K.A. Trasformazione > Trasformazione
K.A.1 - (TRASFORMAZIONE DI SRL CHE HA RICEVUTO CONFERIMENTI IN NATURA IN SPA - 1° pubbl. 9/04)
Non è necessario procedere ad una nuova stima formata da un esperto nominato dal tribunale nel caso in cui una s.r.l., che abbia ricevuto conferimenti in natura, si trasformi in s.p.a., purché tra la data del conferimento e quella di trasformazione sia intercorsa l’approvazione di almeno un bilancio di esercizio.
K.A.2 - (TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ DI PERSONE IN SOCIETÀ DI CAPITALI CON RIDUZIONE DEL CAPITALE - 1° pubbl. 9/04 - modif. 9/05)
Nella trasformazione di società di persone in società di capitali, il capitale risultante dopo l’operazione non può essere inferiore a quello nominale anteriore alla trasformazione a meno che la riduzione sia necessaria per adeguarsi alla stima ex art. 2500 ter, comma 2, c.c., ovvero sia ritualmente adottata nelle forme della riduzione reale del capitale.
K.A.3 - (SPESE DI COSTITUZIONE NELLE TRASFORMAZIONI - 1° pubbl. 9/04)
Le spese dell’atto costitutivo vanno inderogabilmente indicate solo nelle costituzioni di società di capitali e di cooperative e non nelle trasformazioni.
K.A.4 - (AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ART. 2500 SEXIES C.C. - 1° pubbl. 9/05)
La norma dell’art. 2500 sexies c.c. benché sia intitolata “Trasformazione di società di capitali” in realtà si riferisce alle sole trasformazioni di società di capitali in società di persone, non anche alle trasformazioni di società di capitali in altre società di capitali, come si può ricavare dalle disposizioni dei commi primo e quarto. Pertanto la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 2500 sexies c.c. che prescrive l’obbligo della relazione dell’organo amministrativo, non si applica in caso di trasformazione nell’ambito delle società di capitali (ad esempio nel caso di trasformazione di una s.r.l. nella forma di s.p.a. o di una s.p.a. nella forma di s.r.l.).
Resta in ogni caso salvo il disposto dell’art. 2500 septies, comma 2, c.c., per le ipotesi di trasformazione ivi previste.
K.A.5 - (TRASFORMAZIONE IN CONSORZIO O SOCIETÀ CONSORTILE - 1° pubbl. 9/05)
Nella trasformazione in consorzio e/o in società consortile è (implicitamente) necessario verificare che sussistano tutti i requisiti “speciali” previsti per tali enti. In particolare, sarà necessario verificare che tutti i soci siano imprenditori e la natura consortile del nuovo oggetto sociale, procedendo altrimenti ai necessari adeguamenti (ed eventuali esclusioni).
K.A.6 - (TRASFORMAZIONE ETEROGENEA - 1° pubbl. 9/05)
Ogni ipotesi di trasformazione eterogenea da società di capitali richiede, per effetto della norma di cui all’art. 2500-septies c.c. (che richiama l’art. 2500-sexies c.c.), la predisposizione della relazione degli amministratori che illustri le ragioni e gli effetti della proposta trasformazione, la quale deve essere messa a disposizione dei soci nei termini di legge.
K.A.7 - (OBBLIGO DI IMPUTABILITÀ A CAPITALE DEL PATRIMONIO NETTO DI UNA SOCIETÀ DI PERSONE TRASFORMATA IN SOCIETÀ DI CAPITALI - 1° pubbl. 9/05)
Nell’ipotesi di trasformazione di società di persone in società di capitali non sussiste alcun obbligo di legge di imputare a capitale della società trasformata il patrimonio netto della società di persone eccedente il capitale preesistente, quale risultante dalla perizia di stima redatta ai sensi dell’art. 2500-ter, comma 2, c.c.
K.A.8 - (TRASFORMAZIONE DI ENTE DIVERSO DA SOCIETÀ DI CAPITALI IN COOPERATIVA E PERIZIA DI STIMA – 1° pubbl. 9/05)
Ancorché il capitale, nelle società cooperative, svolga un ruolo diverso da quello svolto nelle società lucrative, anche nel caso di trasformazione di consorzio (o altro ente diverso dalla società di capitali) in società cooperativa troverà applicazione la disciplina relativa alla formazione e valutazione del patrimonio che si applica nelle società lucrative. Quindi, secondo i casi, dovrà procedersi alla stima del patrimonio secondo le regole di cui all’art. 2464 e segg. c.c., se la cooperativa assumerà la disciplina della società a responsabilità limitata, ovvero di cui all’art. 2342 e segg. c.c. se adotterà, invece, la disciplina della società per azioni. Ciò trova fondamento e conferma, tra l’altro, nella previsione di cui all’art. 13 della II Direttiva comunitaria in materia societaria.
K.A.9 - (DECADENZA DEL COLLEGIO SINDACALE E DEL REVISORE CONTABILE IN SEGUITO A TRASFORMAZIONE SOCIETARIA - 1° pubbl. 9/06)
Nel caso in cui una società dotata di collegio sindacale e/o di revisore si trasformi in un tipo incompatibile con la presenza di tali organi i componenti degli stessi decadono dalla data di efficacia della trasformazione.
Tra i tipi incompatibili con la presenza del collegio sindacale e/o del revisore, oltre alle società di persone, è da annoverare anche la società a responsabilità limitata che non versi nelle condizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 2477 c.c. e che non abbia recepito nel proprio statuto la previsione di nomina facoltativa del collegio sindacale o del revisore ai sensi del comma 1 del medesimo art. 2477 c.c.
K.A.10 - (APPONIBILITÀ DI UN TERMINE INIZIALE DI EFFICACIA ALLE DELIBERE DI TRASFORMAZIONE - 1° pubbl. 9/06 – motivato 9/11)
Alle delibere di trasformazione societaria, comprese le trasformazioni in società di capitali di cui all’art. 2500, ultimo comma, c.c., è possibile apporre un termine iniziale di efficacia, a condizione che detto termine non decorra da una data anteriore alla iscrizione della delibera nel registro delle imprese né sia superiore ai sessanta giorni da detta iscrizione.
Motivazione
Come è noto la riforma del diritto societario ha inteso risolvere alla radice il problema della efficacia delle modifiche del contratto sociale prima della loro conoscibilità da parte dei terzi, stabilendo che le stesse non producono alcun effetto, nemmeno inter partes, fino a quando non sono iscritte nel registro imprese, indipendentemente dalla loro eventuale conoscenza o conoscibilità anteriore.
Un esempio emblematico dell’enfasi con cui il legislatore della riforma ha ricercato ed imposto un meccanismo di pubblicità costituiva per tutte le vicende modificative delle società di capitali è contenuto nell’art. 2484, comma 4, c.c.
Detta disposizione prevede che anche lo scioglimento di una società di capitali per cause oggettivamente riscontrabili, quale quello per scadenza del termine, non sia efficace fino a quando non venga iscritta nel registro delle imprese la dichiarazione degli amministratori che accerta tale causa di scioglimento.
Il termine di efficacia legale delle modifiche del contratto sociale, coincidente con l’iscrizione nel registro delle imprese, è stato evidentemente introdotto nell’ordinamento in omaggio a principi di trasparenza, di informazione, di tutela della buona fede e di affidabilità dei pubblici registri, ritenuti prevalenti rispetto all’interesse sociale alla immediata esecuzione delle delibere.
In materia di trasformazione societaria ciò risulta particolarmente evidente, poiché il legislatore ha subordinato l’efficacia di tale operazione al compimento di una doppia pubblicità, quella propria del tipo di partenza e quella propria del tipo di arrivo.
Se è corretta tale ricostruzione può senz’altro affermarsi che non è consentito prevedere convenzionalmente un termine di efficacia delle trasformazioni societarie anteriore rispetto al compimento della pubblicità prevista dall’art. 2500, commi 2 e 3, c.c., ma è senz’altro possibile prevedere un termine successivo.
Che l’apposizione ad una trasformazione di un termine di efficacia successivo rispetto all’iscrizione nel registro imprese della relativa decisione non sia contraria all’ordine pubblico è confermato dalla circostanza che l’ordinamento prevede diverse fattispecie legali di questo tipo.
Basti pensare alla trasformazione eterogenea, che ha efficacia allo spirare del termine di sessanta giorni dalla sua iscrizione nel registro imprese senza che siano state proposte opposizioni (art. 2500-novies, comma 1, c.c.), ovvero alle fusioni per incorporazione “trasformative”, quelle fusioni cioè che producono un mutamento di forma dell’ente incorporato, dell’ente incorporante o di entrambi (per necessità o per scelta), ai quali può essere sempre apposto un termine iniziale di efficacia ai sensi dell’art. 2504-bis, comma 2, c.c.
Il problema che si pone non è dunque quello della legittimità dell’apposizione di un termine iniziale di efficacia ad una trasformazione, ma quello della congruità del termine dilatorio, in relazione alla meritevolezza dell’interesse che si intende tutelare, e, ove necessaria, all’attualità della perizia di stima del patrimonio sociale.
