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Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie - Orientamenti Societari, Commesione Società
L.A. Fusione e scissione in generale > Fusione e scissione in generale
L.A.1 - (DELIBERA DI FUSIONE O SCISSIONE PRIMA DELL’ISCRIZIONE DEL PROGET-TO - 1° pubbl. 9/04)
Con il consenso unanime dei soci è possibile deliberare una fusione o una scis-sione anche prima dell’iscrizione del relativo progetto nel registro delle imprese, purché detto progetto sia stato depositato. In detta ipotesi è però necessario al-legare alla delibera il testo integrale del progetto al fine di evitare che il momen-to di conoscibilità della prima possa essere anteriore a quello di conoscibilità del secondo.

L.A.2 - (LIMITE TEMPORALE DI ADOTTABILITÀ DELLA DELIBERA RISPETTO AL DE-POSITO DEL PROGETTO - 1° pubbl. 9/04)
Il limite massimo fra il deposito per l’iscrizione del progetto di fusione e la deli-bera assembleare di approvazione del progetto può stabilirsi in sei mesi.

L.A.3 - (DEPOSITO DI DOCUMENTI EX ART. 2502 BIS C.C. - 1° pubbl. 9/04)
La disposizione prevista dall’art. 2502 bis c.c., in base alla quale i documenti indi-cati nell’art. 2501 septies c.c. devono essere depositati nel registro delle imprese unitamente alla delibera di fusione, essendo volta a garantire la possibilità per i terzi di verificare detti documenti presso il registro delle imprese ove è iscritta la società, deve essere interpretata nel senso che i documenti già depositati in det-to registro, anche se in fascicoli di diverse società, non devono essere rideposita-ti, dovendosi procedere al deposito dei soli documenti mai depositati.
È comunque necessario che dal verbale risulti l’avvenuto deposito dei documenti che non si intende allegare alla richiesta di iscrizione della delibera di fusione.
Così ad esempio non occorre ridepositare i bilanci degli ultimi tre esercizi delle società partecipanti alla fusione se questi sono già stati regolarmente depositati presso un registro imprese, dovendosi procedere al deposito solo qualora si trat-ti di bilanci non depositati (come per le società di persone).

L.A.4 - (SUSSISTENZA DEI REQUISITI PER LE FUSIONI SEMPLIFICATE - 1° pubbl. 9/04 - motivato 9/11)
Possono legittimamente essere adottate le delibere di fusione utilizzando le pro-cedure semplificate previste dagli artt. 2505 e 2505 bis c.c., anche nel caso in cui al momento di tali delibere non sia ancora posseduto dall’incorporante rispetti-vamente l’intero o il 90% del capitale dell’incorporata.
Tale possesso deve infatti necessariamente sussistere solo al momento della sti-pula dell’atto di fusione.

Motivazione
Il procedimento di fusione integra una fattispecie a formazione pro-gressiva, il cui momento iniziale coincide con la predisposizione del progetto di fusione da parte degli amministratori, e quello finale con l’iscrizione nel registro imprese dell’atto di fusione.
Le disposizioni degli artt. 2505 e 2505 bis c.c., nel disciplinare le cd. “fusioni semplificate”, stabiliscono che i procedimenti in essi contem-plati si applichino nelle ipotesi in cui la società incorporante detenga il 100%, ovvero il 90%, del capitale sociale della società incorporanda, senza nulla stabilire circa il momento in cui, all’interno della relativa fattispecie a formazione progressiva, debba sussistere tale presupposto.
Si pone dunque la questione di verificare se il possesso qualificato debba sussistere al momento dell’avvio del procedimento, al termine del medesimo, ovvero se debba essere mantenuto durante l’intero periodo necessario per il perfezionamento della fusione.
La questione ha notevole rilevanza pratica poiché è frequente, nella dinamica delle società, che le compagini sociali subiscano modifiche nel tempo.
L’espansione di una società attuata mediante l’incorporazione di un’altra di cui abbia precedentemente acquisito il controllo costituisce, in particolare, una delle più ricorrenti operazioni che comportano la modifica della compagine sociale dell’incorporanda in epoca prossima alla fusione.
Accade anche spesso che i soci dell’incorporante e dell’incorporata siano riferibili ad un medesimo “gruppo familiare” e che la cessione del-le partecipazioni avvenga in prossimità della fusione proprio per con-sentirne la semplificazione.
La verifica del momento in cui deve sussistere il possesso qualificato per attuare i procedimenti semplificati, in mancanza di una norma espressa, non può che fondarsi sui principi generali e sulla ratio delle norme che li contemplano.
È indubbio che le disposizioni contenute negli artt. 2505 e 2505 bis c.c. sono volte ad eliminare adempimenti superflui tutte le volte che il rapporto di cambio non debba essere attuato, ovvero non debba essere certificato perché coperto dal diritto di exit per i soci di minoranza che non lo reputino congruo.
Orbene, il momento in cui deve essere attuato il rapporto di cambio è quello del perfezionamento dell’atto di fusione e non certo quello in cui viene avviato il relativo procedimento.
Sotto questo profilo appare del tutto irrilevante che la società incor-porante possieda il 100%, o il 90%, dell’incorporanda al momento della redazione del progetto, ovvero dell’adozione delle delibere di sua ap-provazione, ovvero, ancora, alla iscrizione di queste ultime al registro imprese, posto che in tali momenti nessun rapporto di cambio deve es-sere attuato.
Appare dunque certo che la situazione possessoria prevista dagli artt. 2505 e 2505 bis c.c. deve sussistere alla stipula dell’atto di fusione e non anche prima di esso.
Il procedimento semplificato di fusione può pertanto essere avviato anche in assenza del possesso qualificato, nel semplice presupposto che alla stipula dell’atto di fusione la situazione possessoria dell’incorporante coinciderà con quella richiesta.
Anzi, a ben vedere, ciò accade in tutti i procedimenti di fusione sem-plificata, in quanto anche nell’ipotesi in cui la fusione sia avviata in un momento in cui ricorre il possesso qualificato, per poter concludere l’operazione è necessario che tale possesso sussista anche alla stipula dell’atto di fusione.
Il motivo per il quale al perfezionamento della fusione eventualmen-te non ricorra il possesso qualificato (mancata acquisizione o intervenu-ta alienazione delle partecipazioni) è irrilevante; in tutti i casi non sarà possibile perfezionare la fusione.
Per tale motivo la delibera di approvazione del progetto adottata in previsione di una determinata situazione possessoria non ha natura di delibera condizionata.
La stessa produce comunque i suoi effetti tipici, compreso il decorre-re dei termini per l’opposizione, costituendo solo uno degli elementi di cui si compone la fattispecie a formazione progressiva che darà luogo alla fusione.
La situazione possessoria integra un altro di questi elementi, come tale ha rilevanza autonoma e non può integrare una condizione sospen-siva o risolutiva di efficacia di altri elementi della medesima fattispecie.
Stante quanto sopra, si ritiene che sia opportuno che nell’atto di fu-sione sia fatto constare in maniera espressa che ricorrono i presupposti possessori che giustificano la conclusione del procedimento semplificato posto in essere.

L.A.5 - (FUSIONE INVERSA SEMPLIFICATA - 1° pubbl. 9/04 - motivato 9/11)
La procedura semplificata di fusione di cui all’art. 2505 c.c. può essere attuata anche nel caso della cosiddetta “fusione inversa”, nell’ipotesi cioè in cui l’incorporante sia interamente posseduta dall’incorporata.

Motivazione
Si ha una fusione inversa ogniqualvolta la società controllata (che di norma è la società cd. “operativa”) incorpori la società controllante (che di norma è la società cd “finanziaria di partecipazione”).
È assai frequente nella prassi il ricorso alla “fusione inversa”, al fine di non creare alcun tipo di problematica di ordine contrattuale e/o di mercato alla società incorporante (la controllata) che di norma, come sopra ricordato, è la società che opera sul mercato, e che inoltre è l’intestataria delle posizioni giuridiche, fiscali, nonché delle autorizza-zioni necessarie alla attività produttiva, mentre la incorporata (la con-trollante) normalmente svolge unicamente una attività di holding, limita-ta alla gestione della partecipazione.
La procedura semplificata di cui all’art. 2505 c.c. si ritiene applicabile anche nel caso della fusione inversa qualora l’incorporante (controllata) sia interamente posseduta dall’incorporata (controllante).
Infatti, in questa fattispecie di fusione inversa ai soci della incorpora-ta (controllante), a fronte dell’annullamento delle quote e/o azioni dagli stessi possedute, vengono attribuite tutte le quote e/o azioni rappresen-tanti l'intero capitale sociale dell'incorporante (controllata), e ciò nelle stesse proporzioni cui partecipavano al capitale della incorporata al momento in cui la fusione ha effetto, per cui se ne determina una natu-rale automatica congruità del rapporto di cambio.
A seguito dell’incorporazione, infatti, rimane immutata la compagi-ne sociale di riferimento e le relative percentuali di partecipazione.
Si pensi alla seguente fattispecie:
ALFA s.r.l. ha due soci: Primo 60% Secondo 40%;
BETA s.p.a. è interamente posseduta da ALFA s.r.l;
BETA s.p.a. (controllata) incorpora la propria controllante ALFA s.r.l.
Le azioni di BETA s.p.a. (incorporante) rimangono “senza” titolare per effetto della fusione, in quanto ALFA s.r.l., che le possiede intera-mente, si estingue e cesserà di esistere proprio per effetto della fusione.
Le azioni di BETA s.p.a., già interamente possedute dall’incorporata ALFA s.r.l., vengono pertanto attribuite ai soci di ALFA s.r.l. nelle me-desime proporzioni cui gli stessi partecipavano al capitale di ALFA s.r.l. (Primo 60% e Secondo 40%).
Primo e Secondo, che prima detenevano, direttamente, il 60% ed il 40% di ALFA s.r.l. e, indirettamente, per tramite di questa società, an-che il 60% ed il 40% di BETA s.p.a., ora vengono a detenere, nelle stes-se proporzioni, direttamente tutte le azioni di “BETA s.p.a” (che vedrà incrementato il proprio patrimonio con quello di ALFA s.r.l.).
Sotto il profilo economico pertanto i rapporti tra Primo e Secondo rimangono assolutamente invariati e si determina così una naturale congruità del rapporto di cambio che giustifica quindi l’adozione della procedura semplificata.
Conseguentemente non troveranno applicazione, nel caso di specie, le disposizioni degli articoli 2501 quinquies e 2501 sexies c.c., per cui non saranno necessarie né la predisposizione della relazione degli ammini-stratori di cui al suddetto art. 2501 quinquies c.c., né la redazione della relazione degli esperti di cui al suddetto art. 2501 sexies c.c.

L.A.6 - (ESONERO DALLA RELAZIONE DELL’ESPERTO NELLA SCISSIONE - 1° pubbl. 9/04)
In caso di scissione l’eventuale esonero deliberato dai soci e dai possessori di al-tri strumenti finanziari, ai sensi del comma 4 dell’art. 2506 ter c.c., di far redigere dall’organo amministrativo i documenti di cui ai commi 1, 2 e 3 del medesimo art. 2506 ter c.c., può riguardare anche l’obbligo di far redigere la relazione dell’esperto o degli esperti di cui all’art. 2501 sexie c.c.

L.A.7 - (FUSIONE DI SOCIETÀ DI PERSONE IN SOCIETÀ DI CAPITALI E RELAZIONE DI STIMA EX ART. 2343 C.C. - 1° pubbl. 9/04)
In caso di fusione di società di persone con società di capitali, la relazione di sti-ma del patrimonio della società di persone, a norma dell’art. 2343 c.c. (richiama-to dal comma 7 dell’art. 2501 sexies c.c.), è necessaria nei seguenti casi:
a) qualora la società risultante dalla fusione sia una società di capitali di nuova costituzione;
b) qualora la società risultante dalla fusione sia una società di capitali preesi-stente che, per effetto della fusione, aumenti il patrimonio netto.
Qualora ricorrano le condizioni di cui sopra la relazione di stima ex art. 2343 c.c. è necessaria anche nel caso in cui alla fusione non sia applicabile l’art. 2501 sexies c.c., (cosiddette “fusioni semplificate” ex artt. 2505 e 2505 bis, c.c.). La mancata applicazione del comma 7 dell’art. 2501 sexies c.c., infatti, esclude esclusivamente la necessità di avere un unico esperto o esperti incaricati di redi-gere la relazione sulla congruità del rapporto di cambio e la relazione di stima del patrimonio della società di persone, e non anche la necessità di procedere alla redazione di quest’ultima relazione.

