterazioni proporzionali scaturenti dalla riduzio-ne del capitale, e non già dall’eventuale successivo aumento dello stesso.
Pertanto, se il socio non eserciterà il diritto di sottoscrizione sull’aumento in ri-costituzione, la sua partecipazione subirà inesorabilmente una compressione, anche nella misura dei diritti attribuiti.
I soci dissenzienti sono tutelati dal riconoscimento del diritto di sottoscrizione sulla ricapitalizzazione della società, sicché la perdita della qualità di socio, per il mancato esercizio di detto diritto, è pur sempre imputabile ad una libera scelta.
I.G.38 – (MANCANZA DI UN OBBLIGO LEGALE DI ALLEGAZIONE AL VERBALE DELLA RELAZIONE DELL’ORGANO AMMINISTRATIVO SULLA PERDITA - 1° pubbl. 9/08)
In presenza di una clausola statutaria che consenta l’esclusione del previo depo-sito presso la sede sociale della relazione sulla perdita da parte dell’organo am-ministrativo e delle eventuali osservazioni del collegio sindacale, non scatta al-cun obbligo di allegazione al verbale dei predetti documenti, che debbono co-munque, essere presentati in assemblea (vedi orientamento I.G.7).
Infatti, il legislatore ha previsto il deposito presso la sede sociale di detti docu-menti nel solo interesse dei soci e non nell’interesse dei terzi.
I.G.39 – (PRESUPPOSTI FORMALI DELLA DELIBERA DI RIDUZIONE DEL CAPITALE PER PERDITE INFERIORI AL TERZO – 1° pubbl. 9/08)
Nel caso di riduzione del capitale per perdite inferiori ad un terzo è comunque necessario che sia garantito che il capitale sia ridotto in proporzione alle perdite accertate.
Pertanto, sarà necessario che le perdite risultino o dal bilancio riferito ad un esercizio chiuso da non più di centottanta giorni o da una situazione patrimonia-le riferita ad una data non anteriore a centoventi giorni (vedi orientamento I.G.13).
Occorre inoltre una relazione dell’organo amministrativo con, ove richiesto dalla legge, le osservazioni del collegio sindacale o del revisore, al fine di spiegare l’opportunità dell’operazione.
I.G.40 – (ASPETTI FORMALI DELLA RELAZIONE SULLE PERDITE EX ART. 2482 BIS C.C. – 1° pubbl. 9/08)
L’art. 2482 bis c.c., da ritenersi applicabile anche all’ipotesi più grave di perdita di cui all’art. 2482 ter c.c., prevede che debba essere sottoposta all’assemblea una relazione sulla situazione patrimoniale della società.
Detta relazione presuppone logicamente che sia redatta anche la vera e propria situazione patrimoniale della società.
È dubbio se la situazione patrimoniale intermedia debba essere costituita, oltre che dallo stato patrimoniale, anche dal conto economico e dalla nota integrati-va.
Nel silenzio della legge è preferibile applicare un principio sostanziale in virtù del quale la documentazione redatta dagli organi sociali debba essere tale da garan-tire una sufficiente informazione dei soci. Pertanto, stante l’urgenza dell’intervento richiesto “senza indugio” nel caso di perdita, sarà sufficiente anche il solo stato patrimoniale se accompagnato da una rela-zione sulla perdita che supplisca comunque alla carenza di informazioni nascen-te dalla mancata redazione del conto economico e della nota integrativa.
I.G.41 – (UTILIZZO DEL BILANCIO IN SOSTITUZIONE DELLA SITUAZIONE PATRIMO-NIALE EX ART. 2482 BIS C.C. – 1° pubbl. 9/08)
È possibile, eccezionalmente, utilizzare ai sensi dell’art. 2482 bis c.c., quale situa-zione patrimoniale l’ultimo bilancio di esercizio, chiuso da non oltre 180 giorni.
In tal caso, qualora la relazione sulla gestione individui ed illustri la causa della crisi e si soffermi sulle previsioni dei risultati economici dell’esercizio in corso e del successivo, in modo da fornire all’assemblea, all’occorrenza, i necessari ele-menti di giudizio ai fini di valutare i possibili interventi, potrà omettersi la predi-sposizione della relazione sulla perdita, con relative osservazioni, altrimenti ne-cessariamente richiesta.
I.G.42 - (RINUNCIA ALL’OBBLIGO DI DEPOSITO DELLA SITUAZIONE PATRIMONIALE EX ART. 2482 BIS, COMMA 2, C.C. – 1° pubbl. 9/10)
Ove l’atto costitutivo non preveda l’esenzione dall’obbligo di depositare presso la sede sociale la situazione patrimoniale ex art. 2482 bis, comma 2, c.c., almeno otto giorni prima dell’assemblea, spetterà comunque ai soci il diritto di rinuncia-re all’unanimità a tale preventivo deposito, trattandosi di un obbligo informati-vo posto a carico dell’organo amministrativo nell’esclusivo interesse dei mede-simi soci.
La rinuncia potrà avvenire anche in assemblea e può avere ad oggetto esclusi-vamente il preventivo deposito della relazione sulla situazione patrimoniale e non anche la sua redazione (vedi orientamento I.G.7).
I.G.43 - (APPLICABILITÀ DELL’ART. 2464, COMMA 3, C.C. ALLE DELIBERE DI AU-MENTO DI CAPITALE – 1° pubbl. 9/12 – motivato 9/13)
È da ritenersi che la disposizione contenuta nel comma 3 dell’art. 2464, c.c., la quale prevede che “se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente, il confe-rimento deve farsi in denaro”, sia volta unicamente a stabilire il principio che, contrariamente a quanto previsto per le società di persone, la scelta delle entità da conferire non spetta al conferente ma deve essere condivisa da tutti i soci, in sede di costituzione, ovvero determinata nella delibera, in sede di aumento di capitale.
È pertanto legittimo, nel rispetto del diritto di sottoscrizione (opzione) even-tualmente spettante ai soci, deliberare un aumento di capitale in natura anche senza una esplicita previsione in tal senso nell’atto costitutivo/statuto.
È peraltro possibile introdurre nello statuto una clausola che escluda o limiti convenzionalmente i conferimenti in natura (vedi orientamento I.A.7).
Motivazione
La previsione contenuta nell’art. 2464, comma 3, c.c., secondo la quale “se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferi-mento deve farsi in denaro”, è talmente generica che potrebbe far ritene-re che la stessa trovi applicazione, oltre che nella fase costitutiva della società, anche nelle operazioni di aumento del capitale.
Il dubbio sorge soprattutto in dipendenza del fatto che nelle s.r.l., a differenza che nelle società azionarie, non esiste una disciplina sull’esclusione del diritto di opzione per gli aumenti di capitale da libe-rarsi con conferimenti diversi dal denaro, né le cautele conseguenti (re-lazione degli amministratori che illustri le ragioni del conferimento in natura e i criteri adottati per la determinazione del prezzo, parere del collegio sindacale sulla congruità del prezzo - art. 2441, comma 6, c.c.). La norma in commento consentirebbe quindi di rimediare in qualche modo a tale carenza, offrendo ai soci di s.r.l. uno strumento per impedi-re statutariamente gli aumenti di capitale da liberarsi in natura.
Una siffatta interpretazione estensiva dell’art. 2464, comma 3, c.c. non appare condivisibile.
Innanzitutto detta norma riproduce esattamente l’analoga disposi-zione dettata per la costituzione delle società azionarie dall’art. 2342, comma 1, c.c., disposizione, questa, che sicuramente non trova applica-zione negli aumenti di capitale in natura, posto che l’art. 2440, comma 1, c.c. precisa che a tali aumenti si applicano i soli commi 3 e 5 dell’art. 2342, con esclusione dunque del comma 1. Risulta pertanto assai arduo sostenere che la medesima regola (codificata nell’art. 2464, comma 3, c.c. per la s.r.l., e nell’art 2342, comma 1, c.c. per la s.p.a.) abbia una portata differente a seconda del modello societario in cui trova applica-zione.
In realtà la regola che prevede che “se nell’atto costitutivo non è sta-bilito diversamente, il conferimento deve farsi in denaro”, è volta uni-camente a chiarire che nelle società di capitali, siano esse s.r.l. o società azionarie, contrariamente a quanto previsto per le società di persone (art. 2253, comma 2, c.c.), la determinazione delle entità da conferire deve essere in ogni caso effettuata nell’atto costitutivo e, dunque, non spetta al socio conferente. È per questo che è stata inserita tre le norme dettate per i conferimenti in sede di costituzione delle società e non è ri-prodotta (né richiamata) in quelle sull’aumento di capitale. Negli au-menti di capitale, infatti, è sempre l’assemblea dei soci che determina l’entità da conferire a liberazione delle partecipazioni offerte in sotto-scrizione, fermo restando che sarà poi il potenziale sottoscrittore che deciderà se aderire o meno all’offerta.
Stante quanto sopra deve ritenersi legittima nella s.r.l. l’adozione di una delibera di aumento di capitale da liberarsi in natura anche senza una esplicita previsione in tal senso nell’atto costitutivo/statuto, il tutto, ovviamente, nel rispetto dei diritti di opzione (sottoscrizione) eventual-mente non derogati dallo statuto, posto che in tale modello societario non è prevista l’esclusione dell’opzione per gli aumenti in natura.
Sotto quest’ultimo profilo è bene precisare che un aumento di capita-le da liberarsi in natura non è necessariamente incompatibile con il dirit-to di opzione, dato che i beni richiesti in conferimento potrebbero ap-partenere ai soci nelle esatte proporzioni richieste (si pensi al caso in cui sia richiesto il conferimento di partecipazioni in altra società facente capo ai medesimi soci di quella che richiede il conferimento), ovvero in misura comunque sufficiente a consentirgli di esercitare l’opzione (come potrebbe accadere ad esempio con dei titoli di stato, obbligazioni o altri valori mobiliari).