Rintracciare nell’ordinamento un criterio che consenta di determinare quando un termine iniziale di efficacia apposto ad una trasformazione possa considerarsi congruo e quando invece confligga con l’ordine pubblico, e quindi sia illegittimo, appare impresa non facile.
In merito si può tuttavia rilevare che il legislatore, nella disposizione contenuta nel comma 1 dell’art. 2500-novies c.c., ammettendo, o meglio imponendo, un termine iniziale di efficacia per le trasformazioni eterogenee, pari a sessanta giorni dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari, ha effettuato positivamente una valutazione sulla congruità, e conseguente legittimità, di tale termine.
Prescindendo dunque da qualsiasi ulteriore indagine in relazione a termini dilatori superiori, deve ritenersi senz’altro lecita l’apposizione ad una decisione di trasformazione di un termine convenzionale di efficacia iniziale non superiore a sessanta giorni dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari previsti dall’art. 2500, comma 2, c.c.
K.A.11 - (RELAZIONE DI STIMA IN CASO DI CONFERIMENTO DI BENI IN NATURA E CONTESTUALE TRASFORMAZIONE DI SPA IN SRL - 1° pubbl. 9/06)
Nel caso in cui si deliberi la trasformazione di una società da spa a srl con contestuale conferimento di beni in natura la relazione di stima dei beni oggetto di conferimento è redatta ai sensi dell’art. 2465 c.c., in quanto le dette delibere di trasformazione e di aumento saranno efficaci solo dopo l’iscrizione nel registro delle imprese e quindi quando la società conferitaria avrà assunto la forma di srl.
L’esposto principio vale anche nel caso che il conferimento in natura sia eseguito in anticipo rispetto all’iscrizione della delibera, poiché in detto caso anche l’efficacia del conferimento è sospensivamente condizionata ex lege alla iscrizione della delibera suo presupposto.
Nell’esposta fattispecie esiste un collegamento negoziale tra le due delibere, pertanto, nel caso che il notaio non dovesse ravvisare i presupposti di legge per l’iscrivibilità della trasformazione non potrà procedere neppure all’iscrizione dell’aumento in natura.
K.A.12 - (TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ CONSORTILE A RESPONSABILITÀ LIMITATA IN CONSORZIO E CONSENSO DEI SOCI EX ART. 2500 SEXIES, COMMA 1, C.C. - 1° pubbl. 9/06)
La trasformazione di una società consortile a responsabilità limitata in consorzio può essere adottata senza il consenso di tutti i soci di cui all’art. 2500 sexies, comma 1, c.c.
La responsabilità che i soci assumeranno in seguito alla trasformazione per le eventuali obbligazioni che il consorzio contrarrà per loro conto ai sensi dell’art. 2615, comma 2, c.c., non è infatti la responsabilità illimitata generica rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 2500-sexies, comma 1, c.c., bensì è la responsabilità propria e fisiologica del mandato senza rappresentanza, limitata a quanto richiesto dal consorziato al consorzio.
K.A.13 - (RINUNCIABILITÀ ALLA RELAZIONE SULLA TRASFORMAZIONE EX ART. 2500 SEXIES, COMMA 2, C.C. - 1° pubbl. 9/06 – motivato 9/11)
La relazione degli amministratori che illustri le motivazioni e gli effetti della trasformazione ex art. 2500 sexies, comma 2, c.c., è volta a tutelare unicamente gli interessi dei soci, pertanto è da questi rinunciabile all’unanimità.
La rinuncia può avvenire anche con riguardo al solo preventivo deposito.
Motivazione
L’art. 2500 sexies, comma 2, c.c., con riguardo alla cd. “trasformazione regressiva” (ossia da società di capitali in società di persone) così dispone: “gli amministratori devono predisporre una relazione che illustri, le motivazioni e gli effetti della trasformazione. …..” (per la riferibilità dell’art. 2500 sexies c.c. alle sole trasformazioni da società di capitali in società di persone, benché tale articolo sia intitolato “Trasformazione di società di capitali” vedasi l’orientamento K.A.4).
Detta disposizione conferma il disfavore del legislatore per la trasformazione regressiva.
L'operazione deve essere compiutamente illustrata e motivata in modo da consentire ai soci di deliberare con maggiore ponderazione ed, eventualmente, decidere di esercitare il diritto di recesso, sempre riconosciuto ai soci che non hanno concorso all’approvazione delle delibere di trasformazione dagli artt. 2437, comma 1, lett. b, e 2473, comma 1, c.c.
La predetta relazione dovrà pertanto illustrare le motivazioni economico-giuridiche sottostanti alla trasformazione ed i suoi effetti.
Non è mancato chi ha colto delle analogie tra questa relazione e le relazioni degli amministratori prescritte nel caso di fusione (art. 2501-quinquies c.c.) o di scissione (art. 2506-ter c.c.)
Da notare però che per la trasformazione regressiva, oltre alla suddetta relazione degli amministratori, null’altro è richiesto: non sono, ad esempio, richiesti un bilancio straordinario né tanto meno una relazione di stima (documenti normalmente previsti laddove è necessario tutelare gli interessi dei creditori sociali).
Ciò si giustifica per il fatto che i creditori sociali non sono pregiudicati da una trasformazione regressiva: i creditori oltre che sul capitale sociale potranno far valere i loro diritti anche sul patrimonio personale dei soci divenuti illimitatamente responsabili.
Nel caso di trasformazione regressiva si pone, invece, l’esigenza di favorire una decisione dei soci il più possibile consapevole e ponderata.
Tale esigenza è appunto soddisfatta dalla relazione degli amministratori, che, pertanto, è da considerare posta nell’esclusivo interesse dei soci.
A conferma di ciò, l’art. 2500-sexies, comma 2, seconda parte, c.c. dispone che essa debba restare depositata presso la sede durante i trenta giorni che precedono l'assemblea, e finché la trasformazione sia deliberata, e che i soci avranno diritto di prenderne visione e di ottenerne gratuitamente copia.
La norma non richiede, invece, che la relazione sia depositata al registro imprese, né che sia obbligatoriamente allegata al verbale (per essere portata a conoscenza anche dei “terzi”).
Una volta ritenuto che la relazione sia prevista nell’esclusivo interesse dei soci è possibile affermare che i medesimi possono rinunciare con decisione unanime:
- a detta relazione;
- al solo deposito presso la sede sociale;
- al solo termine di 30 giorni previsto per il deposito presso la sede sociale.
La rinuncia alla relazione (al suo deposito o al termine) potrà avvenire in assemblea, se i soci sono tutti presenti, ovvero potrà essere intervenuta in precedenza e fatta constare in assemblea da dichiarazione resa dagli amministratori.
K.A.14 - (FORMA DELL'ATTO DI TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ DI PERSONE O DI FATTO IN SOCIETÀ DI CAPITALI - 1° pubbl. 9/06)
La trasformazione di una società di persone, ancorché irregolare, o di fatto, in società di capitali richiede l'atto pubblico ad substantiam.
K.A.15 - (FORMA DELL'ATTO DI TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ DI PERSONE O DI FATTO IN ALTRA SOCIETÀ DI PERSONE - 1° pubbl. 9/06)
La trasformazione di una società di persone, ancorché irregolare, o di fatto in altro tipo di società di persone può essere stipulata anche per scrittura privata autenticata.
K.A.16 - (IMPOSSIBILITÀ DI TRASFORMAZIONE IN SOCIETÀ DI PERSONE IRREGOLARE - 1° pubbl. 09/06)
La norma che fa decorrere l'efficacia delle trasformazioni dalla esecuzione degli adempimenti pubblicitari previsti dalla legge (art. 2500, commi 2 e 3, c.c.) preclude la possibilità di esistenza di società di persone irregolari a seguito di trasformazione.
Infatti, in mancanza della prescritta iscrizione dell'atto di trasformazione nel registro delle imprese della società trasformata, l'atto di trasformazione non produce alcun effetto, continuando ad applicarsi la disciplina prevista per il tipo originario.
K.A.17 - (TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ DI PERSONE IRREGOLARE O DI FATTO IN ALTRO TIPO DI SOCIETÀ REGOLARE - 1° pubbl. 9/06)
La norma che fa decorrere l'efficacia della trasformazione dalla esecuzione degli adempimenti pubblicitari previsti dalla legge (art. 2500, commi 2 e 3, c.c.) non preclude la possibilità per una società irregolare o di fatto, che non proceda ad una preventiva regolarizzazione, di trasformarsi direttamente in altro tipo di società regolare.
L'efficacia della trasformazione decorrerà dall'iscrizione nel registro delle imprese dell'atto di trasformazione, senza ulteriori formalità in ordine al tipo trasformato.
K.A.18 - (DECISIONE DI TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ DI PERSONE IN ALTRA SOCIETÀ DI PERSONE – MAGGIORANZE - 1° pubbl. 9/06)
La disposizione di cui all’art. 2500-ter, comma 1, c.c., trova applicazione nella sola ipotesi ivi prevista, pertanto, in mancanza di una diversa specifica disciplina contenuta nei patti sociali, la decisione di trasformare una società di persone in altra società di persone deve essere adottata all'unanimità.