L.A.8 - (RIDUZIONE DEI TERMINI NELLE SCISSIONI IN CUI NON PARTECIPANO SPA, SAPA O COOP. PER AZIONI - 1° pubbl. 9/04 - motivato 9/11)
Nel caso in cui ad una scissione non partecipano s.p.a., s.a.p.a. o cooperative per azioni i termini di cui agli artt. 2501 ter, comma 4, 2501 septies, comma 1, e 2503, comma 1, c.c. (direttamente applicati alla scissione per effetto del richiamo con-tenuto negli artt. 2506 bis, comma 5, e 2506 ter, comma 5, c.c.) sono ridotti alla metà per effetto del disposto dell’art. 2505 quater c.c.
Detto ultimo articolo, infatti, pur non essendo espressamente richiamato in ma-teria di scissione, deve necessariamente applicarsi alla stessa poiché non integra una disposizione autonoma ma una modalità di applicazione degli articoli ri-chiamati.

Motivazione
Il Consiglio della Comunità Europea ha dettato una disciplina omo-genea per i procedimenti di fusione e di scissione con riferimento alle sole società azionarie.
La direttiva sulla fusione (n. 78/855/CEE - III Direttiva) e quella sul-la scissione (n. 82/891/CEE - VI Direttiva) prevedono infatti espressa-mente che le stesse si applichino esclusivamente a detti tipi di società e, dunque, per l’Italia, alle sole “società per azioni”.
Il legislatore nazionale, nella prima attuazione di dette direttive, ave-va tuttavia ritenuto di estendere i dettami in esse contenuti a tutte le so-cietà interne, comprese quelle di persone, introducendo nel codice civile una disciplina unitaria.
Risultò subito evidente che i complessi procedimenti ideati dal Con-siglio della Comunità Europea per porre in essere una fusione o una scissione di società azionarie mal si conciliavano con le esigenze con-crete della maggior parte delle imprese collettive italiane.
Notevoli differenze sussistono infatti tra gli interessi che devono es-sere tutelati in una fusione o in una scissione in cui partecipano società di capitali di rilevanti dimensioni, o con azioni diffuse tra il pubblico, ri-spetto a quelli sottostanti ad una fusione o scissione di società di capita-li di dimensioni medio-piccole, o a ristretta base familiare, o di società di persone.
Il legislatore della riforma, consapevole di tale situazione, ha impo-sto nella legge delega (art. 7, lett. a, legge n. 366/2001) di “semplificare e precisare il procedimento, nel rispetto, per quanto concerne le società di capitali, delle direttive comunitarie”.
Il legislatore delegato ha attuato tale parte della delega in maniera frammentaria e apparentemente non coordinata.
Nell’intento infatti di disciplinare diversamente la fusione delle socie-tà azionarie (oggetto delle direttive comunitarie) rispetto a quella delle società non azionarie (che aveva l’obbligo di semplificare), non ha in-trodotto nel codice civile, come era lecito aspettarsi, due autonomi corpi normativi, ma si è limitato a dettare in un unico corpo le regole delle fu-sioni delle società azionarie, comprimendo poi nel solo art. 2505 quater c.c. tutte le deroghe a detto procedimento previste nel caso in cui non vi partecipino società azionarie, costruendo così la “diversa” disciplina delle fusioni di società non azionarie.
L’art. 2505 quater c.c. non è stato poi richiamato per la scissione, ove è invece stata introdotta, per tutti i tipi di società (quindi anche per quel-le azionarie), la diversa possibilità, a sua volta non richiamata per la fu-sione, di derogare a parte del procedimento con il consenso unanime di tutti i soci e dei possessori di altri strumenti finanziari che diano il dirit-to di voto (art. 2506 ter, comma 4, c.c.).
L’intervento del legislatore delegato ha quindi creato notevoli pro-blemi interpretativi e sistematici, risultando non precisato se la discipli-na semplificata espressamente prevista per la fusione delle società non azionarie sia applicabile anche alla scissione di detti tipi di società, e, di converso, se le rinunce unanimi a parti del procedimento riconosciute in materia di scissione per tutti i tipi di società siano riferibili anche alle fu-sioni.
In altre parole, non risulta chiaro se nella disciplina positiva delle fu-sioni e delle scissioni sia ravvisabile la volontà del legislatore di non ammettere le deroghe procedimentali soggettive (società non azionarie) ed oggettive (consenso di tutti i soci) non espressamente richiamate, ov-vero se gli omessi richiami integrino una semplice carenza di disciplina che deve essere colmata dall’interprete.
Passando alla specifica questione dei termini della scissione è da ri-levare come nessuna normativa speciale sia stata prevista al riguardo dal legislatore.
Gli artt. 2506 bis, comma 5, e 2506 ter, comma 5, c.c., disciplinanti la scissione di tutti i tipi di società, si limitano a rinviare, in materia di termini, a quanto previsto per la fusione delle sole società azionarie (per effetto del disposto dell’art. 2505 quater c.c.) dagli artt. 2501 ter, comma 4, 2501 septies, comma 1, e 2503, comma 1, c.c.
Tale carenza di normativa speciale e circoscritto rinvio hanno indot-to alcuni interpreti della riforma a ritenere che anche nelle scissioni cui non partecipano società azionarie si debbano applicare i maggiori ter-mini previsti per le fusioni di società azionarie.
Una siffatta interpretazione non appare però convincente.
Dal punto di vista funzionale è innanzitutto evidente che la stessa tradisce la volontà del legislatore, espressamente enunciata nella legge delega, di semplificare tanto i procedimenti di fusione quanto quelli di scissione delle società non interessate dalle direttive comunitarie.
La Relazione ministeriale al D.Lgs. n. 6/2003, dopo aver dato atto in tema di fusione di aver semplificato il procedimento in materia di socie-tà non azionarie, per quanto riguarda la scissione precisa di aver utiliz-zato la tecnica del rinvio alle norme dettate in materia di fusione al fine di realizzare gli obiettivi della legge delega: semplificazione e precisa-zione del procedimento con maggiore semplificazione - in quanto priva di vincoli comunitari - per le società non azionarie.
È poi assai importante sottolineare come nell’art. 2506 ter, comma 5, c.c. il rinvio agli artt. 2501 septies e 2503 c.c. non sia stato operato pura-mente e semplicemente, come è abitudine del legislatore, ma è stata ef-fettuata, nell’ultimo periodo della norma di rinvio, la seguente impor-tante precisazione: “Tutti i riferimenti alla fusione contenuti in detti articoli (quelli richiamati) s’intendono riferiti anche alla scissione”.
Il legislatore non ha quindi inteso applicare alla scissione i richiamati articoli sulla fusione in maniera generica ed acritica, ma ha richiesto di effettuare un’analisi delle fattispecie cui sono “riferiti” al fine di renderli applicabili alla scissione esclusivamente nella medesima fattispecie.
Orbene, gli articoli richiamati dall’art. 2506 ter c.c. sono riferiti, esclusivamente e senza deroghe, alle sole società azionarie (anche se la tecnica redazionale utilizzata dal legislatore della riforma non rende ciò evidente da una loro lettura non coordinata con il disposto dell’art. 2505 quater c.c.); i medesimi sono dunque applicabili alle sole scissioni di so-cietà del detto tipo ai sensi dell’ultimo periodo dell’art. 2506 ter c.c. Nel caso contrario detta ultima disposizione non avrebbe alcun significato normativo.
Manca dunque una norma, diretta o di rinvio, esplicitamente riferita ai termini delle scissioni di società non azionarie.
Per colmare tale lacuna non può che farsi riferimento alle previsioni contenute nell’art. 2505 quater c.c. per le fusioni di società non azionarie; tanto più che le stesse non sono disposizioni autonome ed autosufficien-ti, ma costituiscono un’appendice necessaria e legale di quelle integrate.
Laddove una norma rinvii ad una disposizione integrata dall’art. 2505 quater c.c., la stessa non può che rinviare anche alla sua integra-zione.
Alle scissioni di società non azionarie devono dunque applicarsi i termini delle fusioni di detti tipi societari, che non costituiscono una de-roga ai termini ordinari, bensì la specifica ed unica previsione normativa riferita a detti tipi di società.
Si consideri, infine, che l’eventuale mancata applicazione alle scis-sioni di società non azionarie dei termini delle fusioni di detti tipi di so-cietà risulterebbe priva di giustificazione funzionale, stante il permanere della responsabilità solidale delle società coinvolte per i debiti anteriori alla scissione (art. 2506 quater, comma 3, c.c.).
Si può quindi concludere che dall’analisi del sistema di diritto positi-vo, coordinato con le direttive comunitarie e con la legge delega della ri-forma del diritto societario, appare evidente la volontà del legislatore di non disciplinare in maniera più rigorosa i termini della scissione delle società non azionarie rispetto a quelli della fusione di dette società.
Si segnala infine, che l’orientamento in commento è stato di recente condiviso dal Giudice R.I. di Padova nel decreto in data 6 giungo 2011, depositato il 10 giugno 2011.

L.A.9 - (RECESSO IN CASO DI FUSIONE O SCISSIONE DI S.P.A. - 1° pubbl. 9/05)
In caso di fusione o di scissione di spa è riconosciuto agli azionisti il diritto di re-cesso quando l’operazione sia tale da importare un cambiamento significativo dell’attività della società, o la sua trasformazione, o altra ipotesi attributiva della facoltà di recedere.

L.A.10 - (AVVISO AGLI OBLIGAZIONISTI CONVERTIBILI IN CASO DI FUSIONE O SCISSIONE DI S.P.A. - 1° pubbl. 9/05)
In caso di fusione o di scissione di spa che ha in essere un prestito obbligaziona-rio convertibile, nell’avviso di cui all’art. 2503 bis c.c. dovrà darsi notizia della de-cisione della società di sottoporre alla propria assemblea un progetto di fusione o di scissione con altra determinata società, senza precisare le modalità della fu-sione o della scissione.

L.A.11 - (SORTE DELLE OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN CASO DI FUSIONE O SCIS-SIONE TRA S.P.A. - 1° pubbl. 9/05 - motivato 9/11)
Salvo che gli obbligazionisti non abbiano autorizzato la modifica degli originari periodi di conversione con deliberazione presa ai sensi dell’art. 2415 c.c., in caso di fusione o di scissione tra spa la facoltà di conversione anticipata riconosciuta agli obbligazionisti convertibili ai sensi dell’art. 2503 bis, comma 2, c.c., si aggiun-ge e non si sostituisce agli altri periodi di conversione originariamente previsti per il prestito. Consegue la necessità di prevedere - già nel progetto di fusione o di scissione - un aumento di capitale a servizio del prestito obbligazionario con-vertibile da parte della spa che subentrerà nella titolarità del prestito.