È infine da rilevare che la previsione contenuta nell’art. 2464, comma 3, c.c, per quanto riferita alla sola fase di costituzione della società, enuncia una valutazione di meritevolezza dell’interesse dei soci a non consentire i conferimenti diversi dal denaro. Per tale motivo deve rite-nersi legittima una eventuale clausola statutaria che escluda o limiti convenzionalmente i conferimenti in natura (vedi orientamento I.A.7).
I.G.44 - (CLAUSOLE STATUTARIE CHE LEGITTIMANO L’ADOZIONE DI DELIBERE DI AUMENTI DI CAPITALE IN NATURA A MAGGIORANZA – 1° pubbl. 9/12 – motivata 9/13)
Gli aumenti di capitale in natura possono essere deliberati a maggioranza anche senza una espressa previsione in tal senso dell’atto costitutivo/statuto (vedi orientamento I.G.43).
Tuttavia, qualora la sottoscrizione dell’aumento di capitale in natura non sia of-ferta a tutti i soci in proporzione alle partecipazioni possedute, sarà necessario che l’atto costitutivo contenga la specifica previsione che l’aumento di capitale possa essere offerto direttamente a terzi ai sensi dell’art. 2481 bis, comma 1, c.c., fermo il diritto di recesso per i soci non consenzienti.
Perché sia integrata l’ipotesi che un aumento di capitale in natura sia offerto in sottoscrizione a tutti i soci in proporzione alle partecipazioni possedute è neces-sario che i medesimi abbiano l’effettiva disponibilità dei beni richiesti in confe-rimento, ovvero che sia loro offerta, in alternativa alla sottoscrizione in natura, la facoltà di sottoscrizione in danaro.
Motivazione
A differenza di quanto previsto dall’art. 2441, comma 4, c.c., per le società azionarie, nella disciplina della s.r.l. non esiste alcuna disposi-zione che preveda l’esclusione del diritto di opzione per gli aumenti di capitale da liberarsi in natura.
Al contrario l’art. 2481 bis, comma 1, c.c., senza operare alcuna di-stinzione tra gi aumenti di capitale da liberarsi in denaro e quelli da li-berarsi in natura, prevede che in tutti i casi spetti ai soci il diritto di sot-toscrizione (opzione), salvo che l’atto costitutivo non consenta di offrire quote di nuova emissione a terzi.
Cosa accade dunque nella s.r.l. nel caso di aumenti di capitale da li-berarsi in natura? È escluso il diritto di opzione e pertanto non è possi-bile assumere la delibera se ciò non sia previsto dallo statuto, ovvero deve essere riconosciuto ai soci il diritto di sottoscrizione?
Per rispondere a detti quesiti occorre preliminarmente determinare se il diritto di sottoscrizione sia compatibile con gli aumenti di capitale da liberarsi in natura. Nella disciplina delle società azionarie, come detto, il legislatore sembra escludere tale compatibilità, posto che l’art. 2441, comma 4, c.c. prevede che nel caso siano richiesti conferimenti in natu-ra ai soci non spetti il diritto di sottoscrizione.
In realtà è proprio la previsione contenuta nel comma 4 dell’art. 2441 c.c. che depone per la compatibilità dell’opzione con gli aumenti in na-tura, posto che se fosse vero il contrario detta previsione non avrebbe alcun significato normativo. Che senso avrebbe escludere per legge un diritto che comunque non sussiste per incompatibilità con il sistema? Sarebbe stato sufficiente dettare la sola disciplina di cautela contenuta nel successivo comma 6 dell’art. 2441 cc. (presentazione ai soci della re-lazione degli amministratori che illustri le ragioni del conferimento in natura e i criteri adottati per la determinazione del prezzo, accompa-gnata dal parere del collegio sindacale sulla congruità del prezzo).
La difficoltà di ammettere il diritto di sottoscrizione nei conferimenti in natura non è dunque giuridica ma pratica, in quanto si tende a ritene-re che se la società richiede in conferimento un determinato bene non sarà possibile per nessun altro, al di fuori del proprietario di tale bene, accettare l’offerta di sottoscrizione. Pertanto, salvo ipotesi assolutamen-te marginali, sarà ben difficile che si verifichino dei casi concreti in cui proprio i soci siano titolari dei beni richiesti in conferimento e che tale proprietà spetti loro nelle esatte proporzioni con le quali partecipano nella società.
Quanto sopra non appare condivisibile, sussistono infatti numerose fattispecie concrete in cui è possibile attribuire ai soci il diritto di sotto-scrizione in presenza di un aumento di capitale da liberarsi in natura. Ciò accade innanzitutto quando i beni richiesti in conferimento siano fungibili (azioni, titoli di stato, obbligazioni, metalli preziosi, ecc.); au-menti di questo tipo sono sempre più frequenti in questo momento di crisi economica, in quanto consentono di ricapitalizzare le società senza costringere i soci a liquidare i propri investimenti in un momento di congiuntura negativa. Accade, poi, negli aumenti di capitale in cui sia richiesto ai soci di conferire le loro azioni o partecipazioni in altre socie-tà facenti parte del medesimo gruppo (di regola appartenenti agli stessi soci e nelle stesse proporzioni), al fine di riorganizzare la struttura so-cietaria. Accade, ancora, in quei casi in cui i soci siano proprietari per-sonalmente degli immobili strumentali nei quali la loro società svolge l’attività di impresa e intendono trasferirli a quest’ultima per ricapitaliz-zarla, ovvero per eliminare artificiosi contratti di comodato, uso o loca-zione.
Non esiste dunque una incompatibilità assoluta tra diritto di sotto-scrizione e conferimenti in natura. È pertanto possibile affermare che laddove il legislatore della s.r.l. non ha previsto l’esclusione del diritto di sottoscrizione tale diritto spetti.
Nelle società i cui statuti non consentono la sottoscrizione degli au-menti di capitale direttamente a terzi, non sarà pertanto possibile deli-berare a maggioranza un aumento di capitale in natura da liberasi con beni che non siano nella disponibilità dei soci nelle giuste proporzioni. Con il consenso di tutti i soci, ovviamente, ciò sarà possibile, anche senza un’espressa previsione in tal senso dello statuto (vedi orientamen-to I.G.5).
Per ampliare le possibilità di rispettare la regola del diritto di sotto-scrizione nel caso in cui lo statuto non vi deroghi e non tutti i soci siano titolari dei beni in natura richiesti in conferimento, si ritiene legittimo adottare delibere che attribuiscono a tutti i soci indistintamente, in al-ternativa alla sottoscrizione in natura, la facoltà di sottoscrizione in da-naro (vedi orientamento I.G.45).
I.G.45 – (LEGITTIMITÀ DI UNA DELIBERA DI AUMENTO DI CAPITALE CHE ATTRI-BUISCA AI SOTTOSCRITTORI IL DIRITTO DI LIBERARE LE QUOTE SOTTOSCRITTE, ALTERNATIVAMENTE, IN NATURA O IN DANARO – 1° pubbl. 9/12 – motivato 9/13)
Si ritiene legittima l’adozione di una delibera di aumento di capitale che attri-buisca ai sottoscrittori il diritto di liberare le quote sottoscritte alternativamente in natura o in danaro, a loro discrezione.
È infatti ben possibile che la società abbia interesse ad aumentare la propria ca-pitalizzazione indipendentemente dalle entità conferite, come accade, ad esem-pio, nel caso in cui vi sia la necessità di accrescere la capacità di credito nei con-fronti delle banche o di ricostituire il capitale a seguito di perdite per evitare lo scioglimento.
Un siffatto aumento alternativo potrebbe essere motivato anche dall’esigenza di non costringere i soci che abbiano investito i propri capitali ad un rapido disin-vestimento, quando la società potrebbe soddisfare le proprie esigenze finanziare anche con l’apporto di titoli o di altri valori non liquidi.
I suddetti interessi appaiono tutti meritevoli di tutela.
La delibera di aumento alternativo dovrà comunque individuare esattamente i beni in natura richiesti in conferimento, anche se fungibili (ad es. titoli di stato), al fine di consentire la loro corretta valutazione da parte del revisore nella peri-zia che deve essere allegata al verbale e, di conseguenza, la congruità delle somme di danaro richieste in alternativa.
Non appare, invece, necessario che la delibera evidenzi le ragioni dell’aumento alternativo, posto che un sindacato su tali ragioni sarebbe di merito e dunque sottratto al notaio verbalizzante ed ai terzi in genere.
Motivazione
L’orientamento in oggetto, già in parte motivato, affronta la questio-ne se sia legittimo o meno deliberare un aumento di capitale attribuendo al sottoscrittore la facoltà alternativa di liberarlo in natura (mediante il conferimento di un bene determinato) ovvero in denaro.
Dal punto di vista del diritto positivo non sembra vi siano ostacoli espressi ad adottare una siffatta delibera. Ciò che il codice distingue è l’aumento oneroso (art. 2481-bis c.c.) da quello gratuito (art. 2481-ter c.c.), ma all’interno della norma che disciplina l’aumento oneroso, tito-lata “Aumento di capitale mediante nuovi conferimenti”, viene discipli-nata un’unica fattispecie, nella quale rientrano a pieno titolo sia gli au-menti da liberarsi in denaro che quelli da liberarsi in natura.
Non è dunque in una norma espressa che può essere individuata l’impossibilità di adottare una delibera che attribuisca al sottoscrittore la facoltà di scegliere l’entità da conferire. Per risolvere i dubbi occorre pertanto verificarne la compatibilità con i principi dell’ordinamento e con la contemporanea attuazione delle procedure previste dal codice per gli aumenti in denaro e per quelli in natura.