K.A.19 - (NON APPLICABILITÀ DELL’ART. 2500 TER, COMMA 1, C.C. ALLE SOCIETÀ COSTITUITE PRIMA DELLA SUA ENTRATA IN VIGORE - 1° pubbl. 9/06)
Poiché la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 2500-ter c.c. ha invertito la previsione legale previgente, contenuta nell’art. 2252 c.c., in ordine alla necessità, salvo patto contrario, del consenso unanime dei soci per la valida adozione della decisione di trasformare una società di persone in una società di capitali, tale disposizione non può essere applicata a quei contratti che si siano formati prima della sua entrata in vigore.
Nel caso contrario si violerebbero i principi della irretroattività delle norme di cui all’art. 11 delle preleggi e sulla interpretazione della volontà dei contraenti di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. (cfr. Decr. Trib. Milano, sez. VIII civile, 8 luglio 2005; Decr. Trib. Reggio Emilia, 13 gennaio 2006).
K.A.20 - (CONTENUTO MINIMO DELLE CLAUSOLE CHE RENDONO INAPPLICABILE LA TRASFORMAZIONE A MAGGIORANZA DI CUI ALL'ART. 2500 TER C.C. - 1° pubbl. 9/06)
La decisione di trasformazione di una società di persone in una società di capitali, pur rientrando nell'ampio “genus” delle decisioni di modifica del contratto sociale, è specificamente disciplinata per le società costituite dopo l’entrata in vigore della riforma del diritto societario dall'art. 2500-ter c.c., che, in deroga al principio dell'unanimità genericamente previsto dall'art. 2252 c.c., ne consente l'adozione a maggioranza, salvo diversa disposizione del contratto sociale.
La diversa disposizione del contratto sociale sufficiente a ripristinare la regola dell'unanimità può anche essere formulata con l’introduzione di clausole generiche del tipo: “Le modificazioni del contratto sociale debbono essere adottate all'unanimità”, ovvero: “Per le modificazioni del contratto sociale si applica l'art. 2252 c.c.”; in tali ipotesi infatti è necessario interpretare le dette clausole, apparentemente inutili perché riproduttive di principi di legge, in conformità al disposto di cui all’art. 1367 c.c., nel senso cioè in cui possano avere un qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.
K.A.21 - (DECISIONE DI TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ DI PERSONE IN SOCIETÀ DI CAPITALI A MAGGIORANZA E ADOZIONE DEL NUOVO STATUTO - 1° pubbl. 9/06)
In mancanza di espressa diversa previsione del contratto sociale, si deve ritenere che l'art. 2500-ter, comma 1, c.c., nella parte in cui prevede la trasformazione a maggioranza delle società di persone in società di capitali, consenta l'approvazione con la medesima maggioranza del nuovo testo dello statuto della società trasformata anche in quelle parti che non risultano strettamente necessarie per l'adozione del nuovo tipo sociale (si pensi all'introduzione di particolari maggioranze, o all'adozione di particolari sistemi di “governance”, o a clausole di prelazione, o di limitazione alla circolazione delle partecipazioni, o alla previsione di ipotesi facoltative di recesso o esclusione, ecc.).
Restano comunque salve le disposizioni dettate da norme speciali in deroga al principio dell'art. 2500-ter c.c. (si pensi all'art. 34 del D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 nella parte in cui prevede che l'introduzione o la soppressione di clausole compromissorie debba essere approvata dai soci che rappresentino almeno i 2/3 del capitale sociale).
K.A.22 - (LEGITTIMITÀ DELLA PATTUIZIONE CHE CONSENTE LA TRASFORMAZIONE A MAGGIORANZA DI SOCIETÀ DI PERSONE IN ALTRA SOCIETÀ DI PERSONE - LIMITAZIONI - 1° pubbl. 9/06)
L'introduzione del principio di trasformabilità a maggioranza delle società di persone in società di capitali rende legittima la pattuizione che consente di trasformare a maggioranza una società di persone in altra società di persone, in deroga al principio generale sancito dall'art. 2252 c.c.
Peraltro detta pattuizione deve armonizzarsi con le seguenti due limitazioni dettate da esigenze sistematiche:
a) l'attribuzione del diritto di recesso al socio che non ha concorso alla decisione;
b) la necessità del consenso di tutti i soci che con la trasformazione (es. da s.a.s. in s.n.c.) assumono responsabilità illimitata.
La mancata espressa previsione di tali limitazioni nella clausola che consente la trasformazione a maggioranza di società di persone in altra società di persone, non inficia la validità della clausola stessa, che dovrà ritenersi integrata ex lege con le limitazioni medesime.
K.A.23 - (AMMISSIBILITÀ DELLA TRASFORMAZIONE DI UNA SOCIETÀ DI CAPITALI UNIPERSONALE IN UNA SOCIETÀ DI PERSONE CON UNICO SOCIO - 1° pubbl. 9/06 – motivato 9/11)
Si ritiene ammissibile la trasformazione di una società di capitali unipersonale in una società di persone con un unico socio in quanto l'atto di trasformazione non comporta l'estinzione della società preesistente e la nascita di una nuova società, ma la continuazione della stessa società in una nuova veste giuridica, alla stregua di una mera modificazione dell'atto costitutivo.
In tal caso la società trasformata sarà posta in liquidazione solo qualora, nel termine di sei mesi, non si costituisca la pluralità dei soci.
Motivazione
La relazione di accompagnamento alla riforma evidenzia come in tema di trasformazione (con l'art. 2498 c.c. novellato) si sia voluto dare maggior risalto alla continuità dei rapporti giuridici (già prevista nel vecchio testo dell'art. 2498, comma 3, ultima parte, c.c.) “intesa appunto come segno di una prospettiva di modificazione e non novativa-successoria, chiarendo altresì che la continuazione riguarda anche i rapporti processuali”.
Significativa in tal senso appare anche la nuova rubrica dell'art. 2498 c.c.: “Continuità dei rapporti giuridici”.
La trasformazione attua infatti una modifica della struttura societaria, realizzata attraverso una variazione tipologica e/o causale della società stessa.
Il principio di continuità delle posizioni giuridiche attive e passive, pur a seguito del mutamento della struttura organizzativa, rappresenta l'effetto qualificante della trasformazione.
Nella stessa nozione di trasformazione è insito il risultato della continuità dei rapporti giuridici tramite i quali si esplica l'attività della società, pur nel mutamento della veste organizzativa.
Con la trasformazione si modificano le sole regole corporative applicabili alla società, nella consapevolezza che tale mutamento non interferisce sul piano della continuità dell'esercizio dell'impresa.
L'atto di trasformazione non è un nuovo contratto, ma è una “deliberazione” dei soci adottata secondo le regole del procedimento decisionale endosocietario, come tale produce i suoi effetti anche nei confronti dei dissenzienti (primo fra tutti quello dell’insorgere del diritto di recesso).
La trasformazione è, infatti, decisa dai soci in assemblea (per le società di capitali) o con il consenso della maggioranza dei soci calcolata per le quote di partecipazione agli utili (per le società di persone), salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo.
Viceversa, per la costituzione di una nuova società è richiesta la manifestazione di volontà di tutti i soci costituenti.
È dunque certo che non si può parlare di effetto novativo della trasformazione.
Si tratta di una mera vicenda evolutiva del medesimo ente, finalizzata all’adozione di una disciplina dell'assetto societario adeguata alle mutate esigenze della società, e non certo di un atto comportante trasferimenti patrimoniali.
La trasformazione societaria non determina né l'estinzione della società trasformanda, né la costituzione ex novo della società trasformata.
L’ente coinvolto conserva la propria originaria identità.
A ciò consegue che la regola della pluralità dei soci dettata per la costituzione di società di persone non può trovare applicazione nella trasformazione.
Pertanto, si deve ritenere legittima la trasformazione di una società di capitali con unico socio in una società di persone, salvo lo scioglimento della società stessa qualora, nel termine di sei mesi, non si costituisca la pluralità dei soci.
Si tratterebbe comunque di un effetto giuridico del tutto indipendente dall'iter della trasformazione, oltre che eventuale.
Stante quanto sopra, appare legittimo ritenere che la trasformazione in società di persone costituisca un valido ed efficace rimedio volto ad evitare lo scioglimento della società di capitali unipersonale che abbia ridotto il proprio capitale al di sotto del minimo legale, ai sensi degli artt. 2447, 2482-ter e 2484 c.c.
K.A.24 – (TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ CONSORTILE AVENTE FORMA DI SOCIETÀ DI PERSONE IN SOCIETÀ DI CAPITALI – RELAZIONE DI STIMA EX ART. 2500 TER C.C. – NECESSITÀ – 1° pubbl. 9/07)
In ogni caso di trasformazione di società consortile avente forma di società di persone in società di capitali (avente o meno oggetto consortile), deve ritenersi necessaria la preventiva acquisizione della relazione di stima redatta ai sensi dell’art. 2343 ovvero dell’art. 2465 c.c., in forza dell’art. 2500-ter, comma 2, c.c.
