O.A. Società di persone > Società di persone
O.A.1 - (AMMINISTRAZIONE NON AFFIDATA AD UNA PERSONA FISICA 1° pubbl. 9/04)
Una società, tanto di capitali quanto di persone, socia di una società di persone può essere legittimamente nominata amministratore di quest’ultima. In tal caso il soggetto amministratore è l’ente società di capitali o di persone socia e non una persona da questa indicata.
O.A.2 - (PARTECIPAZIONE DI ASSOCIAZIONI O FONDAZIONI IN SOCIETÀ DI PER-SONE - 1° pubbl. 9/04)
È ammessa la partecipazione di una fondazione o di una associazione, aventi o no personalità giuridica, in una società di persone.
O.A.3 - (APPLICABILITÀ DELL’ART. 111 TER DISP. ATT. C.C. ALLE SOCIETÀ DI PER-SONE - 1° pubbl. 9/04)
L’art. 111 ter delle disposizioni di attuazione del c.c. si applica a tutti i tipi di so-cietà, quindi anche alle società di persone che nei patti sociali abbiano recepito detta normativa.
O.A.4 - (APPOSIZIONE DI UN TERMINE O DI UNA CONDIZIONE AD UN ATTO DI CONFERIMENTO - 1° pubbl. 9/06)
È legittimo apporre ad un atto di conferimento in una società di persone un termine iniziale o una condizione sospensiva.
È così possibile conferire un’azienda apponendo, per motivi di semplificazione contabile, a detto conferimento un termine iniziale coincidente con l’inizio di un mese solare.
O.A.5 - (CLAUSOLA DI RECESSO PARZIALE - AMMISSIBILITÀ - 1° pubbl. 9/06)
È legittimo prevedere nei patti sociali di società di persone una clausola che ammette, ed eventualmente disciplina, il recesso parziale.
Tale forma di recesso non può essere infatti ritenuta contraria all’ordine pubbli-co in quanto già prevista per le società di persone soggette ad attività di direzio-ne e coordinamento dall’ultimo comma dell’art. 2497 quater c.c.
O.A.6 - (DETERMINAZIONE CONVENZIONALE DEI CRITERI DI RIPARTIZIONE DELL’ATTIVO DI LIQUIDAZIONE IN DEROGA ALL’ART. 2282, COMMA 1, C.C. – 1° pubbl. 9/10)
Ai soci è consentito, con l’introduzione nel contratto sociale di una clausola pro-grammatica, di determinare liberamente i criteri di ripartizione dell’attivo di li-quidazione, purché ciò avvenga all’unanimità e sia rispettato il divieto del patto leonino.
Si ritiene tuttavia che dal verificarsi di una causa di scioglimento in poi tale facol-tà non sia più consentita, poiché da tale momento è entrato nel patrimonio in-dividuale di ogni singolo socio il diritto di credito alla ripartizione dell’attivo se-condo i criteri precedentemente fissati.
Per poter ottenere dunque la ripartizione dell’attivo di liquidazione in maniera difforme rispetto ai criteri di contratto vigenti al momento del verificarsi di una causa di scioglimento sarà necessario attuare gli opportuni negozi traslativi dei diritti di credito vantati dai singoli soci utilizzando uno degli schemi consentiti dall’ordinamento (donazione, vendita, rinuncia, ecc.).
O.A.7 – (FORMA DELLA DECISONE DI SCIOGLIMENTO ANTICIPATO – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
La decisione di scioglimento anticipato, con o senza liquidazione, integra sempre una modifica del contratto sociale e come tale deve rivestire la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata ai fini della sua iscrivibilità nel Re-gistro delle Imprese.
Motivazione
Coerentemente con quanto prescritto in linea generale dall’art. 1372 c.c., l’art. 2252 c.c. sancisce il principio secondo cui il contratto sociale è modificabile. L’originaria volontà dei soci, espressa nell’atto costitutivo, può dunque essere integrata e/o mutata attraverso una regolamenta-zione successiva.
La norma introduce anche la regola legale dell’unanimità dei consen-si per ogni modifica dell’atto costitutivo, regola derogabile per volontà pattizia, in ciò differenziandosi dalla disposizione generale contenuta nell’art. 1372 c.c. che non ammette deroghe al principio unanimistico. L’art. 2252 c.c., legittima dunque le modificazioni del contratto sociale anche senza il consenso di tutti i soci, se così convenuto dagli stessi (salva ovviamente l’ipotesi in cui la modificazione del contratto sociale abbia luogo per le vicende che riguardano la persona del singolo socio, quali la morte, il recesso, o l’esclusione, ovvero le altre ipotesi espres-samente previste dal legislatore, come la fusione e la trasformazione).
Come è noto infatti nelle società di persone, a differenza di quanto accade nelle società di capitali dove solo le variazioni degli aspetti og-gettivi richiedono una modifica formale dell’atto costitutivo, sia la va-riazione dei soggetti (ad es. introduzione di nuovi soci in aggiunta o in sostituzione di quelli esistenti) che degli elementi oggettivi del contratto (ad es. oggetto, sede, ditta, proroga della durata) richiedono una modi-fica formale del medesimo.
Tutte le modificazioni dell’atto costitutivo, ai sensi dell’art. 2300 c.c. devono essere iscritte nel registro delle imprese, al fine di renderle op-ponibili ai terzi. La pubblicità prevista dalla norma in commento ha na-tura dichiarativa. In mancanza di detto adempimento, le modifiche, sebbene perfette e produttive dei loro effetti, sono opponibili ai terzi sol-tanto dando prova che questi ne erano a conoscenza. Detta previsione, imponendo un sistema di pubblicità obbligatoria, è posta a tutela dei terzi che altrimenti non sarebbero nella possibilità di conoscere le modi-ficazioni della società e conseguentemente potrebbero fare affidamento, con pregiudizio, sulla situazione preesistente alla modificazione.
Tutte le modificazioni pattizie dell’atto costitutivo devono rivestire la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata ai fini della loro iscrivibilità nel registro delle imprese. L’art. 11, comma 4, del D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581 stabilisce infatti che “L'atto da iscrivere è depositato in originale, con sottoscrizione autenticata, se trattasi di scrittura priva-ta non depositata presso un notaio. Negli altri casi è depositato in copia autenti-ca...”. Appare pertanto preclusa qualsivoglia altra forma diversa rispetto a quelle espressamente indicate dalla suddetta norma.
