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Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie - Orientamenti Societari, Commesione Società
L.E. Particolari fattispecie di fusione o scissione > Particolari fattispecie di fusione o scissione
L.E.1 - (SCISSIONE O FUSIONE NEGATIVA - 1° pubbl. 9/08)
È ammissibile la scissione, anche non proporzionale, mediante assegnazione ad una o più beneficiarie di un insieme di elementi patrimoniali attivi il cui valore contabile sia inferiore a quello dell’insieme degli elementi passivi (cosiddetta “scissione negativa”), sempreché il valore economico/reale di quanto complessi-vamente assegnato sia positivo.
In tal caso si ritiene che la beneficiaria della “scissione negativa” debba essere preesistente e l’operazione debba alternativamente attuarsi:
a) mediante riduzione delle riserve della beneficiaria (ovvero, in carenza di riser-ve capienti, del capitale) in misura tale da assorbire il netto contabile trasferito;
b) mediante rilevazione della minusvalenza.
Il principio esposto deve ritenersi applicabile, per l’identica ratio, anche all’ipotesi della fusione, laddove l’incorporata abbia un patrimonio contabile negativo ma reale positivo.
Al contrario, non si ritiene ammissibile una scissione o fusione “negativa” nell’ipotesi in cui anche il valore reale del patrimonio assegnato (comprensivo dell’eventuale avviamento) sia negativo, poiché in tal caso non potrebbe sussi-stere alcun rapporto di cambio.
È inoltre da rilevare che una scissione o una fusione “realmente negativa”, anche laddove non sia necessario determinare un rapporto di cambio, risulterebbe pri-va di utilità per la società beneficiaria/incorporante e produrrebbe comunque un’alterazione del valore economico delle partecipazioni preesistenti, in ciò con-trastando con la causa stessa di tali operazioni.

L.E.2 - (SCISSIONE NON PROPORZIONALE E SCISSIONE ASIMMETRICA - 1° pubbl. 9/08)
Nella scissione tipica le azioni o quote delle società risultanti da tale operazione (scissa e beneficiarie) sono attribuite ai soci in misura proporzionale alla loro partecipazione originaria.
Costituiscono eccezioni a tale principio la scissione non proporzionale e la scis-sione asimmetrica.
La prima è disciplinata dal secondo periodo del comma 4 dell’art. 2506 bis c.c., e si concretizza ogni qualvolta il progetto di scissione preveda una assegnazione ai soci in misura non proporzionale, senza che tale disparità di trattamento sia in-teramente compensata con conguagli in denaro.
Perché ricorra tale fattispecie è tuttavia indispensabile che nessun socio sia escluso dalla assegnazione, anche se minima, di partecipazioni in tutte le società risultanti dalla scissione, compresa la scissa.
La scissione asimmetrica è invece disciplinata dal secondo periodo del comma 2 dell’art. 2506 c.c., il quale prevede che con il consenso unanime dei soci sia pos-sibile non assegnare ad alcuni di essi partecipazioni in una delle società benefi-ciarie, ma partecipazioni della scissa.
Tale disposizione, stabilendo un principio generale circa la possibilità per i soci di disporre all’unanimità del loro diritto di partecipare a tutte le società risultan-ti da una scissione, può essere interpretata estensivamente.
Può quindi ritenersi legittimo che, con il consenso unanime dei soci, ad alcuni di essi non siano assegnate partecipazioni di una o più società risultati da una scis-sione (siano esse la scissa o le beneficiarie), compensando tale mancata assegna-zione con maggiori partecipazioni in qualsiasi altra o altre società risultanti.
Ciò che deve ritenersi in ogni caso non consentito, seguendo il solo schema della scissione non proporzionale o della scissione asimmetrica, è la assegnazione di partecipazioni secondo un rapporto di cambio non congruo, provocando quindi un arricchimento o impoverimento di alcuni soci.
Tale eventualità è ovviamente lecita, ma deve essere posta in essere secondo uno schema negoziale tipico che enunci la causa del trasferimento di ricchezza: donazione, vendita, datio in solutum, ecc.

L.E.3 - (LEGITTIMITÀ DI UNA FUSIONE INVERSA IN CUI SI ATTUINO ASSEGNAZIONI PATRIMONIALI ANALOGHE A QUELLE DI UNA SCISSIONE - 1° pubbl. 9/08)
Si ritiene legittimo adottare una fusione inversa anche nel caso in cui la società incorporata sia a sua volta detenuta da una o più società, nonostante in questa ipotesi le assegnazioni patrimoniali che si verificano al termine dell’operazione siano analoghe a quelle di una scissione totale.
Così ad esempio se la società “A” detiene l’intero capitale della società “B”, che a sua volta detiene l’intero capitale della società “C”, le assegnazioni patrimoniali che si verificano al termine di un’operazione di fusione inversa in cui “B” venga incorporata in “C” (con conseguente assegnazione delle partecipazioni in quest’ultima detenute ai soci di “B”, e quindi alla società “A”), sono gli stessi che conseguono ad una scissione totale di “B” attuata mediante trasferimento della parte del suo patrimonio costituito dalla partecipazione in “C” ad “A” e della re-sidua parte a “C”.
In tali casi si ritiene legittimo ricorrere liberamente all’uno o all’altro schema ne-goziale, anche se quello della fusione inversa non è espressamente disciplinato da norme positive.
Peraltro gli effetti giuridici di una fusione inversa non sono esattamente coinci-denti con quelli di una scissione, quantomeno sul piano delle responsabilità che ne conseguono.

L.E.4 - (LEGITTIMITÀ DI SCISSIONE TOTALE O PARZIALE A FAVORE DELLA O DELLE SOCIETÀ PARTECIPANTI LA SCISSA - 1° pubbl. 9/08)
Si ritiene sempre legittimo adottare una scissione totale o parziale a favore della o delle società che possiedono la scissa, anche se all’esito di tali operazioni non è possibile procedere ad alcuna assegnazione di azioni o quote, e di fatto il pro-cedimento comporta la restituzione dei conferimenti ai soci.
L’impossibilità di assegnare azioni o quote all’esito dell’incorporazione di una società posseduta è infatti espressamente prevista dall’art. 2504 ter c.c., mentre la facoltà di incorporare una società posseduta è ammessa dagli artt. 2505 e 2505 bis c.c. (c.d. fusione impropria).
Tali norme, dettate in materia di fusione, sono espressamente richiamate per la scissione dall’art. 2506 ter, comma 5, c.c., come modificato dall’art. 24 del D.Lgs. 310/04.
Per quanto riguarda la restituzione dei conferimenti ai soci è da osservare che tale divieto opera esclusivamente nel caso in cui la società che restituisca i con-ferimenti continui ad operare esponendo un capitale fittizio, circostanza questa che non si verifica nel caso di specie.
L’art. 2506, comma 3, c.c. assimila infatti la scissione totale ad uno scioglimento senza liquidazione.
I creditori sociali, in dette ipotesi di “restituzione dei conferimenti”, sono tutelati con il diritto all’opposizione.
È infine da rilevare che anche la VI Direttiva Comunitaria (82/891/CEE), all’art. 20, ammette espressamente la scissione nell’ipotesi in cui le società beneficiarie siano titolari di tutte le azioni della società scissa.

L.E.5 - (DECORRENZA DEL TERMINE DI CUI ALL’ART. 2505, COMMA 3, C.C. - 1° pubbl. 9/09)
Si ritiene che il termine di otto giorni concesso ai soci dall’art. 2505, comma 3, c.c. per avocare a sé la decisone di fusione, nell’ipotesi ivi prevista, non decorra dal deposito del progetto nel registro imprese, come letteralmente proposto dal-la norma, bensì dalla sua successiva iscrizione.
Appare infatti contrario ai principi dell’ordinamento che un termine decorra da un evento non conoscibile.
Quanto sopra si ritiene valido anche nell’ipotesi in cui le disposizioni dell’art. 2505, comma 3, c.c. trovino applicazione per effetto del richiamo ad esse opera-to dall’art. 2505 bis, comma 3, c.c.

L.E.6 - (RINUNCIA ALLA FACOLTÀ DI AVOCAZIONE DI CUI ALL’ART. 2505, COMMA 3, C.C. - 1° pubbl. 9/09)
Si ritiene legittimo, in conformità ai principi generali dell’ordinamento in ordine alla disponibilità dei diritti, che i soci delle società coinvolte rinuncino con la maggioranza di più del 95% del capitale sociale al diritto di avocare a sé la deci-sone di fusione per incorporazione di società interamente posseduta ai sensi dell’art. 2505, comma 4, c.c.
Quanto sopra si ritiene valido anche nell’ipotesi in cui le disposizioni dell’art. 2505, comma 3, c.c. si applichino per effetto del richiamo ad esse operato dall’art. 2505 bis, comma 3, c.c.

L.E.7 - (RINUNCIA AL TERMINE PREVISTO DALL’ART. 2501 TER, COMMA 4, C.C. NEL CASO DI DECISIONE DI FUSIONE RIMESSA ALL’ORGANO AMMINISTRATIVO - 1° pubbl. 9/09)
Il termine di trenta giorni previsto dall’ultimo comma dell’art. 2501 ter c.c. non è posto nell’interesse dei soci in quanto tali, bensì nell’interesse dei soggetti cui è demandata in concreto l’approvazione della decisione di fusione.
A ciò consegue che, nell’ipotesi di incorporazione di società interamente posse-duta, o posseduta almeno al 90%, la cui decisione sia rimessa statutariamente agli organi amministrativi delle società coinvolte (artt. 2505 e 2505 bis, c.c.), è possibile rinunciare validamente a tale termine:
a) fino a quando i soci conservino, anche solo potenzialmente, il diritto di adot-tare la decisione (vedi orientamenti L.E.5 e L.E.6), con il consenso di tutti soci e di tutti gli amministratori;
b) successivamente a tale momento, con il consenso unanime dei soli ammini-stratori.

L.E.8 - (FUSIONE, SCISSIONE E RIDUZIONE VOLONTARIA DI CAPITALE SOCIALE - 1° pubbl. 9/10)
La fusione e la scissione sono negozi tipici la cui definizione è contenuta rispetti-vamente negli artt. 2501 e 2506 c.c.
All’esito di dette operazioni tipiche è possibile che la somma dei capitali sociali delle società risultanti sia inferiore a quella delle società originarie (vedi orien-tamento L.A.31), senza che ciò integri una fattispecie autonoma di riduzione rea-le del capitale ai sensi degli artt. 2445 e 2482 c.c.
Ciò accade:
a) nella fusione propria sempre, qualunque sia l’entità del capitale sociale della società di nuova costituzione;
b) nella fusione per incorporazione solo quando il capitale della società incorpo-rante non sia inferiore alla misura preesistente, ancorché non aumentato del capitale dell’incorporata;
c) nella scissione propria, nel limite in cui il capitale sociale della scissa non si ri-duca di un importo eccedente il patrimonio contabile trasferito alla beneficiaria, e qualunque sia il capitale sociale della beneficiaria;
d) nella scissione a favore di beneficiaria preesistente, nel limite in cui il capitale sociale della scissa non si riduca di un importo eccedente il patrimonio contabile trasferito alla beneficiaria, ed il capitale sociale della beneficiaria non sia inferio-re alla misura preesistente, ancorché non aumentato di un importo pari alla ri-duzione di capitale operata dalla scissa.
In dette ipotesi non è dunque necessario rispettare i maggiori termini di opposi-zione e le ulteriori cautele imposte dagli artt. 2445 e 2482 c.c. per la fattispecie della riduzione reale del capitale, in quanto la tutela dei creditori non può che essere quella tipica del procedimento di fusione o scissione posto in essere (60 o 30 giorni, a seconda dei casi, salve le leggi speciali).
In tutti gli altri casi la riduzione reale del capitale sociale delle società preesi-stenti potrà essere attuata (e quindi stipulato il relativo atto) solo dopo che sia-no decorsi i termini di 90 giorni di cui agli artt. 2445 e 2482 c.c., e nel rispetto de-gli altri limiti imposti da detti articoli.