K.A.25 – (TRASFORMAZIONE ETEROGENEA DI SOCIETÀ CONSORTILE A RESPONSABILITÀ LIMITATA IN SOCIETÀ DI CAPITALI AVENTE SCOPO LUCRATIVO – RELAZIONE DI STIMA – ESCLUSIONE – 1° pubbl. 9/07)
Nel caso di trasformazione eterogenea di società consortile a responsabilità limitata in società di capitali avente scopo lucrativo non è necessaria la relazione di stima redatta a norma dell’art. 2343 ovvero dell’art. 2465 c.c., non trovando applicazione la previsione dell’art. 2500 ter, comma 2, c.c.
K.A.26 – (CONSENSO DEI SOCI TITOLARI DI PARTICOLARI DIRITTI EX ART. 2468, COMMA 3, C.C. NEL CASO DI TRASFORMAZIONE - 1° pubbl. 9/08)
È necessario il consenso di tutti i soci titolari di diritti particolari ex art. 2468, comma 3, c.c., per deliberare una trasformazione che comporti il venir meno di detti diritti, a meno che l’atto costitutivo della società trasformata non preveda, ai sensi dell’art. 2468, comma 4, c.c., che i medesimi diritti possano essere modificati a maggioranza.
K.A.27 – (TRASFORMAZIONE DI ENTI O SOCIETÀ DIVERSI DALLE SOCIETÀ DI CAPITALI IN ASSOCIAZIONI – 1° pubbl. 9/08)
L’art. 2500 septies c.c. contempla espressamente la sola trasformazione di società di capitali in associazione non riconosciuta.
Si deve tuttavia ritenere legittima - ai sensi dell’art. 1322 c.c. - ogni ulteriore trasformazione in associazione non riconosciuta di enti o società, diversi dalle società di capitali, ai quali sia comunque consentito di trasformarsi in dette società di capitali.
È infatti conforme ai principi dell’ordinamento porre in essere un singolo negozio che raggiunga direttamente il medesimo effetto giuridico che è possibile ottenere con una serie di negozi tipici.
Così se una società di persone può legittimamente trasformarsi in società di capitali e questa a sua volta può legittimamente trasformarsi in associazione non riconosciuta, sarà altresì legittimo che una società di persone si trasformi direttamente in associazione non riconosciuta.
K.A.28 - (TRASFORMAZIONE DI ASSOCIAZIONI – 1° pubbl. 9/08)
L’art. 2500 octies c.c. contempla espressamente la sola trasformazione di associazioni riconosciute in società di capitali.
Si deve tuttavia ritenere legittima - ai sensi dell’art. 1322 c.c. - ogni ulteriore trasformazione di associazioni riconosciute in enti diversi dalle società di capitali, i quali ultimi possano comunque derivare dalla trasformazione di una società di capitali.
È infatti conforme ai principi dell’ordinamento porre in essere un singolo negozio che raggiunga direttamente il medesimo effetto giuridico che è possibile ottenere con una serie di negozi tipici.
Così se una associazione riconosciuta può legittimamente trasformarsi in una società di capitali e questa a sua volta può legittimamente trasformarsi in una società di persone, sarà altresì legittimo che una associazione riconosciuta si trasformi direttamente in una società di persone.
Le facoltà di trasformazione espressamente concesse ad una associazione riconosciuta devono ritenersi attribuite anche ad una associazione non riconosciuta, sempre ai sensi dell’art. 1322 c.c.
L’ordinamento ha infatti già valutato positivamente, all’art. 2500-octies c.c., la possibilità di trasformare enti privi di personalità giuridica, ovvero non soggetti ad alcuna forma di pubblicità (ad es. le comunioni di azienda e i consorzi con attività interna).
K.A.29 – (TRASFORMAZIONE DI ASSOCIAZIONE COSTITUITA PRIMA DELL’ENTRATA IN VIGORE DELLA RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO E QUORUM DELIBERATIVI – 1° pubbl. 9/08)
L’art. 2500-octies, comma 2, c.c., consente alle associazioni di deliberare la loro trasformazione in società di capitali con le maggioranze richieste dalla legge o dall’atto costitutivo per lo scioglimento anticipato.
Il successivo comma 3, del medesimo art. 2500-octies c.c., aggiunge che la trasformazione di associazioni in società di capitali può essere esclusa dall’atto costitutivo.
Dal combinato disposto di dette norme deriva che non è possibile deliberare a maggioranza la trasformazione di una associazione costituita anteriormente alla riforma del diritto societario, nel caso in cui non risulti che sia intervenuta la decisione unanime degli associati di non introdurre nello statuto il divieto di trasformazione.
Diversamente vi sarebbe una illegittima disparità di trattamento tra gli associati delle associazioni costituite successivamente alla novella (ai quali è sempre consentito di esprimersi individualmente sul punto – in sede di costituzione o accettando lo statuto al momento dell’adesione) rispetto a quelli delle associazioni costituite anteriormente.
Tale disparità di trattamento deriverebbe inoltre da una norma retroattiva.
K.A.30 – (TRASFORMAZIONE OMOGENEA DI SOCIETÀ IN LIQUIDAZIONE – 1° pubbl. 9/09)
Si ritiene sempre legittimo, nei limiti del procedimento legale e salvi i divieti espressi, che una qualsiasi società lucrativa in liquidazione si trasformi in altra società lucrativa (trasformazione omogenea).
La società derivante dalla trasformazione potrà a sua volta essere in liquidazione o meno, poiché detta operazione può avere sia un fine liquidatorio sia un fine di rimozione della causa di scioglimento e di rilancio dell’attività.
Qualora nell’atto di trasformazione non sia espressamente previsto, ricorrendone i presupposti, che si intende anche revocare la liquidazione, la società trasformata resterà in liquidazione.
In ogni caso non sussiste alcun obbligo di motivare la decisione di trasformazione, essendo la valutazione sull’opportunità di tale operazione rimessa all’insindacabile giudizio dei soci.
K.A.31 – (TRASFORMAZIONE ETEROGENEA DI SOCIETÀ OD ALTRI ENTI IN LIQUIDAZIONE – 1° pubbl. 9/09)
Si ritiene sempre legittimo, nei limiti del procedimento legale e salvi i divieti espressi, che una qualsiasi società od altro ente in liquidazione si trasformi in altra società od ente (trasformazione eterogenea).
La società o l’ente derivante dalla trasformazione potrà a sua volta essere in liquidazione o meno, poiché detta operazione può avere sia un fine liquidatorio sia un fine di rimozione della causa di scioglimento e di rilancio di una nuova attività.
La società o l’ente derivante dalla trasformazione potrà a sua volta essere in liquidazione o meno, poiché detta operazione può avere sia un fine liquidatorio sia un fine di rimozione della causa di scioglimento e di rilancio dell’attività.
In ogni caso non sussiste alcun obbligo di motivare la decisione di trasformazione, essendo la valutazione sull’opportunità di tale operazione rimessa all’insindacabile giudizio dei soci o degli eventuali altri organi specificatamente competenti.
I terzi creditori sono comunque tutelati con il diritto di opposizione previsto dall’art. 2500-novies c.c.
Costituisce eccezione al principio enunciato, e si ritengono dunque non consentite, le trasformazioni eterogenee di enti in liquidazione che comportino la disapplicazione delle eventuali norme proprie del tipo di partenza relative alla devoluzione del patrimonio (ciò per applicazione diretta ed analogica di quanto disposto dagli artt. 2499 e 28, comma 2, c.c.).
K.A.32 – (TRASFORMAZIONE DI COOPERATIVA A MUTUALITÀ PREVALENTE IN SOCIETÀ LUCRATIVA O IN CONSORZIO – 1° pubbl. 9/11 – motivato 9/11 – modif. 9/20)
Si ritiene legittimo che una cooperativa a mutualità prevalente, nell’ambito della medesima assemblea, deliberi dapprima la soppressione delle previsioni statutarie di cui all’art. 2514 c.c., necessarie al mantenimento della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente, e, con una successiva deliberazione sottoposta alla condizione sospensiva dell’iscrizione della prima nel Registro delle Imprese, proceda alla sua trasformazione in società lucrativa o in consorzio.
In tal caso è necessaria e sufficiente, quale unico documento contabile di riferimento dell’unitaria operazione, la relazione giurata dell’esperto designato dal tribunale di cui all’art. 2545 undecies c.c.
Per procedere alla trasformazione occorrerà ovviamente che dalla perizia risulti che la società sia dotata di un patrimonio attivo che, al netto delle somme da devolvere ai fondi mutualistici, sia di entità tale da coprire il capitale sociale.
Motivazione
Il divieto di trasformazione delle società cooperative in società ordinarie di cui all’art. 14 della L. 17 febbraio 1971 n. 127 – rimosso dal Legislatore della Riforma del 2003 per le sole società cooperative a mutualità non prevalente, salva la devoluzione ai sensi dell’art. 2545 undecies c.c. – ha quale ratio l’intento di prevenire il fraudolento accesso ai benefici previsti per l’esercizio di attività mutualistiche da parte di chi intenda destinarli ad altra attività lucrativa (Cass. 17 luglio 1997 n. 6349).
La ragione ispiratrice del divieto viene meno, quindi, ogni qualvolta sia garantita l’impossibilità per la società trasformanda di appropriarsi del patrimonio accumulato grazie alle agevolazioni fiscali connesse ai requisiti di prevalenza della mutualità (CNN Studio n. 5306/I del 28 ottobre 2004, est. Petrelli).