Ciò risponde ad un principio generale legato ad ogni forma di pub-blicità legale, il quale si concretizza nella necessarietà di un controllo demandato dal legislatore ad un pubblico ufficiale, che formalmente as-sume la responsabilità della regolarità e della legalità di quanto iscritto nei pubblici registri, conformemente ai principi dettati dall’ordinamento.
Come già ricordato l'iscrizione della modificazione dell’atto costitu-tivo nel registro delle imprese, ha efficacia dichiarativa e comporta l'op-ponibilità incondizionata ai terzi del contenuto risultante dall’iscrizione ai sensi dell’art. 2193, comma 2, c.c.
Quanto sinora detto vale, oltre che per la società in nome collettivo, anche per la società in accomandita semplice, stante l’espresso rinvio operato dall’art. 2315 c.c.
Il contratto di società, come ogni altro contratto, può sciogliersi per volontà dei contraenti o per le altre cause previste dalla legge o dal con-tratto stesso. Ciò è ribadito in tema di società di persone dall’art. 2272 c.c., dove al punto 3) viene disciplinato lo scioglimento della società per volontà dei soci.
La volontà di sciogliere la società, espressa da tutti i soci, integra una fattispecie di mutuo consenso (previsto in linea generale dall’art. 1372 c.c. come causa di scioglimento del contratto), e consiste in una modifi-cazione dell’atto costitutivo; come tale soggetto, ai fini della pubblicità nel registro imprese, ai requisiti di forma prescritti per tutte le modifiche statutarie e pertanto potrà essere iscritto solo se contenuto in un atto autenticato o in un atto pubblico. E ciò indipendentemente dalla neces-sità di una fase di liquidazione della società disciolta.
Il fatto che nelle società di persone non sia sempre necessaria una fa-se di liquidazione, non comporta che i soci possano prescindere da una manifestazione di volontà specifica, volta a formalizzare l'intenzione di sciogliere la società. Anzi va ricordato che nello scioglimento delle so-cietà la fase della liquidazione costituisce la regola (cfr. art. 2275 c.c.), mentre le ipotesi per le quali è tollerato non procedere a tale fase, costi-tuisce certamente l'eccezione. Eccezione che comporta una scelta espressa da parte dei soci, la quale dovrà pure rivestire le medesime forme autentiche previste per le modifiche dello statuto.
Quanto detto assurge a principio dell’ordinamento, al quale fanno eccezione solamente le ipotesi espressamente indicate dal D.P.R. 23 lu-glio 2004, n. 247, art. 3; tale norma consente infatti, in via eccezionale, la cancellazione diretta dal registro delle imprese, di società di persone in relazione alle quali sia accertata una delle seguenti circostanze:
a) irreperibilità presso la sede legale;
b) mancato compimento di atti di gestione per tre anni consecutivi;
c) mancanza del codice fiscale;
d) mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi;
e) decorrenza del termine di durata, in assenza di proroga tacita.
Dette ipotesi sono dunque di stretta interpretazione e da ritenersi tassative e non estendibili alle altre circostanze e fattispecie indicate dal codice civile in relazione alle cause di scioglimento delle società di per-sone.
O.A.8 – (FATTI E ATTI MODIFICATIVI DELLA COMPAGINE SOCIALE E LORO ISCRI-ZIONE NEL REGISTRO DELLE IMPRESE - 1° pubbl. 9/14 – motivato 9/15).
La compagine sociale può modificarsi in dipendenza di fatti o di atti. Entrambi devono essere iscritti nel registro delle imprese per poter essere opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2300, comma 3, c.c.
I fatti sono iscrivibili su dichiarazione degli amministratori accompagnata dall’eventuale documentazione che comprova il loro accadimento.
Gli atti sono iscrivibili solo se rivestono la forma dell’atto pubblico o della scrit-tura privata autenticata ai sensi dell’art. 11, comma 4, D.P.R. n. 581/95. Gli atti aventi la forma della scrittura privata non autenticata sono iscrivibili solo se la loro sottoscrizione è stata accertata giudizialmente.
Tali regole trovano applicazione anche nelle ipotesi di modifica per atto unilate-rale o che non richieda l’intervento di tutti i soci.
Costituiscono fatti modificativi della compagine sociale:
1) il decesso del socio, in presenza della libera trasferibilità mortis causa delle partecipazioni;
2) il fallimento del socio;
3) la liquidazione della quota del socio ai sensi dell’art. 2288, comma 2, c.c.
Costituiscono atti modificativi della compagine sociale:
1) il trasferimento delle partecipazioni inter vivos;
2) i negozi, ove previsti, di continuazione o meno della società con i successori del socio deceduto;
3) la dichiarazione di recesso notificata;
4) la delibera di esclusione notificata e non opposta;
5) il decreto di trasferimento giudiziale.
Motivazione
I registri delle imprese della Gran Bretagna sono curati da un’agenzia governativa, in essi sono registrate tutte le società di capitali del Regno Unito.
Agli utenti viene fornito il seguente avviso:
“Companies House is a registry of company information. We carry out basic checks to make sure that documents have been fully completed and signed, but we do not have the statutory power or capability to verify the accuracy of the infor-mation that companies send to us. We accept all information that companies de-liver to us in good faith and place it on the public record. The fact that the infor-mation has been placed on the public record should not be taken to indicate that Companies House has verified or validated it in any way” (ossia: “Il Registro delle Imprese è un registro di informazioni societarie. Effettuiamo i con-trolli di base per essere sicuri che i documenti siano stati debitamente compilati e firmati, ma non abbiamo il potere legale o la possibilità di verificare la correttezza delle informazioni che le società ci inviano. Ac-cettiamo in buona fede tutte le informazioni che le società ci forniscono e le pubblichiamo nel Registro. La circostanza che un’informazione sia stata pubblicata non significa che il Registro delle Imprese l’abbia verifi-cata o convalidata in alcun modo”).
In questo avviso si coglie tutta la differenza tra il sistema anglosas-sone di pubblicità degli atti societari, basato su comunicazioni di parte non certificate e dunque privo di qualsiasi valore legale, e quello italia-no, il quale, al contrario, si fonda su atti autentici, certi e verificati che, in quanto tali, sono opponibili ai terzi.