L.E.9 - (LEGITTIMITÀ DELL’EMERSIONE DI UN AVANZO O DI UN DISAVANZO DI FUSIONE O SCISSIONE - 1° pubbl. 9/10)
La previsione contenuta nell’art. 2504 bis, comma 4, c.c., (richiamata per la scis-sione dall’art. 2506 quater, comma 1, ultimo periodo, c.c.), nella parte in cui di-sciplina l’appostamento di eventuali disavanzi o avanzi di fusione o scissione, è volta esclusivamente a dettare un principio contabile e non anche a consentire che una di tali operazioni possa essere posta in essere con modalità che con-templino una rivalutazione o svalutazione di poste di bilancio, ovvero la creazio-ne di nuove poste (avviamento), in deroga alle regole sostanziali del diritto so-cietario.
Si ritiene pertanto che gli annullamenti di partecipazioni e le variazioni del capi-tale (a servizio o meno del concambio) non possano essere realizzati nell’ambito di una fusione o scissione se non nei limiti imposti dallo specifico procedimento nei quali sono inclusi e nell’integrale rispetto di tutte le norme positive che or-dinariamente li disciplinano.

L.E.10 - (INDIVIDUAZIONE DEI SOCI CHE DEVONO PRESTARE IL PROPRIO CON-SENSO AD UNA SCISSIONE ASIMMETRICA – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).
Nella scissione asimmetrica il “consenso unanime” richiesto dall’art. 2506, com-ma 2, c.c., deve intendersi come il consenso dei soli soci cui non siano assegnate partecipazioni in una o più società partecipanti alla scissione, siano esse la scissa o le beneficiarie.
Tale disposizione, infatti, non appare volta a derogare all’eventuale regola mag-gioritaria vigente nella società scissa per le decisioni dei soci, bensì a tutelare il diritto individuale di ciascun di essi a non essere estromesso dalle iniziative im-prenditoriali cui partecipa.
A quanto sopra consegue che:
a) il consenso dei soci alla scissione asimmetrica può essere prestato sia al mo-mento dell’approvazione del relativo progetto sia antecedentemente che succes-sivamente a tale momento, purché prima della stipula dell’atto di scissione;
b) non è necessario che una scissione solo parzialmente asimmetrica sia appro-vata anche con il consenso di quei soci cui verranno assegnate partecipazioni in tutte le società risultanti dall’operazione.

Motivazione
Ad una prima lettura dell’art. 2506, comma 2, c.c., lo stesso sembra richiedere per l’ammissibilità della scissione asimmetrica (intendendosi per tale quella in cui ad alcuni soci non siano assegnate partecipazioni di una o più società partecipanti alla scissione) il consenso di tutti i soci delle società partecipanti alla scissione; sembra altresì che tale consenso unanime costituisca un quorum deliberativo.
Andando ad approfondire la ratio di tale disposizione si perviene pe-raltro a diverse conclusioni.
L’interesse tutelato dalla norma infatti non è altro che il diritto di ciascun socio della scissa a divenire socio di tutte le società partecipanti alla fusione (scissa e beneficiaria/e), nel caso di scissione parziale, e il diritto di ciascun socio della società partecipanti alla scissione a divenire socio di tutte le società partecipanti alla scissione, nel caso di scissione totale.
Conseguentemente non sarà necessario il consenso dei soci della scissa che non vengono estromessi da alcuna delle società risultanti dall’operazione, né dei soci della/e beneficiaria/e preesistenti.
Costoro non si trovano nella condizione di subire un potenziale pre-giudizio dalla circostanza che la scissione sia asimmetrica; per tali soci la scissione non si presenta diversamente da una ordinaria scissione proporzionale o non proporzionale, con conseguente applicazione della relativa disciplina.
La prescrizione di detto consenso unanime non costituisce quindi una deroga al principio maggioritario poiché essa non pone un quorum assembleare unanimistico per l’adozione della delibera di scissione asimmetrica in quanto tale; la ratio come sopra individuata, porta infatti a considerare tale consenso come “consenso individuale” che deve esse-re espresso dai soli soci uti singuli che per effetto della operazione di scissione vengono estromessi da una della società derivanti dalla fusio-ne.
La norma integra, dunque, la previsione di un consenso esterno alla decisione assembleare, la cui mancanza determina l’inefficacia della de-cisione, analogamente al consenso previsto dall’art. 2500 sexies c.c., in tema di trasformazione regressiva, nonché al consenso previsto per le modifiche degli obblighi di eseguire prestazioni accessorie (art. 2345 c.c.) e dei particolari diritti (art. 2468 c.c.).

L.E.11 - (NON NECESSITÀ DI CONSENSO UNANIME NEL CASO DI SCISSIONE ASIMMETRICA CON FACOLTÀ DI OPZIONE PROPORZIONALE – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15)
Nel caso di scissione asimmetrica il cui progetto preveda la facoltà per ciascun socio di optare per la partecipazione in tutte le società interessate all’operazione di scissione in proporzione alla sua quota di partecipazione origi-naria, non appare necessaria l’esistenza di un consenso unanime all’operazione.
Salvo che il progetto di scissione non disponga diversamente, le minori parteci-pazioni assegnate a determinati soci per effetto dell’eventuale esercizio dell’opzione proporzionale da parte di altri soci, sono compensate con l’assegnazione proporzionale ai primi della porzione di partecipazioni rifiutata dai secondi, mantenendo in tal modo inalterato il rapporto di cambio.

Motivazione
La scissione asimmetrica, viene definita nel comma 2 dell’art. 2506, c.c., come la scissione in cui ad alcuni soci non vengano distribuite azioni o quote di una delle società beneficiarie della scissione, ma azioni o quote della società scissa. Tale disposizione, come indicato nella mas-sima L.E.2, va interpretata estensivamente nel senso di comprendere tutte le ipotesi di scissione in cui ad alcuni soci non siano assegnate par-tecipazioni di una o più società partecipanti alla scissione (siano esse la scissa o le beneficiarie), compensando tale mancata assegnazione con maggiori partecipazioni in qualsiasi altra o altre società risultanti dalla scissione.
La ratio del requisito del consenso unanime, considerato incongruo nel sistema in quanto la scissione asimmetrica costituisce una particola-re forma di attuazione della scissione non proporzionale e non una tipo-logia a se stante di scissione, né giustificato da una maggior pericolosi-tà, deriva dalla necessità di eliminare il rischio che ai soci della scissa non vengano assegnate partecipazioni in tutte le società partecipanti al-la scissione, ma soltanto della medesima scissa o di una o alcuna delle beneficiarie.
Come indicato nella massima L.E.10, tale consenso unanime deve essere inteso come “consenso individuale” che deve essere espresso dai soli soci uti singuli della scissa che per effetto della operazione di scis-sione vengono estromessi da una della società derivanti dalla fusione. Non può, infatti, in alcun modo dubitarsi che gli interessi sottesi a tale norma siano esclusivamente riferibili ai soci uti singuli, i quali sono per-tanto liberi di disporne come meglio credono.
Conseguentemente, l'attribuzione a detti soci (soci della scissa cui non siano assegnate partecipazioni di una o più società partecipanti alla scissione) della facoltà di optare per la assegnazione proporzionale di azioni o partecipazioni tanto della scissa che della o delle beneficiarie (specie se la regola di default sia quest'ultima) elimina per definizione ta-le rischio, facendo venir meno la necessità del consenso unanime.
Né pare che a tale soluzione si possa obiettare che, anche in caso di opzione, il socio potrebbe vedere alterata la propria posizione ammini-strativa, in dipendenza della scelta degli altri soci. Il sistema in effetti, di regola, non tutela in assoluto le posizioni amministrative reciproche che possono variare fisiologicamente per comportamenti degli altri soci (si pensi alla cessione di partecipazioni, all'esercizio o meno del diritto di opzione, di prelazione o di recesso, da parte di altri soci).
Anche ante Riforma i soci di minoranza potevano evitare la “depor-tazione coatta” in una anziché nell'altra beneficiaria ad arbitrio della maggioranza, ma l'effetto dell'esercizio del diritto di opzione per la pro-porzionalità non si traduceva nell'improcedibilità dell'operazione di riorganizzazione patrimoniale della società, ma semplicemente in una diversa modalità di attuazione della stessa sotto il profilo soggettivo. Il divieto per la maggioranza di imporre alla minoranza una distribuzione non proporzionale non implicava il diritto della minoranza di imporre alla maggioranza una distribuzione proporzionale. In altri termini, il singolo socio aveva il diritto di ottenere una partecipazione sociale pro-porzionale in tutte le società beneficiarie, ma non anche il diritto di pre-tendere la simmetrica riproposizione della compagine sociale in ognuna delle società partecipanti alla fusione a scapito della volontà altrui.
L'opzione per il sistema proporzionale consente il mantenimento del-la posizione patrimoniale qualitativa, eliminando il rischio di una estromissione rispetto a questa o quella componente dell'impresa socia-le cui si era partecipi.
Con riferimento alle modalità attuative dell’esercizio dell’opzione proporzionale si può ritenere che il singolo socio sia sufficientemente tutelato mediante la previsione nel progetto di scissione di un congruo termine (ad esempio un termine equivalente a quello concesso dalla leg-ge ai creditori per opporsi) e di adeguate modalità per manifestare la propria opzione individuale (per esempio: raccomandata con ricevuta di ritorno o PEC inviata presso la sede legale ed indirizzata al legale rap-presentante), per la quale pare opportuno che sia individualmente solle-citato.
I soci presenti in assemblea potranno votare la scissione asimmetrica ovvero optare espressamente per la partecipazione proporzionale al ca-pitale di tutte le società risultanti dall’operazione con dichiarazione resa nella stessa assemblea chiamata ad approvare il progetto di scissione, ovvero, ancora, riservarsi di farlo con dichiarazione da inviare successi-vamente, entro il termine previsto nel progetto di scissione.
I soci non intervenuti in assemblea potranno del pari optare per la scissione asimmetrica ovvero per la partecipazione proporzionale al ca-pitale di tutte le società risultanti dall’operazione con le modalità ed en-tro il termine previsto dal progetto di scissione contenente espressa in-dicazione della facoltà di esercitare l'opzione proporzionale.
Quid iuris dei soci non intervenuti in assemblea e che non si siano espressi relativamente all’opzione proporzionale? Appare prudenziale, allo stato, come ritenuto anche da attenta dottrina (Maltoni, La discipli-na della scissione “asimmetrica”: l’ambito di applicazione e l’interferenza del con-senso individuale sul procedimento deliberativo, in Studio di Impresa n. 69-2009/1) che a tali soci venga applicato il criterio proporzionale, conse-guentemente gli stessi riceveranno, a fronte dell'annullamento di una parte della partecipazione della società scissa posseduta, una partecipa-zione delle beneficiarie proporzionale alla partecipazione detenuta nella società scissa.
Si pone infine il problema di stabilire quali siano le conseguenze dell’esercizio dell’opzione proporzionale da parte di taluni soci sulla compagine sociale.
Nessun problema si pone qualora il progetto di scissione determini la regolamentazione di tale eventualità; in via meramente esemplificativa il progetto potrebbe prevedere (I) che l’intera operazione venga a deca-dere, ovvero (II) che in tal caso la scissione diventi proporzionale per tutti i soci della scissa, ovvero infine (III) che le minori partecipazioni assegnate a determinati soci per effetto dell’esercizio dell’opzione pro-porzionale da parte di altri soci, siano compensate con l’assegnazione ai primi della porzione di partecipazione rifiutata dai secondi necessaria a mantenere inalterato il rapporto di cambio.
Nel caso in cui il progetto di scissione nulla preveda al riguardo tale ultima ipotesi è anche quella preferibile, in quanto l’unica conforme alla volontà espressa nel progetto di scissione; infatti i soci della scissa non optanti esprimono indubbiamente il loro consenso alla diversa riparti-zione tra loro delle partecipazioni nei termini sopra indicati.