Per tale ragione si ritiene ammissibile che una società cooperativa a mutualità prevalente proceda, in un unico contesto assembleare e facendo ricorso al meccanismo condizionale delle delibere cd. “a cascata” (vedi Orientamento H.F.2., secondo cui la delibera connessa e dipendente ad altra precedente è sottoposta alla condizione di efficacia dell’iscrizione della precedente nel Registro delle Imprese) sia alla modifica delle previsioni statutarie di cui all'art. 2514 c.c., comportante la perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente, che alla trasformazione della cooperativa in società lucrativa.
In tal caso, infatti, la destinazione all’attività lucrativa del patrimonio accumulato grazie alle agevolazioni previste per l’esercizio di attività mutualistiche è impedita dal duplice obbligo, di cui all’art. 2545 undecies c.c., di allegazione di una relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società attestante il valore effettivo del patrimonio dell’impresa e di devoluzione ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione del “valore effettivo del patrimonio, dedotti il capitale versato e rivalutato e i dividendi non ancora distribuiti, eventualmente aumentato fino a concorrenza dell’ammontare minimo del capitale della nuova società” risultante dalla trasformazione.
Peraltro in tal caso l'obbligo previsto dall’art. art. 2545 octies c.c. in capo agli amministratori di redigere un apposito bilancio straordinario (il quale deve essere verificato senza rilievi da una società di revisione e notificato al Ministero delle Attività Produttive entro sessanta giorni dall’approvazione) può ritenersi superato dalla redazione della relazione dell'esperto nominato dal tribunale ai sensi dell’art. 2545 undecies c.c.: poichè entrambi i suddetti documenti contabili assolvono alla medesima funzione, ovvero quella di attestare il valore effettivo del patrimonio indivisibile, da devolvere ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (vedi Orientamento K.A.35), la redazione del bilancio da parte degli amministratori può considerarsi assorbita nella redazione della relazione giurata da parte dell’ esperto designato dal tribunale in ragione della maggior garanzia di imparzialità offerta dalla seconda rispetto al primo (Maltoni, Tassinari, La trasformazione di società, Notariato e nuovo diritto societario, collana diretta da Laurini, Milano, 2005, 267; CNN Studio n. 7-2006/I del 14 gennaio 2006, est. Trimarchi G.A.M.; CNN Quesiti nn. 135/2012 e 50/2016, est. Boggiali).
A tal proposito si precisa che, se da un lato la relazione giurata dell’esperto nominato dal tribunale dev’essere necessariamente predisposta prima dell’assemblea, dall’altro la norma di cui all’art. 2545 octies c.c. non prevede che la redazione del bilancio debba essere successiva rispetto alla delibera di modifica delle clausole di prevalenza, la quale presuppone – più che esserne il presupposto – una situazione patrimoniale che consenta ai soci di rappresentarsi le conseguenze della propria scelta (CNN Studio n. 7-2006/I; Maltoni, Tassinari, La trasformazione di società, addirittura ritengono che il bilancio dovrebbe far riferimento ai risultati dell’ultimo esercizio già chiuso quale ultimo esercizio a mutualità prevalente, in quanto la soppressione delle clausole di cui all’art. 2514 c.c. produce effetti già dall’esercizio in corso al momento della delibera).
Non vi sarebbe pertanto una sostanziale differenza in ordine al momento di redazione dei suddetti documenti contabili tale da far dubitare dell’ammissibilità dell’unitaria operazione in commento (contra CNN Studio n. 5306/I).
Nemmeno l’obbligo, ai sensi dell’art. 2545 octies, comma 4 c.c., di segnalare la perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente all’Amministrazione presso al quale è tenuto l’Albo delle società cooperative di cui all’art. 223 sexiesdecies disp. att. c.c. è ostativo alla suddetta operazione.
Si deve ritenere infatti che l’iscrizione al suddetto Albo costituisca una forma di pubblicità notizia, la quale, assolvendo alle funzioni desumibili dagli artt. 2512, comma 3 c.c., 223 sexiesdecies disp. att. c.c. e 15 D.Lgs. 2 agosto 2002 n. 220, è condizione per poter usufruire delle agevolazioni fiscali e di altra natura nonché strumento di natura anagrafica e di ausilio alle funzioni di vigilanza, e che pertanto l’Ufficio del Registro delle Imprese debba eseguire le iscrizioni previste dalla legge in relazione alle società cooperative indipendentemente dall’adempimento della pubblicità nell’Albo delle società cooperative (CNN Studio n. 5306/I; CNN Studio n. 5511/I del 17 dicembre 2004, est. Petrelli; CNN Quesito n. 121-2010/I, est. Boggiali).
In tale fattispecie non vi sarà mai il regresso dall'area della prevalenza a quella della non prevalenza, con l'iscrizione nella sezione delle cooperative a mutualità non prevalente della cooperativa trasformanda, ma la sua immediata cancellazione (art. 10, comma 3, L. 23 luglio 2009 n. 99).
K.A.33 – (EFFICACIA DELLA TRASFORMAZIONE DELLE SOCIETÀ COOPERATIVE – 1° pubbl. 9/11 – motivato 9/11)
Si ritiene che la normativa sull'opposizione dei creditori dettata dall'art. 2500-novies c.c. per le trasformazioni eterogenee sia estensibile anche alla trasformazione di cooperativa in società lucrativa o in consorzio, la quale, pertanto, avrà effetto solo dopo sessanta giorni dall'ultimo degli adempimenti pubblicitari previsti, salvo che consti il consenso dei creditori o il pagamento di quelli tra loro che non hanno dato il consenso.
Motivazione
Nella disciplina positiva della trasformazione è possibile individuare tre diverse tipologie di norme.
In primo luogo, vi sono quelle che costituiscono la disciplina generale della trasformazione, suscettibili di applicazione in ogni ipotesi di mutamento della struttura organizzativa dell’ente.
Appartengono a tale tipologia:
- l’art. 2498 c.c. che sancisce il principio di continuità dei rapporti giuridici,
- l’art. 2499 c.c. relativo alla trasformazione in pendenza di procedura concorsuale,
- l’art. 2500, commi 1 e 2, c.c. che si occupa del contenuto e della pubblicità dell’atto di trasformazione,
- l’art. 2500 bis c.c. sull’efficacia sanante della pubblicità della trasformazione.
Altre norme, invece, costituiscono i principi generali propri di tutte le ipotesi di trasformazione eterogenea: in particolare è ricompreso in tale categoria l’art. 2500-novies c.c., che stabilisce il principio di efficacia differita della trasformazione eterogenea e prevede la facoltà di opposizione dei creditori.
Infine, ad un diverso ambito, sono riconducibili tutte le altre norme (c.d. di disciplina speciale della trasformazione), che sono proprie delle diverse fattispecie e la cui estensibilità alle ipotesi non espressamente contemplate deve essere valutata caso per caso.
Appartiene a quest’ultima categoria la disciplina speciale della trasformazione di cooperative in società lucrative o in consorzi (artt. 2545-decies e 2545-undecies c.c.).
Tale normativa non contiene alcun espresso rinvio alla disciplina generale della trasformazione eterogenea.
Tuttavia, non si può dubitare che quest’ipotesi di trasformazione debba considerarsi “species” del più ampio “genus” delle trasformazioni eterogenee, che espressamente comprende, tra le altre, l’ipotesi inversa di trasformazione da società di capitali in società cooperativa o in consorzio.
Consegue che la disciplina generale dettata per tutte le fattispecie di trasformazione eterogenea può essere utilizzata per il completamento della normativa specifica della trasformazione da società cooperativa in società lucrativa o in consorzio.
In particolare, si ritiene che la previsione dell'opposizione dei creditori, dettata in generale dall'art. 2500-novies c.c. per le trasformazioni eterogenee, sia estensibile anche all'ipotesi di trasformazione da cooperative in società lucrative o in consorzi.
Pertanto, anche in tali ultime fattispecie, la trasformazione avrà effetto solo dopo il decorso del termine di sessanta giorni (senza opposizioni) dall'iscrizione al registro delle imprese, salvo il consenso anticipato dei creditori o il pagamento di quelli tra loro che non hanno dato il consenso.
Con particolare riferimento agli adempimenti pubblicitari, si riscontrano due diverse modalità esecutive adottate dagli uffici del registro delle imprese quando la trasformazione eterogenea non ha effetto immediato, quindi in tutti i casi in cui manca il consenso anticipato dei creditori o il pagamento di quelli tra loro non hanno dato il consenso.
In alcuni uffici, infatti, a seguito del solo deposito del verbale di trasformazione, la cooperativa viene iscritta nella sua nuova forma societaria e viene, di conseguenza, immediatamente cancellata dall’albo delle società cooperative. In tal caso l’iscrizione dovrà ritenersi sottoposta alla “condicio iuris” della mancata opposizione dei creditori nei sessanta giorni dall’adempimento pubblicitario.
Quest’impostazione da un lato sembra aderente al dettato dell’art. 10, comma 3, della legge 23 luglio 2009, n. 99, il quale prevede che l'ufficio del registro delle imprese trasmetta immediatamente all'albo delle società cooperative la comunicazione della trasformazione della società cooperativa in altra forma societaria, per l'immediata cancellazione dal suddetto albo; dall’altro lato sembra imporre l’obbligo per il registro delle imprese di procedere d’ufficio ad una nuova iscrizione che cancelli l’iscrizione della trasformazione, qualora si verifichi la “condicio iuris” dell’opposizione da parte dei creditori.