In sostanza i registri delle imprese della Gran Bretagna attestano esclusivamente l’incorporazione della società nell’ordinamento, dunque il suo riconoscimento, la sua esistenza come persona giuridica di diritto privato, e nulla più.
È importante rilevare come anche in Italia le vicende dell’impresa che scaturiscono da fatti e non da atti sono pubblicizzate sulla scorta di semplici dichiarazioni di parte, ma ciò è inevitabile, in quanto, per defi-nizione, un fatto non può essere documentato, salvo che con una sen-tenza di accertamento emanata dal giudice.
La pubblicità per fatti e non per atti è tipica delle imprese individuali, in quanto l’inizio di un’attività economica da parte di una persona fisi-ca, la determinazione del suo oggetto, del luogo ove viene esercitata, la sua modifica o cessazione, dipendono da comportamenti concreti dell’individuo e non da negozi giuridici.
È per questo che la disciplina generale sulla pubblicità nel registro delle imprese contenuta negli artt. 2188 e ss. c.c., avendo come riferi-mento l’imprenditore persona fisica, si occupa esclusivamente dell’iscrizione dei fatti e non degli atti.
Il sistema legale di pubblicità dei fatti è basato sulla denuncia dell’imprenditore e sulla verifica dell’ufficio, con poteri di integrazio-ne/rettifica affidati al giudice del registro, il quale può ordinare la can-cellazione di fatti insussistenti o l’iscrizione di quelli non denunciati.
Per l’iscrizione degli atti societari il sistema è profondamente diver-so. Non è possibile in alcun modo addivenire alla loro iscrizione sulla scorta di una denuncia dell’interessato, ancorché recante la sua sotto-scrizione autenticata, in quanto la “confessione” resa dal denunciante non darebbe alcuna certezza di veridicità; le informazioni pubblicizzate avrebbero lo stesso valore di quelle dei registri anglosassoni, ossia nes-suno.
L’art. 2200 c.c., dunque, precisa che l’iscrizione delle società nel regi-stro delle imprese non è regolata dalle norme generali ma dalle disposi-zioni contenute nei Titoli V e VI (del Libro V).
Per quanto riguarda le società di persone, l’art. 2296 c.c. dispone che la loro iscrizione nel registro delle imprese può avvenire esclusivamente depositando l’atto costitutivo perfezionato nella forma dell’atto pubbli-co o della scrittura privata con sottoscrizione autenticata. Per simme-tria, le stesse forme sono richieste dal combinato disposto dell’art. 2300 c.c. e dell’art. 11 D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581 per l’iscrizione delle modificazioni del contratto sociale.
E bene ricordare che tutti gli atti delle società di persone sono pie-namente validi ed efficaci anche se non rivestono la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, solo che gli stessi non so-no iscrivibili nel registro delle imprese e, conseguentemente, non sono opponibili ai terzi.
La circostanza che si possano formare validi atti modificativi di so-cietà di persone senza ricorrere a particolari formalismi ha alimentato il dubbio che simili atti, essendo comunque di potenziale interessi per i terzi, possano essere iscritti nel registro delle imprese applicando per analogia le norme sulla denuncia dei fatti, eventualmente anche nella forma dell’iscrizione d’ufficio prevista dall’art. 2190 c.c., come se il giu-dice del registro avesse il potere di accertarne l’autenticità.
Tale dubbio appare con tutta evidenza infondato, perché in contrasto con le norme positive che disciplinano la pubblicità degli atti delle socie-tà di persone che, come ricordato, non ammettono eccezioni alla regola della forma autentica. Del resto, se fosse possibile iscrivere nel registro delle imprese atti verbali o scritture private semplici sulla scorta di “confessioni” di parte, più o meno documentate, o di “accertamenti” d’ufficio, il sistema diverrebbe inaffidabile e, dunque, inutile.
È bene precisare che il codice ha potuto attribuire efficacia di pubbli-cità dichiarativa ai fatti delle imprese individuali denunciati al registro delle imprese (art. 2193 c.c.), anche in considerazione della circostanza che le eventuali conseguenze dannose di una denuncia non veritiera ri-cadrebbero unicamente sull’autore della stessa. Nella pubblicità degli at-ti delle società di persone tutto questo non può realizzarsi. Sono gli amministratori che li denunciano, ma le eventuali conseguenze dannose prodotte da denuncie non veritiere ricadrebbero sui soci e sui terzi.
Si pensi all’ipotesi che fosse consentito ad un amministratore di una società in nome collettivo di denunciare al registro delle imprese che un socio ha ceduto la sua quota ad un terzo nel rispetto di una clausola dei patti sociali che ammette la libera trasferibilità delle partecipazioni, al-legando alla denuncia una scrittura privata non autenticata recante la cessione. Se la denuncia e la scrittura si rivelassero false, il supposto ac-quirente sarebbe comunque apparso nel registro come socio con respon-sabilità illimitata per le obbligazioni sociali, soggetto al rischio di falli-mento, con conseguente insorgere nei terzi dell’affidamento sulla sua capacità patrimoniale nel valutare l’affidabilità della società.
Si potrebbero inoltre verificare delle vicende cosiddette di “furto d’identità”, cioè dei casi in cui soggetti non legittimati appaiono titolari di diritti altrui, vicende tipiche degli ordinamenti anglosassoni (il regi-stro delle imprese britannico registra 50/100 casi di furto di identità aziendale ogni mese), ma totalmente estranee al nostro sistema.
È anche per tale motivo che il legislatore non ha ammesso la pubbli-cità di atti non autentici.
I principi esposti risultano pacifici, tuttavia sussistono delle ipotesi nelle quali non è immediato cogliere se la modifica del contratto sociale consegue esclusivamente ad un fatto, ad un atto, ovvero ad una somma di entrambi nell’ambito di un procedimento complesso.
Ciò si verifica per lo più nelle vicende che determinano un mutamen-to della compagine sociale, in quanto le stesse sono le più varie, si pensi al decesso del socio, al suo fallimento, al recesso, alla cessione di quote, all’esclusione, all’espropriazione della partecipazione, alle altre ipotesi tipiche minori.