Motivazione
La funzione delle varie previsioni legali della facoltà di conversione anticipata delle obbligazioni può essere individuata solo tenendo presen-te la specificità delle singole vicende che ne legittimano l’esercizio e, so-prattutto, gli effetti che tali vicende producono sull’originario rapporto di cambio e sul rapporto di forze esistente tra i soci della società emit-tente e gli obbligazionisti convertibili della stessa, i quali sono creditori attuali e, al contempo, soci potenziali.
Il legislatore, infatti, si è posto il generale problema della necessità di tutelare i sottoscrittori in pendenza della conversione di fronte ad ope-razioni sociali suscettibili di modificare le stesse condizioni dell’investimento e cioè il diritto o il valore della conversione: in questa prospettiva, alcune vicende societarie, segnatamente quelle previste dall’art. 2420 bis, comma 4, c.c. e dall’art. 2503 bis, comma 3, c.c. (ridu-zione volontaria del capitale sociale, modificazioni delle disposizioni dell’atto costitutivo concernenti la ripartizione degli utili, fusione e, stante il rinvio operato dall’art. 2506 ter, comma 5, c.c., scissione), pon-gono o una particolare esigenza conservativa degli originari equilibri tra soci ed obbligazionisti fissati al momento dell’emissione del prestito o la necessità di consentire agli obbligazionisti che ne abbiano interesse di concorrere al procedimento formativo della deliberazione assembleare, attesa l’intensità del cambiamento organizzativo e strutturale che dette vicende comportano sulla società emittente il prestito.
Di qui il divieto, in pendenza di conversione, di deliberare la riduzio-ne facoltativa del capitale, la modifica delle disposizioni dello statuto in tema di distribuzione di utili, la fusione o la scissione, a meno che non si attribuisca preventivamente ai possessori delle obbligazioni converti-bili la facoltà di esercitare la conversione anticipata nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione del relativo avviso.
I sottoscrittori di obbligazioni convertibili vengono quindi tutelati at-tribuendo loro la possibilità di partecipare, come soci, alla deliberazione inerente le modifiche sopra indicate.
Analoga disciplina era prevista dal codice anche prima della riforma societaria.
Il testo originario dell'art. 2420 bis c.c. ammetteva la possibilità di riduzione del capitale "esuberante", o di modificazioni delle disposizioni dell’atto costituti-vo concernenti la ripartizione degli utili, o di fusione, di S.p.a. che avesse in esse-re un prestito obbligazionario convertibile, purché fosse data la facoltà agli obbli-gazionisti di convertire anticipatamente il prestito.
La norma non precisava se tale facoltà di conversione anticipata si sostituisse o si aggiungesse ai periodi originariamente previsti per la conversione dei titoli.
Il dubbio è stato risolto con il D.Lgs. n. 22 del 16 gennaio 1991, sul punto sostanzialmente ripetuto dal D.Lgs. 6/2003, che ha introdotto il principio di tutela dell'equivalenza dei diritti degli obbligazionisti con-vertibili prima e dopo la fusione o la scissione.
Infatti, il comma 3 dell'art. 2503 bis c.c., che prescrive che ai posses-sori di obbligazioni convertibili che non abbiano esercitato la facoltà di conversione devono essere assicurati diritti equivalenti a quelli loro spettanti prima della fusione (salvo che la modifica dei loro diritti sia stata deliberata dall’assemblea degli obbligazionisti), viene pacificamen-te interpretato nel senso che il periodo di conversione anticipata si ag-giunge agli altri periodi previsti in via ordinaria e non si sostituisce ad essi.
Pertanto, agli obbligazionisti convertibili spetterà, oltre al diritto di conversione anticipata, da esercitarsi nei 30 giorni dalla pubblicazione dell'avviso, anche un diritto analogo all'originario diritto di conversione, avente ad oggetto la facoltà di convertire i propri titoli in azioni della società che subentrerà nella titolarità del prestito, se originariamente era previsto un procedimento diretto di conversione, ovvero nelle azioni di altre società, se originariamente era previsto un procedimento di con-versione indiretto.
Affinché sia garantito in concreto l'esercizio del diritto di conversio-ne da parte degli obbligazionisti che non abbiano esercitato il diritto di conversione anticipata e che pertanto abbiano mantenuto un diritto ana-logo all'originario diritto di conversione (avente ad oggetto la facoltà di convertire i propri titoli in azioni della società che subentrerà nella tito-larità del prestito) occorrerà prevedere (nel progetto di fusione o di scis-sione che sarà redatto dopo la scadenza del termine fissato per l'eserci-zio del diritto di conversione anticipata) un aumento di capitale della società che subentrerà nella titolarità del prestito, sia essa di nuova co-stituzione, ovvero preesistente: tale aumento di capitale sarà esclusiva-mente a servizio del prestito obbligazionario convertibile trasferito in seguito alla fusione o alla scissione.
Peraltro, va sottolineato che gli obbligazionisti potranno autorizzare la modifica degli originari periodi di conversione, con deliberazione pre-sa ai sensi dell'art. 2415 c.c., prevedendo che gli stessi vengano a scade-re prima della data fissata per l'operazione di fusione o scissione, salvo in ogni caso il diritto alla conversione da esercitarsi nei 30 giorni dalla pubblicazione dell'avviso.
Infine, si deve precisare che gli obbligazionisti che abbiano esercitato il proprio diritto di conversione anticipata non potranno mai revocare la propria dichiarazione di conversione, nemmeno qualora la delibera as-sembleare di fusione o di scissione non venga poi approvata.
La mancata approvazione della delibera, infatti, non può valere co-me condizione risolutiva dell’avvenuta sottoscrizione delle azioni dato che, a seguito della conversione, l'aumento di capitale deliberato all'e-missione del prestito ha avuto definitiva esecuzione.

L.A.12 - (EQUIVALENZA DEI DIRITTI DEGLI OBBLIGAZIONISTI CONVERTIBILI IN CA-SO DI FUSIONE O SCISSIONE DI S.P.A. - 1° pubbl. 9/05 – motivato 9/11)
Salvo che gli obbligazionisti convertibili non abbiano autorizzato la modifica dei loro originari diritti con deliberazione presa ai sensi dell’art. 2415 c.c., in caso di fusione o scissione di spa il disposto dell’art. 2503 bis, ultimo comma, c.c., postu-la l’attribuzione di titoli aventi caratteristiche equivalenti a quelli originariamen-te spettanti nella società emittente.
Sotto il profilo economico l’equivalenza dipenderà dal rapporto di cambio e per-tanto:
a) con particolare riguardo alla fusione per incorporazione, le semplificazioni di cui agli artt. 2505 e 2505 bis c.c., si potranno applicare solo quando l’incorporante detenga (per l’intero o almeno per il 90%) non solo le azioni, ma anche le obbligazioni convertibili della società incorporanda;
b) con particolare riguardo alle scissioni, si potrà omettere (ai sensi dell’art. 2506 ter, comma 3, c.c.) la redazione della relazione sulla congruità del rapporto di cambio del/degli esperto/i nominato/i ai sensi dell’art. 2501 sexies c.c., solo quando la scissione avvenga mediante la costituzione di una nuova società e non siano previsti criteri di attribuzione diversi da quello proporzionale tanto delle azioni, quanto delle obbligazioni convertibili (ciò a tutela dei diritti degli obbligazionisti). Quando, invece, il criterio di attribuzione delle obbligazioni con-vertibili non sia proporzionale, sarà sempre necessaria la redazione della rela-zione sulla congruità del rapporto di cambio del/degli esperto/i nominato/i ai sensi dell’art. 2501 sexies c.c., e l’equivalenza economica dei diritti spettanti agli obbligazionisti dovrà essere garantita attraverso corrette determinazioni di nuo-vi rapporti di cambio per la conversione dei titoli.

Motivazione
Nelle fusioni e nelle scissioni di s.p.a., a garanzia dei portatori di ob-bligazioni convertibili, l'art. 2503 bis, ultimo comma, c.c. prevede il principio di equivalenza per i diritti spettanti ai portatori dei titoli, salvo che gli stessi obbligazionisti convertibili non ne abbiano autorizzato la modifica con deliberazione presa ai sensi dell'art. 2415 c.c.
Detto principio postula l'attribuzione ai portatori di obbligazioni convertibili di diritti che da un lato abbiano le medesime caratteristiche strutturali e funzionali di quelli originariamente spettanti nella società emittente, dall'altro abbiano un contenuto economico equivalente a quello originariamente spettante.
Sotto il profilo economico l'equivalenza si misura sul rapporto di cambio: la corretta determinazione del rapporto di cambio (o dei rap-porti di cambio nelle ipotesi di scissione a favore di più beneficiarie) co-stituisce la garanzia della conservazione di detto valore. Pertanto, la re-lazione sulla congruità del rapporto di cambio del/degli esperto/i no-minato/i ai sensi dell'art. 2501 sexies c.c. garantirà non solo la congruità del rapporto di cambio tra azioni, ma anche la congruità dell'eventuale concambio degli obbligazionisti convertibili.
Quanto sopra comporta alcune conseguenze pratiche sia in relazione alla fusione che in relazione alla scissione.
Con particolare riguardo alla fusione, il rapporto di cambio degli ob-bligazionisti convertibili dovrà essere corrispondentemente adeguato in proporzione al rapporto di cambio fissato per le azioni della società emittente.
A titolo di esempio: se un'obbligazione della "alfa s.p.a." poteva esse-re convertita in 10 (dieci) azioni della medesima "alfa s.p.a." e se, nel progetto di fusione, 5 (cinque) azioni della "alfa s.p.a." vengono con-cambiate con 2 (due) azioni della incorporante "beta s.p.a.", all’esito della fusione un'obbligazione della “alfa s.p.a.” dovrà poter essere con-vertibile in 4 (quattro) azioni della "beta s.p.a.".
Per poter attuare poi le semplificazioni di cui agli artt. 2505 e 2505 bis c.c. si dovrà aver riguardo non solo agli azionisti attuali, ma anche agli azionisti "potenziali", quali sono gli attuali obbligazionisti converti-bili che hanno diritto a divenire azionisti esercitando la facoltà di con-versione a loro attribuita.
Consegue, che dette semplificazioni si potranno applicare solo quan-do l'incorporante detenga (rispettivamente per l'intero o almeno per il novanta per cento) non solo le azioni, ma anche le obbligazioni conver-tibili della società incorporanda.
Inoltre, il diritto di far acquistare le proprie azioni per un corrispetti-vo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso (attribuito dalla seconda parte del comma 1 dell'art. 2505 bis c.c.) dev'essere con-cesso non solo agli azionisti, ma anche agli obbligazionisti convertibili di minoranza. La determinazione del valore dovrà essere fatta in rela-zione al patrimonio della società emittente prima della fusione ed il di-ritto di exit potrà essere immediatamente esercitato dagli obbligazionisti (anche prima della scadenza del termine per la conversione).
Con riguardo alle scissioni, invece, si potrà omettere (ai sensi dell'art. 2506 ter, comma 3, c.c.) la redazione della relazione sulla congruità del rapporto di cambio del/degli esperto/i nominato/i ai sensi dell'art. 2501 sexies c.c., solo quando la scissione avvenga mediante la costituzione di una nuova società e non siano previsti criteri di attribuzione diversi da quello proporzionale tanto delle azioni, quanto delle obbligazioni con-vertibili (ciò per tutela dei diritti degli obbligazionisti).
Quando, invece, il criterio di distribuzione delle obbligazioni conver-tibili non sia proporzionale, sarà sempre necessaria (salvo unanime ri-nuncia degli aventi diritto) la redazione della relazione sulla congruità del rapporto di cambio del/degli esperto/i nominato/i ai sensi dell'art. 2501 sexies c.c., e l’equivalenza economica dei diritti spettanti agli obbli-gazionisti dovrà essere garantita attraverso corrette determinazioni di nuovi rapporti di cambio per la conversione dei titoli.

L.A.13 - (INTERPRETAZIONE DELL’ART. 2501 SEXIES, COMMA 7, C.C. - 1° pubb. 9/06)
La disposizione di cui al comma 7 dell’art. 2501 sexies c.c. ha una funzione di semplificazione, consentendo di non procedere alla nomina di due esperti di-stinti nell’ipotesi di fusione di società di persone con società di capitali: uno per la redazione della relazione sulla congruità del rapporto di cambio ed uno per la redazione della relazione di stima del patrimonio della società di persone incor-porata.
Tale norma non ha dunque alcun intento di imporre, nel caso di fusione di socie-tà di persone con società a responsabilità limitata senza designazione di un uni-co esperto, le disposizioni dell’art. 2343 c.c. in luogo di quelle dell’art. 2465 c.c., in deroga a quanto previsto dall’art. 2500 ter, comma 2, c.c.
Ne consegue che nel caso in cui una società di persone venga incorporata in una srl sarà sempre possibile che la relazione di stima del patrimonio della società di persone sia affidata ad un esperto designato dalla società incorporata ex art. 2465 c.c., richiamato dall’art. 2500 ter, comma 2, c.c., anche nel caso di fusioni semplificate dove non trova applicazione l’art. 2501 sexies c.c.
L.A.14 - (RIUNIONE IN UN UNICO PROGETTO DI PIÙ OPERAZIONI DI FUSIONE E SCISSIONE TRA LORO COLLEGATE - 1° pubb. 9/06)
Nel caso in cui più società intendano attuare una serie complessa di fusioni e scissioni tra loro inscindibilmente collegate, anche se non tutte le società parte-cipano ad ogni singola operazione, è possibile che tutti gli amministratori delle società coinvolte redigano un unico progetto complesso al quale seguirà, una volta approvato dalle singole assemblee, un unico atto attuativo.
Così ad esempio un’operazione che preveda che la società “alfa” si scinda par-zialmente mediante assegnazione di parte del proprio patrimonio alla società “beta” e quindi si fonda incorporando la società “gamma”, può legittimamente essere contenuta in unico progetto complesso redatto congiuntamente da tutti gli amministratori di dette società.