Per quanto riguarda i principi dell’ordinamento, stante la totale mancanza di una disciplina espressa, ciò che rileva è se in tale fattispe-cie sussista un interesse meritevole di tutela, posto che questo è il limite concesso all’autonomia privata dall’art. 1322 c.c. per la libera determi-nazione del contenuto dei contratti.
Orbene, nel caso di specie, ben può ricorrere un interesse della socie-tà ad adottare una delibera con facoltà di sottoscrizione alternativa, così come l’interesse del socio ad aderirvi.
Tutto discende dal fatto che nelle s.r.l., a differenza che per le società azionarie, non è prevista l’esclusione del diritto di sottoscrizione (op-zione) a favore dei soci nel caso di aumento di capitale da liberarsi in natura (vedi orientamento I.G.44). Pertanto, ogniqualvolta la società in-tenda deliberare un aumento di capitale in natura, se l’atto costitutivo non consente espressamente l’offerta di sottoscrizione direttamente a terzi ai sensi dell’art. 2481 bis, comma 1, secondo capoverso, c.c., non potrà porre in essere tale operazione a meno che i soci non siano gli ef-fettivi titolari dei beni richiesti in conferimento, ovvero siano tutti d’accordo.
Consentire nella delibera di aumento di liberare le quote sottoscritte o con il conferimento di un determinato bene o con denaro, elimina il problema, posto che in tal caso non sussiste alcun impedimento a che ciascun socio eserciti il suo diritto di sottoscrizione.
Ma perché mai una società dovrebbe deliberare un aumento di capi-tale senza essere lei a scegliere le entità da conferire, o meglio determi-nandole alternativamente tra uno specifico bene e il denaro? Il motivo è semplice, nell’attuale momento di crisi economica è frequente che le de-libere di aumento di capitale siano prese con l’esclusivo scopo di capita-lizzare la società per aumentare la sua capacità di credito o per ripiana-re perdite, dunque senza che assuma particolare rilievo la natura dei be-ni conferiti a capitale.
Consentire ai soci di conferire valori mobiliari (quali azioni, titoli di stato, obbligazioni) in alternativa al denaro, inoltre, potrebbe essere l’unico modo per permettere il perfezionamento di un’operazione di ri-capitalizzazione, posto che i medesimi, come la generalità dei rispar-miatori, avranno sicuramente investito i loro risparmi in una qualche forma che potrebbe essere di difficile, o non conveniente, liquidazione. Al contempo, non tutti i soci potrebbero trovarsi in detta situazione di scarsa liquidità, per cui prevedere nella delibera di aumento che lo stes-so potrà essere liberato sia con conferimento di determinati beni di pro-prietà dei soci che con denaro, consente di adottare la delibera nel ri-spetto del diritto di opzione e con serie possibilità di successo.
Non sembra dunque che sussista alcun contrasto con i principi dell’ordinamento adottare una delibera di aumento con facoltà di sotto-scrizione alternativa.
Anche per quanto riguarda le modalità pratiche di attuazione non sembra ricorra alcuna incompatibilità con il sistema. Ciò deriva essen-zialmente dalla circostanza che l’art. 2481 bis c.c., a differenza di quan-to accade per la s.p.a., accomuna gli aumenti di capitale mediante nuovi conferimenti in un'unica disciplina procedimentale, senza escludere, in particolare, il diritto di sottoscrizione quando siano richiesti conferi-menti in natura (vedi orientamento I.G.44).
L’esclusione del diritto di opzione imposta dall’art. 2441, comma 4, c.c., per tutti gli aumenti da liberarsi in natura delle società azionarie, infatti, rende impossibile per tali società adottare una delibera che attri-buisca al sottoscrittore la scelta dell’entità da conferire tra beni in natura e denaro, poiché in tal caso non si saprebbe quale disciplina sull’opzione applicare.
Nella s.r.l., al contrario, tale problema non si pone, poiché la disci-plina dell’opzione è omogenea e prescinde dall’entità da conferire. O lo statuto consente l’offerta a terzi o l’aumento deve essere offerto in sot-toscrizione a tutti i soci.
Per quanto riguarda le restanti modalità pratiche di attuazione previ-ste dal codice per gli aumenti in natura e per quelli in denaro, le stesse potranno trovare tutte puntale applicazione. Sarà ovviamente necessa-rio che la delibera di aumento di capitale con facoltà di sottoscrizione alternativa determini con esattezza i beni in natura richiesti in conferi-mento in luogo del denaro (siano essi fungibili o infungibili) e che alla medesima sia allegata la stima prevista dall’art. 2465 c.c. dalla quale si evinca che il valore dei beni in natura richiesti in conferimento sia equi-valente a quello del denaro.
A quanto sopra consegue che nelle s.r.l. deve ritenersi legittima una delibera di aumento di capitale che attribuisca ai sottoscrittori la scelta dell’entità da conferire tra una bene da essa determinato e il denaro.
Non appare necessario che la delibera evidenzi le ragioni dell’aumento alternativo, posto che un sindacato su tali ragioni sarebbe di merito e dunque sottratto al notaio verbalizzante ed ai terzi in genere.
I.G.46 - (DELIBERA DI INTRODUZIONE NELLO STATUTO DELLA CLAUSOLA CHE CONSENTE L’OFFERTA DI SOTTOSCRIZIONE DI AUMENTI DI CAPITALE DIRETTA-MENTE A TERZI – 1 pubbl. 9/12 – motivato 9/13)
Si ritiene che la decisione dei soci di introduzione nello statuto della clausola che consente di attuare aumenti di capitale mediante offerta di quote di nuova emissione direttamente a terzi (art. 2481-bis, c.c.), richieda il consenso di tutti i soci rappresentanti l’intero capitale sociale.
La previsione di legge che vieta l’adozione di delibere di aumento di capitale senza riconoscere ai soci il diritto di “opzione” in assenza di una espressa previ-sione dell’atto costitutivo in tal senso, non avrebbe, infatti, alcun significato normativo se si consentisse alla medesima maggioranza cui è inibito adottare ta-li delibere di rimuovere il divieto alla loro adozione.
Motivazione
Per le s.r.l. il codice ha dettato una disciplina sul diritto di sottoscri-zione dei soci (opzione) in caso di aumento di capitale assai diversa ri-spetto a ciò che ha fatto per le società azionarie.
Nelle prime, il diritto di sottoscrizione spetta in ogni caso salvo di-versa disposizione dello statuto (art. 2481-bis, comma 1, c.c.); nelle se-conde, il diritto di opzione non può essere oggetto di disciplina statuta-ria, non spetta nei casi previsti dalla legge e quando, ricorrendo un inte-resse della società, tale esclusione sia deliberata dall’assemblea che deli-bera l’aumento di capitale (art. 2441 c.c.).
È dunque solo nelle s.r.l. che è possibile abrogare statutariamente il diritto di sottoscrizione. La disciplina positiva, però, non precisa se tale abrogazione possa essere decisa con una normale delibera modificativa dello statuto adottata con le maggioranze che gli sono proprie, ovvero se sia necessario il consenso di tutti i soci.
Il dubbio è alimentato dalla circostanza che nelle s.r.l., a differenza che nelle s.p.a., l’eventuale mancato riconoscimento del diritto di sotto-scrizione non è accompagnato dal procedimento di tutela dei soci previ-sto dall’art. 2441, comma 6, c.c. (presentazione ai soci di una relazione degli amministratori che illustri le ragioni dell’esclusione del diritto di opzione e i criteri adottati per la determinazione del prezzo, nonché del parere del collegio sindacale sulla congruità del prezzo). Ai soci di s.r.l. è unicamente riconosciuto il diritto di recesso nel caso in cui non abbia-no acconsentito alla decisone di aumento con esclusione dell’opzione.
Dunque, nelle s.r.l., una volta che sia inserita nello statuto l’abrogazione del diritto di sottoscrizione, sarà possibile deliberare au-menti di capitale con offerta di sottoscrizione direttamente a terzi anche senza che ciò sia giustificato da un interesse della società e anche senza che il prezzo di emissione sia “certificato” congruo.
Per tale motivo appare assai dubbio che sia possibile per la maggio-ranza inserire nello statuto una clausola che sopprima il diritto di sotto-scrizione.
La circostanza che ai soci che non hanno consentito alla decisone di aumento di capitale senza opzione sia riconosciuto il diritto di recesso non altera i termini della questione, poiché il recesso non può essere esercitato all’inserimento nello statuto della clausola che abroga il dirit-to di sottoscrizione, bensì all’adozione di una delibera concreta che non riconosce tale diritto. Il recesso, quale strumento di tutela del socio dis-senziente, costituisce dunque un rimedio autonomo e ulteriore rispetto al divieto legale di offrire nuove quote direttamente a terzi. Tant’è che lo stesso può essere esercitato anche dal socio che abbia acconsentito all’inserimento nello statuto dell’abrogazione del diritto di sottoscrizio-ne ma che poi non abbia condiviso l’adozione della delibera di aumento di capitale che si sia avvalsa di tale abrogazione.
In definitiva, il mancato inserimento nello statuto di una clausola li-mitativa del diritto di sottoscrizione attua una tutela “reale” delle mino-ranze. Il diritto di recesso, invece, una semplice tutela “risarcitoria” a vantaggio dei singoli soci. Il secondo strumento di tutela non può dun-que costituire la giustificazione o “il prezzo” della soppressione del primo.
Bisogna poi considerare che l’eventuale divieto di adottare delibere di aumento di capitale senza diritto di sottoscrizione è rivolto alla maggio-ranza che può modificare l’atto costitutivo. Ritenere che la stessa mag-gioranza abbia il potere di abrogare il divieto ad essa imposto equivale a disconoscerne il valore precettivo di tale divieto. È come se il legislatore avesse detto che non è consentito alla maggioranza di adottare una de-terminata delibera a meno che la medesima maggioranza non decida di adottarla, modificando la regola.