La circostanza che, in dette vicende, non sia immediato cogliere se l’evento che si deve pubblicizzare sia un fatto, un atto o una somma di entrambi, ha generato nella pratica comportamenti disomogenei e incer-tezze operative, al punto che recentemente il MISE ha ritenuto di ema-nare una direttiva agli uffici del registro, ai sensi del l'art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, al fine di omogeneizzare i comportamenti sul punto. Tale direttiva, peraltro, affronta il problema dei termini di pre-sentazione delle denunce e dei soggetti legittimati a presentarle, ma non risolve quello dei documenti da depositare nelle varie fattispecie, anche se tende a qualificare come “fatti” alcuni atti.
L’orientamento in commento, sulla base dei principi esposti, si pro-pone dunque di chiarire quando una vicenda modificativa della compa-gine sociale sia qualificabile come fatto, e come tale iscrivibile nel regi-stro delle imprese sulla scorta di una semplice denuncia degli ammini-stratori, e quando sia la conseguenza di un atto, la cui iscrizione è su-bordinata al suo deposito nelle forme della scrittura privata autenticata o dell’atto pubblico ai sensi dell’art. 11, comma 4, D.P.R. n. 581/95.
Implicitamente, l’orientamento affronta anche le fattispecie miste, in cui la modifica della compagine sociale consegue alla somma di atti e di fatti.
Com’è noto, il codice non fornisce una definizione dei fatti, mentre gli atti sono presi in considerazione sotto varie prospettive e in tal modo indirettamente qualificati: atti negoziali, atti illeciti, atti unilaterali meri atti, ecc.
La distinzione tra fatti e atti, dal punto di vista della loro rilevanza giuridica, risiede comunque pacificamente nella volontarietà consapevo-le dell’agente, volontà che non è indispensabile nei primi ma che è es-senziale per il perfezionamento dei secondi, tant’è che gli incapaci non possono formare atti validi ma possono compiere fatti giuridicamente rilevanti.
Un fatto produce effetti giuridici in dipendenza del solo suo accadi-mento, prescindendo dalla volontarietà e dalla consapevolezza di chi l’ha posto in essere, mentre un atto assume rilevanza per l’ordinamento solo se posto in essere in maniera consapevole.
Un fatto giuridicamente rilevante per alcuni soggetti può anche con-sistere in un atto posto in essere da altri soggetti. Ad esempio, la sen-tenza di fallimento di un socio di società di persone emessa dal tribuna-le è un atto dell’autorità giudiziaria ma anche un fatto esterno al con-tratto sociale che ne determina la modifica per l’esclusione di diritto del socio fallito prevista dall’art. 2288, comma 1, c.c.
Poiché la distinzione tra fatti e atti, ai fini della loro iscrivibilità nel registro delle imprese, è strumentale all’affidabilità delle informazioni pubblicate, si può senz’altro affermare che i primi coincidono con qual-siasi accadimento reale idoneo a determinare una modifica del contratto sociale diverso dai negozi giuridici, mentre i secondi coincidono con quest’ultima categoria, nei limiti in cui siano posti in essere con la con-sapevolezza e la finalità di modificare il contratto.
In tale prospettiva possono qualificarsi fatti modificativi della com-pagine sociale:
1) il decesso del socio, in presenza della libera trasferibilità mortis cau-sa delle partecipazioni, in quanto in tale fattispecie non si realizza alcun negozio giuridico e la modifica del rapporto sociale prescinde dalle vo-lontà dei soci superstiti e degli eredi del socio defunto;
2) il fallimento del socio, per i motivi sopra esposti, in quanto la sen-tenza di fallimento è si un atto ma produce i suoi effetti nel contratto sociale in via indiretta, senza che ricorra alcuna volontà negoziale in tal senso;
3) la liquidazione della quota del socio ai sensi dell’art. 2288, comma 2, c.c., per i motivi esposti al precedente punto 2).
Costituiscono atti modificativi della compagine sociale:
1) il trasferimento delle partecipazioni inter vivos, trattandosi del ne-gozio tipico che determina tale evento, e ciò prescindendo dalla circo-stanza che si sia perfezionato senza il consenso degli altri soci per espressa previsione in tal senso dei patti sociali;
2) i negozi, ove previsti, di continuazione o meno della società con i successori del socio deceduto, in quanto in tale fattispecie l’evento mo-dificativo deriva dalla somma di un fatto, il decesso del socio, e di un atto, l’accordo di continuazione;
3) la dichiarazione di recesso notificata, trattandosi di atto unilatera-le recettizio (come di recente confermato dal tribunale di Roma, senten-za 27 febbraio 2015), che dunque produce i suoi effetti dalla notifica. La sussistenza dei presupposti che legittimano il recesso costituisce un fat-to è dunque non deve essere documentata;
4) la delibera di esclusione notificata e non opposta, trattandosi anch’essa di un atto unilaterale recettizio che si perfeziona con la co-municazione e la mancata opposizione, quest’ultima documentabile con certificazione della cancelleria del tribunale;
5) il decreto di trasferimento giudiziale, in quanto, pur provenendo dall’autorità giudiziaria, è un atto specificatamente e causalmente fina-lizzato alla modifica del contratto sociale.
Ciò che è qualificabile come atto potrà essere iscritto nel registro del-le imprese solo se depositato nelle forme autentiche previste dalla legge.
L’opinione contraria che ritiene che le modifiche della compagine sociale prodotte da atti unilaterali, quali il recesso, devono essere iscritte nel registro delle imprese con le modalità previste per la denuncia dei fatti, in quanto detti atti unilaterali sono efficaci anche se non rivestono la forma prevista dall’art. 11, comma 4, d.p.r. 581/95, non appare con-divisibile. L’argomento proposto a sostegno di tale opinione, infatti, prova troppo, poiché tutti gli atti modificativi del contratto sociale sono pienamente validi ed efficaci anche se non rivestono la forma autentica, in quanto la medesima è sempre richiesta ai soli fini dell’iscrizione.
In conclusione, si ritiene che le disposizioni sulla forma degli atti so-cietari contenute nell’art. 2300 c.c. e nell’art 11, comma 4, d.p.r. 581/95 siano inderogabili, in quanto volte a perseguire l’interesse di ordine pubblico a che le risultanze dei registri delle imprese siano affidabili.