Altri uffici, invece, prescrivono l’esecuzione di due adempimenti pubblicitari: con il primo, che segue al deposito del verbale di trasformazione, la cooperativa rimane iscritta nella sua originaria forma societaria, viene fatta menzione della delibera di trasformazione ma la società non viene cancellata dall’albo delle società cooperative; con il secondo, che segue al decorso dei sessanta giorni dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari previsti, previa presentazione di una nuova domanda di iscrizione corredata dal certificato di non opposizione dei creditori (o da autocertificazione ex D.P.R. n. 445/2000), la cooperativa viene iscritta nella sua nuova forma societaria e viene, di conseguenza, cancellata dall’albo delle società cooperative.
Questa seconda impostazione, da un lato sembra rispondere a ragioni di maggior “trasparenza” in quanto mantiene l’iscrizione della cooperativa nella sua forma originaria finché la trasformazione non produce effetto, dall’altro lato sembra imporre un secondo adempimento pubblicitario, non previsto dalla legge, che ritarda gli effetti della trasformazione al momento dell’iscrizione successiva al decorso del termine di sessanta giorni.
K.A.34 – (APPLICABILITÀ DELL'ART. 2500 SEXIES C.C. ALLA TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ COOPERATIVA – 1° pubbl. 9/11 – motivato 9/11)
Si ritiene che la disciplina dettata dall'art. 2500 sexies c.c. sia applicabile, nei limiti della sua compatibilità, anche alle ipotesi di trasformazione di cooperative in società lucrative o in consorzi.
Motivazione
Nella disciplina positiva della trasformazione è possibile individuare tre diverse tipologie di norme.
In primo luogo, vi sono quelle che costituiscono la disciplina generale della trasformazione, suscettibili di applicazione in ogni ipotesi di mutamento della struttura organizzativa dell’ente.
Appartengono a tale tipologia:
- l’art. 2498 c.c. che sancisce il principio di continuità dei rapporti giuridici,
- l’art. 2499 c.c. relativo alla trasformazione in pendenza di procedura concorsuale,
- l’art. 2500, commi 1 e 2, c.c. che si occupa del contenuto e della pubblicità dell’atto di trasformazione,
- l’art. 2500 bis c.c. sull’efficacia sanante della pubblicità della trasformazione.
Altre norme, invece, costituiscono i principi generali propri di tutte le ipotesi di trasformazione eterogenea: in particolare è ricompreso in tale categoria l’art. 2500-novies c.c., che stabilisce il principio di efficacia differita della trasformazione eterogenea e prevede la facoltà di opposizione dei creditori.
Infine, ad un diverso ambito, sono riconducibili tutte le altre norme (c.d. di disciplina speciale della trasformazione), che sono proprie delle diverse fattispecie e la cui estensibilità alle ipotesi non espressamente contemplate deve essere valutata caso per caso.
Appartiene a quest’ultima categoria la disciplina speciale della trasformazione di cooperative in società lucrative o in consorzi (artt. 2545-decies e 2545-undecies c.c.).
Tale normativa non contiene alcun espresso rinvio alla disciplina generale della trasformazione eterogenea.
Tuttavia, non si può dubitare che quest’ipotesi di trasformazione debba considerarsi “species” del più ampio “genus” delle trasformazioni eterogenee, che espressamente comprende, tra le altre, l’ipotesi inversa di trasformazione da società di capitali in società cooperativa o in consorzio.
Consegue che la disciplina generale dettata per tutte le fattispecie di trasformazione eterogenea può essere utilizzata per il completamento della normativa specifica della trasformazione da società cooperativa in società lucrativa o in consorzio.
In particolare, si ritiene che il rinvio all’art. 2500 sexies c.c. in quanto compatibile, previsto in generale dall'art. 2500-septies, comma 2, c.c. per le trasformazioni eterogenee da società di capitali, sia estensibile anche all'ipotesi di trasformazione di cooperative in società lucrative o in consorzi.
Si ritiene, pertanto, che il dettato dell'art. 2500 sexies c.c., previsto per le ipotesi di trasformazione di società di capitali in società di persone, ritenuto inapplicabile alla trasformazione da società di capitali in altra società di capitali (v. orientamento K.A.4) ma esteso, in quanto compatibile, alla trasformazione eterogenea delle società di capitali in cooperative dal disposto dell’art. 2500-septies, comma 2 c.c. (v. orientamento K.A.6), debba essere applicato, sempre nei limiti della sua compatibilità, anche alle ipotesi di trasformazione di cooperative in società lucrative o in consorzi.
In particolare, si ritiene che anche a tali fattispecie si debbano estendere:
a) l'obbligo da parte degli amministratori di predisporre una relazione illustrativa delle motivazioni e degli effetti della trasformazione da depositare presso la sede sociale a disposizione dei soci;
b) il diritto di ciascun socio all'assegnazione di una partecipazione proporzionale al valore della sua quota o delle sue azioni;
c) nel caso di trasformazione in società di persone, la necessità del consenso dei soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata;
d) l'estensione della responsabilità illimitata, assunta dai soci per effetto della trasformazione in società di persone, alle obbligazioni contratte dall'ente anteriormente al mutamento di struttura organizzativa.
K.A.35 – (CONTENUTO DELLA RELAZIONE DI STIMA EX ART. 2545 UNDECIES C.C. E OBBLIGO DI DEVOLUZIONE AI FONDI MUTUALISTICI – 1° pubbl. 9/11 – motivato 9/11)
La relazione giurata di stima del valore effettivo del patrimonio della cooperativa, redatta ai sensi dell'art. 2545-undecies c.c., deve contenere, anche implicitamente, la suddivisione tra la parte del patrimonio sociale che dev'essere devoluta ai fondi mutualistici e la restante parte del patrimonio che non sarà oggetto di devoluzione.
Nonostante il tenore letterale della norma si può ritenere che nell'espressione “dividendi non ancora distribuiti”, contenuta nell'art. 2545-undecies, comma 1, c.c., debbano essere compresi anche tutti gli utili accantonati e non distribuiti e che l'obbligo di devoluzione ai fondi mutualistici debba intendersi limitato alle riserve indivisibili come determinate dall'art. 2545-ter c.c., conservando alla società trasformata l'intero valore del netto residuo.
Motivazione
Ai sensi dell'art. 2545-undecies, comma 2, c.c. alla deliberazione di trasformazione della società cooperativa in società lucrativa o in consorzio dev'essere allegata la relazione giurata di stima del valore effettivo del patrimonio sociale redatta da un esperto designato dal Tribunale nel cui circondario ha sede la cooperativa.
Sulla base del comma 1 del medesimo articolo, contestualmente alla trasformazione, l'assemblea deve deliberare la devoluzione ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
In relazione a tale previsione si impongono, anzitutto, due precisazioni:
a) la data di riferimento della perizia giurata dev'essere la più aggiornata possibile e comunque non anteriore di 120 giorni rispetto all'assemblea che delibera la trasformazione: il termine di cui all'art. 2501 quater c.c. può ritenersi espressione di un principio generale estensibile alla validità temporale di tutti i documenti peritali o contabili per i quali la legge non abbia dettato specifiche norme di aggiornamento temporale;
b) il fine della devoluzione ai fondi mutualistici presuppone che la stima del patrimonio sociale debba avvenire a valori correnti (computando il valore dell'avviamento, anche se non acquisito a titolo oneroso) e non a valori storici;
c) l'esecuzione di tale obbligo è di competenza dell'organo amministrativo, che potrà provvedervi solo dopo che la trasformazione avrà avuto effetto, con il decorso del termine di sessanta giorni dall'ultimo degli adempimenti pubblicitari previsti.
Per poter effettuare la devoluzione ai fondi mutualistici, inoltre, sarà necessario che la relazione giurata di stima contenga non solo la determinazione del valore globale del patrimonio sociale, ma altresì la suddivisione tra la parte del patrimonio che dev'essere devoluta e la restante parte del patrimonio che non sarà oggetto di devoluzione.
Oggetto di devoluzione, secondo l'art. 2545-undecies, comma 1, c.c. è il valore effettivo del patrimonio, dedotti soltanto il capitale versato e rivalutato e i dividendi non ancora distribuiti: tale formulazione potrebbe apparire più ampia rispetto alla devoluzione delle sole riserve indivisibili.
Infatti, attraverso un'analisi meramente letterale della norma, si potrebbe concludere che debbano devolversi ai fondi mutualistici, oltre alle “riserve indivisibili” (e cioè non distribuibili ex art. 2545 ter c.c.), anche gli utili già accantonati in riserve distribuibili ma non ancora distribuite.
Nonostante il diverso tenore letterale, è da rilevare che, sotto il profilo sistematico, non vi sarebbe ragione di applicare alla trasformazione delle cooperative a mutualità non prevalente un trattamento deteriore rispetto a quello previsto per lo scioglimento delle stesse, laddove l'art. 2545ter c.c. prevede che siano devolute ai fondi mutualistici solo le “riserve indivisibili”.