L.E.12 - (FUSIONE DI ASSOCIAZIONE IN FONDAZIONE - 1° pubbl. 9/16 – motivato 9/17)
Si ritiene legittima la fusione di un’associazione riconosciuta in una fondazione e viceversa, stante il principio dell’economia dei mezzi giuridici in quanto la mede-sima operazione potrebbe diversamente essere attuata attraverso la previa tra-sformazione della associazione in fondazione (vedi orientamento K.A.40) e la successiva fusione della trasformata fondazione con altra fondazione.
In assenza di una disciplina specifica, a tale fattispecie si applicano in via analo-gica le disposizioni legislative che disciplinano le fusioni eterogenee. In ogni caso l’operazione è sottoposta al vaglio dell’autorità amministrativa competente.

Motivazione
Si rinvia in gran parte alla motivazione dell’orientamento K.A. 40 che precede.
Sulla legittimazione di fusione diretta fra enti del libro primo vanno ulteriormente effettuate le seguenti considerazioni:
“Va ricordato che a seguito della riforma l’omogeneità causale non costituisce più una condizione essenziale per la realizzazione di opera-zioni di fusione/trasformazione essendo espressamente ammesse dagli articoli 2500 septies e octies c.c.
Ed inoltre nel sistema della riforma sono espressamente applicati al-la fusione anche i principi fondamentali della trasformazione, ogni qual volta la fusione stessa determini anche una modificazione del tipo socia-le.
In particolare, l’applicazione dell’istituto della fusione anche al di fuori del diritto societario sembra data per scontata anche dal legislatore tributario che all’articolo 174 del TUIR prevede che le norme fiscali in materia di fusione valgono in quanto applicabili anche nelle ipotesi di fusione di enti diversi dalle società.
Anche la disciplina dell’impresa sociale di cui al D.lgs. 24 marzo 2006 numero 155 sembra presupporre l’ammissibilità della fusione ete-rogenea.
Da ultimo la legge 6 giugno 2016 n. 106 (“Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del ser-vizio civile universale”) all’art. 3, comma 1, lett. e) attribuisce al gover-no la delega per disciplinare il “procedimento per ottenere la trasforma-zione diretta e la fusione tra associazioni e fondazioni, nel rispetto del principio generale della trasformabilità tra enti collettivi diversi intro-dotto dalla riforma del diritto societario di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6.”
È dunque lo stesso legislatore che ha riconosciuto in maniera precisa l’esistenza di un principio generale diretto a consentire anche la fusione fra enti collettivi diversi.
Va detto infatti che lo schema del Decreto Legislativo adottato dal Governo in forza della richiamata legge delega ed all’esame delle Commissioni Parlamentari, contiene espressamente nell’art. 97 la pos-sibilità per gli enti del libro primo di “operare reciproche trasformazio-ni, fusioni o scissioni”.
Non deve essere tuttavia sottovalutato l’aspetto pubblicitario in quanto, ritenendosi applicabili in via analogica le disposizioni previste dal codice civile nelle fusioni delle società lucrative, v’è da chiedersi quale possa essere lo strumento di conoscibilità nei confronti dei terzi per le operazioni che vengano ad interessare la fusione degli enti del li-bro primo, ove gli stessi non siano iscritti nel registro delle imprese.
Parte della dottrina ritiene perseguibile una pubblicità analoga attra-verso la corrispondente iscrizione degli atti e documenti nel registro del-le persone giuridiche.
La possibilità di surrogare la pubblicità nel registro nel registro delle imprese con quello delle persone giuridiche appare in linea con la con-siderazione che quest’ultimo registro costituisce comunque una equipol-lente fonte di pubblicità rispetto a quello degli enti societari.
Ne deriva pertanto che la fusione eterogenea potrà ritenersi ammis-sibile nei limiti in cui è consentito il mutamento del tipo organizzativo dalle norme in tema di trasformazione e pertanto occorrerà osservarsi congiuntamente le regole sulla fusione e quelle della trasformazione ete-rogenea.

L.E.13 – (DEFINIZIONE DI SCISSIONE “ASIMMETRICA” AL FINE DELL’INDIVIDUAZIONE DELLE FATTISPECIE CHE RICHIEDONO IL CONSENSO UNA-NIME – 1° pubbl. 9/21 – motivato 9/21)
Per scissione “asimmetrica” deve intendersi ogni operazione nella quale sia pre-visto che ad uno o più soci della scissa non siano attribuite partecipazioni di una qualunque entità in ciascuna delle società risultanti dall’operazione, prescin-dendo dalla circostanza che si tratti di scissione parziale o totale (vedi Orienta-mento L.E.2).
In sostanza si ritiene qualificabile “asimmetrica” la scissione che produce una se-parazione anche parziale della compagine sociale originaria, scomponendola in due o più sub-compagini.
Verificandosi tale ipotesi i soci della scissa che non parteciperanno ad una o più società risultanti dall’operazione, siano esse la scissa (nell’ipotesi che sopravvi-va) o una o più beneficiarie, devono necessariamente prestare il proprio consen-so all’operazione in applicazione analogica del principio enunciato dall’art. 2506, comma 2, secondo periodo, c.c. (vedi Orientamento L.E.10).

Motivazione
La scissione “non proporzionale” e la “scissione asimmetrica” sono soggette ad una diversa disciplina legale: la prima è decisa a maggio-ranza ma deve essere consentito ai soci che non l’approvino di far ac-quistare le proprie partecipazioni da coloro a cui carico è posto tale ob-bligo nel progetto di scissione (art. 2506-bis, comma 4, secondo periodo, c.c.); la seconda è invece decisa con il “consenso unanime” (art. 2506, comma 2, secondo periodo, c.c.).
È dunque importante definire le relative fattispecie al fine di applica-re a ciascuna di esse la disciplina che gli è propria.
Dal punto di vista del tenore letterale delle norme si definisce “scis-sione non proporzionale” ogni scissione che adotti un criterio di distri-buzione delle partecipazioni delle società risultanti diverso da quello proporzionale, in assenza di conguagli in denaro. Mentre si definisce “asimmetrica” la sola scissione parziale che preveda che ad alcuni soci non vengano distribuite partecipazioni di una delle società beneficiarie ma maggiori partecipazioni della scissa.
La definizione di scissione asimmetrica fornita dal legislatore rientra dunque in quella di scissione non proporzionale, ponendosi rispetto a quest’ultima in un rapporto di specie a genere integrando un’ipotesi par-ticolare ed estrema di attribuzione non proporzionale delle partecipa-zioni delle società risultanti. Da tale circostanza si potrebbe essere in-dotti a ritenere che la disposizione contenuta nell’art. 2506, comma 2, secondo periodo, c.c. sia di stretta interpretazione, per cui sia richiesto il consenso unanime nella sola ipotesi testualmente ivi prevista, ossia quella della non attribuzione ad alcuni soci di partecipazioni in una del-le società beneficiarie ma maggiori partecipazioni della scissa, mentre tale consenso non sarebbe richiesto nelle numerose altre possibili ipotesi in cui non sia comunque garantito ad ogni socio della scissa di parteci-pare in una qualche proporzione a tutte le società risultanti.
Ipotesi che ad esempio ricorrono nel caso: i) della scissione totale, nella quale non è possibile attribuire maggiori partecipazioni nella scissa a fronte della mancata attribuzione di partecipazioni in alcuna delle be-neficiarie, non sopravvivendo la prima società all’operazione; ii) della scissione con riduzione di capitale della scissa ad annullamento delle partecipazioni dei soci che fuoriescono da questa, a fronte del quale non si attua alcuna assegnazione di nuove partecipazioni; iii) della scissione con attribuzione ai soci della scissa di partecipazioni di altre beneficiarie in luogo di quelle della scissa a perequazione di quanto dagli stessi non ricevuto in una di queste.
Una tale interpretazione rigorosa non sembra però sostenibile in quanto escluderebbe dall’applicazione della regola dell’unanimità dei consensi ipotesi in grado di produrre effetti del tutto identici a quelli prodotti da quella codificata nell’art. 2506, comma 2, secondo periodo, c.c.: separazione delle compagini sociali.
È inoltre da rilevare che se si ammettesse che la scissione totale con suddivisione della compagine sociale originaria in più beneficiarie si possa deliberare a maggioranza in tutte le ipotesi diverse da quella te-stualmente prevista dall’art. 2506, comma 2, secondo periodo, c.c., con conseguente diritto dei soci dissenzienti di far acquistare le loro parteci-pazioni dagli altri soci ex art. 2506-bis, comma 4, secondo periodo, c.c., tale operazione non sarebbe in concreto realizzabile tutte le volte che un socio dissenziente richieda di alienare le sue partecipazioni, poiché in tal caso il risultato finale sarebbe diverso da quello contenuto nel pro-getto approvato, ossia non si realizzerebbe la prevista suddivisione della compagine sociale originaria.
Si pensi alla società Alfa con capitale 90.000 euro partecipata dai so-ci “A”, “B” e “C” in ragione di una quota di 30.000 euro ciascuno. Ap-provando a maggioranza la scissione totale di detta società a favore di due beneficiarie di nuova costituzione: Beta, con capitale di 60.000 euro attribuito in maniera paritetica ai soli soci “A” e “B”, e Gamma, con capitale di 30.000 euro attribuito al solo socio “C”, nel caso in cui il so-cio “C” sia dissenziente e richieda di alienare le sue partecipazioni agli altri soci (o a quello di essi che si sia obbligato in tal senso nel progetto) il risultato finale non sarà la progettata separazione delle compagini so-ciali ma un’operazione del tutto diversa nella quale i soci “A” e “B” sa-ranno soci di entrambe le società risultanti.
È per tale motivo che la regola dell’unanimità dei consensi si deve ri-tenere applicabile a tutte le scissioni con separazione della compagine sociale, unanimità dei consensi, tuttavia, che essendo richiesta proprio al fine di evitare che vi siano soci che possano richiedere la liquidazione delle proprie partecipazioni, deve ritenersi riferibile solo ai soci cui non sia garantita la partecipazione proporzionale in tutte le società coinvolte (vedi Orientamento L.E.10).
A sostegno della tesi contraria, ossia di quella che ritiene che la rego-la dell’unanimità dei consensi sia applicabile unicamente alla ipotesi della scissione parziale, è stato sostenuto che la disposizione contenuta nell’art. 2506, comma 2, secondo periodo, c.c., sia volta esclusivamente ad evitare il rischio di una distribuzione squilibrata di attivi e passivi la-tenti sussistenti nella scissa nel caso in cui i medesimi non vengano pre-si in considerazione nella determinazione del rapporto di cambio perché non trasferiti ad alcuna delle beneficiarie, rischio che non sussiste nel caso di scissione totale.
Tale opinione non appare convincente in quanto il principio della conservazione del valore delle quote di partecipazione dei soci vige in tutte le forme di scissione e non solo in quella totale, per cui nella de-terminazione del congruo rapporto di cambio si deve sempre tener con-to dei plusvalori latenti o inespressi, anche nel caso in cui i medesimi rimangano attribuiti alla scissa e non siano trasferiti ad alcuna benefi-ciaria.
È inoltre da osservare che la regola dell’unanimità dei consensi non può essere prevista per evitare il rischio di una distribuzione squilibrata di attivi e passivi latenti nella sola ipotesi della scissione parziale asim-metrica, poiché tale rischio è presente nella stessa misura anche nella scissione non proporzionale, nella quale uno o più soci ricevano unica-mente una partecipazione simbolica in detta società, meno che propor-zionale rispetto alla loro quota originaria.
Si deve infine rilevare che ogni scissione parziale asimmetrica può essere convertita in una scissione totale garantendo il medesimo risulta-to finale, essendo sufficiente prevedere che il patrimonio, le regole orga-nizzative e la compagine sociale destinati a rimanere nella scissa con-fluiscano immutati in una società di nuova costituzione.
Nell’orientamento in commento si è quindi ritenuto di affermare che debba considerarsi “scissione asimmetrica”, ai fini dell’applicazione del-la regola dell’unanimità dei consensi dettata dall’art. 2506, comma 2, secondo periodo, c.c., ogni operazione nella quale sia previsto che ad uno o più soci della scissa non siano attribuite partecipazioni di una qualunque entità in ciascuna delle società risultanti dall’operazione, prescindendo dalla circostanza che si tratti di scissione parziale o totale.