O.A.9 – (INSUSSISTENZA DELL’OBBLIGO DI ADEGUARE LE CLAUSOLE DEGLI ORIGI-NARI PATTI SOCIALI ALLE MODIFICHE INTERCORSE - 1° pubbl. 9/14 – motivato 9/15)
Il codice civile prevede per le sole società di capitali l’obbligo di depositare nel registro delle imprese il testo integrale dello statuto sociale nella sua redazione aggiornata ogniqualvolta sia deliberata una sua modifica (art. 2436, ultimo comma, c.c.).
L’assenza di un’analoga disposizione per le società di persone porta a ritenere che le modifiche dei patti sociali delle medesime siano ritualmente adottate senza alcuna necessità di aggiornare le singole clausole divenute incompatibili.
Tali modifiche, una volta ritualmente iscritte, sono comunque opponibili ai terzi anche per le eventuali parti che dovessero contrastare con precedenti versioni dei patti sociali non formalmente aggiornate.
Così, ad esempio, l’iscrizione del recesso di un socio avvenuta unilateralmente per atto pubblico o scrittura privata autenticata (vedi orientamento O.A.8) rende opponibile ai terzi la sua uscita dalla compagine sociale sotto tutti i profili (par-tecipazione agli utili, poteri di amministrazione e rappresentanza, fallibilità), an-che se non è accompagnata da alcuna riformulazione delle clausole dei patti so-ciali in cui è contenuto il suo nominativo.
Motivazione
Nella stragrande maggioranza delle società di persone il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci, in quanto accade raramente che si deroghi alla regola dell’unanimità detta-ta in via residuale dall’art. 2252 c.c.
L’intervento abituale di tutti i soci alle modifiche del contratto socia-le ha favorito l’instaurarsi della prassi di accompagnare le decisioni sul-le modifiche alla riformulazione degli articoli storici del contratto dive-nuti incompatibili con le modifiche adottate, come se quest’ultimo fosse uno statuto di società di capitali.
Se l’intervento unanime dei soci alle modifiche contrattuali non fosse stato abituale probabilmente non si sarebbe mai instaurata detta prassi, in quanto la modifica di una clausola del contratto determina spesso la necessità di modificarne un’altra, che però richiede una specifica nego-ziazione da parte di tutti i soci.
Si pensi all’ipotesi di una società di persone in cui sia prevista la libe-ra trasferibilità delle quote di partecipazione, nella quale la cessione sia posta in essere da un socio coamministratore a favore di un terzo, o da un socio il cui nome compaia nella ragione sociale o al quale sia ricono-sciuto un privilegio nella ripartizione degli utili. In tali ipotesi sarà ne-cessario definire i nuovi poteri di amministrazione del socio entrante e dei soci superstiti, la nuova ragione sociale e le nuove quote di parteci-pazione agli utili. Decisioni tutte che, ovviamente, non possono essere adottate dal solo socio cedente e dal terzo entrante.
Come detto, nonostante non ricorra alcun obbligo di legge di aggior-nare gli articoli dei patti sociali divenuti incompatibili con le modifiche sopravvenute, la prassi contraria è fortemente consolidata, al punto che è diffuso il convincimento che un tale obbligo sussista, in analogia con quanto previsto dall’art. 2436, ultimo comma, c.c. per gli statuti delle società di capitali.
Se ciò fosse vero sarebbe di fatto impossibile iscrivere nel registro imprese quelle modifiche che si perfezionano senza l’intervento di tutti i soci e che richiedono ulteriori adeguamenti del contratto sociale rispetto a quelli oggetto di modifica. Si pensi alle ipotesi delle modifiche delibe-rate a maggioranza in virtù di una specifica previsione in tal senso con-tenuta nei patti sociali, a quelle del recesso o dell’esclusione, a quella del trasferimento delle partecipazioni per decreto del giudice in seguito a procedura esecutiva, al decesso del socio, e così via.
L’orientamento in commento è volto, dunque, a ribadire che nelle società di persone non ricorre alcun obbligo di aggiornare gli articoli storici del contratto sociale contestualmente all’adozione delle sue mo-difiche, confermando in tal modo la piena efficacia ed iscrivibilità nel registro delle imprese di quelle modifiche contrattuali che si perfeziona-no senza l’intervento di tutti i soci e che, per tale motivo, non possono contemplare la riscrittura di tutti gli articoli dei patti sociali divenuti in-compatibili.
La pubblicità nel registro imprese degli atti e fatti modificativi delle società di persone è di tipo storico, al pari di quella che avviene nei regi-stri immobiliari.
Si tratta di una sorta di “archiviazione” in continuità di atti successi-vi la cui somma determina la situazione giuridica attuale opponibile ai terzi. Chi effettua un’ispezione nel registro imprese non può limitarsi a consultare l’ultimo atto depositato, ma deve verificare la sua connessio-ne logico-giuridica con i precedenti al fine di ricostruire l’evoluzione sto-rica del contratto sociale e la sua attuale vigenza.
Ciò che è richiesto per una rituale pubblicità degli atti e fatti modifi-cativi delle società di persone, dunque, non è l’aggiornamento di prece-denti versioni del contratto sociale, quanto, piuttosto, la continuità e coerenza storica delle modifiche depositate (esattamente come accade per la pubblicità nei registri immobiliari).
Così, ad esempio, una volta iscritto nel registro imprese un decreto di trasferimento della partecipazione di un socio esecutato, sarà oppo-nibile ai terzi la sua uscita dalla compagine sociale ancorché il giudice che ha emanato il decreto non abbia potuto contestualmente disporre la modifica degli articoli del contratto sociale originario che contengono il nominativo del socio uscente.
Qualora, poi, una modifica del contratto determini la necessità di in-tervenire su clausole che devono essere oggetto di negoziazione tra soci diversi o ulteriori rispetto a quello o quelli che hanno adottato tale mo-difica, come, ad esempio, nell’ipotesi in cui receda dalla società il socio il cui nominativo appare nella ragione sociale, tali clausole non potran-no intendersi modificate fino a quando non intervenga la specifica deci-sione in tal senso da parte dei soci a ciò legittimati.
In ogni caso, non può ritenersi che il mancato adeguamento di clau-sole storiche del contratto sociale divenute incompatibili con le modifi-che ritualmente intercorse determini l’illegittimità, e la conseguente non iscrivibilità, di quest’ultime.