Del pari non sarebbe giustificata la disparità di trattamento con la norma dettata dall'art. 223-quinquiesdecies, disp. att. c.c., che permette alle cooperative prive dei requisiti di mutualità secondo le condizioni indicate prima della riforma (art. 26 D.Lgs.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, richiamato dall'art. 14 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601) di trasformarsi in società lucrative:
- senza alcuna devoluzione ai fondi mutualistici per le riserve accantonate fino al 1 gennaio 2004 (comma 1);
- con devoluzione ai fondi mutualistici delle sole “riserve indivisibili” accantonate dal 1 gennaio 2004 (comma 3).
Ancora, è da osservare come l'eventuale più ampia devoluzione ai fondi mutualistici in sede di trasformazione potrebbe essere facilmente aggirata attraverso la previsione di uno scioglimento anticipato, con devoluzione del patrimonio ai soci in misura più ampia di quella prevista per la trasformazione e successiva ricostituzione della cooperativa con conferimento da parte dei vecchi soci di quanto ricevuto dalla liquidazione della cooperativa liquidata.
Consegue che nell'espressione “dividendi non ancora distribuiti”, contenuta nell'art. 2545-undecies c.c., devono ritenersi compresi anche tutti gli utili accantonati e non distribuiti e che l'obbligo di devoluzione ai fondi mutualistici si deve intendere limitato alle riserve indivisibili come determinate dall'art. 2545 ter c.c., conservando alla società trasformata l'intero valore del netto residuo.
K.A.36 – (TRASFORMAZIONE REGRESSIVA CON RIDUZIONE REALE DEL CAPITALE – 1° pubbl. 9/13 – motivato 9/13)
Nella trasformazione regressiva da società di capitali in società di persone, appare consentito ridurre il capitale sociale volontariamente nel rispetto del termine di opposizione concesso ai creditori sociali.
Motivazione
La trasformazione è una vicenda meramente evolutiva-modificativa dello stesso soggetto ai sensi dell’art. 2498 c.c., che sancisce il principio di continuità, quale conservazione dei diritti e degli obblighi e prosecuzione in tutti i rapporti dell’ente che ha effettuato la trasformazione; detta operazione può essere omogenea o eterogenea. La trasformazione omogenea è il passaggio dall’uno all’altro tipo nell’ambito delle società lucrative; quella eterogenea è il passaggio da una società lucrativa in un ente causalmente diverso, cioè in una società non lucrativa o in un ente non societario e viceversa.
Questo cambiamento del modello organizzativo dell’impresa, cioè della veste giuridica dell’impresa, può essere progressivo, quando la trasformazione avviene da società di persone in società di capitali ed è disciplinata agli artt. 2500 ter, 2500 quater, 2500 quinquies c.c.; oppure regressivo, quando la trasformazione avviene da società di capitali in società di persone ed è disciplinata all’art. 2500 sexies c.c.
A differenza che nelle operazioni di fusione e di scissione, nella trasformazione manca una disposizione quale l’art. 2503 c.c. che attribuisce il diritto di opposizione ai creditori sociali, pertanto si ritiene che la trasformazione in sé non possa comportare una riduzione reale (riduzione della cifra del capitale sociale nominale accompagnata da una contestuale riduzione del patrimonio della società) del capitale. Conseguentemente si ritiene che il capitale della società risultante dalla trasformazione deve essere fissato tra un minimo rappresentato dall’importo più alto tra il vecchio capitale sociale ed il capitale sociale minimo legale, ove previsto; ed un massimo rappresentato dal patrimonio netto della società.
Il capitale sociale può essere fissato in misura superiore al patrimonio netto solo se la differenza è coperta dai soci mediante nuovi conferimenti, o inferiore al vecchio capitale sociale solo se è stata rispettata la disciplina generale sulla riduzione reale del capitale sociale ai sensi rispettivamente degli artt. 2445 e 2484 c.c.
Si ritiene invece possibile che, contestualmente alla trasformazione, si proceda anche ad una riduzione reale del capitale sociale.
L'operazione in parola è sicuramente consentita. Un primo argomento deriva dalla ammissibilità della trasformazione di società di capitali con capitale azzerato in società di persone ai sensi di quanto disposto dagli artt. 2446, 2447 e 2482-bis e ter c.c.
Inoltre, va rilevato come nelle società di persone, a differenza che nelle società di capitali, non vi sono norme quali quelle contenute negli artt. 2446, 2447 c.c. in materia di società per azioni, e negli artt. 2482 bis e ter c.c. in materia di società a responsabilità limitata, a tutela dell’integrità del capitale sociale. Conseguentemente la società può continuare a vivere anche se le perdite hanno raggiunto un importo pari al capitale sociale o addirittura siano di importo superiore. La società di persone non si scioglie, come accade per le società di capitali ai sensi dell’art. 2484, comma 1, n.4 c.c., per riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale. Se ne deduce che se una società di persone può continuare ad operare anche con perdite di tale ammontare, non si capirebbe per quale motivo essa non possa ritrovarsi in tale situazione anche a seguito di trasformazione. Infine, va ricordato come i soci della società derivante dalla trasformazione assumono la responsabilità illimitata anche per i debiti sorti anteriormente alla trasformazione.
Pur ritenendo quindi lecita l'operazione di riduzione reale del capitale sociale, contestualmente alla trasformazione da società di capitali in società di persone, va rilevato come in tal caso occorra rispettare la disciplina sulla riduzione reale del capitale e cioè la disciplina dell’art. 2306 c.c. nel caso in cui la società trasformata sia una società di persone. Ciò appare necessario in quanto l’operazione può pregiudicare i creditori sociali e quindi deve essere loro riconosciuto il diritto di opposizione.
L'obbligo di rispettare il diritto di opposizione, da riconoscersi ai creditori sociali, discende fra l'altro dalla procedura a cui questi devono ricorrere nel caso in cui debbano rifarsi sul patrimonio della società, nel caso in cui questa si sia trasformata da società di capitali a società di persone. Infatti, come è noto, mentre le società di capitali rispondono delle obbligazioni sociali verso i creditori soltanto con il loro patrimonio, nelle società di persone, qualora non risulti sufficiente il patrimonio sociale, rispondono personalmente e solidalmente i soci stessi. Tuttavia, la responsabilità dei soci illimitatamente responsabili nei confronti dei terzi creditori è una responsabilità solidale, ma che gode del beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale ai sensi dell'art. 2304 c.c.
Conseguentemente il cambiamento della veste organizzativa dell’impresa, da società di capitali a società di persone, comporta bensì un ampliamento della consistenza patrimoniale su cui i creditori sociali posso rifarsi quale diretta e naturale conseguenza dell’assunzione di responsabilità illimitata, ma anche un aggravio nella procedura necessaria da esperire per potersi poi concretamente soddisfare sul patrimonio personale dei soci. Da ciò discende l’impossibilità di una modifica sostanzialmente peggiorativa della consistenza patrimoniale su cui i creditori sociali possono trovare soddisfazione al di fuori delle procedure a loro tutela, predisposte dal legislatore, le quali si sostanziano nel diritto di opposizione a loro riconosciuto.
Ne consegue che nel caso di riduzione reale del capitale sociale contestualmente alla trasformazione, la delibera assembleare sarebbe immediatamente efficace (a decorrere cioè dall'iscrizione della delibera nel registro delle imprese), ma la parte relativa alla riduzione volontaria del capitale sociale sarebbe eseguibile solamente decorsi i termini prescritti dalla legge per l'eventuale opposizione dei creditori relativamente all’operazione di riduzione reale del capitale (cfr. anche Orientamento I.G. 21).
La conseguenza del differimento dell'eseguibilità della riduzione volontaria del capitale sociale attiene alla impossibilità di distribuire ai soci l'importo della riduzione deliberata, prima del decorso del termine di tre mesi dalla data di avvenuta iscrizione al registro imprese della relativa delibera, senza che i creditori sociali abbiano fatto opposizione.
K.A.37 (TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ CON UNICO SOCIO IN TITOLARITÀ INDIVIDUALE D’AZIENDA DA PARTE DI PERSONA FISICA E VICEVERSA – 1° pubbl. 9/14 – motivato 9/15)
In mancanza di considerazioni oggettive (afferenti alla struttura e/o allo scopo perseguito) che giustifichino ragionevolmente, ai sensi dell'art. 3 Cost., una limitazione dell'autonomia dell'impresa in relazione ad uno strumento organizzativo generalmente - e non eccezionalmente - ammesso, quale la trasformazione, appare legittima la trasformazione da società con unico socio in titolarità individuale d’azienda da parte di una persona fisica e viceversa.
Tale fattispecie, infatti, è analoga alla trasformazione da o in comunione d’azienda prevista dagli artt. 2500-septies e 2500-octies c.c., salvo che per il numero delle persone fisiche coinvolte, producendo tra le parti e nei confronti dei terzi gli stessi effetti di:
- scioglimento senza liquidazione e confusione di patrimoni, nell’ipotesi di trasformazione da società;
- separazione di patrimoni, nell’ipotesi di trasformazione in società.