L.A.15 - (APPLICABILITÀ DELLE NORME DETTATE IN MATERIA DI NEGOZI TRASLA-TIVI ALLE FUSIONI E ALLE SCISSIONI DI SOCIETÀ - 1° pubbl. 9/06 – modif. 9/22 – motivato 10/23)
Le fusioni e le scissioni non sono assimilabili ai negozi traslativi in quanto non ne condividono né la causa né la disciplina legale.
La loro funzione economico-sociale è la riorganizzazione delle società coinvolte finalizzata alla prosecuzione dell’esercizio di un’attività economica e non la cir-colazione di beni in cambio di un corrispettivo o per animo liberale.
Le assegnazioni patrimoniali che ad esse conseguono sono il prodotto necessa-rio della riorganizzazione societaria, ne costituiscono il mezzo e non il fine.
Si deve quindi ritenere che in tutte le fusioni e scissioni:
- non sia dovuta alcuna garanzia per evizione;
- non siano esercitabili le prelazioni legali: agraria, urbana, storico-artistica, ecc.;
- non vi sia alcun obbligo di trascrizione nei registri immobiliari;
- non trovino applicazione: i) l’obbligo delle menzioni urbanistiche e dell’allegazione del certificato di destinazione urbanistica; ii) l'obbligo di allega-zione dell'attestato di prestazione energetica; iii) l’obbligo delle menzioni e della dichiarazione di conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planime-trie depositate in catasto.

Motivazione
L’orientamento in commento è stato modificato nel 2022 al fine di meglio chiarire i motivi per i quali non si ritengono applicabili alle fu-sioni e alle scissioni le norme dettate in materia di trasferimento di im-mobili e, più in generale, le regole proprie dei negozi traslativi.
In passato il dibattito sulla natura giuridica della fusione e della scis-sione si era focalizzato su due distinte posizioni: quella che attribuiva a tali operazioni natura di successioni a titolo “universale” (fusione e scis-sione propria) o “particolare” (scissione parziale) e quella che invece ri-teneva che le stesse si esaurissero in una modifica del contratto sociale, evolutiva e non estintiva delle società coinvolte.
La questione era sorta ancor prima che venisse introdotta nell’ordinamento la disciplina della fusione ad opera del codice di commercio del 1882, tant’è che negli atti della commissione costituita per la sua predisposizione, tornata del 23 ottobre 1869, si legge: «gli effet-ti della fusione, cioè la sorte delle società che vengono a fondersi insieme, sono ap-prezzati assai variamente. Alcuni sostengono che la fusione produce la morte o la cessazione delle società preesistenti per dare vita ad un ente affatto nuovo. Altri ammettono la continuazione di entrambe le società che si fondono in considera-zione della loro unione come un contratto fra due corpi morali avente la natura di società. Altri, infine, conciliando le opposte idee, vogliono che le società preesisten-ti passino in uno stadio di liquidazione e, al solo scopo di questa, sopravvivano fi-no a liquidazione compiuta. Contemporaneamente vogliono nata la nuova socie-tà, la quale comincia una vita affatto nuova da quella delle società dalle quali è nata».
Si trattava di un dibattito alimentato quasi esclusivamente dalla dot-trina italiana in quanto quella francese tende a considerare la fusione come una particolare forma di liquidazione, quella germanica la consi-dera un modo particolare di trasferire il patrimonio sociale senza liqui-dazione, mentre in altri ordinamenti la questione non è ritenuta di par-ticolare interesse.
Attualmente entrambe le suddette teorie sono state superate nella lo-ro impostazione radicale, in quanto è stato rilevato come ciascuna di esse tenda a valorizzare solo alcuni degli aspetti delle fusioni e delle scissioni, poiché se si prende in considerazione la società come soggetto di diritto, ossia come autonomo centro di imputazione di rapporti giu-ridici, non vi è dubbio che la stessa si estingua se incorporata in un’altra o totalmente scissa; mentre se si prende in considerazione la società come organizzazione, ossia come contratto, la stessa non si estingue per effetto di una fusione o scissione ma prosegue “modificata” nella nuova struttura comune.
In proposito è stato efficacemente osservato «che “modificazione” ed “estinzione” integrano due diversi elementi che ugualmente caratterizzano la fatti-specie senza escludersi reciprocamente: il momento modificativo, prevalente, esprime la volontà di modificare l’organizzazione societaria …; il momento estin-tivo esprime invece uno degli effetti, il più rimarchevole, prodotti dalla stessa mo-dificazione sulla condizione giuridica delle società partecipanti» (M. Cavanna, Fusione delle società, in Comm. Scialoja-Branca-Galgano, 2018, 14).
La fusione dovrebbe pertanto produrre un effetto unico ad un tempo modificativo ed estintivo, sul presupposto che il momento estintivo sia qualificato come conseguenza legale dell’operazione complessa e non come suo presupposto (M. Civerra, Le operazioni di fusione e scissione. L’impatto della riforma e la nuova disciplina del leveraged buy-out, 2008, pag.40).
In sostanza non bisogna confondere la fattispecie con i suoi effetti ed anzi sarebbe proprio nella «conciliazione normativa fra continuità ed estinzio-ne» che risiederebbe l’essenza della fusione (G. F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto delle società, 1992, 555).
La stessa nozione di successione universale rinvia «all’idea primordiale di un continuità fra due soggetti (l’erede non è tale perché a lui si trasferiscono atti-vità o passività del de cuius ma perché, anzitutto, egli ne è il continuatore); dunque la prossimità delle conclusioni cui pervengono le diverse teorie sulla natura della fusione … è forse il segno che, anche dogmaticamente, esse sono fra loro meno di-stanti di quel che talvolta si crede» (M. S. Spolidoro, Fusioni e scissioni di socie-tà, 1994, 140-141).
In ogni caso, essendo la fusione e la scissione istituti tipici, dunque con causa e disciplina propri, interrogarsi se i medesimi siano assimila-bili o contengano anche elementi di altre fattispecie tipiche riconosciute dall’ordinamento, quali le successioni mortis causa o le operazioni che comportano unicamente una modifica del regolamento sociale, ha scar-sa utilità pratica poiché non ne potranno mai condividere appieno la di-versa funzione economico-sociale. Piuttosto al fine di definire quali re-gole debbano applicarsi a detti istituti, nel caso in cui la disciplina legale sia carente, occorre far riferimento alla causa che gli è propria.
Detta causa, in tutte le ipotesi di fusione e di scissione, è pacifica-mente individuata nella “riorganizzazione societaria” finalizzata alla prosecuzione delle attività delle società coinvolte.
Tale causa è idonea di per sé a giustificare tutti gli effetti tipici, anche solo eventuali, di dette operazioni e non solo la confusione o la separa-zione patrimoniale che ad esse consegue (estinzione e costituzione di nuove società, assegnazione di partecipazioni in concambio, prosecu-zione dei rapporti partecipativi, assenza di nuovi conferimenti, ecc.).
La causa riorganizzativa consente di giustificare anche il più impor-tante degli effetti giuridici delle fusioni e delle scissioni: la prosecuzione nelle società risultanti dei diritti, obblighi, rapporti, anche processuali, delle società incorporate/scisse.
Questo ultimo effetto, che costituisce la regola di principio che carat-terizza i suddetti istituti, essendo incompatibile con la disciplina legale dei negozi traslativi, rende evidente come non sia possibile annoverare le fusioni e le scissioni nell’ambito di detti negozi.
Le assegnazioni patrimoniali che ad esse conseguono sono il prodot-to necessario della riorganizzazione societaria, ne costituiscono il mez-zo e non il fine.
Nessun atto di “commercio” si realizza all’interno di dette operazio-ni, né è possibile individuare in esse un dante causa e un avente causa.
In particolare, non è possibile assimilare l’incorporata/scissa alla parte “cedente” di un negozio traslativo e l’incorporante/beneficiaria al-la “cessionaria” del medesimo negozio in quanto tale assimilazione ri-sulterebbe incerta e incoerente con la disciplina legale della fusione e della scissione.
Basti pensare che ogni operazione di fusione può essere costruita al-ternativamente, e con identico risultato, come incorporazione di una prima società in una seconda, come incorporazione della seconda nella prima o come incorporazione di entrambe le società in una terza, con la conseguenza che nel caso concreto le qualifiche di cedente e di cessio-naria dipenderebbero dalla casualità con la quale si è deciso di realizza-re l’unione e non dall’effettivo ruolo negoziale delle società coinvolte nell’aggregazione.
Anche nella scissione è possibile costruire la medesima operazione, con identico risultato finale, attraverso due distinte modalità operative: ossia mediante una scissione parziale (facendo sopravvivere la scissa) o mediante una scissione totale (estinguendo detta società e facendola confluire in una di nuova costituzione), con la conseguenza che seguen-do la teoria del negozio traslativo nella prima ipotesi si avrebbe un solo “cessionario” mentre nella seconda se ne avrebbero due, e ciò, anche in questo caso, per effetto di una scelta casuale e non per una effettiva di-versità di ruoli negoziali delle società coinvolte.
La circostanza, poi, che nella fusione e nella scissione totale il sog-getto qualificabile come “cedente” si estingue, con prosecuzione delle sue obbligazioni nelle società risultanti, rende di fatto impossibile appli-care a dette operazioni le regole sulle garanzie del cedente proprie dei negozi traslativi, in quanto al loro esito cedente e cessionario coincido-no con l’unico soggetto risultante (fusione) o, in proporzione, con i sin-goli soggetti beneficiari (scissione), sommando in detti soggetti finali il ruolo di garante e di garantito.
È infine da rilevare che la sanzione della nullità prevista per i negozi traslativi dalle disposizioni in materia di conformità urbanistica e cata-stale risulta incompatibile con la regola della pubblicità sanante e della conservazione degli effetti della fusione e della scissione contenuta nell’art. 2504-quater c.c., richiamato per la scissione dall’art. 2506-ter c.c., in quanto una volta avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese non può più essere dichiarata l’invalidità dell’operazione, anche se realizzata in violazione di norme inderogabili.
Ritenuto quindi che le fusioni e le scissioni sono istituiti tipici con causa propria, non assimilabili ai negozi traslativi, nell’orientamento in commento si è coerentemente affermato che per dette operazioni:
- non sia dovuta alcuna garanzia per evizione;
- non siano esercitabili le prelazioni legali: agraria, urbana, storico-artistica, ecc.;
- non vi sia alcun obbligo di trascrizione nei registri immobiliari;
- non trovino applicazione: i) l’obbligo delle menzioni urbanistiche e dell’allegazione del certificato di destinazione urbanistica; ii) l'obbligo di allegazione dell'attestato di prestazione energetica; iii) l’obbligo delle menzioni e della dichiarazione di conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie depositate in catasto.

L.A.16 - (FORMA DELLA DECISIONE DI FUSIONE O SCISSIONE IN SOCIETÀ DI PER-SONE - 1° pubbl. 9/06)
Nel caso di fusione o di scissione di una società di persone in altra società di persone (incorporante, o risultante dalla fusione, o beneficiaria della scissione), ovvero nel caso in cui una società di persone incorpori o risulti beneficiaria di scissione anche di società di capitali, la decisione di approvazione del progetto di fusione o di scissione da parte dei soci della società di persone può anche rive-stire la forma della scrittura privata autenticata.

L.A.17 - (FORMA DELLA DECISIONE DI FUSIONE O SCISSIONE DI SOCIETÀ DI PER-SONE IN SOCIETÀ DI CAPITALI - 1° pubbl. 9/06)
La decisione di approvazione del progetto di fusione o di scissione di una società di persone in una società di capitali (incorporante, o risultante dalla fusione, o beneficiaria della scissione) deve essere redatta in forma pubblica, dovendo ri-tenersi che il controllo di legittimità di cui all’art. 2436 c.c., obbligatoriamente previsto nel caso di specie dall’art. 2502 bis, comma 2, c.c., presupponga tale forma.

L.A.18 - (COMPETENZA ALLA REDAZIONE E DEPOSITO DEL PROGETTO DI FUSIO-NE/SCISSIONE E DEI DOCUMENTI INERENTI NELLE SOCIETÀ DI PERSONE - 1° pubbl. 9/06)
Nelle società di persone il progetto di fusione o di scissione (artt. 2501 ter e 2506 bis c.c.), la situazione patrimoniale ed i bilanci (artt. 2501 quater e 2506 bis c.c.), nonché la relazione illustrativa (artt. 2501 quinquies e 2506 ter c.c.), sono vali-damente redatti e depositati dagli amministratori anche disgiuntamente o a maggioranza se tali forme di amministrazione sono previste nei patti sociali.

L.A.19 - (NON APPLICABILITÀ DELL’ART. 2502, SECONDO PERIODO, C.C. ALLE SO-CIETÀ COSTITUITE PRIMA DELLA SUA ENTRATA IN VIGORE - 1° pubbl. 9/06)
Poiché la disposizione di cui al secondo periodo dell’art. 2502 c.c. ha invertito la previsione legale previgente, contenuta nell’art. 2252 c.c., in ordine alla necessi-tà, salvo patto contrario, del consenso unanime dei soci per la valida adozione della decisione di fusione di una società di persone, tale disposizione non può essere applicata a quei contratti che si siano formati prima della sua entrata in vigore.
Nel caso contrario si violerebbero i principi della irretroattività delle norme di cui all’art. 11 delle preleggi e sulla interpretazione della volontà dei contraenti di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. (cfr. per analogia con la trasformazione Decr. Trib. Mi-lano, sez. VIII civile, 8 luglio 2005; Decr. Trib. Reggio Emilia, 13 gennaio 2006).