O.A.10 – (LEGITTIMITÀ DELLA NOMINA DEI LIQUIDATORI A TEMPO DETERMINA-TO - 1° pubbl. 9/14 – motivato 9/15)
Posto che i liquidatori di società di persone (da chiunque siano nominati) posso-no essere revocati in qualsiasi momento, senza necessità di giusta causa, è da ri-tenersi possibile che i soci nominino il liquidatore fissando in tal occasione un termine di durata del suo incarico.
Motivazione
Il procedimento formale di liquidazione nelle società di persone non è imposto dalla legge in modo assoluto in quanto i soci possono co-munque evitarlo pervenendo all’estinzione dell’ente mediante una diver-sa attività che possa ugualmente produrre l’effetto di definire tutti i rap-porti pendenti. Ai sensi dell’art. 2275 c.c. (applicabile alle s.n.c. per il ri-chiamo operato dall’art. 2293 c.c. e alle s.a.s. per il doppio rinvio di cui all’art. 2315 c.c.) il procedimento di liquidazione diventa necessario se il contratto non prevede il modo di liquidare il patrimonio sociale e i soci non si accordino sulle modalità. La nomina dei liquidatori da parte dei soci richiede l’unanimità dei consensi ma la norma è derogabile dal con-tratto sociale che può prevedere la nomina a maggioranza; supplisce il ricorso al presidente del tribunale se non viene raggiunta l’unanimità o la maggioranza prevista.
La cessazione dei liquidatori dall’ufficio può aver luogo, oltre che per revoca, anche per tutte le altre cause di estinzione del mandato. Per quanto riguarda la revoca in particolare, se sussiste la volontà unanime dei soci i liquidatori possono essere revocati in qualsiasi momento sen-za necessità di una giusta causa, sia se nominati dagli stessi soci sia se nominati dal presidente del tribunale. La revoca giudiziale richiede in-vece la giusta causa.
Si ritiene quindi che, in mancanza di diverse previsioni, ragioni logi-che e sistematiche conducano alla conclusione secondo cui alla nomina dei liquidatori e quindi allo svolgimento dell’incarico possa essere previ-sta una scadenza (art. 1722 n. 1 c.c.); ciò sia per il fatto che la previsione di una durata (a tempo determinato o indeterminato) è connaturale al rapporto di amministrazione sostanzialmente affine a quello dei liqui-datori che devono agire nell’interesse della società con la diligenza del mandatario; sia per il fatto che i soci, come detto, potrebbero comunque revocarli; sia, infine, perché potrebbero sussistere valide ragioni tali da giustificare una nomina a tempo determinato (es. affidare al liquidatore la redazione dell’inventario e l’espletamento di adempimenti fiscali ur-genti in funzione delle sue specifiche competenze professionali e succes-sivamente ad altro liquidatore la vendita dei beni sociali, l’estinzione delle passività e la ripartizione dell’attivo residuo avvalendosi delle sue attitudini e competenze specifiche).
Sembra esatto concludere che ove il liquidatore sia nominato a tem-po determinato ed entro la scadenza del termine pattuito il procedimen-to di liquidazione non sia esaurito egli resterà in carica fino all’accettazione della nomina da parte del subentrante.
O.A.11 - (AMMISSIBILITÀ DI SOCIETA’ SEMPLICI AVENTI AD OGGETTO LA GE-STIONE DI IMMOBILI, MOBILI REGISTRATI E PARTECIPAZIONI SOCIALI – 1° pubbl. 9/16 – motivato 9/17)
Si ritiene legittima la costituzione di società semplici che abbiano quale oggetto sociale: “l’attività di gestione di immobili, mobili registrati e partecipazioni socia-li”, senz’altro aggiungere.
In tal caso, infatti, ai sensi dell’art. 1369 c.c.; detto oggetto, per quanto astratta-mente ampio, non può che essere inteso come limitato a quanto consentito alle società semplici dal combinato disposto degli artt. 2247, 2248 e 2249, commi 1 e 2, c.c., cioè all’esercizio in comune di un’attività economica non commerciale allo scopo di divederne gli utili (vedi orientamento G.A.10).
Così limitata, l’attività di gestione di beni:
a) integra la causa tipica del contratto di società prevista dall’art. 2247 c.c.;
b) si differenzia dalla comunione di godimento in quanto, imprimendo un vinco-lo “produttivo/economico” ai beni gestiti, li sottrae all’uso diretto e personale da parte dei soci e li rende da essi inalienabili e indisponibili, in maniera incom-patibile con le regole della comunione dettate dagli artt. 1102 e 1103 c.c.;
c) non può essere svolta in maniera industriale ai sensi dell’art. 2195 c.c.
Che le società semplici possano legittimamente avere ad oggetto la gestione di beni è confermato dalla circostanza che le disposizioni contenute nell’art. 29 del-la L. 49/1997; nell’art. 3, comma 7, della L. 448/2001; nell’art. 1, commi 111-117, della L. 296/2006; nell’art. 1, comma 129, della L. 244/2007; nell’art. 1, comma 115, della L. 208/2015, postulando la legittimità della trasformazione di una so-cietà commerciale in una società semplice di mera gestione, evidenziano come il legislatore, a distanza di tempo e con una scelta di sistema, abbia ritenuto con-forme all’ordinamento che le società semplici svolgano tale attività.
Motivazione
Per quanto riguarda l’inquadramento sistematico generale della fatti-specie si rinvia alla motivazione sub orientamento G.A.10, nella quale si evidenzia come l’attività di gestione di beni possa essere svolta anche in maniera economica (commerciale o non commerciale) e, conseguen-temente, costituire l’oggetto di una società e non il mero godimento sta-tico di beni comuni.
Con specifico riferimento alla possibilità per una società semplice di svolgere tale attività, qualora ovviamente abbia i connotati di attività economica non commerciale, è opportuno aggiungere in questa sede al-cune considerazioni che ne confermino la legittimità, posto che la que-stione non è ancora del tutto pacifica.
In primo luogo, occorre rilevare come la conformità al sistema della fattispecie in commento sia stata implicitamente riconosciuta dallo stes-so legislatore nelle varie disposizioni fiscali che ha dettato nel tempo al fine di incentivare la trasformazione delle società commerciali di ge-stione in società semplici aventi il medesimo oggetto (cfr., in particola-re, l’art. 29 della L. 49/1997, che favoriva la trasformazione di società commerciali in società semplici aventi oggetto esclusivo o principale la gestione di beni immobili, mobili registrati o partecipazioni, e l’art. 1, comma 115, della L. 208/2015, che recava agevolazioni fiscali con rife-rimento alle società aventi ad oggetto la gestione di soli beni immobili e mobili registrati). Tali norme, infatti, non si preoccupano in alcun modo di consentire la creazione di società semplici di gestione (all’esito di un procedimento trasformativo), rimuovendo un divieto di legge, ma, al contrario, danno per presupposta la legittimità e conformità al sistema di una tale eventualità, limitandosi a incentivarla dal punto di vista tri-butario.