Sotto questo profilo, assume anche rilievo il fatto che la mancata de-roga al divieto legale di offrire nuove quote direttamente a terzi integra una vera e propria clausola del contratto sociale, anche se omissiva. In-terpretarla, dunque, nel senso che la maggioranza può modificarla a suo piacimento, oltre ad apparire irragionevole, risulterebbe contrario al di-sposto dell’art. 1367 c.c. in forza del quale “le singole clausole (dunque anche le omesse deroghe alla disciplina legale disponibile) devono inter-pretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”.
Per quanto esposto si ritiene che l’inserimento nello statuto di una clausola che sopprima il diritto di sottoscrizione sia possibile solo con il consenso di tutti i soci.
I.G.47 – (AUMENTO GRATUITO DEL CAPITALE MEDIANTE UTILIZZO DELLA RISER-VA LEGALE – 1° pubbl. 9/12 – motivato 9/13)
Deve ritenersi ammissibile la delibera di aumento gratuito del capitale sociale da attuarsi mediante imputazione allo stesso, in tutto o in parte, della riserva lega-le, senza distinzione tra la parte di tale riserva ricompresa nei limiti del 20% del capitale e l'eventuale parte eccedente tale limite.
Motivazione
Vedi sub H.G.32.
I.G.48. - (RISERVE SOPRAVVENUTE UTILIZZABILI PER L’AUMENTO GRATUITO DEL CAPITALE E SITUAZIONE PATRIMONIALE AGGIORNATA - 1° pubbl. 9/14 - motiva-to 9/15)
Non è necessaria la redazione di una situazione patrimoniale aggiornata nel caso di aumento gratuito del capitale sociale, essendo all’uopo sufficiente l’attestazione dell’organo amministrativo che non sono intervenuti fatti di rilievo dopo la redazione ed approvazione del bilancio di esercizio.
Tuttavia, qualora si volessero utilizzare per l’aumento gratuito di capitale riserve formatesi successivamente alla data di riferimento dell’ultimo bilancio approva-to (ad es. versamenti soci in conto capitale o riserve sovrapprezzo quote), sarà necessaria la predisposizione da parte degli amministratori e l’approvazione da parte dell’assemblea di una situazione patrimoniale aggiornata redatta secondo i criteri del bilancio di esercizio.
In tale ultimo caso, peraltro, saranno utilizzabili per l’aumento gratuito solo quelle poste che possono essere qualificate come “riserve” anche prima della chiusura dell’esercizio sociale, in quanto già definitivamente acquisite al patri-monio della società (come la riserva versamenti soci in conto capitale o la riserva sovrapprezzo quote), e non quelle poste che non possono qualificarsi come “ri-serva” prima della chiusura dell’esercizio: tali sono gli utili conseguiti dalla data di chiusura dell’esercizio precedente (c.d. “utili di periodo”), che, secondo il let-terale tenore del comma 4 dell’art. 2433 bis c.c., non possono considerarsi riser-va disponibile.
Motivazione
Vedi sub H.G.33.
I.G.49 – (LEGITTIMITÀ DI UN’OPERAZIONE DI AZZERAMENTO DEL CAPITALE PER PERDITE E SUA RICOSTITUZIONE SENZA L’INTEGRALE ANNULLAMENTO DELLE PARTECIPAZIONI PREESISTENTI – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15)
Nelle s.r.l. le quote di partecipazione sono concettualmente distinte da quelle di conferimento, sono da queste indipendenti, e sono naturalmente prive di valore nominale esplicito.
Per tali motivi vengono propriamente individuate con una percentuale o con una frazione e non subiscono modifiche nel caso di aumento gratuito di capitale (art. 2481 ter, comma 2, c.c.) o di riduzione per perdite (art. 2482 quater c.c.).
Lo scioglimento di qualsiasi legame tra quote di partecipazione (art. 2463, com-ma 2, n. 6, c.c.) e quote di conferimento (art. 2463, comma 2, n. 5, c.c.) è la con-seguenza di una precisa scelta operata dalla legge delega di riforma del diritto societario (L. n. 366/01), la quale, all’art. 3, comma 2, lett. c), ha previsto che fos-se consentito ai soci di s.r.l. di regolare l’incidenza delle rispettive partecipazioni sociali sulla base di scelte contrattuali (dunque, senza alcun obbligo di rispettare una qualche proporzione con i conferimenti).
A quanto sopra consegue che in tutte le operazioni di aumento di capitale a pa-gamento non ricorre mai l’obbligo di far coincidere il valore nominale implicito complessivo delle partecipazioni offerte in sottoscrizione con quanto richiesto in conferimento a titolo di capitale.
È dunque possibile, a fronte di un aumento di capitale, offrire in sottoscrizione una percentuale delle quote di partecipazione nella società avente valore nomi-nale implicito sia superiore che inferiore a quello del deliberato aumento (vedi orientamento I.G.33), all’unica, ovvia, condizione, che il prezzo richiesto non sia complessivamente inferiore all’aumento di capitale deliberato (in analogia con quanto previsto in sede di costituzione dall’art. 2464, comma 1, c.c.).
Tale regola trova applicazione anche nell’ipotesi di aumento di capitale in rico-stituzione di quello precedentemente azzerato per perdite, ove, pertanto, non ricorre alcun obbligo di offrire in sottoscrizione il 100% delle partecipazioni so-ciali, essendo possibile offrire ai sottoscrittori solo una parte di esse, dunque quote di partecipazione aventi un valore nominale implicito complessivamente inferiore a quello del deliberato aumento.
È così, ad esempio, possibile deliberare un aumento in ricostituzione di euro 10.000 del capitale precedentemente azzerato per perdite, con offerta in sotto-scrizione di quote di partecipazione rappresentanti il 60% della società, dunque di valore nominale implicito complessivo di euro 6.000.
In tale ipotesi, le quote di partecipazione non offerte in sottoscrizione con l’aumento di capitale (nell’esempio quelle rappresentanti il 40% della società) rimarranno nella titolarità dei soci preesistenti, in proporzione a quelle che de-tenevano anteriormente all’azzeramento, ancorché il precedente capitale sociale sia stato annullato. Pertanto, qualora i medesimi non esercitino i propri diritti di sottoscrizione/opzione, non resteranno esclusi dalla società.
Una siffatta delibera trova la sua applicazione naturale, e giustificazione causale, ogniqualvolta sia necessario azzerare il capitale sociale per perdite in dipenden-za di un patrimonio solo contabilmente negativo ma in realtà positivo, in quei casi, cioè, in cui sussistono plusvalori inespressi dalle scritture contabili.
Verificandosi tale fattispecie, infatti, se venissero offerte ai sottoscrittori del ca-pitale ricostituito le intere partecipazioni sociali si realizzerebbe, qualunque fos-se il prezzo di emissione, un esproprio dei plusvalori latenti insiti nelle parteci-pazioni di quei soci che non possono o non vogliono esercitare integralmente il diritto di sottoscrizione/opzione sul deliberato aumento.
Motivazione
È opinione diffusa che l’azzeramento del capitale sociale per perdite determini l’annullamento delle intere partecipazioni sociali.
Così non è. L’art. 2482 quater c.c., dispone testualmente che è esclusa ogni modificazione delle quote di partecipazione e dei diritti spettanti ai soci in tutti i casi di riduzione del capitale per perdite.
Il diffuso convincimento che la riduzione del capitale determina an-che una riduzione delle quote di partecipazione e, dunque, il loro annul-lamento nell’ipotesi estrema di azzeramento del capitale sociale, deriva dalla storica, imperfetta, individuazione delle partecipazioni attraverso il solo loro valore nominale.
Prima della riforma non esisteva una distinzione tra quote di parte-cipazione e quote di conferimento a titolo di capitale. Le prime erano l’espressione delle seconde, o meglio i due concetti si sommavano in un unico.
Se un socio conferiva 1.000 euro a titolo di capitale la sua quota di partecipazione doveva necessariamente essere pari a 1.000 euro. Se si desiderava attribuire ai soci quote di partecipazione in misura non pro-porzionale rispetto ai conferimenti in denaro si doveva operare attraver-so la previsione di sovrapprezzi differenziati, imputando parte dei con-ferimenti a patrimonio e non a capitale, ovvero, nel caso di conferimenti in natura, si doveva procedere con una sottostima dei medesimi.
L’individuazione delle quote di partecipazione attraverso il solo va-lore nominale, in quanto espressione del conferimento, ha sempre reso poco evidenti le reali modifiche dei rapporti di partecipazione conse-guenti ad aumenti o riduzioni del capitale.
Ad esempio, nell’ipotesi di un aumento di capitale da euro 10.000 ad euro 20.000 sottoscritto da terzi, appariva che i vecchi soci non subisse-ro modifiche delle loro quote di partecipazione: prima dell’aumento de-tenevano quote di partecipazione per euro 10.000, dopo l’aumento con-tinuavano a detenere quote di partecipazione per euro 10.000. In realtà le loro partecipazioni si erano dimezzate: prima dell’aumento detene-vano il 100% della società dopo l’aumento passavano al 50%.
Di contro, nell’ipotesi di aumenti gratuiti o riduzione per perdite, ove non sussiste alcun incremento o riduzione reale del valore delle parteci-pazioni, risolvendosi entrambe le operazioni in una mera imputazione contabile, appariva che le quote di partecipazione subivano delle modi-fiche.
La riforma del diritto societario, come detto, ha superato tale impo-stazione. L’art. 3, comma 2, lett. c), della legge delega (legge n. 366/01) ha previsto che le quote di partecipazione di s.r.l. siano attribuite in se-guito a una libera contrattazione tra soci, senza alcun obbligo di rispet-tare una proporzione con quanto conferito.