L.A.20 - (CONTENUTO MINIMO DELLA CLAUSOLA CHE RENDA INAPPLICABILE LA FUSIONE A MAGGIORANZA DI CUI AL SECONDO PERIODO DELL'ART. 2502 C.C. - 1° pubbl. 9/06)

La decisione di fusione di una società di persone, pur rientrando nell'ampio ge-nus delle decisioni di modifica del contratto sociale, è specificamente disciplinata per le società costituite dopo l’entrata in vigore della riforma del diritto societa-rio dal secondo periodo dell'art. 2502 c.c., che, in deroga al principio dell'unani-mità genericamente previsto dall'art. 2252 c.c., ne consente l'adozione a maggio-ranza, salvo diversa disposizione del contratto sociale.
La diversa disposizione del contratto sociale sufficiente a ripristinare la regola dell'unanimità può anche essere formulata con l’introduzione di clausole generi-che del tipo: “Le modificazioni del contratto sociale debbono essere adottate all'unanimità", ovvero: "Per le modificazioni del contratto sociale si applica l'art. 2252 c.c."; in tali ipotesi infatti è necessario interpretare le dette clausole, appa-rentemente inutili perché riproduttive di principi di legge, in conformità al di-sposto di cui all’art. 1367 c.c., nel senso cioè in cui possano avere un qualche ef-fetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.

L.A.21 - (AMMISSIBILITÀ DELLA FUSIONE "PROPRIA" A FAVORE DI UNA SOCIETÀ DI PERSONE DI NUOVA COSTITUZIONE CON UNICO SOCIO - 1° pubbl. 9/06 - mo-tivato 9/11)
Si ritiene ammissibile la fusione ("propria" o "in senso stretto") in una società di persone di nuova costituzione con un unico socio, in quanto la società beneficia-ria, nel procedimento di fusione "in senso stretto", nasce secondo una genesi af-fatto diversa dall'ordinario atto costitutivo.
Infatti, in base all'art. 2504 bis, comma 1, c.c., nel testo novellato dal D.Lgs. 6/2003, la fusione tra società non comporta l'estinzione di un soggetto e la cor-relativa creazione di un diverso soggetto, ma si risolve in una vicenda meramen-te evolutiva e modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria identi-tà, pur in un nuovo assetto organizzativo (così Cass., sez. un. 8 febbraio 2006, n. 2637).
In tal caso la società di persone unipersonale originata dalla fusione sarà posta in liquidazione solo qualora, nel termine di sei mesi, non si costituisca la plurali-tà dei soci.

Motivazione
Il D.Lgs. 6/2003 ha definitivamente eliminato dall’art. 2504 bis, comma 1, c.c. (disciplinante gli effetti della fusione) ogni riferimento te-stuale alla “estinzione” delle società fuse.
Più correttamente, la nuova formulazione prevede ora che la società risultante dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli ob-blighi delle società “partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione".
La modifica legislativa è senz’altro volta a chiarire, come ormai ri-conosciuto in maniera assolutamente prevalente dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che la fattispecie della fusione non è riconducibile ad un negozio traslativo a contenuto patrimoniale.
La fusione societaria è piuttosto un fenomeno comportante la sola modifica dell'atto costitutivo delle società coinvolte, le quali non si estinguono ma continuano ad esistere compenetrate una nell’altra, se-condo nuove regole organizzative, senza che possa ravvisarsi una vi-cenda successoria inter vivos, a titolo universale o particolare.
La Suprema Corte ha avuto modo di precisare (Cass., sez. un., 8 febbraio 2006, n. 2637) che la fusione di società si risolve in una vicenda meramente evolutiva e modificativa dei soggetti coinvolti, che conser-vano la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo.
La fusione produce, in sostanza, una modifica della struttura societa-ria attraverso l'accorpamento dei rapporti giuridici facenti capo alle so-cietà originarie.
Coerentemente con tale natura “evolutiva” e “modificativa” del rap-porto sociale, la fusione non si attua attraverso la formazione di un nuovo contratto, con conseguente necessità di ottenere la ripetizione del consenso da parte di tutti i soci, bensì è parte di un tipico procedimento decisionale endosocietario, formalizzato attraverso una delibera dell’assemblea dei soci, per le società di capitali, o con il consenso della maggioranza dei soci calcolata per partecipazione agli utili, per le socie-tà di persone, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo.
L'atto finale di fusione, con rilevanza esterna, anche se attuata me-diante la costituzione di una nuova società, è poi sottoscritto dai soli rappresentanti organici delle società coinvolte, e non dai soci delle so-cietà medesime, che pur risulteranno titolari delle partecipazioni nella nuova società.
Il tutto è accompagnato da precise disposizioni volte a garantire gli interessi dei soci, dei creditori, e degli altri terzi in genere.
Stante quanto sopra, deve ritenersi legittima la fusione che produca una società di persone di nuova costituzione con un unico socio, salvo lo scioglimento della società stessa qualora, nel termine di sei mesi, non si costituisca la pluralità dei soci.
Si tratterebbe comunque di un effetto giuridico del tutto indipendente dall'iter della fusione, oltre che eventuale.

L.A.22 - (AMMISSIBILITÀ DELLA SCISSIONE A FAVORE DI SOCIETÀ DI PERSONE DI NUOVA COSTITUZIONE CON UNICO SOCIO - 1° pubbl. 9/06 - motivato 9/11)
Si ritiene ammissibile la scissione a favore di una o più società di persone, anche se di nuova costituzione, con un unico socio, in quanto la società beneficiaria, nel procedimento di scissione, nasce secondo una genesi affatto diversa dall'or-dinario atto costitutivo.
Infatti, la scissione di società non comporta l'estinzione di un soggetto e la corre-lativa creazione di un diverso soggetto, ma si risolve in una vicenda meramente evolutiva e modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo.
In tal caso la società di persone unipersonale beneficiaria sarà posta in liquida-zione solo qualora, nel termine di sei mesi, non si costituisca la pluralità dei soci.

Motivazione
La relazione al D.Lgs. 6/2003 spiega come si sia ritenuto opportuno, in tema di scissione, caratterizzare i riflessi sui beni in termini di "asse-gnazione" (così l'art. 2506, comma 1, c.c. novellato) e non di "trasferi-mento" (così il vecchio testo dell'art. 2504, comma 1, c.c.) "anche al fine di chiarire, come riconosciuto da giurisprudenza consolidata, che nell'i-potesi di scissione medesima non si applicano le regole peculiari dei tra-sferimenti dei singoli beni".
La scissione costituisce infatti una modifica dei centri di produzione delle attività: nella scissione totale, in particolare, da un unico organi-smo societario nascono, per gemmazione, due o più società tra loro in-dipendenti, per quanto riguarda sia il patrimonio, sia la compagine so-ciale.
La scissione attua, pertanto, una modifica della struttura societaria realizzata attraverso il frazionamento dei rapporti giuridici facenti capo alla società scindenda.
A conferma della tesi della natura meramente organizzativa e non novativa della scissione va richiamato l'orientamento giurisprudenziale (menzionato nella stessa relazione ministeriale al D.Lgs. di riforma) che stabilisce l'inapplicabilità della normativa sui trasferimenti patrimoniali all'atto di scissione.
La mancanza dell'effetto traslativo costituisce la differenza fonda-mentale tra l'istituto della scissione e quello del conferimento di azien-da, che determina un trasferimento da una società ad un'altra.
Nella scissione, inoltre, vengono attribuite direttamente ai soci della società scindenda le partecipazioni della società beneficiaria, mentre nel conferimento si ha attribuzione delle partecipazioni della società confe-ritaria direttamente nel patrimonio della società conferente (e non ai so-ci di questa).
Nella scissione i soci non hanno alcun potere di promuovere l’operazione, ma unicamente quello di approvare o respingere il relativo progetto formato dagli amministratori, ai quali ultimi spetta in via esclusiva il potere di impulso.
La scissione in generale, come quella a favore di beneficiaria "di nuova costituzione" in particolare, non avviene mediante la formazione di un nuovo contratto cui devono necessariamente aderire tutti i soci, ma è approvata con una decisone endosocietaria a maggioranza dei so-ci, in assemblea, (per le società di capitali) e calcolata per partecipazio-ne agli utili (per le società di persone), salvo diverse disposizioni dell’atto costitutivo.
La scissione a favore di beneficiaria di nuova costituzione è poi for-malizzata con un atto unilaterale sottoscritto dai soli rappresentanti or-ganici della società scindenda e non dai soci della società scindenda medesima.
Non si può pertanto parlare di vera e propria costituzione di società beneficiaria, perché la medesima nasce per gemmazione dalla scinden-da. Il procedimento di scissione si conclude con l'atto di scissione che promana unilateralmente dalla società scindenda.
Una dottrina autorevole, ma assolutamente minoritaria, sostiene che siano i soci della scissa a costituire ex novo la/le società beneficiaria/e, con conseguente necessità del consenso plurimo costituente. Tale opi-nione (non recepita né in giurisprudenza, né nella prassi, né dalla dot-trina maggioritaria) non sembra peraltro cogliere la fondamentale di-stinzione tra società come atto (contratto costitutivo inteso come fatto giuridicamente rilevante, momento statico) e società come rapporto (il rapporto funzionale, momento dinamico).
La scissione, al pari della fusione, è vicenda che inerisce al rapporto societario in itinere, non estingue l'originario contratto di società per generare altri contratti sociali, ma modifica il rapporto derivante dall'o-riginario contratto di società, attuando una ramificazione in più rappor-ti contrattuali che trovano comunque causa nel titolo originario.
In questi rapporti plurimi continua, senza alcuna soluzione e tra le medesime parti, l'originario rapporto sociale unitario. Sarebbe altrimenti illogico ammettere che le beneficiarie possano costituirsi per delibera a maggioranza, anziché per contratto.
In verità, come già sottolineato, non si tratta per nulla di una costi-tuzione intesa staticamente (e quindi facendo ricorso allo schema tradi-zionale dell'atto costitutivo tout court), ma di una evoluzione del rappor-to societario, per sua natura dinamico ed in continuo divenire e mutare.
La società beneficiaria, nel procedimento di scissione, "nasce" secon-do una genesi affatto diversa dall'ordinario atto costitutivo e non richie-de pertanto alcun requisito di pluralità di soci, perché non origina da un contratto ex art. 2247 c.c., ma da un procedimento complesso scandito dalla legge e circondato da particolari garanzie a tutela dei soci, dei cre-ditori sociali e dei terzi in genere.
Il principio della pluralità dei soci, ampiamente derogato sia dal di-ritto comune in materia di SPA ed SRL, sia dal diritto speciale, non trova applicazione nel procedimento genetico della società beneficiaria generata dalla società scissa, neppure se si tratta di società di persone.
Pertanto, la scissione a favore di una o più società di persone di nuo-va costituzione con un unico socio, dev'essere sicuramente ammessa, salvo lo scioglimento della società di persone beneficiaria unipersonale, qualora, nel termine di sei mesi, non si costituisca la pluralità dei soci.
Ma si tratta di un effetto giuridico del tutto indipendente dall'iter del-la scissione, oltre che eventuale.

L.A.23 - (DECISIONE DI FUSIONE O SCISSIONE DI SOCIETÀ DI PERSONE A MAG-GIORANZA E ADOZIONE DI UN NUOVO STATUTO - 1° pubbl. 9/06)
In mancanza di espressa diversa previsione del contratto sociale, si deve ritenere che il secondo periodo dell'art. 2502 c.c. (richiamato dall’art. 2506 ter c.c. per la scissione), nella parte in cui prevede l’approvazione del progetto di fusione (o scissione) a maggioranza delle società di persone, consenta l'approvazione con la medesima maggioranza del testo dello statuto o dei patti sociali della o delle so-cietà risultanti anche in quelle parti che non risultano strettamente necessarie con la fusione (o scissione). Si pensi all'introduzione di particolari maggioranze, o all'adozione di particolari sistemi di governance, o a clausole di prelazione, o di limitazione alla circolazione delle partecipazioni, o alla previsione di ipotesi fa-coltative di recesso o esclusione, ecc.).
Restano comunque salve le disposizioni dettate da norme speciali in deroga al principio di cui al secondo periodo dell'art. 2502 c.c. (si pensi all'art. 34 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 nella parte in cui prevede che l'introduzione o la soppres-sione di clausole compromissorie debba essere approvata dai soci che rappre-sentino almeno i 2/3 del capitale sociale).