L.E.14 – (SCISSIONE INVERSA - 1° pubbl. 9/22 – motivato 10/23)
Si ritengono legittime le operazioni di scissione nelle quali sia previsto che la scissa/partecipante assegni alla beneficiaria/partecipata tutta o parte della sua partecipazione in quest’ultima (c.d. scissione inversa).
Le partecipazioni della beneficiaria detenute dalla scissa possono anche costitui-re l’unico elemento oggetto di assegnazione ed essere rappresentative di una qualunque percentuale del capitale sociale della beneficiaria, compresa quella del 100%.
All’esito di dette operazioni, al pari di quello che accade in ogni altra scissione, dovranno essere assegnate ai soci della scissa le partecipazioni nella beneficiaria che siano in grado di soddisfare il congruo concambio previsto dall’art. 2506, comma 1, c.c. (cfr. orientamento L.E.15).
Se la beneficiaria è una società azionaria potrà mantenere la proprietà delle par-tecipazioni proprie ricevute in assegnazione, ovvero annullarle, ovvero ancora utilizzarle per soddisfare il concambio. Se invece la società beneficiaria non è una società azionaria non potrà mantenere la proprietà delle partecipazioni proprie ricevute in assegnazione ma dovrà o annullarle o utilizzarle per soddi-sfare il concambio.
Le partecipazioni proprie attribuite alla beneficiaria non determinano un incre-mento del suo patrimonio reale, in quanto beni di secondo livello rappresenta-tivi di detto patrimonio, mentre è possibile che ne producano un incremento contabile nell’ipotesi in cui si determini un “disavanzo” (cfr. orientamento L.E.16).
Nel caso in cui la società beneficiaria mantenga la proprietà delle partecipazioni proprie ricevute per effetto della scissione non dovrà essere costituita la riserva negativa di cui all’art. 2357-ter, ultimo comma, c.c.
Sono fatte salve le ordinarie limitazioni all’operazione quali, ad esempio, la ne-cessità di rispettare il procedimento previsto dall’art. 2501-bis c.c. nel caso in cui la scissa abbia contratto debiti per acquisire le partecipazioni di controllo della beneficiaria e assegni a quest’ultima anche detti debiti unitamente alle parteci-pazioni proprie, ovvero quella di dover determinare un rapporto di cambio con-gruo anche in presenza di valori negativi.

Motivazione
L’orientamento in commento è volto a risolvere la questione della ammissibilità di una scissione che preveda nel progetto l’attribuzione al-la beneficiaria di azioni o quote di quest’ultima, da sole o unitamente ad altri elementi dell’attivo o del passivo.
I dubbi sull’ammissibilità di tale operazione sono principalmente do-vuti alla circostanza che per una società le proprie partecipazioni sono prive di valore reale, come di recente confermato dalla novella al codice civile operata con l’art. 6 del d.lgs. n. 139/2015, in attuazione alla diret-tiva 2013/34/UE, con la quale è stato previsto che le proprie partecipa-zioni non possono più essere iscritte nell’Attivo dello stato patrimoniale e, nel caso in cui siano state acquistate a titolo oneroso, occorre effet-tuare una corrispondente diminuzione del patrimonio netto mediante iscrizione nel Passivo del bilancio di apposita riserva negativa pari al co-sto, riserva che dunque non deve essere costituita nel caso di “acquisto” senza costo, quale quello derivante da scissione, che pertanto non de-termina né un incremento né un decremento del patrimonio reale.
Che le partecipazioni proprie siano prive di valore reale per la società emittente è del resto intuitivo. Le azioni o quote di una società non so-no altro che la rappresentazione del suo patrimonio, per cui se la mede-sima è titolare sia del proprio patrimonio sia delle partecipazioni che lo rappresentano la sua reale valorizzazione è data unicamente dal primo.
In sostanza le partecipazioni di una società avrebbero valore per chiunque tranne che per quest’ultima.
L’assegnazione delle proprie partecipazioni ad una società senza modifica del suo patrimonio reale si risolverebbe dunque, quanto meno dal punto di vista patrimoniale, in una “non assegnazione”, per tale motivo sorgere il dubbio che in detta ipotesi non si realizzi la fattispecie legale della scissione prevista dall’art. 2506 c.c., il quale dispone che «con la scissione una società assegna l’intero suo patrimonio a più so-cietà, preesistenti o di nuova costituzione, o parte del suo patrimonio, in tal caso anche ad una sola società, e le relative azioni o quote ai suoi soci».
Una seconda difficoltà nell’ammettere tale operazione è dovuta alla necessità di attribuire in concambio ai soci della scissa le partecipazioni nella beneficiaria previste dall’art. 2506 c.c., partecipazioni che nella scissione inversa di regola coincidono con quelle assegnate alla benefi-ciaria e che dunque non potrebbero essere da questa trattenute “in asse-gnazione” ma dovrebbero essere “deviate” ai soci della scissa.
Tale deviazione si verificherebbe, quantomeno da un punto di vista sostanziale, anche nel caso in cui la beneficiaria sia una società aziona-ria che conservi nel suo patrimonio le azioni assegnate, in quanto quelle nuove emesse a concambio costituirebbero comunque la rappresenta-zione “circolante” delle azioni proprie trattenute.
L’ultima difficoltà nell’ammettere la scissione inversa è riferita alle società non azionarie. Si osserva, infatti, che quest’ultime non potendo acquistare a qualsiasi titolo le proprie partecipazioni non ne possono essere neanche le assegnatarie, pur se per il solo istante necessario a procedere con la loro rilevazione contabile e successivo annullamento o deviazione ai soci della scissa.
Tutte le suddette obiezioni, per quanto fondate su argomentazioni coerenti, non consentono di ritenere non ammissibile una scissione in-versa.
In primo luogo, la fattispecie, in una sua particolare ipotesi, è espres-samente prevista dall’art. 2357 bis, comma 1, n. 3, c.c. il quale detta una disciplina speciale per gli acquisti di azioni proprie derivanti da scissio-ne.
Se dunque il codice, pur riferendosi alla sola ipotesi dell’acquisto di azioni proprie da parte di società azionaria con conservazione nel suo patrimonio delle medesime, ammette che le proprie partecipazioni pos-sano essere oggetto di assegnazione per scissione vuol dire che l’obbiezione che il loro trasferimento, essendo prive di “valore reale” per la beneficiaria, non può integrare l’assegnazione richiesta dalla fatti-specie della scissione è destituito di ogni fondamento.
Se tale obiezione fosse corretta, infatti, non dovrebbe essere consenti-ta nessuna forma di scissione inversa, neppure quella disciplinata dall’art. 2357-bis, comma 1, n. 3, c.c.
Ma vi è di più. La circostanza che l’assegnazione “senza valore” del-le proprie partecipazioni alla beneficiaria non determini un reale incre-mento del suo patrimonio non equivale ad affermare che la stessa non abbia conseguenze giuridicamente rilevanti per quest’ultima società.
In primo luogo, la società beneficiaria, laddove sia una società azio-naria che ritenga di mantenere la proprietà delle proprie partecipazioni assegnate (soddisfacendo il rapporto di cambio con l’emissione di nuove partecipazioni), acquisirà il diritto di ricollocare a titolo oneroso dette partecipazioni incrementando in tal modo in maniera reale il proprio patrimonio.
Qualora, invece, la società beneficiaria non sia una società azionaria o non ritenga di mantenere la proprietà delle proprie partecipazioni, la stessa dovrà comunque rilevare nel proprio bilancio l’eventuale maggior costo di dette partecipazioni rispetto al suo patrimonio netto (in analo-gia con quanto accade nelle operazioni dirette ove emerga un disavanzo da annullamento) ai sensi dell’art. 2504-bis, comma 4, c.c., posto che è opinione unanime che le operazioni di aggregazione inversa devono avere le medesime conseguenze contabili delle aggregazioni dirette (si veda anche il principio contabile OIC 4 e l’orientamento L.E.16).
La rilevazione di tale maggior costo consentirà quindi di aumentare il patrimonio netto contabile della società beneficiaria mediante rialli-neamento dei valori di singoli elementi dell’attivo e, per l’eventuale dif-ferenza, mediante valorizzazione del proprio avviamento, producendo rilevanti conseguenze pratiche (si pensi alla aumentata capacità di as-sorbire le perdite future senza ridurre il capitale o richiedere nuovi inve-stimenti ovvero all’incremento del “merito creditizio”).
È infine da osservare che la scissione inversa, sotto il profilo dell’attribuzione delle proprie partecipazioni alla beneficiaria, equivale ad una fusione inversa, operazione quest’ultima la cui ammissibilità è indubbia, anche nell’ipotesi in cui l’incorporata abbia come unico ele-mento dell’attivo le partecipazioni nell’incorporante, ossia le partecipa-zioni “prive di valore” reale per quest’ultima società.
L’ipotesi di una fusione tra due società nelle quali una abbia come unico elemento dell’attivo le partecipazioni nell’altra è del resto espres-samente disciplinata dall’art. 2501-bis c.c., in quanto è assai frequente nelle operazioni di leverage buy-out che la Newco venga costituita con l’unico scopo di acquistare con indebitamento le partecipazioni della Target che, dunque, ne costituiscono l’unico attivo.
Anche per i soci della scissa l’assegnazione delle partecipazioni della beneficiaria attraverso un’operazione di scissione inversa produce effetti patrimoniali diversi rispetto a quelli di una assegnazione diretta (per di-stribuzione di riserve disponibili).
Nel primo caso, infatti, l’operazione sarà fiscalmente neutra e le par-tecipazioni ricevute in concambio, sommate a quelle mantenute nella scissa, avranno complessivamente il medesimo valore fiscale con con-seguente differimento di eventuali imposte sulle plusvalenze. Nel se-condo caso, invece, l’assegnazione sarà “realizzativa” con conseguente pagamento delle relative imposte e aggiornamento del “costo storico” per i soci assegnatari.
Per quanto riguarda il secondo argomento, ossia la necessità di sod-disfare il concambio (che si ricorda nella scissione parziale avviene in senso improprio, posto che non vengono annullate e sostituite le parte-cipazioni della scissa ma attribuite nuove partecipazioni nella beneficia-ria in aggiunta alle prime) mediante “deviazione” ai soci della scissa delle partecipazioni proprie assegnate alla beneficiaria, con conseguente impossibilità di rendere “effettiva” detta assegnazione alla beneficiaria, si deve osservare che tale deviazione è solo apparente.
Il concambio può infatti essere soddisfatto alternativamente median-te: i) conservazione da parte della beneficiaria delle proprie azioni ed emissione di nuove azioni in esito ad un aumento di capitale, se dotate di valore nominale esplicito, o dell’aumento del loro numero, se prive di valore nominale; ii) annullamento delle partecipazioni proprie da parte della beneficiaria ed emissione di nuove partecipazioni equivalenti a quelle annullate; iii) assegnazione da parte della beneficiaria delle mede-sime partecipazioni ricevute per effetto della scissione inversa.
In tutte le suddette ipotesi non si verifica alcuna “deviazione” in ca-po ai soci della scissa delle partecipazioni destinate alla beneficiaria, os-sia un fenomeno simile ad un’assegnazione diretta da parte della scissa ai suoi soci delle partecipazioni nella beneficiaria, in quanto nello sche-ma legale è quest’ultima società che soddisfa il cambio.
Del resto, se fosse vero il contrario, sarebbero irrealizzabili tutte le scissioni totali nelle quali, estinguendosi la scissa, verrebbe meno il sog-getto destinato a soddisfare il concambio un istante prima che detto concambio possa essere realizzato: l’efficacia della scissione è la causa che giustifica l’attribuzione delle nuove partecipazioni nella beneficiaria, precede tale attribuzione non ne è la conseguenza.
Che la deviazione “diretta” ai soci della scissa delle partecipazioni nella beneficiaria sia un fenomeno non ravvisabile nella scissione inver-sa è confermato anche dalle regole contabili previste dall’art. 2504-bis, comma 4, c.c.: la necessità che la beneficiaria recepisca nel proprio bi-lancio l’eventuale maggior costo delle proprie partecipazioni impone di ritenere che, anche se per un solo istante ideale, detta società ne divenga la titolare, e ciò anche nell’ipotesi in cui non possa conservarne la pro-prietà per essere una società non azionaria.
In relazione alla terza obbiezione, infine, quella relativa alla impossi-bilità di assegnare ad una società non azionaria le proprie partecipazio-ni, in quanto incapace ex lege di acquistarle, si deve osservare che tale operazione è implicitamente ammessa dalla disposizione contenuta nell’art. 2357-bis c.c. nella parte in cui dispone che le società azionarie che acquistino azioni proprie per scissione eccedendo i limiti di legge le devono annullare.
Detta disposizione, infatti, evidenzia come per l’ordinamento sia in-differente che all’esito di una scissione inversa la società beneficiaria mantenga la titolarità delle partecipazioni proprie ricevute o le annulli.
Di più, evidenzia come l’acquisto di partecipazioni proprie per scis-sione in eccedenza rispetto ai limiti di legge, eccedenza che nel caso del-le società non azionarie coincide con qualunque entità, impone l’annullamento delle partecipazioni acquistate e non la nullità del loro acquisto.
Si deve anche rilevare che la scissione inversa a favore di società non azionarie è fenomeno del tutto analogo a quello di una fusione inversa con incorporante società non azionaria, operazione quest’ultima una-nimemente ritenuta legittima e produttrice di effetti giuridici sostan-zialmente identici a quelli di una scissione inversa, ossia l’impossibilità di mantenere nel patrimonio della incorporante le partecipazioni pro-prie ricevute dall’incorporata.
Deve infine considerarsi che il medesimo risultato finale di una scis-sione inversa può esser raggiunto attraverso una doppia operazione si-curamente consentita, ossia la scissione della partecipante a favore di una Newco cui vengano attribuite le sole partecipazioni nella beneficiaria finale e la successiva incorporazione di detta Newco in quest’ultima.
Anche sotto questo profilo, dunque, risulta arduo ritenere inammis-sibile una scissione inversa diretta a fronte della legittimità del medesi-mo risultato finale se realizzato in maniera indiretta.