I futuri soci di una costituenda società sono oggi chiamati a negozia-re tra loro quanto da ciascuno conferito e, separatamente, quali quote di partecipazione attribuirsi. È così possibile che un socio conferisca euro 1.000 ed un altro euro 9.000, ma che le quote di partecipazione siano at-tribuite in ragione del 50% ciascuno (pari ad un valore nominale implici-to di euro 5.000. Dunque, chi conferisce 1.000 euro avrà una quota di partecipazione di valore nominale implicito superiore al conferimento, mentre chi conferisce 9.000 euro avrà una quota di partecipazione di va-lore nominale implicito inferiore al conferimento.
Tale possibilità non è stata, ovviamente, introdotta nel codice per consentire la realizzazione di donazioni indirette, pur possibili, ma per permettere ai soci di raggiungere la piena soddisfazione dei propri inte-ressi individuali sottostanti il contratto di società, valorizzando elementi di fatto o comunque extrapatrimoniali che in passato difficilmente po-tevano trovare adeguata considerazione, pur essendo meritevoli di tute-la.
L’ordinamento ha così offerto un valido strumento per incrementare il perfezionarsi di accordi volti ad intraprendere nuove iniziative eco-nomiche.
Le possibili fattispecie di applicazione pratica sono assai numerose.
Si pensi, ad esempio, alle società tra soci di diversa esperienza e competenza che desiderino riconoscersi contrattualmente il valore in-trinseco di tali diversità, pur non assumendo i medesimi alcuna obbliga-zione d’opera nei confronti della società; ovvero, alle società partecipate da soggetti con differenti propensioni al rischio o che finanzino la stessa in misura non proporzionale in regime di postergazione; od ancora, alle società in cui gli eventuali conferimenti di capitale diversi dal denaro ef-fettuati dai soci (beni in natura, opera o servizi) siano valorizzati dai so-ci secondo criteri soggettivi diversi da quelli comunemente seguiti dagli esperti chiamati ad effettuare la perizia di conferimento. Una attribu-zione non proporzionale delle partecipazioni potrebbe anche essere convenuta al solo scopo di compensare l’eventuale diritto di ammini-strazione esclusiva riservato ad un socio, ovvero l’attribuzione a deter-minati soci di altri diritti particolari ai sensi del comma 3 dell’art. 2468 c.c.
La riforma ha dunque avuto l’indubbio merito di riconoscere alle partecipazioni la loro intrinseca reale natura di “quota nell’affare”, piut-tosto che quella di entità nominale astratta priva di qualsiasi significato concreto.
Individuando le quote di partecipazione con una percentuale o con una frazione, piuttosto che con il loro valore nominale implicito, ap-paiono finalmente evidenti le reali modificazioni che si verificano nell’entità delle stesse all’esito di operazioni sul capitale. Agli aumenti gratuiti e alle riduzioni per perdite non consegue alcuna modifica delle partecipazioni. È solo nel caso in cui un aumento di capitale a paga-mento non sia integralmente sottoscritto dai vecchi soci, in proporzione alle loro quote, che si verifica una modifica delle partecipazioni sociali, in quanto ciò che viene offerto in sottoscrizione è necessariamente una parte delle partecipazioni “nell’affare” preesistenti e non nuove quote che si aggiungono nominalmente alle precedenti.
Si noti bene che ciò accadeva anche prima della riforma, solo che non era reso evidente dall’individuazione delle quote di partecipazione effettuata attraverso il loro valore nominale.
Il superamento di ogni collegamento tra la quota di partecipazione e il conferimento, oltre ad aver reso libera la determinazione delle parte-cipazioni al momento della costituzione della società, ha anche consen-tito di offrire in sottoscrizione in sede di aumento di capitale quote di partecipazione aventi un valore nominale implicito non corrispondente a quello dell’aumento.
Al pari di quanto accade al momento della costituzione, ove i soci possono attribuirsi le quote di partecipazione in misura non proporzio-nale rispetto ai conferimenti, anche in sede di aumento di capitale i soci possono offrire ai sottoscrittori dell’aumento quote di partecipazione di valore nominale implicito non corrispondente a quanto richiesto a titolo di conferimento a capitale.
È dunque possibile aumentare il capitale da euro 10.000 ad euro 20.000 offrendo in cambio quote di partecipazione pari al 40%, al 50%, al 60% della società, e così via.
Nella pratica, verranno offerte quote di partecipazione aventi un va-lore nominale implicito inferiore al conferimento richiesto nell’ipotesi in cui il valore reale della società sia superiore a quello del capitale nomi-nale, mentre verranno offerte quote di partecipazione aventi un valore nominale implicito superiore al conferimento richiesto nell’ipotesi in-versa, rendendo in tal modo equo il prezzo di sottoscrizione.
In tutte le operazioni di aumento di capitale, come accadeva anche anteriormente alla riforma, le percentuali di partecipazione non offerte in sottoscrizione rimangono di proprietà dei vecchi soci. Se prima della riforma si fosse deliberato di aumentare il capitale da euro 10.000 ad eu-ro 20.000, si sarebbe in sostanza offerto in sottoscrizione il 50% della società, lasciando ai vecchi soci il 50% residuo. Dopo la riforma è pos-sibile rendere ciò evidente, deliberando in maniera esplicita di offrire il 50% della società in cambio di conferimenti per euro 10.000.
Applicando i principi esposti alla fattispecie dell’azzeramento del capitale sociale per perdite, si deve affermare che:
1) la delibera di azzeramento del capitale sociale non annulla le quo-te di partecipazioni dei soci all’epoca esistenti ex art. 2482 quater c.c.;
2) nella successiva delibera di aumento in ricostituzione non ricorre alcun obbligo di offrire in sottoscrizione il 100% delle partecipazioni nell’affare;
3) le quote di partecipazione eventualmente non offerte in sottoscri-zione con l’aumento in ricostituzione rimangono nella titolarità dei vec-chi soci.
È dunque finalmente possibile richiedere il giusto prezzo di sotto-scrizione anche in sede di aumento di capitale conseguente ad un azze-ramento per perdite in presenza di plusvalori inespressi dalle scritture contabili, tutelando in tal modo l’interesse dei vecchi soci a conservare la titolarità di detti plusvalori.
Si pensi all’ipotesi di una società partecipata da due soci al 50% cia-scuno, che debba azzerare il capitale sociale nominale di euro 10.000 per perdite, pur avendo un patrimonio effettivo (inespresso contabil-mente) positivo per euro 15.000, al netto delle perdite. In tale ipotesi sa-rà equo offrire in sottoscrizione partecipazioni pari al 40% del totale a fronte di un aumento del capitale in ricostituzione di euro 10.000, che porterebbe il patrimonio netto reale ad euro 25.000.
All’esito dell’aumento, qualora i vecchi soci non concorrano alla sua sottoscrizione, rimarranno comunque titolari di una percentuale di par-tecipazione pari complessivamente al 60% (dunque del valore effettivo di euro 15.000, corrispondente al reale patrimonio netto residuo loro spettante dopo l’azzeramento e prima dell’aumento), mentre i nuovi so-ci diverranno titolari di una percentuale di partecipazioni pari comples-sivamente al 40% (dunque del valore effettivo di euro 10.000, pari al lo-ro apporto reale).
Anteriormente alla riforma, per poter ottenere il medesimo risultato, era necessario porre in essere un’operazione contorta e apparentemente illogica. Bisognava cioè, in presenza di perdite, prima aumentare il capi-tale e successivamente ridurlo a ripianamento integrale delle perdite. La contestualità delle due delibere le rendeva legittime, in quanto, prescin-dendo dall’ordine cronologico di adozione, erano entrambe destinate ad avere efficacia dall’iscrizione nel registro imprese, dunque dal medesi-mo istante.
È interessante notare come la semplice inversione cronologica dell’adozione contestuale di due delibere, che dovrebbe avere valore me-ramente estetico, produceva in realtà effetti sostanziali profondamente diversi. Azzerando prima il capitale e poi ricostituendolo si produceva l’annullamento delle partecipazioni dei vecchi soci, invertendo le delibe-re quest’ultime si sarebbero invece conservate. Tale circostanza eviden-zia come l’individuazione nominalistica delle partecipazioni era causa di distorsioni e forzature in grado di inquinare il sistema.
Deve quindi essere accolta con grande favore la nuova impostazione voluta dalla riforma del diritto societario, consacrata negli artt. 2481 ter, comma 2, e 2482 quater c.c., che ha reso sostanzialmente implicito il valore nominale delle partecipazioni delle s.r.l., valorizzando in tal mo-do la loro reale natura di “quote nell’affare”, rappresentative di diritti amministrativi e patrimoniali complessi, piuttosto che di semplici quote rappresentanti una frazione nominale del capitale sociale.
I.G.50 (DIRITTO DI SECONDA SOTTOSCRIZIONE E SUA TANGIBILITÀ - 1° pubbl. 9/15 - motivato 9/15)
Il terzo alinea dell’art. 2481 bis, comma 2, c.c. dispone che in caso di aumento di capitale mediante nuovi conferimenti (c.d. aumento reale o effettivo) “la deci-sione può anche consentire, disciplinandone le modalità, che la parte dell’aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi”, pure in assenza di una previsione in tal senso contenuta nell’atto costitutivo (cfr. orientamento I.G.4).
Nelle s.r.l., quindi, stabilire quale sia la sorte dell'operazione di aumento è facol-tà riservata all’autonomia dei soci (da esercitarsi in sede assembleare, all’interno del procedimento di aumento).
I soci potranno:
a) non assumere una deliberazione specifica (nel qual caso troverà applicazione il meccanismo di cui all'art. 2481 bis, comma 3, c.c. a seconda che l'aumento sia scindibile o inscindibile);
b) stabilire che, scaduti i termini per l’esercizio del diritto di sottoscrizione, la frazione di aumento di capitale rimasta non sottoscritta venga offerta in sotto-scrizione ai soci che hanno già esercitato il proprio diritto (di qui il termine prati-co: “seconda sottoscrizione”) o a terzi.