L.A.24 - (APPLICABILITÀ DELL'ART. 2500 SEXIES C.C. ALLE FUSIONI E SCISSIONI A FAVORE DI SOCIETÀ DI PERSONE - 1° pubbl. 9/06)
Si ritiene che il dettato dell'art. 2500 sexies, comma 1, c.c., nella parte in cui ri-chiede il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata con la tra-sformazione, debba essere esteso anche alle operazioni di fusione o di scissione che determinano un mutamento del tipo societario (totale nella fusione e nella scissione estintiva, parziale nella scissione non estintiva) da società di capitali in società di persone.
Infatti l'assunzione della qualifica di socio illimitatamente responsabile nella so-cietà di persone risultante o beneficiaria della fusione/scissione determina la ne-cessità di raccogliere il consenso del socio medesimo ai sensi dell'art. 2500 sexies, comma 1, c.c., applicabile anche alle fusioni/scissioni che determinano un mutamento del tipo societario.

L.A.25 - (FUSIONE PER INCORPORAZIONE IN S.R.L. CON PARTECIPAZIONI PRIVE DI VALORE NOMINALE E OBBLIGO DI AUMENTO DI CAPITALE AL SERVIZIO DEL CONCAMBIO - 1° pubbl. 9/07 - motivato 9/11)
Non sussiste l’obbligo di aumentare il capitale sociale al servizio del concambio nel caso in cui una s.r.l. con partecipazioni prive di valore nominale, quindi con valore nominale implicito (vedi orientamento I.I.28), incorpori un’altra società.
Per poter attuare il concambio in tale fattispecie è sufficiente rideterminare le quote di partecipazione dei vecchi soci in rapporto a quelle che saranno attribui-te ai nuovi.
La rideterminazione delle percentuali di partecipazione di ciascun socio avviene comunque in maniera implicita anche nell’ipotesi che l’incorporante aumenti il proprio capitale sociale al servizio del concambio.
Motivazione
Prima della riforma del diritto societario era prevalente l’opinione secondo la quale in tutte le fusioni o scissioni di s.r.l. con incorporan-te/beneficiaria preesistente e con necessità di concambio, fosse obbliga-torio assegnare ai soci della società incorporata/scissa delle “nuove” quote di capitale, non essendo possibile procedere con una semplice ri-distribuzione tra vecchi e nuovi soci di quelle preesistenti.
In dette operazioni era quindi necessario porre in essere un aumento di capitale a copertura delle quote da assegnare in concambio, con con-seguenti difficoltà operative nel caso in cui non sussistessero voci di pa-trimonio netto idonee a garantire l’integrale copertura dell’aumento.
Ovviamente era escluso ogni obbligo di variazione del capitale nel caso in cui non vi fosse concambio, nelle ipotesi cioè in cui all’operazione partecipassero esclusivamente società detenute dagli stessi soci e nelle stesse proporzioni, ovvero in quella in cui l’incorporante/beneficiaria detenesse l’intero capitale della incorpora-ta/scissa.
La possibilità di ridistribuire le quote preesistenti senza emetterne di “nuove”, e dunque senza aumentare il capitale sociale, non era inibita da norme espresse ma dalla natura di “quota di capitale”, dotata di va-lore nominale esplicito, che anteriormente alla riforma era attribuita alle partecipazioni di s.r.l.
La diminuzione del valore nominale delle partecipazioni dei vecchi soci senza una riduzione del capitale o senza un loro trasferimento par-ziale si riteneva fosse estranea al sistema.
Per ridistribuire nominalmente il capitale senza variarlo non si sa-rebbe quindi potuto operare con una delibera dei soci ma si sarebbe do-vuto porre in essere un vero e proprio negozio traslativo di proprietà (nelle forme previste dall’art. 2479 c.c., allora vigente).
Tale negozio non era tuttavia realizzabile poiché nel caso di specie non sussistevano né le sue cause (liberalità, cessione onerosa), né i sog-getti “contraenti” in senso tecnico (alienante ed acquirente).
La diminuzione per “delibera ridistributiva” del valore nominale esplicito delle partecipazioni attribuite ai vecchi soci avrebbe generato poi anche notevoli problemi formali di pubblicità in tutti quei casi in cui fossero stati presenti diritti di terzi su dette partecipazioni. Si pensi al caso di usufrutto, pegno o sequestro delle stesse.
È bene precisare che l’operazione di ridistribuzione e quella di au-mento di capitale con assegnazione di nuove quote sono comunque as-solutamente coincidenti dal punto di vista economico.
Le differenze per i soci sono esclusivamente “estetiche”, in entrambi i casi il risultato finale è l’esatta ripartizione delle partecipazioni nella società incorporante/beneficiaria nelle proporzioni previste dal rapporto di cambio.
Se una società con capitale di 10.000,00 euro, ripartito tra due soci in parti uguali, incorpora un’altra società, detenuta sempre in parti uguali da altri due soci, sulla base di un rapporto di cambio determinato alla pari, sarà assolutamente indifferente per detti quattro soci se all’esito dell’operazione risulteranno titolari ciascuno di una quota di partecipa-zione del valore nominale di 5.000,00 euro a fronte di una capitale tota-le di 20.000,00 euro, ovvero di una quota del valore nominale di 2.500,00 euro a fronte di un capitale totale di 10.000,00 euro.
In entrambi i casi ciascun socio deterrà una quota di partecipazione pari al 25% e, di conseguenza, un’identica percentuale di patrimonio.
Solo per i terzi sussiste una differenza, in quanto l’entità del capitale sociale più elevata li garantisce maggiormente.
Tale interesse dei terzi non può comunque giustificare un obbligo di aumento di capitale, poiché lo stesso trova autonoma tutela nel diritto di opposizione. Inoltre, l’entità dell’aumento al servizio del concambio è determinata dai rapporti tra i patrimoni netti effettivi delle società coin-volte e non dai valori nominali dei capitali preesistenti, pertanto detto aumento potrebbe generare comunque un risultato che non soddisfi gli interessi dei creditori.
Era dunque solo l’obbligo di individuazione delle partecipazioni at-traverso il loro valore nominale che, anteriormente alla riforma, inibiva certe operazioni.
Come già illustrato in commento agli orientamenti I.I 28 e I.G.33, ciò che oggi sottoscrivono e detengono i soci di s.r.l. è una quota di par-tecipazione rappresentativa di una percentuale dell’affare e del patrimo-nio, totalmente svincolata dal valore del conferimento da loro indivi-dualmente effettuato.
Dette percentuali sono per loro natura soggette a variazioni prescin-dendo da una alienazione parziale o da una variazione del capitale so-ciale.
Possono quindi variare anche in seguito ad una semplice decisione dei soci.
Nelle fusioni o scissioni con incorporante/beneficiaria preesistente e con necessità di concambio, non è dunque più possibile ritenere che sus-sista un obbligo di assegnazione di “nuove” quote ai soci dell’incorporata/scissa.
Il concambio può oggi essere legittimamente attuato con la semplice assegnazione, a tutti i soci delle società coinvolte, della “congrua” per-centuale di partecipazione nella incorporante/beneficiaria prevista dal progetto.
Le stesse direttive comunitarie in materia di fusione e scissione (art. 19, comma 1, lett. b, della III Direttiva e art. 17, comma 1, lett. b, della VI Direttiva), pur se riferite alle sole società azionarie, escludono qual-siasi obbligo di assegnazione di “nuove” azioni per soddisfare il con-cambio, prevedendo unicamente che all’esito di una fusione per incor-porazione “gli azionisti della società incorporata divengono azionisti della società incorporante”, mentre alla conclusione di una scissione mediante incorporazione “gli azionisti della società scissa divengono soci delle società beneficiarie conformemente alla ripartizione prevista dal progetto di scissione”.

L.A.26 - (SCISSIONE CON BENEFICIARIA S.R.L. PREESISTENTE AVENTE PARTECIPA-ZIONI PRIVE DI VALORE NOMINALE E OBBLIGO DI AUMENTO DI CAPITALE AL SERVIZIO DEL CONCAMBIO - 1° pubbl. 9/07 - motivato 9/11)
Non sussiste l’obbligo di aumentare il capitale sociale al servizio del concambio nell’ipotesi in cui una s.r.l. con partecipazioni prive di valore nominale, quindi con valore nominale implicito (vedi orientamento I.I.28), sia la beneficiaria della scissione di un’altra società.
Per poter attuare il concambio in tale fattispecie è sufficiente rideterminare le quote di partecipazione dei vecchi soci in rapporto a quelle che saranno attribui-te ai nuovi.
La rideterminazione delle percentuali di partecipazione di ciascun socio avviene comunque in maniera implicita anche nell’ipotesi che la beneficiaria aumenti il proprio capitale sociale al servizio del concambio.
Motivazione
Vedi sub L.A.25.

L.A.27 - (MOMENTO DELLA NOMINA DEI COMPONENTI GLI ORGANI SOCIALI DEL-LE SOCIETÀ DI NUOVA COSTITUZIONE NELLE FUSIONI O SCISSIONI - 1° pubbl. 9/07)
Nel caso di fusione propria, o di scissione con una o più beneficiarie di nuova co-stituzione, è possibile non designare nel relativo progetto i componenti gli orga-ni sociali della o delle nuove società.
In tal caso la nomina potrà essere operata direttamente con la delibera di ap-provazione del progetto, ovvero potrà essere delegata con detta delibera al sog-getto legittimato a stipulare l’atto di fusione o scissione.

L.A.28 - (DIRITTI DEI PORTATORI DI STRUMENTI FINANZIARI NEI CASI DI FUSIONE O SCISSIONE - 1° pubbl. 9/08)
Ai portatori di strumenti finanziari cui non sia attribuito uno specifico diritto di voto in ordine alle fusioni o scissioni, ovvero un più ampio diritto di voto in or-dine alle modifiche dell’atto costitutivo o statuto, è applicabile per analogia il disposto dell’art. 2503bis, comma 1, c.c.
Ai medesimi spetterà pertanto il diritto all’opposizione, salvo che la loro assem-blea speciale abbia approvato dette operazioni.

L.A.29 - (CONSENSO DEI SOCI TITOLARI DI PARTICOLARI DIRITTI EX ART. 2468, COMMA 3, C.C. NEI CASI DI FUSIONE O SCISSIONE - 1° pubbl. 9/08)
È necessario il consenso di tutti i soci titolari di diritti particolari ex art. 2468, comma 3, c.c., per approvare un progetto di fusione o scissione che comporti il venir meno di detti diritti, a meno che l’atto costitutivo della società incorporata o scissa non preveda, ai sensi dell’art. 2468, comma 4, c.c., che i medesimi diritti possano essere modificati a maggioranza.

L.A.30 - (IMPOSSIBILITÀ DI ATTUARE UNA FUSIONE PROPRIA, O UNA SCISSIONE CON BENEFICIARIA DI NUOVA COSTITUZIONE, PREVEDENDO L’INGRESSO DI NUOVI SOCI IN SEDE DI COSTITUZIONE DELLA NUOVA SOCIETÀ - 1° pubbl. 9/08)
Quando una fusione o una scissione vengono attuate mediante costituzione di una nuova società, appare illegittimo prevedere che a detta nuova società pos-sano partecipare ulteriori soci, rispetto a quelli delle società coinvolte, che en-trino a far parte della compagine sociale al momento della sua costituzione, in-tervenendo nel relativo atto.
La causa della fusione e della scissione è infatti essenzialmente riorganizzativa delle strutture societarie preesistenti.
L’attività di impulso nell’adottare una di tali operazioni è coerentemente rimes-sa agli amministratori (ai quali solo spetta la predisposizione del progetto) e non ai soci.
L’atto finale di fusione o scissione sarà poi stipulato tra le società preesistenti e non tra i loro soci, questi ultimi infatti sono solo indirettamente interessati dagli effetti di tali operazioni, che, nei loro confronti, devono comunque essere patri-monialmente neutri.
La presenza, quali contraenti, di nuovi soci al momento della stipula dell’atto di costituzione della nuova società, cioè dell’atto di fusione o scissione, appare dunque inconciliabile con lo schema negoziale della fusione e della scissione.
La circostanza che l’interesse che si intende perseguire con l’ingresso di nuovi so-ci sia indubbiamente meritevole di tutela (ai sensi dell’art. 1322 c.c.), nonché la sicura affinità delle operazioni di fusione o scissione con altre operazioni straor-dinarie che possono comportare l’ingresso di nuovi soci, non alterano le conclu-sioni esposte, in quanto l’ordinamento offre numerosi strumenti per ottenere in maniera tipica il medesimo risultato finale.
Così, ad esempio, i nuovi soci potranno entrare nella compagine sociale con una successiva delibera di aumento di capitale ad essi riservata (eventualmente già prevista con delega all’organo amministrativo nell’atto costitutivo della nuova società); con la costituzione da parte dei medesimi di una loro società che parte-cipi poi all’operazione di fusione o scissione; con l’esercizio di un diritto di op-zione acquistato prima della fusione o scissione.
Sarà anche possibile deliberare l’approvazione dei progetti di fusione o scissione prevedendo in essi l’ingresso dei nuovi soci in una o più delle società preesisten-ti, e quindi in quella derivata, un istante prima della stipula degli atti attuativi di tali operazioni.