L.E.15 – (SODDISFAZIONE DEL RAPPORTO DI CAMBIO NELLA FUSIONE E NELLA SCISSIONE INVERSA - 1° pubbl. 9/22 - motivato 10/23)
Nella fusione e nella scissione inversa ai soci della società incorpora-ta/partecipante o scissa/partecipante devono essere attribuite partecipazioni nella incorporante/partecipata o beneficiaria/partecipata in grado di mantenere inalterato il valore complessivo delle loro partecipazioni ante e post operazione.
Nel caso in cui l’incorporante/beneficiaria sia una società azionaria che ritenga di mantenere la proprietà delle azioni proprie ricevute in assegnazione dovran-no essere emesse nuove azioni a soddisfazione del concambio.
Dette nuove azioni:
a) nell’ipotesi in cui la società abbia azioni con valore nominale esplicito, derive-ranno da un aumento “gratuito” di capitale, aumento che pertanto dovrà essere coperto con riserve di patrimonio o, ricorrendone i presupposti, con il riallinea-mento dei valori di elementi dell’attivo conseguente all’emersione di un disa-vanzo da concambio;
b) qualora invece la società abbia azioni prive di valore nominale, l’emissione di nuove azioni potrà avvenire senza procedere ad un aumento di capitale.
Le nuove azioni emesse dovranno essere di entità tale da impedire l’impossibilità di funzionamento dell’assemblea in relazione alla quantità di azioni proprie con voto sospeso che rimarranno di titolarità della società.
Nel caso, invece, in cui l’incorporante/beneficiaria sia una società azionaria che non ritenga di mantenere la proprietà delle azioni proprie assegnate, ovvero sia una società non azionaria alla quale non è consentito mantenere tale proprietà, le partecipazioni da attribuire ai soci dell’incorporata/scissa potranno essere:
a) le medesime partecipazioni ricevute in assegnazione dalla società risultante;
b) nuove partecipazioni derivanti dall’annullamento e riemissione di quelle rice-vute in assegnazione dalla risultante.
In tutte le ipotesi in cui le partecipazioni proprie assegnate alla incorporan-te/beneficiaria costituiscono unicamente una frazione del suo capitale sociale e non l’intero è inoltre possibile soddisfare il concambio mediante ridistribuzione fra tutti i soci della risultante dalle residue partecipazioni in luogo di quelle as-segnate che potranno dunque, alternativamente, essere annullate (qualora il capitale non si riduca sotto il minimo legale) o mantenute in proprietà quali azioni proprie.
Poiché il passaggio delle partecipazioni proprie nel patrimonio della incorporan-te/beneficiaria è elemento costitutivo della fattispecie legale della fusione e del-la scissione, si deve ritenere che tale passaggio avvenga concettualmente, anche se per un solo istante ideale, anche nel caso in cui il progetto preveda che dette partecipazioni siano destinate ai soci della incorporata/scissa a titolo di con-cambio.