Nell’ipotesi sub b) devono ritenersi legittime sia la delibera che consenta di offri-re la parte di aumento non sottoscritta ai soli soci che abbiano esercitato il pro-prio diritto di prima sottoscrizione con integrale esclusione dei terzi, sia quella che consenta di offrire la frazione di aumento di capitale non sottoscritta ai soci che abbiano esercitato il proprio diritto di prima sottoscrizione e, in subordine, ai terzi.
Appaiono invece di dubbia legittimità - salvo consti il consenso unanime di tutti i soci rappresentanti l’intero capitale sociale – le delibere che riservino la sotto-scrizione dell’inoptato, in tutto o in parte, esclusivamente a vantaggio dei terzi con esclusione dei soci.
Motivazione
L’orientamento in esame cerca di offrire soluzioni operative pratiche a quello che prima della riforma del diritto societario si sarebbe definito il problema dell’inoptato.
La normativa vigente in tema di s.r.l. non usa più la terminologia di “opzione” e “prelazione” - invece ancora presenti nel Capo V Titolo V del c.c. dedicato alle s.p.a. - limitandosi, a proposito degli aumenti reali del capitale sociale, a disciplinare il “diritto di sottoscrizione”.
Aderendo quindi al linguaggio del legislatore si può definire diritto di prima sottoscrizione il diritto spettante ai soci in caso di decisione di aumento del capitale sociale in proporzione delle partecipazioni da essi possedute secondo il disposto dell’art. 2481 bis c.c. (chiamato diritto di opzione dall’art. 2441 c.c. in ambito s.p.a.), e diritto di seconda sotto-scrizione quello eventualmente consentito ai soci o a terzi, previa de-terminazione delle modalità di esplicazione, nel caso in cui la parte di aumento del capitale sociale non sia stata sottoscritta da uno o più soci (che in ambito s.p.a. viene definito diritto di prelazione dal comma ter-zo dell’art. 2441 c.c., ivi è pure disciplinato e sostanzialmente è possibile escluderlo negli stessi casi e per gli stessi motivi in cui è possibile esclu-dere il diritto di opzione).
Questo orientamento ha quindi come scenario il procedimento di aumento del capitale mediante nuovi conferimenti; individua l’ambito in cui può esplicarsi l’autonomia dei soci al momento della assunzione della deliberazione e quali siano gli eventuali limiti alla tangibilità del diritto di seconda sottoscrizione nel collocamento dell’aumento di capi-tale per la parte per la quale i titolari del diritto di sottoscrizione non l’abbiano esercitato.
Nelle s.r.l. la sottoscrizione dell’inoptato non è riservata, come nelle s.p.a., ai soci che hanno aderito all’aumento; il legislatore stabilisce che, eventualmente e purché ne venga disciplinata la modalità, sia la deci-sione dei soci a prevedere che l’inoptato possa essere offerto in sotto-scrizione agli altri soci o a terzi.
La fattispecie in commento è diversa da quella prevista dall’art. 2481 bis comma 1 c.c. e, come precisato nell’orientamento I.G.4, qui si pre-scinde dalla apposita previsione dell’atto costitutivo: l’eventuale offerta a terzi è in seconda battuta.
La decisione di aumento del capitale sociale può quindi legittima-mente restare silente sul problema dell’inoptato limitandosi a disciplina-re (oltre all’eventuale sovrapprezzo) modalità e termini entro i quali può essere esercitato da parte dei soci il diritto di sottoscrizione; se null’altro viene deliberato, stante il regime legale dell’inscindibilità stabilito dal terzo comma dell’art. 2481 bis c.c., residuando dell’inoptato si vanifica l’intero procedimento di aumento del capitale; se invece la delibera ha espressamente previsto la scindibilità dell’aumento “il capitale è aumen-tato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte”.
Risultando inapplicabile per analogia la normativa sulla prelazione dettata per le s.p.a. - per le differenze tipologiche sussistenti, per la cen-tralità che il ruolo del socio ha assunto nell’impianto normativo delle s.r.l., per la più marcata impronta personalistica della partecipazione sociale nella s.r.l., per il tenore letterale del terzo alinea dell’art. 2481-bis comma 2 c.c. il quale espressamente prevede che sia una specifica pre-visione della deliberazione a consentire il collocamento dell’inoptato – sembra che, in ipotesi di decisione silente, non vi possa essere spazio al-cuno per una libertà di azione degli amministratori.
Se invece la decisione dei soci intende consentire il collocamento dell’inoptato disciplinandone le modalità (destinatari, termine, prezzo di emissione) si pone il problema, a cui l’orientamento in commento cerca di offrire soluzioni, di quali siano i limiti di tangibilità o di sacrifi-cio del diritto di seconda sottoscrizione nell’assenza di ulteriori precisa-zioni da parte del legislatore.
È parso corretto, ispirandosi ai princìpi generali di correttezza e buona fede, nonché di parità di trattamento tra i soci, da considerarsi immanenti nel sistema, ritenere legittime tutte quelle deliberazioni che sostanzialmente abbiano come prioritario destinatario il socio, preve-dendo per la frazione di aumento non sottoscritta una seconda possibili-tà a favore dei soci che abbiano esercitato il diritto in prima offerta, escludendo i terzi o subordinandone l’offerta agli stessi.
A tutela quindi dei soci che abbiano interesse ad incrementare la propria partecipazione, nel rispetto della parità di trattamento tra gli stessi (il che tra l’altro significa che ove vi siano più contestuali richieste di sottoscrizione dell’inoptato si dovrà prevedere un criterio di distribu-zione/collocazione proporzionale), o ad impedire l’ingresso in società di estranei.
Di conseguenza, per gli stessi princìpi (tra cui in primis il principio generale promosso dalla legge delega e salvaguardato dal legislatore del-la riforma della rilevanza centrale del socio e della rilevanza centrale dei rapporti contrattuali tra i soci), appaiono invece molto più problemati-che le decisioni che per il collocamento dell’inoptato parifichino, assimi-lino o preferiscano i terzi ai soci, ostacolando di fatto l’intenzione di questi ultimi di aumentare la propria partecipazione sociale; fatta salva, ovviamente, una diversa decisione unanime con cui i soci dimostrino di essere favorevoli al mutamento quantitativo e pure qualitativo della composizione della compagine sociale e, al contempo, valorizzino l’eventuale interesse sociale al reperimento di capitali di rischio anche di fonte esterna (comunque nel rispetto del divieto di sollecitazione all’investimento previsto dall’art. 2468, comma 1, c.c.).
L’unanimità dei consensi, in tal caso, rappresenta il punto di incon-tro tra autonomia e centralità del socio, garantendo l’intangibilità della sua posizione da parte della maggioranza ma senza limitare la libertà di scelta individuale: riconosce che i diritti sono disponibili solo con il con-senso del titolare, ma non assolutamente indisponibili.
I.G. 51 - (AUMENTO A PAGAMENTO DEL CAPITALE IN PRESENZA DI PARTECIPA-ZIONI GRAVATE DA USUFRUTTO – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15)
In caso di partecipazioni gravate da usufrutto, se viene deliberato un aumento a pagamento del capitale, il diritto di sottoscrizione/opzione, ai sensi dell’art. 2352, comma 2, c.c. (richiamato dall’art. 2471 bis c.c.), spetta al socio (nudo pro-prietario) ed al medesimo sono attribuite le partecipazioni in base ad esso sot-toscritte.
Le partecipazioni di nuova emissione sono attribuite al socio (nudo proprietario) in piena proprietà, dovendosi escludere sulle stesse un’estensione del diritto di usufrutto che continuerà a gravare solo sulle vecchie partecipazioni, salva diver-sa volontà espressa dalle parti.
Si ritiene che le parti (socio/nudo proprietario ed usufruttuario), possano, con apposito patto, disciplinare la fattispecie in maniera diversa, prevedendo, ad esempio, la facoltà per l’usufruttuario di ottenere l’estensione del suo diritto di usufrutto anche sulle partecipazioni di nuova emissione, a fronte del suo con-corso alle spese per la liberazione di dette partecipazioni (un estensione dell’usufrutto sulle partecipazioni derivanti da aumenti a pagamento senza il concorso alle spese da parte dell’usufruttuario integrerebbe una donazione di cosa futura, nulla ex art. 771 c.c.).
Deve comunque essere rispettata la specifica disciplina dettata dalla società per la costituzione del diritto di usufrutto sulle partecipazioni. Si ritiene, peraltro, le-gittima una clausola statutaria che nel sancire limiti e/o condizioni per la costi-tuzione di usufrutto sulle partecipazioni, preveda una deroga a tale disciplina per l’ipotesi in cui, in forza di un patto “estensivo” intervenuto tra le parti, sia ri-chiesta l’estensione dell’usufrutto anche alle partecipazioni di nuova emissione in caso di aumento a pagamento del capitale sociale.
Motivazione
Vedi sub H.G.34
I.G.52 - (MODALITÀ DI ESERCIZIO DELLA COMPENSAZIONE TRA DEBITO PER SOT-TOSCRIZIONE DI UN AUMENTO A PAGAMENTO DEL CAPITALE E CREDITO PER FI-NANZIAMENTO SOCI – 1° pubbl. 9/16 – motivato 9/17)
Deve ammettersi, in caso di aumento a pagamento del capitale sociale, la com-pensazione tra il debito del socio che ha sottoscritto l’aumento ed il debito che la società ha verso il socio sottoscrittore per finanziamenti soci (e ciò anche nel caso di aumento a pagamento a seguito di azzeramento del capitale o di ridu-zione del capitale al di sotto del minimo di legge per perdite).