L.A.31 - (ENTITÀ MINIMA DEL CAPITALE SOCIALE DELLA O DELLE SOCIETÀ RISUL-TANTI DA UNA FUSIONE O DA UNA SCISSIONE - 1° pubbl. 9/08)
Non è necessario determinare il capitale sociale minimo della o delle società ri-sultanti da una fusione o da una scissione nella somma dei capitali delle società preesistenti.
Unico limite al principio esposto è dato dalla impossibilità di procedere, in occa-sione di una fusione o scissione, ad una riduzione volontaria del capitale sociale delle eventuali società preesistenti incorporante o beneficiarie, senza il rispetto dei presupposti e della procedura di legge per la riduzione reale del capitale so-ciale.
Nella fusione, come anche nella scissione, l’entità del capitale sociale delle socie-tà risultanti da tali operazioni è determinata dal rapporto di cambio, ovvero dal-la necessità di annullare le partecipazioni detenute dall’incorporante nell’incorporata.
Può quindi accadere che la somma dei capitali di dette società sia inferiore a quella delle società preesistenti, con ciò legittimando la creazione di riserve di-sponibili e l’eventuale restituzione di parte dei conferimenti ai soci.
Tale eventualità è nella fisiologia del sistema, il quale tutela in ogni caso gli inte-ressi dei terzi creditori con il diritto all’opposizione. Può quindi legittimamente essere posta in essere anche nelle ipotesi in cui non via sia necessità di annulla-mento di partecipazioni, ovvero le esigenze del rapporto di cambio siano conci-liabili con la determinazione dei capitali sociali delle società risultanti non infe-riori alla somma di quelli delle società preesistenti.

L.A.32 - (CONGUAGLI IN DENARO - 1° pubbl. 9/08)
Nella fusione e nella scissione è possibile prevedere conguagli in denaro al solo fine di evitare che all’esito di tali operazioni si formino dei resti.
Nel caso in cui sia possibile determinare un rapporto di cambio che non dia luo-go a resti non è dunque consentito prevedere un conguaglio in denaro, anche se l’approvazione del progetto venga deliberata all’unanimità, poiché in tal caso il negozio posto in essere non rientrerebbe esclusivamente nella causa della fusio-ne o della scissione.
In altre parole il disinvestimento parziale che consegue alla percezione di un conguaglio in denaro (il cui onere - nell’ipotesi tipica - grava sulle società e non sui soci), deve avvenire in una forma tipica, ovvero, se in forma atipica, con l’enunciazione di una causa lecita.

L.A.33 - (SCISSIONE CON ATTRIBUZIONE ALLA BENEFICIARIA DI DIRITTI REALI PAR-ZIALI DERIVATI DA UN DIRITTO DI PIENA PROPRIETÀ SUSSISTENTE NEL PATRI-MONIO DELLA SCISSA - 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
Si ritiene legittimo attuare una scissione nella quale sia prevista l’assegnazione alla beneficiaria di un diritto reale parziale derivato da un diritto di piena pro-prietà sussistente nel patrimonio della scissa.
È così possibile, ad esempio, assegnare ad una beneficiaria l’usufrutto o il diritto di superficie su un determinato bene immobile già spettante in piena proprietà alla scissa.
In tal caso, mancando un’autonoma valorizzazione dei diritti assegnati nelle scritture contabili della scissa, tale valorizzazione sarà compiuta, agli effetti dell’art. 2504 bis, comma 4, c.c. richiamato dall’art. 2506 quater, comma 1, c.c. dagli amministratori, fermo restando che la somma dei valori attribuiti ai diritti assegnati e a quelli residui non potrà eccedere il preesistente valore dell’intero risultante dalle scritture contabili della scissa.
Motivazione
La riforma del diritto societario ha definitivamente confermato la non riconducibilità ai negozi traslativi delle operazioni di fusione o scis-sione societaria.
Per quanto riguarda in particolare la scissione è stato infatti abrogato l’unico riferimento testuale ai negozi traslativi contenuto nella vecchia formulazione dell’art. 2504 septies c.c., il quale, definendo la scissione, affermava che la stessa “si esegue mediante trasferimento” di tutto o parte del patrimonio della scissa. La nuova definizione della scissione, contenuta nell’art. 2506 c.c., afferma ora più correttamente che “con la scissione una società assegna” tutto o parte del suo patrimonio (vedi orientamento L.A.15).
L’art. 2504 bis, comma 4, c.c., poi, prevede che nel primo bilancio successivo alla fusione (o alla scissione) le attività e le passività sono iscritte ai valori risultanti dalle scritture contabili alla data di efficacia dell’operazione.
La scissione (come anche la fusione) è dunque un’operazione neutra, meramente evolutiva della società scissa, la quale, sotto un certo profi-lo, continua ad esistere nella somma delle società risultanti dalla sua scissione.
Stante quanto sopra può porsi il dubbio se sia possibile attuare una scissione assegnando ad una società non il medesimo diritto posseduto dalla scissa, ma uno diverso, derivato dal primo e costituito in occasio-ne della scissione (si pensi ad una scissa, titolare della piena proprietà di un capannone industriale, che in sede di scissione assegni alla beneficia-ria il diritto di superficie sulla copertura di detto immobile al fine di rea-lizzare e mantenere un impianto fotovoltaico).
In tale ipotesi, non solo mancherebbe l’identità del diritto assegnato con quello già di titolarità della scissa, ma mancherebbe anche un crite-rio legale per attribuire un valore al diritto assegnato in sede di iscrizio-ne del medesimo nel bilancio della beneficiaria, in quanto il valore di ta-le diritto non era autonomamente inserito nelle scritture contabili della scissa.
Le suddette obiezioni, pur apparendo idonee ad alimentare il dubbio sulla fattibilità di una scissione che preveda l’attribuzione alla beneficia-ria di un diritto derivato da quello già di titolarità della scissa, non risul-tano decisive per escludere tale possibilità.
Entrambe, infatti, provano troppo, poiché sono assai frequenti nella pratica le operazioni di scissione in cui vengono “creati” per l’occasione specifici rami d’azienda da assegnare alla beneficiaria, non autonoma-mente preesistenti nel patrimonio della scissa (si pensi all’ipotesi di una società che produce varie linee di abbigliamento e che decida di scinder-si in più società a ciascuna delle quali attribuire una specifica linea di produzione: abbigliamento sportivo, casual, formale, ecc). In dette ipo-tesi è assai frequente non rinvenire nel patrimonio della scissa, o più precisamente nelle sue scritture contabili, una preesistente individuazio-ne esatta dei rami d’azienda assegnati alle beneficiarie e di quelli man-tenuti dalla scissa, poiché, di regola, detti rami vengono creati per l’occasione accorpando o scorporando singoli beni, aziende o altre uni-versalità acquistati nel tempo.
Quale criterio dovranno usare gli amministratori delle società coin-volte, nel rispetto del disposto dell’art. 2504 bis, comma 4, c.c., per scorporare dal bilancio della scissa il valore dell’avviamento di un de-terminato ramo d’azienda acquistato a titolo oneroso e poi scorporato in due sub-rami d’azienda di cui un mantenuto nel patrimonio della scissa ed uno assegnato ad una beneficiaria?
Il criterio non esiste. In realtà le norme sulla neutralità della scissione (e della fusione) non sono volte a limitare la naturale vocazione riorga-nizzativa dei patrimoni e delle aziende delle società preesistenti, propria di dette operazioni (anzi che ne costituisce la causa tipica), bensì tendo-no ad impedire usi distorti dell’istituto al fine di realizzare trasferimenti di ricchezza o indebite rivalutazioni di bilancio.
Sotto questo profilo, dunque, ciò che appare insuperabile per qualifi-care una certa operazione scissione (o fusione) e che all’esito della stes-sa nessun socio delle società coinvolte sia divenuto più ricco o più pove-ro, che il rapporto di cambio sia stato congruo e che la somma dei valo-ri di bilancio delle società risultanti non sia superiore a quella dei valori di bilancio delle società preesistenti, salva la sola ipotesi dell’eventuale disavanzo da allocare ai sensi dell’art. 2504 bis, comma 4, c.c.
Nella pratica è assai frequente che gli amministratori delle società coinvolte in una determinata operazione di scissione siano costretti a scorporare i valori iscritti nel bilancio della scissa al fine di adeguarli all’effettività dei beni trasferiti, operando, a volte, anche delle svaluta-zioni. Si pensi all’ipotesi di una scissa detentrice di un pacchetto di con-trollo di una società, acquistato pagando un premio di maggioranza, che assegni una parte minoritaria di detto pacchetto ad una beneficiaria, rimanendo in tal modo a sua volta titolare di un pacchetto di minoran-za.
Anche dal punto di vista del tenore letterale della norma che defini-sce la scissione (art. 2506, comma 1, c.c.) non esiste alcun impedimento ad attuare una scissione che non assegni alla beneficiaria esattamente gli stessi diritti detenuti dalla scissa, posto che tale norma si limita a prevedere che con la scissione si può assegnare ad una beneficiaria an-che solo “una parte” del patrimonio della scissa, senza altre limitazioni.
Per tali motivi si ritiene che sia sempre possibile attuare una scissio-ne nella quale vengano assegnati ad una o più beneficiarie anche o solo diritti derivati dal preesistente patrimonio della scissa, a condizione che la somma dei patrimoni delle società coinvolte e dei loro valori contabili all’esito dell’operazione non ecceda quelli preesistenti, salva esclusiva-mente l’ipotesi del disavanzo prevista dall’art. 2504 bis, comma 4 c.c.