Ciò che è contenuto nelle norme fiscali è dunque una sorta di inter-pretazione autentica di sistema, la quale, provenendo dal legislatore, non può che confermare la correttezza dell’orientamento in commento.
Il valore di “interpretazione autentica” della suddette norme fiscali è rafforzato dalla circostanza che nelle medesime, oltre alla fattispecie della trasformazione in società semplice, è contemplata anche quella al-ternativa della “trasformazione” di società commerciali in comunione di godimento (cioè quella dell’assegnazione dei beni ai soci), con ciò rendendo evidente che il legislatore fiscale non ha inteso offrire alle “so-cietà di comodo” degli strumenti di uscita dal regime di impresa in de-roga ai principi dell’ordinamento, ma ha semplicemente preso in consi-derazione tutte le possibili fattispecie che il sistema di diritto civile già offriva per realizzare tale effetto, avendo ben presente la distinzione tra società semplici e comunioni di godimento.
Non tutti condividono tale lettura. Partendo dal presupposto che le suddette disposizioni fiscali hanno carattere eccezionale e temporaneo, taluni ritengono che le stesse consentano esclusivamente la creazione di società semplici di gestione all’esito dello specifico procedimento di tra-sformazione da esse contemplato e non anche la loro costituzione ex no-vo.
Tale opinione non appare condivisibile, in quanto il legislatore non può offrire ad alcuni cittadini (i soci di società di comodo) opportunità che nega ad altri, in quanto ciò violerebbe il principio di parità di trat-tamento sancito dall’art. 3 della costituzione.
Un eventuale divieto di costituire ex novo società semplici di gestione contenuto all’interno di un ordinamento che ammette il libero operare di quelle derivanti da trasformazioni, oltre a risultare iniquo, sarebbe anche privo di qualunque logica ed effettività, posto che in vigenza di un tale divieto a coloro che desiderano avviare una società semplice di gestione sarebbe comunque consentito di “acquistare” una società pree-sistente, eludendo in tal modo il divieto di costituzione.
È dunque preferibile ritenere che le disposizioni fiscali che prendono in considerazione le società semplici di gestione, inevitabilmente ne af-fermino la loro piena e incondizionata legittimità.
In ogni caso, anche prescindendo da dette disposizioni fiscali, la co-stituzione di società semplici di gestione appare consentita dall’ordinamento, in quanto fattispecie ben distinta dalla comunione di godimento.
La comunione, infatti, è una situazione di fatto e non un contratto, all’interno della quale non sorgono obbligazioni negoziali reciproche a carico dei comproprietari, i quali, anche nell’ipotesi che abbiano delibe-rato di sfruttare economicamente i loro beni comuni, conservano il dirit-to di disporne liberamente (art. 1103 c.c.), di servirsene personalmente, ancorché nei limiti di legge (art. 1102 c.c.), di domandare lo scioglimen-to della comunione (art. 1111 c.c.).
Qualora, dunque, i comunisti intendano vincolare stabilmente i beni comuni all’esercizio di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili, senza che tale attività sia destinata ad assumere il carattere della commercialità, non possono ricorrere ad un semplice regolamento che disciplini l’amministrazione e l’uso della cosa comune ex art. 1106 c.c., ma devono necessariamente perfezionare un contratto di società sem-plice, cioè lo strumento tipico che l’ordinamento offre loro per costituire un vincolo giuridicamente rilevante.
L’art. 2248 c.c. non è stato dettato per inibire ai comunisti di vinco-larsi con un contratto di società al fine di gestire in maniera economica i loro beni, ma semplicemente per impedire che le società semplici pos-sano essere utilizzate per far rivivere le abrogate società civili di mero godimento disciplinate dal codice civile del 1865.
La discriminante, dunque, tra comunione di godimento e società semplice di gestione, non risiede soltanto nell’attività economica non commerciale che deve necessariamente essere oggetto delle seconde, ma anche, e soprattutto, nella volontà negoziale o meno dei comunisti di vincolarsi all’esercizio di tale attività.
Nei limiti in cui tale volontà sussista, non può negarsi la legittimità della costituzione di una società semplice avente ad oggetto la gestione di beni, intesa, ovviamente, come attività economica non commerciale e non come mero godimento statico di beni comuni.
In tal senso si condivide l’opinione espressa dalla Suprema Corte (Cass. Sez. II civ., 6 febbraio 2009 n. 3028) secondo la quale “l’elemento discriminante tra comunione a scopo di godimento e società è costituito dallo sco-po lucrativo perseguito tramite un’attività imprenditoriale che si sostituisce al me-ro godimento ed in funzione della quale vengono utilizzati i beni comuni”, con l’unica precisazione che per tutti i tipi di società, ai sensi dell’art. 2247 c.c., non è richiesto che lo scopo lucrativo sia perseguito necessariamen-te tramite un’attività “imprenditoriale”, ma può legittimamente essere perseguito anche tramite un’attività che non abbia i caratteri dell’imprenditorialità (si pensi, ad esempio, alla società costituita per un unico affare che, in quanto tale, è carente dell’elemento della professio-nalità richiesto dall’art. 2082 c.c. perché sussista un’impresa).
È, infine, opportuno ricordare che l’attività non commerciale di ge-stione di beni può essere esercitata attraverso un qualsiasi tipo societa-rio, essendo inibito alla società semplice di svolgere attività commerciali ma non anche alle altre società di svolgere attività non commerciali.
Qualora si decida di intraprendere tale attività utilizzando il modello della società semplice, occorre tener presente che la stessa non sarà soggetta al regime della pubblicità dichiarativa nel registro imprese pre-visto per le società commerciali (dovendosi iscrivere nella sola sezione speciale con valore di pubblicità notizia), per cui sussiste una tutela at-tenuata in materia di opponibilità ai terzi degli atti e fatti societari.