Al riguardo si ritiene quanto segue:
(I) non necessita alcuna specifica autorizzazione in delibera per consentire l’attivazione della compensazione tra debiti liquidi ed esigibili. Troverà applica-zione la disciplina degli artt. 1241 e segg. c.c. con la conseguenza che la compen-sazione potrà essere opposta dal socio sottoscrittore ogniqualvolta ricorrano tutte le condizioni poste dall’art. 1243 c.c. (compensazione legale);
(II) se mancano le condizioni per la compensazione legale poste dagli artt. 1243 e 1246 c.c. troverà, invece, applicazione la disciplina dettata in materia di compen-sazione volontaria di cui all’art. 1252 c.c.; spetterà all’organo amministrativo de-cidere sull’ammissibilità della compensazione volontaria, ove l’assemblea dei so-ci non abbia deliberato al riguardo;
(III) non è consentito all’assemblea dei soci di escludere, a maggioranza, la pos-sibilità di compensazione legale; il diritto alla compensazione è un diritto che compete ai singoli soci “uti singuli” e come tale non è nella disponibilità dalla maggioranza assembleare;
(IV) sarà comunque possibile per l’assemblea escludere la compensazione “lega-le” con delibera adottata col voto favorevole dei soci rappresentanti l’intero ca-pitale sociale, verificandosi in questo caso la fattispecie di cui all’art. 1246, n. 4, c.c. (la compensazione non si verifica in caso di “rinuncia alla compensazione fat-ta preventivamente dal debitore”);
(V) nel caso in cui nel contratto di finanziamento intervenuto tra socio e società sia stata espressamente esclusa la facoltà di compensazione tra credito per fi-nanziamento e debito per sottoscrizione in caso di aumento del capitale (art. 1246, n. 4, c.c.), la compensazione legale rimane esclusa, per cui potrà operare solo la compensazione volontaria. Anche in questo caso spetterà all’organo am-ministrativo decidere sull’ammissibilità della compensazione volontaria, ove l’assemblea dei soci non abbia deliberato al riguardo.
Motivazione
Conformemente a quanto ritenuto dalla prevalente dottrina e giuri-sprudenza deve ammettersi, in caso di aumento a pagamento del capita-le sociale, la compensazione tra il debito del socio che ha sottoscritto l’aumento ed il debito che la società ha verso il socio sottoscrittore per finanziamenti soci (e ciò anche nel caso di aumento a pagamento a se-guito di azzeramento del capitale o di riduzione del capitale al di sotto del minimo di legge per perdite).
In questo senso si era pronunciata già in passato la Cassazione per la quale “in tema di società di capitali, nell’ipotesi di sottoscrizione di un aumento del capitale sociale, l’oggetto del conferimento da parte del so-cio non deve, necessariamente, identificarsi in un bene suscettibile di esecuzione forzata, bensì in una res dotata di consistenza economica. Ne consegue la legittimità del conferimento attuato mediante compen-sazione tra il debito del socio verso la società ed un credito vantato dal medesimo nei confronti dell’ente, atteso che la società stessa, pur per-dendo formalmente il suo credito al conferimento, acquista concreta-mente un “valore” economico, consistente nella liberazione da un corri-spondente debito […]” (Cass. 24 aprile 1998, n. 4236).
In questo senso anche:
- la Commissione Studi Societari del Comitato Notarile Campania, massima n. 4 (edizione 2011): “si reputa legittima l’esecuzione di una delibera di aumento di capitale sociale mediante compensazione di un credito vantato dal socio nei confronti della società con il debito assunto dal medesimo in seguito alla sottoscrizione del predetto aumento. […];
- la Commissione del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Fi-renze, Pistoia e Prato, massima del 21 settembre 2011: “È sempre pos-sibile liberare l’aumento di capitale sottoscritto mediante compensazio-ne con un credito del socio da finanziamento, anche nel caso in cui il termine per il rimborso non sia ancora scaduto”;
- il Consiglio Notarile di Milano (Commissione per i principi uni-formi in tema di società) massima n. 125 del 15 marzo 2013: “L’obbligo di conferimento di denaro in esecuzione di un aumento di capitale di s.p.a. o s.r.l. può essere estinto mediante compensazione di un credito vantato dal sottoscrittore verso la società, anche in mancanza di espres-sa disposizione della deliberazione di aumento […]”;
Al riguardo possono porsi due questioni:
(i) la compensazione è ammissibile solo se espressamente consentita nella delibera o può essere opposta dal socio sottoscrittore a prescindere da una previsione assembleare?
(ii) l’assemblea dei soci può, a maggioranza, escludere la compensa-zione?
(i) Con riguardo alla prima questione si ritiene che non vi sia incom-patibilità tra diritto societario e istituto civilistico della compensazione, per cui non necessita alcuna specifica autorizzazione in delibera per consentire l’attivazione della compensazione tra debiti liquidi ed esigibi-li. Troverà applicazione la disciplina degli artt. 1241 e segg. c.c. con la conseguenza che la compensazione potrà essere opposta dal socio sot-toscrittore ogniqualvolta ricorrano tutte le condizioni poste dall’art. 1243 c.c. (compensazione legale). Se mancano le condizioni per la com-pensazione legale poste dagli artt. 1243 e 1246 c.c. troverà, invece, ap-plicazione la disciplina dettata in materia di compensazione volontaria di cui all’art. 1252 c.c. (“per volontà delle parti può aver luogo compen-sazione anche se non ricorrono le condizioni previste dagli articoli pre-cedenti). Spetterà all’organo amministrativo decidere sull’ammissibilità della compensazione volontaria, ove l’assemblea dei soci non abbia de-liberato al riguardo.
Nello stesso senso proposto nel presente orientamento anche il Con-siglio Notarile di Milano (Commissione per i principi uniformi in tema di società) massima n. 125 del 15 marzo 2013: “Tale compensazione, qualora sia legale e abbia quindi a oggetto debiti certi, liquidi ed esigibili ai sensi dell’art. 1243 c.c., non richiede il consenso della società, nem-meno nel momento in cui viene eseguita la sottoscrizione. Qualora il sottoscrittore intenda invece avvalersi, a tali fini, di un credito certo e li-quido, ma non esigibile, la compensazione richiede il consenso della so-cietà ai sensi dell’art. 1252 c.c.”;
(ii) Con riguardo alla seconda questione si ritiene non sia consentito all’assemblea dei soci di escludere, a maggioranza, la possibilità di compensazione legale; il diritto alla compensazione è un diritto che compete ai soci “uti singuli” e come tale non è nella disponibilità dalla maggioranza assembleare. Come sopra già detto trova applicazione nel caso di specie la disciplina civilistica in tema di compensazione che ri-conosce tale diritto al ricorrere di tutte le condizioni ex artt. 1241 e segg. c.c.; non si tratta pertanto di un diritto connesso alla qualità di socio. Ovviamente sarà possibile per l’assemblea escludere la compensazione legale con delibera adottata col voto favorevole dei soci rappresentanti l’intero capitale sociale, verificandosi in questo caso la fattispecie di cui all’art. 1246, n. 4, c.c. (la compensazione non si verifica in caso di “ri-nuncia alla compensazione fatta preventivamente dal debitore”).
Si rammenta che affinché possa operare la compensazione legale, i debiti reciproci debbono essere certi, liquidi ed esigibili. In mancanza di dette condizioni la compensazione può ugualmente operare solo se vi è il consenso di entrambi i debitori (compensazione volontaria).
Nella fattispecie qui presa in considerazione non sempre risulta age-vole stabilire se il debito della società per finanziamento soci sia o meno esigibile e quindi se ricorrano o meno le condizioni affinché possa ope-rare la compensazione legale. Al riguardo si possono prospettare le se-guenti situazioni:
(a) nel caso in cui nel contratto di finanziamento intervenuto tra soci e società sia stato espressamente convenuto il termine per la restituzio-ne della somma, bisogna distinguere a seconda che il termine suddetto sia già scaduto o si sia ancora in pendenza del termine. Nel caso in cui il termine sia già scaduto la compensazione sarà sempre opponibile, su semplice iniziativa del socio sottoscrittore (senza che sia, pertanto, ne-cessaria alcuna specifica autorizzazione nella delibera di aumento del capitale e senza che l’assemblea dei soci, a maggioranza, possa esclude-re la possibilità di opporre detta compensazione); in pendenza del ter-mine, invece, la compensazione sarà possibile solo se consentita anche dalla società, trattandosi di una fattispecie di compensazione volonta-ria;
(b) nel caso in cui nel contratto di finanziamento intervenuto tra soci e società non sia stato, invece, convenuto il termine per la restituzione della somma, si possono ipotizzare due diverse (ed opposte) soluzioni:
- se si ritiene applicabile al caso di specie la disposizione generale in tema di adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 1183 c.c. (in base alla quale “se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve es-sere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente […]”) deve rite-nersi il credito vantato dal socio sottoscrittore nei confronti della società immediatamente esigibile e quindi sussistenti le condizioni per opporre la compensazione legale; la compensazione, pertanto, sarà sempre op-ponibile, su semplice iniziativa del socio conferente (senza che sia, per-tanto, necessaria alcuna specifica autorizzazione nella delibera di au-mento del capitale e senza che l’assemblea dei soci, a maggioranza, possa escludere la possibilità di opporre detta compensazione);
- se si ritiene, invece, applicabile al caso di specie la disposizione par-ticolare in tema di adempimento del mutuo di cui all’art. 1817 c.c. (in base alla quale “se non è fissato un termine per la restituzione questo è stabilito dal giudice, avuto riguardo alle circostanze”) si deve ritenere che fintantoché non sia venuto a scadenza il termine fissato da giudice il credito vantato dal socio sottoscrittore nei confronti della società non sia esigibile e quindi insussistenti le condizioni per opporre la compen-sazione legale; in questo caso la compensazione sarà possibile solo se consentita anche dalla società, trattandosi di una fattispecie di compen-sazione volontaria.