Motivazione
Anche nelle fusioni e nelle scissioni inverse, così come accade nelle operazioni dirette (salve le ipotesi semplificate), si deve effettuare il concambio, ossia si devono attribuire ai soci della incorporata/scissa partecipazioni nella società incorporante/beneficiaria che siano in grado di mantenere inalterato il valore complessivo delle loro partecipazioni ante e post operazione e di renderli soci della società che riceve in asse-gnazione, in tutto o in parte, il patrimonio rappresentato dalle loro par-tecipazioni originarie.
Nelle operazioni inverse, tuttavia, risultano meno evidenti le modali-tà con le quali è possibile soddisfare il concambio, in quanto le parteci-pazioni che vengono assegnate all’incorporante/beneficiaria, per effetto dell’unione dei patrimoni delle società coinvolte, coincidono di regola con quelle che devono essere assegnate ai soci dell’incorporata/scissa.
È inoltre possibile, nel caso in cui l’incorporante/beneficiaria sia una società azionaria, che le partecipazioni proprie ricevute in assegnazione vengano da questa mantenute nel suo patrimonio e che per tale motivo non siano disponibili per soddisfare il concambio. Con l’ulteriore com-plicazione che le partecipazioni proprie mantenute in proprietà non de-terminano un incremento, nemmeno contabile, del patrimonio dell’incorporante/beneficiaria (cfr. orientamento L.E.14) e, conseguen-temente, non sono in grado di generare riserve idonee a coprire un au-mento di capitale a servizio del concambio, aumento che deve dunque essere coperto con altre riserve disponibili o, in difetto di queste, con eventuali “rivalutazioni” da disavanzo da concambio.
E’ infine da considerare che le partecipazioni proprie assegnate all’incorporante/beneficiaria possono costituire sia una porzione del suo capitale sociale sia l’intero, con la conseguenza che nella prima ipo-tesi è possibile soddisfare il concambio anche ridistribuendo le quote re-sidue dell’incorporante/beneficiaria in base ad un congruo rapporto di cambio senza emetterne di nuove, mentre nella seconda ipotesi tale op-zione non è praticabile.
Ove la società incorporata/scissa assegni alla incorporan-te/beneficiaria le partecipazioni rappresentanti il 100% del suo capitale sociale non è peraltro necessario procedere alla fissazione di un rappor-to di cambio, in quanto l’attribuzione proporzionale ai soci della prima delle intere partecipazioni circolanti della seconda è sempre “congrua”, qualunque sia il loro numero.
Qualora, poi, unitamente alle partecipazioni proprie non vengano as-segnati altri elementi dell’attivo ma unicamente debiti (ad esempio quel-li contratti per il loro acquisto) l’attribuzione netta alla risultante sarà di regola negativa. In tal caso non sarà possibile determinare un rapporto di cambio congruo, conseguentemente la fusione o la scissione saranno realizzabili nelle sole ipotesi semplificate in cui non sia necessario de-terminare tale rapporto (si tratta delle operazioni tra società di cui una detiene l’intero capitale dell’altra o tra società partecipate dagli stessi soci e nelle stesse proporzioni).
Le modalità con le quali può essere soddisfatto il rapporto di cambio non coincidono in tutte le possibili ipotesi di fusione o scissione inversa.
Nel caso in cui la risultante sia una società azionaria che mantiene la proprietà delle partecipazioni proprie assegnate, infatti, sarà di regola necessario emettere nuove azioni a soddisfazione del concambio, nuove azioni che possono derivare:
a) da un aumento del loro numero senza aumento del capitale, qua-lora la società abbia emesso azioni prive di valore nominale;
b) da un aumento di capitale gratuito, qualora la società abbia azioni dotate di valore nominale esplicito.
In tale ultima ipotesi è dunque necessario che sussistano riserve di-sponibili in grado di coprire l’aumento di capitale, riserve che non pos-sono essere generate dalle partecipazioni proprie assegnate e non annul-late in quanto le stesse sono prive di un valore reale e non possono esse-re iscritte nell’attivo del bilancio (cfr. orientamento L.E.14).
Non sussistendo tali riserve è possibile, ricorrendone le condizioni, coprire il disavanzo generato dall’aumento di capitale mediante rialli-neamento dei valori degli elementi dell’attivo capaci di tale riallinea-mento (ossia, se esistenti, di quelli iscritti in bilancio ad un valore infe-riore a quello reale) ai sensi di quanto previsto dall’art. 2504-bis, comma 4, c.c.
Resta, ovviamente, salva l’ipotesi in cui le azioni proprie assegnate alla risultante e da questa trattenute in proprietà siano solo una percen-tuale del capitale sociale e i restanti soci di quest’ultima siano i mede-simi della incorporata/scissa e nelle stesse proporzioni, ipotesi nella quale non è necessario procedere con alcun concambio e, dunque, emet-tere nove azioni.
Qualora, invece, le partecipazioni proprie assegnate rappresentino il 100% del capitale della risultante e questa intenda mantenerne la pro-prietà è necessario emettere nuove azioni, nuove azioni che potranno essere di qualunque entità in quanto, come già ricordato, costituendo le intere partecipazioni circolanti rappresenteranno comunque l’intero pa-trimonio sociale indipendentemente dal loro numero è saranno pertanto sempre idonee a soddisfare il concambio.
In tale ipotesi, tuttavia, occorre tener presente che le azioni proprie detenute dalla società continueranno ad essere calcolate nella determi-nazione dei quorum costitutivi e deliberativi delle assemblee, per cui quelle circolanti dovranno essere di entità tale da evitare l’insorge di una impossibilità di funzionamento dell’assemblea (cfr. orientamento H.I.26).
Nel caso, invece, in cui la risultante non sia una società azionaria o sia una società che non ritenga di mantenere la proprietà delle azioni proprie ricevute in assegnazione, le partecipazioni da attribuire ai soci dell’incorporata/scissa in concambio potranno essere alternativamente:
a) nuove partecipazioni derivanti dall’annullamento e riemissione di quelle attribuite in assegnazione dalla incorporata/scissa;
b) le medesime partecipazioni attribuite in assegnazione da dette so-cietà, che dovranno però transitare, anche se per un solo istante ideale, nel suo patrimonio al fine di effettuare le necessarie rilevazioni contabili (cfr. orientamento L.E.16).

L.E.16 – (EFFETTI SUL PRIMO BILANCIO SUCCESSIVO DELLA FUSIONE E DELLA SCISSIONE INVERSA - 1° pubbl. 9/22 - motivato 10/23)
Si ritiene che la fusione e la scissione inversa debbano produrre gli stessi effetti contabili che si verificano nelle medesime aggregazioni realizzate in maniera di-retta.
La circostanza che nelle operazioni inverse non sia possibile che emerga formal-mente un disavanzo da annullamento (non essendo più consentito ex d.lgs. n. 139/2015 iscrivere all’attivo le partecipazioni proprie) non può impedire che la risultante recepisca nel proprio bilancio il costo della partecipazione propria as-segnata.
Pertanto, qualora l’incorporata/scissa abbia iscritto nel proprio bilancio le par-tecipazioni nella incorporante/beneficiaria ad un valore superiore a quello della frazione del patrimonio netto di quest’ultima da esse rappresentato, all’esito dell’operazione di fusione o scissione inversa tale maggior valore dovrà essere imputato agli elementi dell’attivo e del passivo della società risultante, rialli-neandoli ex art. 2504-bis, comma 4, c.c., e, per la differenza, ad avviamento nel rispetto del numero 6 dell’art. 2426 c.c., ove la società risultante non mantenga la proprietà delle proprie partecipazioni ma le utilizzi per soddisfare il concam-bio.
Anche nella diversa ipotesi in cui emerga un disavanzo da concambio, a causa della necessità di effettuare un aumento di capitale in assenza di riserve di pa-trimonio netto utili allo scopo, si procederà con l’imputazione dello stesso agli elementi dell’attivo capaci di tale imputazione come previsto dall’art. 2504-bis, comma 4, c.c.
In nessun caso deve essere iscritta nella società incorporante/beneficiaria la ri-serva negativa di cui all’art 2357-ter, ultimo comma, c.c.
Motivazione
Nell’orientamento in commento si condivide l’opinione largamente diffusa che la fusione e la scissione inversa devono produrre gli stessi ef-fetti contabili delle analoghe operazioni realizzate in maniera diretta.
Si è quindi affrontata la specifica questione del disavanzo da annul-lamento, disavanzo che formalmente può emergere solo nelle operazio-ni dirette e non in quelle indirette, posto che solo nelle prime si procede alla sostituzione della partecipazione dell’incorporata già iscritta in bi-lancio con il suo patrimonio netto contabile ricevuto in assegnazione, mentre nelle seconde il patrimonio netto contabile è già iscritto nel bi-lancio della risultante e pertanto non si sostituisce alle partecipazioni proprie ricevute in assegnazione, le quali, peraltro, non possono essere iscritte nell’attivo del bilancio stante la riforma operata con il d.lgs. n.139/2015.
Nonostante tale differenza formale anche nelle operazioni inverse si deve realizzare l’effetto contabile, che è anche sostanziale, prodotto dall’emersione di un disavanzo da annullamento nelle operazioni diret-te, ossia il recepimento nel bilancio della risultante dell’eventuale mag-gior valore contabile della partecipazione ad essa attribuita rispetto a quello della frazione del patrimonio netto rappresentata da detta parte-cipazione.
Ovviamente, la possibilità di riallineare i valori degli elementi dell’attivo della risultante è subordinata alla circostanza che la fusione o la scissione inversa producano i medesimi risultati delle analoghe ope-razioni dirette, dunque che le partecipazioni proprie ricevute in asse-gnazione non rimangano nel patrimonio della risultante (nel caso sia una società azionaria) ma siano utilizzate per il concambio.
Qualora, infatti, la risultante mantenga la proprietà delle proprie par-tecipazioni ricevute in assegnazione non potrà annullarne il “costo”, trasferendolo sul residuo suo patrimonio, ma dovrà conservarlo al fine di determinare le eventuali plusvalenze o minusvalenze determinate dal-la loro futura cessione.
Nel caso, invece, in cui le partecipazioni proprie siano utilizzate per il concambio il loro “costo” sarà sempre annullato (posto che i soci che le hanno ricevute in concambio non possono effettuare rivalutazioni ex artt. 172 e 173 T.U.I.R.) e dunque dovrà trasferirsi necessariamente su-gli elementi dell’attivo che lo giustificavano. Se così non fosse tale costo si perderebbe irrimediabilmente in violazione del principio di continuità, anche contabile, delle fusioni e delle scissioni.
Per quanto riguarda invece il disavanzo da concambio, lo stesso può emergere nelle fusioni o scissioni inverse in maniera identica rispetto a quanto può accadere nelle operazioni dirette. È infatti ben possibile che all’interno del patrimonio della incorporata/scissa che viene trasferito alla incorporante/beneficiaria sussistano elementi patrimoniali ulteriori rispetto alle partecipazioni proprie, elementi che potrebbero essere iscritti in bilancio a valori inferiori rispetto a quelli reali e che, conse-guentemente, non sarebbero in grado di generare le riserve di patrimo-nio necessarie per coprire un eventuale aumento di capitale a servizio del concambio.
In tale ipotesi, dunque, l’aumento potrà essere coperto con il rialli-neamento dei valori di detti elementi, ovviamente nei limiti in cui ciò sia possibile ex art. 2504-bis, comma 4, c.c.
Si è infine ricordato che in nessun caso, dunque nemmeno in quello in cui la risultante mantenga la proprietà delle proprie partecipazioni, si dovrà iscrivere in bilancio la riserva negativa prevista dall’art 2357-ter, ultimo comma, c.c.
Tale riserva, infatti, rappresenta le somme pagate dalla società per acquistare le proprie partecipazioni, somme che di fatto costituiscono un rimborso ai soci e che determinano una diminuzione del suo patri-monio netto.
Nelle fusioni e nelle scissioni inverse l’acquisto delle proprie parteci-pazioni avviene senza corrispettivo, per cui la riserva negativa è pari a zero, dunque non deve essere costituita.