O.A.12 – (CLAUSOLA DI PRELAZIONE IN FAVORE DI NON SOCI - 1° pubbl. 9/20 – motivato 9/21)
La clausola di prelazione in favore del terzo estraneo (per tale intendendosi sia soggetti terzi formalmente estranei alla compagine sociale ma legati da rapporti di parentela, coniugio o affinità con i soci; sia soggetti terzi formalmente estranei alla compagine sociale ma legati da rapporti societari e/o contrattuali con la so-cietà o i soci; sia soggetti terzi estranei tanto sul piano formale quanto su quello sostanziale rispetto ai soci) è legittima e compatibile con l’ordinamento societa-rio vigente e può essere introdotta nell’atto costitutivo sia in sede di costituzio-ne della società in base alla volontà comune di tutti i soci fondatori sia durante la vita sociale mediante modifica del contratto sociale con il consenso di tutti i soci, se non sia stato convenuto diversamente (art. 2252 c.c.).
É opportuno precisare nella clausola se il diritto di prelazione vincola anche i so-ci diversi dal cedente o se il trasferimento conseguente al suo esercizio sia su-bordinato al loro consenso (unanime o a maggioranza).
Tale clausola può essere rimossa senza il consenso del terzo.
Motivazione
Anche nei contratti di società personali talvolta è presente una clau-sola di prelazione con la quale si impone al socio che intende alienare la propria partecipazione l’obbligo di offrirla, normalmente a parità di condizioni, ad altri soggetti indicati dalla clausola stessa, usualmente tutti gli altri soci uti singuli, proporzionalmente tra loro.
Senza entrare nel merito di quale sia il significato di una siffatta clausola in assenza di una esplicita deroga alla regola del consenso unanime dettata dall’art. 2252 c.c. e quindi senza valutare se la clausola di prelazione sia o meno compatibile con la scelta di conservare la rego-la generale secondo cui il contratto è modificabile soltanto con il con-senso di tutti i soci, l’orientamento in esame analizza un profilo partico-lare del vasto tema della prelazione societaria e cioè quello della possi-bilità di individuare il soggetto preferito nell’acquisto in un terzo estra-neo alla compagine sociale il quale a seguito dell’esercizio del diritto così riconosciutogli entra a far parte della società.
Alla questione sembra possibile dare risposta affermativa in quanto il mantenimento dell’omogeneità della compagine sociale, cui normal-mente è finalizzata l’introduzione di una clausola di prelazione in favo-re dei soci appare un interesse disponibile da parte degli stessi soci.
Nelle società di persone, in particolare, ove più spiccato è l’aspetto contrattualistico e nel cui ambito il concetto di modificazione contrat-tuale è particolarmente ampio rientrandovi oltre agli elementi oggettivi anche quelli di carattere soggettivo costituiti dal mutamento delle per-sone dei soci e dall’ingresso di nuovi soci, nulla sembra ostare a che i soci - sia in sede di costituzione (all’unanimità), che successivamente in sede di modifica del contratto sociale (all’unanimità o a maggioranza se si è derogata la regola di “default” di cui all’art. 2252 c.c.) - prevedano l’adozione di una clausola per cui, in caso di trasferimento della parte-cipazione, a parità di condizioni, si individui un soggetto, estraneo all’attuale compagine sociale, che avrà diritto ad esser preferito nell’acquisto delle quote oggetto di alienazione.
In ogni caso non appare necessario, se non nel momento dell’effettivo esercizio del diritto, un consenso del prelazionario né un suo intervento, nemmeno in caso di rimozione della clausola.
L’orientamento in commento invita anche al rispetto delle regole di buona tecnica redazionale evidenziando alcuni aspetti da sviluppare nel-la eventuale clausola pattizia, in primis l’apposizione di una disposizione contrattuale specifica volta a regolamentare le modificazioni di caratte-re soggettivo e, pure, la regolamentazione del profilo inerente l’eventuale consenso dei soci quale elemento di efficacia del contratto di cessione nei confronti della società (e degli altri soci).
O.A.13 – (OPERATIVITÀ DELLA CLAUSOLA DI PRELAZIONE A FAVORE DI NON SOCI - TECNICHE REDAZIONALI ED AUTONOMIA CONTRATTUALE - 1° pubbl. 9/20 – motivato 9/21)
Ammessa la liceità dell’introduzione nei patti sociali (vedasi Orientamento O.A.12) della clausola di prelazione a favore di non soci, che “ab origine” si intro-duce per agevolare l’ingresso di un estraneo in società, la sua disciplina può es-sere declinata variamente ed ampiamente nell’esercizio dell’autonomia contrat-tuale.
Sarà così possibile prevedere che a fronte dell’esercizio, anche solo parziale, del diritto di prelazione da parte del terzo la clausola diventi inefficace per il futuro (avendo carattere tendenzialmente precario o temporaneo ed avendo esaurito la sua funzione con l’ingresso in società del terzo; in tal caso il diritto si consuma con il suo primo esercizio ed indipendentemente dalla misura o dalla quantità delle partecipazioni acquisite), oppure, al contrario, che il diritto di prelazione permanga in capo al soggetto pre-individuato (originariamente estraneo) il quale lo potrà esercitare ogni volta che intervenga un trasferimento di partecipazioni (e quindi anche qualora sia già divenuto socio).
Ma sono peraltro da ritenersi legittime anche discipline più articolate in funzio-ne delle diverse esigenze manifestate dai paciscenti, quali, ad esempio: la per-manenza del diritto in capo al terzo per più volte fino al raggiungimento di una certa soglia o percentuale di capitale sociale; la spettanza del diritto al soggetto pre-individuato anche più volte ma solo se al momento dell’esercizio della prela-zione sia attualmente terzo (pur essendo stato una o più volte socio); oppure ancora, qualora si intenda introdurre vincoli alla circolazione delle partecipazioni della società controllata, l’attribuzione del diritto di prelazione in favore di tutti i soci della società controllante proporzionalmente in base alle rispettive parteci-pazioni e con diritto di prelazione ulteriore, per la eventuale parte residua, a fa-vore di quelli che abbiano esercitato la prelazione nell’esercizio del diritto attri-buito dai patti sociali.
Le singole clausole potranno essere variamente declinate in relazione agli stru-menti offerti dal modello societario.
Motivazione
Vedi sub H.I.31