Tra le due soluzioni proposte sembra preferibile la seconda (con con-seguente applicabilità al caso di specie della disposizione dell’art. 1817 c.c.). Infatti il finanziamento soci è figura senza dubbio riconducibile al-la fattispecie del mutuo, alla quale è specificatamente dedicata la disci-plina dettata dall’art. 1817, che costituisce disciplina speciale prevalente sulla disciplina generale dettata per le obbligazioni in generale dall’art. 1183 c.c.; inoltre lo stesso art. 1183 c.c. dopo aver stabilito che se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il credi-tore può esigerla immediatamente, prosegue precisando che “qualora, tuttavia, in virtù degli usi o per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell’esecuzione, sia necessario un termine, questo, in mancanza di accordo delle parti, è stabilito dal giudice”. Quindi la norma ammette una diversa disciplina in relazione alla natura della pre-stazione. E un’applicazione della deroga prevista dall’art. 1183 c.c. sembra proprio essere rappresentata, in relazione alla particolare natura del mutuo, dalla disciplina dettata dall’art. 1817 c.c. (che non a caso ri-mette al giudice il compito di fissare il termine di restituzione in man-canza di accordo tra le parti).
A soluzioni esattamente opposte a quelle sopra proposte si deve per-venire nel caso in cui nel contratto di finanziamento intervenuto tra so-cio e società sia stata espressamente esclusa la facoltà di compensazio-ne tra credito per finanziamento e debito per sottoscrizione in caso di aumento del capitale; l’art. 1264 c.c., al n. 4, esclude che possa operare la compensazione legale nel caso in cui il debitore vi abbia preventiva-mente rinunciato. In presenza di una simile clausola la compensazione legale rimane esclusa, per cui potrà operare solo la compensazione vo-lontaria. Anche in questo caso spetterà all’organo amministrativo deci-dere sull’ammissibilità della compensazione volontaria, ove l’assemblea dei soci non abbia deliberato al riguardo.
Per quanto riguarda specificatamente le s.r.l., ci si è posti il problema dell’ammissibilità della compensazione in oggetto in relazione alla di-sposizione dell’art. 2467 c.c. in tema di postergazione dei crediti dei soci per finanziamenti effettuati a favore della società.
In dottrina si è avuto anche modo di osservare come alla compensa-zione tra il debito del socio che ha sottoscritto l’aumento ed il debito che la società ha verso il socio sottoscrittore per finanziamenti soci, non sia di ostacolo neppure la disposizione dell’art. 2467 c.c. (norma dettata per le s.r.l.) non potendo ravvisarsi una lesione degli interessi dei credi-tori sociali nel caso in cui il credito del socio non viene materialmente rimborsato ma viene convertito in capitale di rischio.
In questo senso anche:
- la Commissione Studi Societari del Comitato Notarile Campania, massima n. 4 (edizione 2011): “la compensazione non risulta inibita da alcun divieto di legge, non è contraria all’interesse della società o dei terzi creditori. Non osta alla predetta operazione neanche il disposto dell’art. 2467 c.c., di cui, anzi, l’operazione rappresenta attuazione rea-lizzando la “conversione” in capitale di rischio di un capitale (origina-rio) da finanziamento”;
- la Commissione del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Fi-renze, Pistoia e Prato, massima del 21 settembre 2011: “Non osta a tale operazione neppure il fatto che ricorrano le condizioni per la posterga-zione dei crediti dei soci stabilite dall’art. 2467 del codice civile, posto che la conversione del credito da finanziamento in capitale di rischio concorre alla protezione degli interessi dei creditori terzi tutelati da tale disposizione”.
Da segnalare, peraltro, la diversa posizione assunta su quest’ultimo punto (ossia sul rapporto, nelle s.r.l., tra compensazione ed art. 2467 c.c.) dal Tribunale di Roma (sentenza 6 febbraio 2017 in CNN Notizie n. 27 del 14 febbraio 2017). Per il Tribunale di Roma, infatti il principio della compensabilità tra credito del socio, avente per oggetto la restitu-zione di un precedente finanziamento, e debito, avente ad oggetto l’ammontare dell’aumento del capitale, trova il proprio limite nell’ipotesi in cui i finanziamenti eseguiti siano soggetti alla posterga-zione prevista dall’art. 2467 c.c.; in particolare il Tribunale di Roma, in detta sentenza, pur aderendo alla tesi maggioritaria della compensabili-tà tra credito per finanziamento socio e debito del socio per liberazione del capitale, tuttavia esclude si possa procedere a tale compensazione (neppure in via volontaria) in presenza di finanziamenti soggetti a po-stergazione, mancando in questo caso la “esigibilità” del debito. Tale esclusione peraltro non vale per tutti i finanziamenti soci, ma solo per quelli che, sia sotto il profilo soggettivo che sotto il profilo oggettivo, debbano considerarsi soggetti a postergazione.
A tal riguardo il Tribunale di Roma rammenta come:
(i) sotto il profilo soggettivo, la postergazione si applica ai finanzia-menti eseguiti da coloro che, al momento dell'esecuzione del finanzia-mento risultano soci, con la conseguenza che:
- a nulla rileva la successiva cessione della partecipazione sociale a terzi, restando anche in tal caso opponibile al cessionario che pretenda la restituzione la postergazione del finanziamento;
- la postergazione non si applica invece al finanziatore che sia dive-nuto socio in epoca successiva all'erogazione del finanziamento.
(ii) sotto il profilo oggettivo i presupposti della postergazione sono individuati dall’art. 2467 c.c. nell'eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto e in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento; in pratica il fi-nanziamento del socio deve essere postergato quando, secondo un giu-dizio ex post, nel momento in cui venne concesso era altamente proba-bile che la società, rimborsandolo, non sarebbe stata in grado di soddi-sfare regolarmente gli altri creditori. Ai fini dell'operatività del regime della postergazione, peraltro, il requisito oggettivo deve sussistere tanto al momento dell'erogazione del finanziamento quanto al momento della restituzione di esso (potendo certamente la società, superata la crisi fi-nanziaria e tornata in equilibrio finanziario, procedere al rimborso dei finanziamenti eseguiti dai soci). In altre parole, un finanziamento ese-guito dal socio in un periodo di equilibrio finanziario della società non diviene postergato in caso di peggioramento della situazione finanziaria della società e, dunque, di sopravvenienza del descritto "rischio di in-solvenza". In tal caso il socio può pretendere la restituzione del proprio finanziamento e l'amministratore non può opporre la postergazione di esso. Tale principio trova, peraltro, secondo l’opinione espressa dal Tri-bunale di Roma nella succitata sentenza, il proprio limite nell'ipotesi in cui nel comportamento del socio - che ometta di chiedere la restituzione alle scadenze pattuite e che neppure solleciti la società ad adempiere- possano scorgersi gli estremi (non tanto di un mero comportamento omissivo, ma) di un vero e proprio accordo intercorso tra socio e socie-tà diretto a sostenere (ulteriormente) la società dal punto di vista finan-ziario in un momento in cui sarebbe stato ragionevole eseguire un con-ferimento.
Il Tribunale di Roma, pertanto, osserva come la postergazione legale impedisca l'esigibilità del credito del socio, la quale deve per tale motivo ritenersi sospesa sino alla soddisfazione degli altri creditori (come se fosse sottoposta ad una condizione sospensiva). Di conseguenza l'inesi-gibilità del credito derivante dalla postergazione legale necessariamente impedisce l'operatività della compensazione con il debito del medesimo socio derivante dall'aumento di capitale. E va da sé che l'art. 2467 c.c. è ostativo all'operare tanto della compensazione legale, mancando il re-quisito dell'esigibilità di uno dei due crediti, quanto della compensazio-ne volontaria in quanto l'amministratore della società ha il dovere di opporre la postergazione del finanziamento del socio; infatti, gli ammi-nistratori, che, al contrario, restituissero ai soci quanto da loro versato in pendenza di postergazione, anche mediante la compensazione, sa-rebbero responsabili verso la società e verso i creditori sociali per inos-servanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del pa-trimonio sociale.
Nel caso esaminato il Tribunale non ha comunque accolto il ricorso della società che si opponeva alla richiesta di compensazione del socio avendo rilevato:
- che è onere della parte che rileva il carattere postergato dei finan-ziamenti (nel caso di specie la società) dimostrare la ricorrenza nella fattispecie degli elementi soggettivi ed oggettivi della postergazione del credito del socio;
- che la società ricorrente, nel caso in esame, aveva completamente omesso di assolvere all'onere probatorio su di essa gravante.
I.G.53 - (ASSENZA DI UN TERMINE MASSIMO LEGALE PER LA SOTTOSCRIZIONE DI UN AUMENTO DI CAPITALE – 1° pubbl. 9/19 – motivato 9/19)
L’art. 2481-bis, comma 2, c.c. dispone che la decisione di aumento di capitale de-ve prevedere i termini entro i quali debba essere esercitato il diritto di sottoscri-zione, stabilendo il termine minimo legale che deve essere concesso ai soci per esercitare il diritto di prima sottoscrizione (trenta giorni dalla comunicazione) ma non quello massimo entro il quale l’aumento debba essere sottoscritto da chiunque ne abbia diritto.
Stante quanto sopra si deve ritenere che ove l’interesse sociale lo esiga, circo-stanza che non può mai verificarsi nell’ipotesi dell’aumento in ricostituzione di cui all’art. 2482-ter c.c., sia legittimo far coincidere il termine finale di sottoscri-zione con un periodo particolarmente lungo, anche di anni.
Motivazione
Vedi sub H.G.41.