L.E.17 - (SCISSIONE O FUSIONE CONTABILMENTE NEGATIVA MA POSITIVA A VA-LORI CORRENTI - 1° pubbl. 10/23 – motivato 10/23)
Si ritiene ammissibile la scissione, anche non proporzionale, mediante l’assegnazione ad una o più beneficiarie (sia preesistenti che di nuova costitu-zione) di un insieme di elementi patrimoniali aventi valore contabile complessi-vo negativo qualora quello corrente sia positivo.
In tale ipotesi:
a) PER QUANTO RIGUARDA IL RAPPORTO DI CAMBIO, al pari di ogni altra scis-sione, lo stesso dovrà essere congruo sulla base dei valori correnti (cfr. orienta-mento L.D.1) e il concambio potrà essere soddisfatto:
- nel caso di beneficiaria preesistente, alternativamente:
1. attraverso la ridistribuzione delle sue partecipazioni senza aumento di capita-le;
2. attraverso l’emissione di nuove partecipazioni prive di valore nominale (per le spa con tali tipi di azioni e per le srl – vedi orientamenti L.A.24 e L.A.25);
3. attraverso l’emissione di nuove partecipazioni derivanti da un aumento di ca-pitale gratuito con utilizzo di riserve disponibili, ove quelle post-scissione siano capienti una volta contabilizzate le passività assegnate;
4. attraverso l’emissione di nuove partecipazioni derivanti da un aumento di ca-pitale gratuito con utilizzo, per la parte non coperta da riserve disponibili, dell’imputazione ad elementi dell’attivo e del passivo del disavanzo da concam-bio che emergerà ai sensi dell’art. 2504-bis, comma 4, c.c. (imputazione che nel caso di società di capitali dovrà essere sorretta da una specifica perizia);
- nel caso di beneficiaria di nuova costituzione, esclusivamente:
1. mediante l’emissione delle nuove partecipazioni che deriveranno dalla de-terminazione del capitale della beneficiaria in misura non superiore al valore corrente del patrimonio assegnato dalla scissa (al netto dell’eventuale avvia-mento non acquistato a titolo oneroso), in conformità con quanto previsto dall’art. 2504-bis, comma 4, c.c. per l’ipotesi dell’emersione di un disavanzo (va-lore che nel caso di società di capitali dovrà essere sorretto da una specifica pe-rizia);
b) PER QUANTO RIGUARDA L’ISCRIZIONE NEL BILANCIO DELLA BENEFICIARIA DE-GLI ELEMENTI ATTIVI E PASSIVI AD ESSA ASSEGNATI, al pari di ogni altra scissio-ne, si applicherà il disposto dell’art. 2504-bis, comma 4, c.c., pertanto gli stessi verranno iscritti ai valori risultanti dalle scritture contabili della scissa alla data di efficacia della scissione, conseguentemente:
- nel caso di beneficiaria preesistente:
1. ove abbia riserve in grado di assorbire le passività assegnate e di coprire il ca-pitale sociale post-scissione, si ridurrà il patrimonio netto senza emersione di un disavanzo (salva l’ipotesi che ne emerga uno da annullamento);
2. ove non abbia le riserve necessarie per coprire il capitale sociale post-scissione (cfr. orientamento L.E.9), emergerà un disavanzo da concambio da im-putare agli elementi dell’attivo e del passivo con conseguente aumento dei va-lori contabili;
- nel caso di beneficiaria di nuova costituzione:
1. emergerà sempre un disavanzo da imputare agli elementi dell’attivo e del passivo con conseguente rideterminazione del patrimonio contabile.
Il presente orientamento deve ritenersi applicabile, per identica ratio, anche all’ipotesi della fusione laddove l’incorporante riceva un patrimonio contabile negativo ma reale positivo.
Motivazione
L’orientamento in commento sostituisce l’abrogato orientamento L.E.1 al fine di distinguere l’ipotesi della scissione o fusione negativa a valori contabili ma positiva a valori correnti, contemplata in questo nuovo orientamento, da quella della scissione o fusione negativa a valo-ri correnti, ammessa in ipotesi limitate nel nuovo orientamento L.E.18.
Con l’espressione fusioni o scissioni “negative” si indicano normal-mente tutte quelle operazioni di aggregazione o disgregazione di società caratterizzate dalla presenza di compendi patrimoniali negativi, ossia da un insieme di elementi attivi e passivi la cui somma dia un valore negativo.
La negatività dei compendi patrimoniali può essere solo contabile o sia contabile che effettiva, mentre la negatività solo effettiva e non con-tabile costituisce un’ipotesi che fisiologicamente non dovrebbe verificar-si in quanto i bilanci devono rappresentare in maniera veritiera la situa-zione patrimoniale della società.
La possibilità di realizzare tali operazioni non è pacifica e le diverse posizioni sono assai articolate e ricche di distinzioni, anche a causa del-le molteplici fattispecie in cui si suddivide l’ampio “genere” delle fusioni e scissioni negative: fusioni contabilmente negative; fusioni effettiva-mente negative; fusioni proprie o per incorporazione tra società tutte negative; fusioni proprie o per incorporazione tra società positive e ne-gative; scissione con scorporo di un patrimonio negativo da una scissa che diviene positiva; scissioni con scorporo di un patrimonio positivo da una scissa che diviene negativa; scissioni con scorporo di un patrimonio negativo da una scissa che rimane negativa; scissione a favore di società preesistente nelle varianti previste per la fusione, altro ancora.
In linea generale, per quanto riguarda la fattibilità delle operazioni negative, occorre innanzitutto rilevare che nessuna disposizione di legge le vieta espressamente, al contrario le stesse sono espressamente am-messe dalla normativa speciale sulla crisi di impresa qualora sia coin-volta una società soggetta a procedura di liquidazione o di risoluzione della crisi.
È poi da evidenziare che sussistono diverse ipotesi nelle quali le ope-razioni negative sono idonee a soddisfare interessi meritevoli di tutela nel rispetto dell’elemento causale proprio delle fusioni e delle scissioni, ossia: “la riorganizzazione delle società coinvolte” al fine della prosecu-zione dell’attività o di favorire la liquidazione.
Ad esempio, nelle riorganizzazioni infragruppo, ove ricorra l’interesse imprenditoriale alla prosecuzione dell’attività di una deter-minata società in perdita, è possibile utilizzarle assegnando il patrimo-nio negativo ad una società con un patrimonio positivo in grado di as-sorbirlo ovvero unendo più patrimoni al fine generare un “plusvalore” da aggregazione che ripiani le negatività di uno o più di essi.
Le fusioni e le scissioni negative trovano però un limite nella necessi-tà di rispettare la fattispecie legale la quale, tra le altre, prevede la regola della conservazione del valore delle partecipazioni di ogni singolo socio delle società coinvolte, ossia la necessità di determinare un rapporto di cambio congruo.
Tale limite rende difficoltosa la realizzazione di operazioni in pre-senza di patrimoni effettivamente negativi, operazioni come detto trat-tate nell'orientamento L.E.18, mentre non ostacola in alcun modo quel-le in cui la negatività dei patrimoni sia solo contabile posto che nel de-terminare il rapporto di cambio si deve aver riguardo unicamente ai pa-trimoni reali e non a quelli contabili.
Per tale ragione nell’orientamento in commento si sono ammesse senza limiti le scissioni e le fusioni in presenza di patrimoni positivi a valori correnti ma negativi a valori contabili, precisando che verifican-dosi dette fattispecie sia la determinazione del rapporto di cambio che l’imputazione nel primo bilancio della risultante degli elementi attivi e passivi assegnati avvengono secondo le regole ordinarie dettate dal co-dice civile per ogni altra scissione o fusione.
Il patrimonio contabilmente negativo oggetto di assegnazione sarà dunque iscritto nel primo bilancio successivo all'operazione conservan-do i valori contabili a saldo negativo preesistenti ai sensi dell’art. 2504-bis, comma 4, c.c..
Eseguita tale imputazione si determinerà pertanto una diminuzione del patrimonio netto della risultante che, salva l’ipotesi in cui emerga un disavanzo da annullamento, dovrà essere assorbita in via prioritaria dal-le sue riserve di patrimonio.
Ove queste non siano in grado di coprire il capitale post-operazione necessario per soddisfare il concambio emergerà il relativo disavanzo da imputare agli elementi dell’attivo e del passivo costituenti l’intero pa-trimonio della risultante, ossia non solo quelli oggetto di assegnazione ma anche quelli che erano già iscritti nel suo bilancio, e per la eventuale differenza e nel rispetto delle condizioni previste dal n. 6 dell’art. 2426 c.c. ad avviamento.
Nel caso in cui la società risultante sia una società di capitale i mag-giori valori imputati a determinati elementi del suo patrimonio dovran-no essere giustificati da una specifica perizia in analogia con quanto previsto per i conferimenti in natura.
Nell’orientamento si è quindi coerentemente precisato che nel caso in cui si debba realizzare una fusione tra due società aventi entrambe patrimoni positivi ma uno dei quali sia contabilmente negativo, la sod-disfazione del rapporto di cambio può essere realizzata o attraverso la ridistribuzione delle partecipazioni preesistenti (nella fusione per incor-porazione) o attraverso l’emissione di nuove partecipazioni prive di va-lore nominale o coperte con riserve della società risultante (se queste sono capienti al netto delle passività assorbite) o, in difetto, con l’imputazione ad elementi dell’attivo e del passivo del disavanzo da concambio che emergerà ai sensi dell’art. 2504-bis, comma 4, c.c., che nel caso di società di capitali dovrà essere sorretta da una specifica peri-zia.
Nello stesso modo si dovrà procedere nell’ipotesi in cui si debba rea-lizzare la scissione di un patrimonio effettivamente positivo ma conta-bilmente negativo a favore di una beneficiaria preesistente, mentre nell’ipotesi in cui detta beneficiaria sia di nuova costituzione il concam-bio potrà essere soddisfatto unicamente mediante l’emissione delle par-tecipazioni che deriveranno dalla determinazione del suo capitale in mi-sura non superiore al patrimonio a valori correnti assegnato dalla scis-sa, al netto dell’eventuale avviamento da questa non acquistato a titolo oneroso, in conformità con quanto previsto dall’art. 2504-bis, comma 4, c.c. per l’ipotesi dell’emersione di un disavanzo, determinazione che nel caso di società di capitali dovrà essere sorretta da una specifica perizia.