L.A.34 – (FUSIONE PROPRIA DI SOCIETÀ DI PERSONE CON COSTITUZIONE DI SO-CIETÀ DI CAPITALI E DETERMINAZIONE DEL CAPITALE - 1° pubbl. 9/20 – motivato 9/21)
Nel caso di una fusione propria alla quale partecipino una o più società di per-sone con risultante una società di capitali si ritiene applicabile il disposto dell’art. 2500 ter, comma 2, c.c., trattandosi di fusione trasformativa.
Il patrimonio della o delle società di persone fuse oggetto di stima potrà dunque essere imputato in tutto o in parte a capitale sociale della società risultante sulla base dei valori evidenziati dalla perizia.
Non è possibile imputare a capitale l’avviamento delle società di persone se queste non lo hanno acquistato a titolo oneroso.
Le attività e le passività delle società di persone oggetto di stima saranno impu-tate ex novo (ai soli fini civilistici e non fiscali) nel bilancio della società risultante sulla base dei valori attuali evidenziati dalla perizia di stima; non può pertanto formarsi alcun avanzo o disavanzo.
In tale fattispecie non trova applicazione l’art. 2504-bis, comma 4, c.c..
Motivazione
L’art. 2504-bis, comma 4, c.c. dispone che nel primo bilancio succes-sivo alla fusione le attività e le passività sono iscritte ai valori risultanti dalle scritture contabili alla data di efficacia della fusione medesima. Enuncia dunque il principio della “continuità contabile.
L’art. 2501-sexies, comma 7, c.c., dispone invece che nel caso di fu-sione di società di persone in società di capitali si debba formare la peri-zia prevista dall’art. 2343 c.c., ossia quella disciplinata dall’art. 2500-ter, comma 2, c.c. per il caso di trasformazione di società di persone in so-cietà di capitali. Tale ultima disposizione prevede che il capitale della società di capitali risultante dalla trasformazione di una società di per-sone debba essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell’attivo e del passivo, desunti dalla suddetta perizia, e non sulla base dei valori contabili.
Può dunque risultare incerto se nel caso di fusione di società di per-sone in società di capitali, ossia nel caso di una fusione cosiddetta “tra-sformativa”, debba prevalere la norma generale dettata in materia di fu-sione dall’art. 2504-bis, comma 4, c.c., ossia la regola della “continuità contabile”, ovvero se si debba applicare quella speciale dei “valori cor-renti” prevista dall’art. 2500-ter c.c. in materia di trasformazione.
In realtà la incompatibilità tra le due disposizioni è solo apparente e deriva dalla mancanza di coordinamento tra le stesse prodotta dalla lo-ro evoluzione storica.
Storicamente, prima della riforma del diritto societario e fin dall’introduzione nell’ordinamento della disciplina della fusione, avve-nuta con il codice di commercio del 1882, non è mai esistita una regola legale sulla formazione del primo bilancio post fusione. Nella pratica si procedeva quindi con assoluta libertà e con comportamenti non omo-genei, realizzando spesso distorsioni finalizzate ad eludere norme fisca-li.
Di contro, nella disciplina della trasformazione delle società di per-sone in società di capitali è sempre esistito l’obbligo di determinare il capitale della società post trasformazione sulla base di una perizia di stima, ciò al fine di evitare i possibili annacquamenti di capitale che sa-rebbero potuti derivare dall’utilizzo dei valori contabili esistenti nella società di persone, posto che in tale modello i conferimenti non sono soggetti né a controlli né a certificazioni.
Per tale motivo, prima della riforma, risultava incerto se nel caso del-la fusione di società di capitali si potesse procedere ad una rivalutazione degli elementi dell’attivo, come invece si riteneva pacificamente possibi-le nel caso di fusione di società di persone in società di capitali.
Consapevole della necessità di risolvere le esposte incertezze sui cri-teri di formazione del primo bilancio successivo ad un’operazione di fu-sione (o di scissione) di società di capitali, il legislatore delegante della riforma del diritto societario aveva previsto all’art. 7, lettera c) della leg-ge delega n. 366/2001 che il governo fosse delegato, tra l’altro, a «disci-plinare i criteri di formazione del primo bilancio successivo all’operazione di fusione o di scissione».
Nella relazione di accompagnamento alla legge delega, veniva preci-sato che «Si tratta di riempire, in questo caso, un vuoto normativo che ha finora prodotto un certo disordine nella materia e ha consentito di piegare incerti principi a ben più certe convenienze, soprattutto di ordi-ne fiscale».
In attuazione di detta parte della delega, il legislatore delegato ha in-trodotto nell’art. 2504-bis, comma 4, c.c., la seguente disposizione: «Nel primo bilancio successivo alla fusione le attività e le passività sono iscritte ai valori risultanti dalle scritture contabili alla data di efficacia della fusione medesima …», con il chiaro intento di colmare una lacuna legislativa e non anche di intervenire, riformandole, sulle quelle fattispe-cie “speciali” di fusione nelle quali tale lacuna non sussisteva, ossia nel-le fattispecie delle “fusioni trasformative”.
Che questa fosse la volontà del legislatore del 2003 è confermato dal-la contestuale introduzione ad opra del medesimo nell’art.2501-sexies c.c. della previsione espressa dell’obbligo di formazione della perizia di stima nel caso di fusione di società di persone con società di capitali, obbligo richiamato dall’art. 2506-bis c.c. anche nel caso di scissione di società di persone in società di capitali.
Deve quindi concludersi che non sussiste alcuna contraddizione tra la disposizione sulla continuità contabile contenuta nel comma 4 dell’art. 2504-bis c.c. e quella sull’aggiornamento dei valori “di libro” tramite perizia implicitamente contenuta nell’art. 2501-sexies, comma 7, c.c., in quanto le due previsioni sono volte a disciplinare fattispecie di-verse: la prima si occupa del primo bilancio post fusione ed è volta ad evitare “rivalutazioni” elusive, la seconda si preoccupa di verificare la congruità dei valori contabili espressi nel bilancio della società di perso-ne al fine di porre in essere le necessarie “svalutazioni”.
La prima disposizione è inoltre di carattere generale, pertanto trova applicazione solo ove non sia derogata da una norma speciale. La se-conda è appunto la norma speciale che deroga alla prima.
A quanto sopra consegue che nel caso di fusione (o di scissione) di società di persone in società di capitali non si applica il principio della “continuità contabile”.

L.A.35 – (FUSIONE INVERSA SEMPLIFICATA PER INCORPORAZIONE DI SOCIETÀ PARTECIPANTE AL 90% - 1° pubbl. 9/22 – motivato 10/23)
Si ritiene che la procedura semplificata di fusione di cui all’art. 2505-bis c.c. pos-sa essere attuata anche nel caso della cosiddetta “fusione inversa”, nelle ipotesi cioè in cui l’incorporante sia posseduta dalla incorporata, non rappresentante l’unico socio, per almeno il 90% del capitale sociale.
Motivazione
La Riforma del 2003, sfruttando una possibilità contemplata dalla Terza Direttiva, ha introdotto una disciplina sulla fusione semplificata applicabile all’incorporazione di società posseduta dall’incorporante almeno al 90% (ma non al 100%, configurandosi altrimenti la fattispecie regolata dall’art. 2505 c.c.).
La semplificazione originariamente prevista dall’art. 2505-bis c.c. si traduceva nella dispensa dalla redazione della relazione degli esperti di cui all’art. 2501-sexies c.c., a condizione che venisse concesso ai soci di minoranza della controllata/incorporata il diritto di far acquistare le lo-ro azioni o quote dalla società incorporante per un corrispettivo deter-minato alla stregua dei criteri dettati in tema di recesso.
Come previsto dall’art. 2505 c.c. in tema di fusione di società inte-ramente posseduta dalla controllante, per l’incorporazione di società controllata almeno al 90% dall’incorporante la disposizione in commen-to prevedeva poi la possibilità che lo statuto attribuisse all’organo am-ministrativo la competenza di decidere la fusione, fermo restando che tale facoltà, diversamente da quanto disposto dall’art. 2505 c.c., non ri-guardava entrambe le società partecipanti alla fusione ma solo la socie-tà incorporante.
Il d.lgs. 123/2012 di attuazione della direttiva 2009/109/CE, che ha apportato modifiche alle direttive 77/91/CEE, 78/855/CEE e 2005/56/CE, ha modificato il testo dell’art. 2505-bis c.c., il quale, nella formulazione attuale, prevede la dispensa da alcuni adempimenti do-cumentali principalmente posti a presidio, sul piano informativo, ma di riflesso anche sostanziale, della congruità del rapporto di cambio, nel caso in cui ai soci di minoranza della controllata al 90% sia concesso quel diritto di exit che già era riconosciuto sotto il vigore della previgen-te norma.
Sussistendo tale correttivo, infatti, il novellato art. 2505-bis, comma 1, c.c. esonera ora dall’obbligo della redazione della relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio, della situazione patrimo-niale di cui all’art. 2501-quater c.c. e della relazione dell’organo ammini-strativo di cui all’art. 2501-quinques c.c., con il conseguente venire meno dei relativi obblighi di pubblicazione di cui all’art. 2501-septies c.c.
Il fondamento delle semplificazioni citate è dalla dottrina tenden-zialmente ravvisato nella circostanza che, al ricorrere delle ipotesi in esame, stante l’annullamento della partecipazione detenuta dall’incorporante nella incorporata ex art. 2504-ter c.c., il concambio ri-guardi una quota marginale del capitale sociale dell’incorporata, talché i costi e gli oneri associati alla predisposizione di questi documenti (an-che in termini di tempo) possono rivelarsi sproporzionati rispetto alle esigenze di tutela sottostanti.
Partendo da tale impostazione si è data allora risposta negativa all’interrogativo circa l’estensibilità delle semplificazioni di cui all’art. 2505-bis, comma 1, c.c. all’ipotesi di fusione inversa in cui la società controllante/incorporanda sia titolare di una partecipazione non totali-taria pari ad almeno il 90% del capitale della società controlla-ta/incorporante, essendo in tal caso i soci interessati al concambio delle proprie quote/azioni detentori complessivamente (non già del 10%, bensì) dell’intero capitale della società incorporata.
Ad una più attenta analisi, tali approdi non risultano condivisibili.
Non pare revocabile in dubbio, infatti, che, nell’ipotesi contemplata dall’art. 2505-bis c.c., la determinazione del rapporto di cambio manten-ga una propria rilevanza per i soci dell’incorporante, attesa la diluizione delle partecipazioni che i medesimi detengono in detta società a seguito dell’ingresso nella compagine sociale dei soci dell’incorporata, in con-formità alla misura stabilita dal rapporto di cambio.
Invero, la circostanza che le azioni o le quote emesse in concambio riguardino una percentuale marginale del capitale sociale dell’incorporata non comporta necessariamente che la diluizione subita dai soci dell’incorporante sia irrisoria. È ben possibile, infatti, che, qua-lora il valore del “capitale netto” dell’incorporante/controllante risulti inferiore a quello dell’incorporata/controllata (si pensi al caso in cui l’incorporante sia una holding fortemente indebitata e l’incorporata sia una società operativa con pochi debiti e buone prospettive di redditivi-tà), i soci di minoranza dell’incorporata ricevano, a fronte della loro partecipazione complessivamente pari o inferiore al 10% del capitale sociale della controllata, partecipazioni rappresentative di una frazione anche significativamente più alta del capitale sociale dell’incorporante.
Pare, quindi, più corretto affermare che la ratio sottesa alle semplifi-cazioni di cui all’art. 2505-bis, comma 1, c.c. debba essere rinvenuta non solo (e non tanto) nell’esigua frazione del capitale dell’incorporata sog-getta a concambio in sede di fusione, bensì nella sostanziale estraneità dei soci che partecipano in misura così ridotta all’incorporata alle finali-tà di riorganizzazione del gruppo societario complessivamente persegui-te.
Tali soci, infatti, risultano “esterni” non solo al “governo” del grup-po (così come i soci di minoranza dell’incorporante, atteso che gli am-ministratori delle società coinvolte nella fusione costituiscono espres-sione della volontà del socio di maggioranza della controllante) ma an-che, stante la ridotta partecipazione nella controllata, al gruppo stesso, talché per i soci di stretta minoranza dell’incorporata/controllata l’operazione di fusione non rileva sotto il profilo della riorganizzazione del gruppo ma quale modifica del proprio investimento.
Detto altrimenti, pare ragionevole ritenere che la caratura partecipa-tiva indicata dall’art. 2505-bis c.c. sia funzionale ad individuare i soci di stretta minoranza della controllata/incorporata che, in quanto estranei e disinteressati alle finalità di riorganizzazione del gruppo societario perseguite mediante la fusione, non possano rallentarne l’attuazione pretendendo l’adempimento degli oneri informativi di cui agli artt. 2501-quater, 2501-quinques e 2501-sexies c.c., fatta salva la necessità che la mancata redazione della documentazione prevista dalle norme citate e la modifica dell’investimento a suo tempo effettuato da tali soci siano bilanciate dal diritto alla liquidazione del valore effettivo delle loro par-tecipazioni.
Tenendo a mente tali coordinate, è giocoforza concludere nel senso della piena applicabilità delle semplificazioni previste dall’art. 2505-bis c.c. anche all’ipotesi della fusione inversa, essendo irrilevante, al suddet-to fine, che i soci estranei alla riorganizzazione del gruppo, detentori di non più del 10% complessivo del capitale sociale della controllata, par-tecipino alla società incorporante ovvero a quella incorporata.
Nel medesimo senso pare porsi quella dottrina notarile secondo cui “sul piano sostanziale, tenuto conto che il trattamento dei soci della controllante incorporata non può che essere proporzionalmente identico (sicché non si pone un problema di tutela della eventuale minoranza in seno alla controllante incorporata), l’interesse principale al controllo del rapporto di cambio fa sempre capo ad una minoranza, non superiore al 10%, nella società posseduta: il fatto che questa partecipi alla fusione in veste di incorporante anziché di incorporata non dovrebbe modificare il principio della sacrificabilità dell’interesse in discorso alle condizioni previste dall’art. 2505-bis c.c.” (cfr. G.A. Rescio, La fusione e la scissione, in Trattato della società a responsabilità limitata, diretto da Carlo Ibba-G. Marasà, VII, Milano, 2014, p. 227).
D’altronde, se, in ossequio alle intenzioni del legislatore comunita-rio, le semplificazioni in questa sede discusse risultano opportune alla luce del ridotto impatto economico che hanno sui soci e i creditori le fu-sioni in cui la partecipazione dell’impresa madre nell’impresa controlla-ta è pari o superiore al 90%, non si vede come tale circostanza oggettiva possa mutare nel caso in cui sia la controllante ad essere incorporata nella controllata, atteso che, all’esito della fusione, il risultato finale, sul piano economico-patrimoniale, sarà sempre lo stesso: una sola società, che cumula i patrimoni della società madre e della società partecipata, alla quale, salvo il diritto di exit di cui all’art. 2505-bis c.c., parteciperan-no tutti i soci delle società coinvolte nell’operazione.