L.E. 18 - (AMMISSIBILITA’ DELLA SCISSIONE O FUSIONE NEGATIVA A VALORI COR-RENTI - 1° pubbl. 10/23 – motivato 10/23)
Si ritiene ammissibile la scissione, anche non proporzionale, mediante assegna-zione ad una o più beneficiarie preesistenti di un insieme di elementi patrimo-niali aventi complessivamente valore corrente negativo (prescindendo da quello contabile) qualora ricorrano tutte le seguenti condizioni:
a) sia rispettosa dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale del-le società coinvolte, se operative, ovvero sia strumentale alla loro liquidazione, se società in scioglimento;
b) sia possibile determinare un rapporto di cambio congruo ovvero non sia ne-cessario determinare alcun rapporto di cambio perché si tratta di operazione semplificata;
c) l’assegnazione negativa ad una beneficiaria positiva non deve determinare la riduzione del patrimonio netto di questa al di sotto del limite previsto dagli artt. 2447 e 2482-ter c.c.
Non si ritiene invece ammissibile una scissione negativa a valori correnti a favo-re di una beneficiaria di nuova costituzione non essendo possibile in tale ipotesi coprire in alcun modo il capitale sociale nominale.
Il presente orientamento deve ritenersi applicabile, per identica ratio, anche all’ipotesi della fusione laddove l’incorporante riceva un patrimonio realmente negativo.
Motivazione
Nell’orientamento L.E.17 sono state ammesse senza limiti le fusioni e le scissioni contabilmente negative ma positive a valori correnti in quanto in dette operazioni è sempre possibile rispettare integralmente la fattispecie e la disciplina di legge, in particolare quella che impone la determinazione di un rapporto di cambio congruo.
Nell’orientamento in commento si è invece affrontata la diversa que-stione dell’ammissibilità delle fusioni e scissioni che contemplino l’assegnazione di insiemi patrimoniali a saldo negativo a valori correnti in tutte le loro possibili varianti, ossia: operazioni tra società tutte posi-tive, operazioni tra società tutte negative e operazioni tra società alcune delle quali positive ed altre negative, concludendo che tali fusioni e scissioni sono ammissibili nei limiti in cui sia possibile riscontrare nel caso concreto la sussistenza di tutti gli elementi che caratterizzano la fattispecie legale.
Si è dunque affermato che per realizzare una di tali operazioni oc-corre che ricorrano e seguenti condizioni:
a) sia rispettosa dei principi di corretta gestione societaria e im-prenditoriale delle società coinvolte, se operative, ovvero sia strumen-tale alla loro liquidazione, se società in scioglimento.
La legge attribuisce in maniera esclusiva agli amministratori (o ai li-quidatori) delle società coinvolte il potere di iniziativa in materia di fu-sione e scissione con ciò evidenziando che la progettazione di tali ope-razioni costituisce un’attività di amministrazione che in quanto tale, al pari di ogni altra attività gestoria, deve essere realizzata con diligenza e volta a perseguire l’oggetto sociale, ossia a soddisfare un “interesse so-ciale”.
L’interesse sociale che deve essere soddisfatto è di tipo economico per le società operative, il cui scopo è quello di conseguire un utile da dividere tra i soci (art. 2247 c.c.), e di miglioramento dell’efficienza della liquidazione per quelle in scioglimento, il cui fine è quello di liquidare il patrimonio sociale ad un valore non inferiore a quello che gli è proprio (artt. 2486 e 2489 c.c.).
Così, ad esempio, deve ritenersi ammissibile, perché rispettosa dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società coinvolte, una fusione negativa a valori correnti nella quale sia previsto che una società fortemente patrimonializzata incorpori una società in crisi di piccole dimensioni per garantire la prosecuzione della sua attivi-tà ove questa produca in via esclusiva per l’incorporante uno specifico componente industriale altrimenti irreperibile.
Deve altrettanto ritenersi ammissibile, perché strumentale alla mi-glior liquidazione del patrimonio delle società coinvolte, una fusione negativa tra società in scioglimento ciascuna titolare di un’azienda complementare all’altra che se aggregate sono di maggior valore e di più semplice alienazione.
Viceversa non appare rispettosa dei principi di corretta gestione so-cietaria e imprenditoriale una fusione negativa finalizzata unicamente a risanare la posizione debitoria dell’incorporata tramite il patrimonio po-sitivo dell’incorporante ove non ricorra alcuna utilità o beneficio im-prenditoriale per l’incorporante, neanche reputazionale, indiretto o pro-spettico.
Una simile fusione sarebbe inoltre in contrasto, nell’ipotesi di opera-zioni infragruppo, con la disciplina dettata in materia di direzione e coordinamento dall’art. 2497 c.c. il quale non consente alle società o agli enti che “controllano” altre società di agire nell'interesse imprendi-toriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione so-cietaria e imprenditoriale di ogni società del gruppo, e ciò prescindendo dalla circostanza che l’operazione sia approvata da tutti i soci e da tutti gli amministratori delle società coinvolte.
b) sia possibile determinare un rapporto di cambio congruo ovvero non sia necessario determinare alcun rapporto di cambio perché si trat-ta di operazioni semplificate.
In tutte le fusioni e nelle scissioni con beneficiaria preesistente il rap-porto di cambio, ove previsto, è determinato dalla proporzione tra i pa-trimoni reali oggetto di aggregazione.
Tale determinazione risulta sempre possibile quando sono coinvolti patrimoni omogenei, ossia patrimoni tutti positivi o tutti negativi, men-tre risulta assai più problematica quando bisogna aggregare patrimoni tra loro non omogenei, ossia uno negativo ed uno positivo, poiché in ta-le seconda ipotesi il risultato dell’aggregazione non sarà una somma ma una differenza.
Due esempi possono aiutare a chiarire la questione:
a) fusione tra società aventi entrambe patrimoni negativi:
Alfa, partecipata al 100% da Primo, ha un patrimonio effettivo nega-tivo di – 100, e Beta, partecipata al 100% da Secondo, ha un patrimonio effettivo negativo di – 200, le loro partecipazione saranno dunque di va-lore pari a zero se si tratta di società con limitazione di responsabilità o pari al netto negativo se si tratta di società senza limitazione di respon-sabilità. All’esito della loro fusione si determinerà un patrimonio nega-tivo di – 300 che potrà dunque essere ripartito tra Primo e Secondo nelle opportune proporzioni che gli consentano di conservare il valore nullo o negativo delle loro partecipazioni, posto che entrambi “apportano” va-lori omogenei.
b) fusione tra società aventi una un patrimonio negativo e l’altra po-sitivo:
Alfa, partecipata al 100% da Primo, ha un patrimonio effettivo nega-tivo di – 100, e Beta, partecipata al 100% da Secondo, ha un patrimonio effettivo positivo di + 200, all’esito della loro fusione si determinerà un patrimonio positivo di + 100 [(+ 200) + (– 100) = + 100], che non potrà in alcun modo essere ripartito tra Primo e Secondo in maniera tale da garantire la conservare del “valore” delle loro partecipazioni ante ope-razione posto che quella di Primo aveva un valore nullo o negativo e quella di Secondo un valore di + 200.
Le fusioni e le scissioni che si risolvono nella diminuzione del valore reale della risultante e che richiedono la determinazione di un rapporto di cambio perché coinvolgono società con compagini sociali non omo-genee appaiono dunque di impossibile realizzazione.
Sussiste peraltro un’ipotesi eccezionale nella quale l’aggregazione di un patrimonio realmente negativo ad uno realmente positivo non de-termina la diminuzione di quest’ultimo, si tratta delle fusioni o scissioni a favore di beneficiaria preesistente che producono un “plusvalore” da aggregazione.
Tale plusvalore, per quanto meramente prospettico, potrebbe consen-tire nel caso concreto di determinare un rapporto di cambio congruo sulla base delle valutazioni soggettive degli organi gestori delle società coinvolte.
Il rapporto di cambio deve infatti essere congruo non oggettivamen-te, in base a criteri puramente matematici e a valutazioni patrimonia-li/reddituali/finanziarie, ma deve essere congruo in base alle valutazio-ni soggettive di coloro che devono determinarlo e approvarlo i quali possono legittimamente tenere conto anche di elementi extrapatrimo-niali o di fatto legati alle prospettive imprenditoriali dell’operazione.
Si pensi all’ipotesi della società Alfa che produce e fornisce in esclu-siva componenti strategici per la società Beta. Qualora Alfa dovesse bruscamente interrompere la propria attività a causa di uno stato di crisi che la porti ad avere un patrimonio reale negativo vi sarebbe sicuramen-te un danno per Beta. In tale situazione, qualora Beta intenda incorpo-rare Alfa al fine di “limitare i danni”, difficilmente si riuscirebbe ad esprimere un rapporto di cambio oggettivamente congruo ma sarebbe senz’altro possibile individuarne uno soggettivamente congruo sulla ba-se della valorizzazione della mancata perdita per l’incorporante e il mancato scioglimento per l’incorporata.
L’operazione di fusione che in tal caso si realizzerebbe sarebbe anche rispettosa della sua causa in quanto volta a riorganizzare le società preesistenti a fini imprenditoriali.
c) l’assegnazione negativa ad una beneficiaria positiva non deve de-terminare la riduzione del patrimonio netto di questa al di sotto del limite previsto dagli artt. 2447 e 2482-ter c.c..
Nelle operazioni tra società realmente negative, ossia tra società che hanno già interamente perso il capitale sociale, come di regola sono le fusioni e le scissioni tra società sottoposte a procedura di liquidazione concorsuale, non vi è ovviamente alcuna esigenza di garantire l’integrità di quest’ultimo.
Tale esigenza si ritiene invece sussistere ove la risultante dell’operazione sia una società operativa, poiché in tal caso dovrà essere quantomeno dotata del capitale minimo di legge previsto dal suo mo-dello affinché non si verifichi un obbligo di ricapitalizzazione o una causa di scioglimento. Si ricorda, infatti, che gli amministratori delle società hanno l’obbligo di prevenire l’insorgere di uno stato di crisi (art. 2086 c.c.) e di conservare l’integrità del patrimonio sociale (art. 2486 c.c.).
Una fusione e scissione realmente negativa non è dunque ammissibi-le quando la incorporante/beneficiaria positiva non sia in grado di as-sorbire le passività assegnate senza ridurre il proprio capitale sociale al di sotto dei limiti previsti dagli artt. 2447 e 2482-ter c.c..
Tale limite è infatti quello individuato dal legislatore come quello minimo necessario per garantire la prosecuzione della società senza ob-bligo di ricapitalizzazione.
Così, ad esempio, deve ritenersi consentito che una società per azioni con capitale di euro + 50.000 e patrimonio netto di euro + 200.000 rice-va una assegnazione negativa per fusione o scissione di euro – 155.000 che porti il suo patrimonio netto ad euro + 45.000, posto che il capitale minimo per detta società azionaria per il quale scatterebbe l’obbligo di ricapitalizzazione è di euro 33.333,33. A tale fattispecie di applicherà poi il disposto dell’art. 2446 c.c..
Non appare, invece, ammissibile che la medesima società riceva un’assegnazione negativa di – 195.000 che porti il suo patrimonio netto a + 5.000 poiché in tal caso non sarebbe garantita la conservazione del “patrimonio minimo”.

L.E. 19 - (CONGRUITÀ DEL RAPPORTO DI CAMBIO NELLA SCISSIONE O FUSIONE NEGATIVA A VALORI CORRENTI - 1° pubbl. 10/23 – motivato 10/23)
Nell’orientamento L.E.18 si sono ritenute ammissibili la scissione e la fusione realmente negative a condizione, tra l’altro, che sia possibile determinare un rapporto di cambio congruo ovvero che non sia necessario determinare alcun rapporto di cambio perché si tratta di operazioni semplificate
E’ di regola possibile determinare un rapporto di cambio congruo nell’ipotesi in cui tutte le società che partecipano all’operazione abbiano anteriormente ad es-sa un patrimonio negativo a valori correnti poiché in tal caso non dovrebbero sussistere impedimenti ad individuare le proporzioni partecipative nelle società risultanti che garantiscano la conservazione in capo a ciascun dei loro soci dei valori nulli (nel caso siano coinvolte società con limitazione di responsabilità) o negativi (nel caso siano coinvolte società con soci illimitatamente responsabili) che consentano di conservare il valore, anche prospettico, delle loro partecipa-zioni.
Viceversa non è di regola possibile determinare un rapporto di cambio congruo quando la società che riceve il patrimonio negativo a valori correnti abbia in precedenza un patrimonio realmente positivo poiché in tal caso le partecipazio-ni dei sui soci perderanno irrimediabilmente di valore qualunque sia il rapporto di cambio, anche nell’ipotesi estrema (per chi la ritiene ammissibile) in cui non si proceda con alcun concambio, ossia non si attribuiscano quote ai soci della scis-sa/incorporata e si conservino le proporzioni partecipative dei vecchi soci della incorporante/beneficiaria.
Sussiste tuttavia un’ipotesi eccezionale nella quale è possibile determinare un rapporto di cambio congruo in presenza di una società realmente positiva che riceve un patrimonio negativo a valori correnti, si tratta dell’operazione di fu-sione o scissione che genera un “plusvalore da aggregazione”, ossia un incre-mento del valore dei beni assegnati conseguente alla riorganizzazione societaria di entità tale da renderlo positivo.
Anche in queste operazioni, come in quelle ordinarie, l’iscrizione nel bilancio della beneficiaria degli elementi attivi e passivi oggetto di assegnazione avverrà nel rispetto di quanto previsto dell’art. 2504-bis, comma 4, c.c, pertanto, quan-do siano coinvolte società tutte negative il concambio sarà normalmente soddi-sfatto mediante ridistribuzione delle partecipazioni della beneficia-ria/incorporante non sussistendo la possibilità di eseguire aumenti di capitale, mentre nel caso di società positiva che riceve un patrimonio negativo che divie-ne positivo per effetto del “plusvalore da aggregazione” il concambio potrà es-sere soddisfatto anche mediante l’emissione di nuove partecipazioni coperte con le riserve residue della beneficiaria o con l’eventuale emersione di un disa-vanzo da concambio anche se, nell’ipotesi di assegnazione di un patrimonio realmente negativo, difficilmente sussisteranno elementi dell’attivo cui imputar-lo nel rispetto delle condizioni previste dal n. 6) dell’art. 2426 c.c..
Motivazione
Vedi sub L.E.17 e L.E.18.