Perché si verifichi tale fattispecie è necessario che la trasformazione non faccia venir meno l’azienda, intesa come l’insieme dei beni organizzati per l’esercizio dell’attività d’impresa, risultando, di contro, indifferente che la persona fisica da o in cui viene trasformata la società eserciti personalmente l’azienda oggetto di trasformazione.
Si ritiene infine che a detta fattispecie si applichi l’art. 2500-novies c.c.
Nella trasformazione da o in titolarità individuale d’azienda da parte di una persona fisica, come in quella da o in comunione d’azienda, si verifica la continuazione dei rapporti giuridici prevista dall’art. 2498 c.c.. Tuttavia, tenuto conto dello stato attuale della giurisprudenza di merito, appare prudente, per fini tuzioristici, rispettare in detti atti le disposizioni di forma sui trasferimenti (ad esempio: normativa urbanistica, certificazione energetica, conformità catastale, ecc.).
Motivazione
La riforma del 2004 ha considerevolmente ampliato la disciplina del-la trasformazione, tanto che un autore ha brillantemente osservato che la riforma ha mutato la trasformazione in “operazione tramite la quale si conserva il vincolo di destinazione impresso ad un patrimonio per l’esercizio dell’attività” oppure “mutamento della componente struttu-rale della fattispecie che può determinare anche un cambiamento dello scopo a cui era originariamente destinato il patrimonio autonomo”.
Invero, con la previsione della trasformazione “da” ed “in” comu-nione d’azienda e “da” ed “in” associazioni e fondazioni, la riforma ha chiaramente abbandonato tutti i limiti che caratterizzavano la trasfor-mazione ante-riforma: sia il limite dell’identità soggettiva, sia il limite dell’identità causale ed anche il limite dell’identità funzionale laddove, relativamente alle associazioni e fondazioni, non vi sia esercizio di atti-vità d’impresa.
L’effetto giuridico-economico che (su cui si fonda il favor normativo e) caratterizza tutte le ipotesi di trasformazione è chiaramente espresso nell’art. 2498 c.c. e consiste nella possibilità, per l’attività economica, di “continuare” nella sua essenza pur potendo mutare la sua struttura, la sua organizzazione e perfino il suo scopo originario, con il minimo di-spendio giuridico possibile.
Ciò che appare oggi come unico elemento indispensabile per l’attuazione di quella “continuità” che per il legislatore rappresenta obiettivo (e risultato) di generale interesse sembra essere la permanenza dell’identità dell’azienda, intesa, come da codice, quale complesso di beni funzionalmente destinati allo svolgimento di una attività (post-riforma anche solo potenziale) di impresa.
Nei casi in cui si ravvisa questo possibile obiettivo/risultato, il legi-slatore lo favorisce evitando - in deroga alla generale previsione di cui all’art. 2280 c.c. - gli inutili costi e tempi di attuazione dell’estinzione dell’ente e del trasferimento del patrimonio ad altro.
Il legislatore si è preoccupato, naturalmente, di proteggere sia i soci che i creditori che dalla trasformazione potrebbero essere danneggiati. Poiché nei casi qui esaminati sussiste unipersonalità, non viene in alcun rilievo il primo profilo, mentre lo è certamente il secondo.
La tutela dei creditori, infatti, deve necessariamente salvaguardarli rispetto a forme di autonomia/separazione patrimoniale che, trasfor-mate, mutino la loro posizione prioritaria rispetto al patrimonio dell'impresa e/o, rispettivamente, dei singoli soci rispetto ad altri po-tenziali creditori antagonisti.
Il legislatore ha, al riguardo, differenziato la tutela disciplinando espressamente solo due diverse ipotesi, con regole ben diverse:
- trasformazione che porti verso il modello delle società di capitali, modificando così, però, la responsabilità del socio da illimitata a limita-ta, con l’assunzione di una struttura organizzativa che gli consente così di “difendere” il proprio patrimonio personale rispetto ai creditori dell’impresa (c.d. defensive asset partitioning; al riguardo si veda il fonda-mentale lavoro di Hansmann e Kraakman, Il ruolo essenziale della “organi-zational law”, in Riv. Soc., 2001, 1, 21, e di recente, Giacomo Rojas El-gueta, Divergences and convergences of common law and civil law traditions on asset partitioning: a functional analysis). Il passaggio a società di capitali è però favorito dal legislatore, che “attenua” la tutela del creditore – al quale la trasformazione deve essere individualmente comunicata - nel senso che, pur essendo in principio richiesto il suo consenso (altrimenti conservando la possibilità di agire anche contro i beni personali del sog-getto), questo viene presunto se il creditore non esprima il suo diniego entro 60 giorni dalla notizia della trasformazione. (Un altro segno del “favor” legislativo sta nella “straordinaria” adozione, per la trasforma-zione verso le società di capitali, della regola di maggioranza anziché dell’unanimità per le società di persone ed anche per i consorzi);
- trasformazione “eterogenea”, con cambiamento di scopo (da lucra-tivo in mutualistico etc.) o di ente, nel senso che si estende al di fuori dell’ambito societario; rispetto ai creditori la tutela viene decisamente rafforzata, prevedendo che la trasformazione non abbia effetto per 60 giorni dall’iscrizione dell’atto nel competente Registro, periodo conces-so ai creditori stessi per fare opposizione (art. 2500-nonies).
La tutela del ceto creditorio viene rafforzata in quest’ultima ipotesi, evidenziata nell’ambito della trasformazione eterogenea, la cui eccezio-nalità si ritrova nel consentire la trasformazione, come dice la Relazio-ne alla Riforma, di “scopo o di ente”. (Il mutamento di scopo riguarda, almeno in taluni casi, solo i soci, tutelati con previsione di maggioranze rafforzate e di necessario consenso individuale del socio che la trasfor-mazione espone a responsabilità illimitata).
I creditori, in tali casi, possono essere gravemente danneggiati so-prattutto dal mutamento di “ente” - che evidentemente riguarda il pas-saggio da o in “ente non impresa” - in quanto ne muti radicalmente la disciplina della responsabilità dei beni sui quali possono agire, che ven-gono sottratti alla loro azione o, al contrario, esposti al concorso con al-tri creditori, perdendo la “priorità esecutiva” di cui prima godevano.
Tornando alle ipotesi qui in esame, si può rilevare quanto segue:
Si tratta di fenomeni trasformativi che coinvolgono esclusivamente “imprese”, cioè l’ambito in cui la trasformazione è fenomeno “norma-le”, e non c’è ragione di pensare che l’unipersonalità sia un elemento per qualche ragione “ostativo”: nessuno dubita, di certo che sia consen-tita la trasformazione da s.r.l. unipersonale in s.p.a. unipersonale o vi-ceversa.
C’è comunque, all’inizio o alla fine del procedimento la medesima azienda destinata all’esercizio dell’impresa stessa, cioè della medesima attività.
C’è, espressamente voluta e ricercata, la totale continuità dell’impresa in ogni suo profilo, cioè l’effetto caratterizzante e giustifi-cativo della disciplina della trasformazione, come richiesto e sintetizza-to dall’art. 2498 c.c.
Non sembra perciò rilevabile alcun profilo che consenta ragionevol-mente di giustificare l’esclusione della trasformabilità da s.r.l. uniperso-nale o da società di persone in cui venga meno e non sia ricostituita la pluralità dei soci in impresa individuale o viceversa: ciò porrebbe un li-mite immotivato all’autonomia di tali imprese, dando luogo ad una di-sparità di trattamento di dubbia legittimità costituzionale.
Non è certo soddisfacente, infatti, fare riferimento alla mancanza di previsione espressa (che si rileva, peraltro, anche per ipotesi di cui non si dubita), perché il legislatore non può esprimere volontà “capricciose”: a parità di presupposti sostanziali, l’esclusione da un fenomeno genera-lizzato può essere giustificato solo da oggettive, razionali considerazio-ni.
Ciò che caratterizza le ipotesi in esame è semplicemente il “muta-mento” delle regole di responsabilità patrimoniale che ad esse conse-guono: la srl unipersonale, la società di persone che rimane con un solo socio e l’impresa individuale rappresentano le diverse “declinazioni” della “separazione o autonomia patrimoniale” dell’impresa rispetto, appunto, ai diversi ceti creditorii potenzialmente antagonisti e, dall’altro lato, della diversa “protezione” dei beni del socio rispetto ai creditori sociali. In altri termini, ciò che cambia, nelle tre ipotesi, è solo il grado di “separazione” del patrimonio sociale - e quindi di prevalenza esclusi-va, preferenziale o concorsuale - dei creditori sociali rispetto a quelli in-dividuali; la prima è un’impresa individuale a responsabilità limitata, la seconda un’impresa individuale a responsabilità debolmente limitata (beneficio di preventiva escussione, c.d. weak asset partitioning), la terza è un’impresa a responsabilità illimitata.
Se questi sono gli effetti caratterizzanti delle operazioni in commen-to, se ne può far discendere che la tutela del ceto creditorio dovrà essere quella prevista per le analoghe ipotesi richiamate nella c.d. trasforma-zione eterogenea, in cui si sono rilevati analoghi fenomeni di possibile cambiamento e potenziale “indebolimento” della posizione dei creditori dell’ente trasformando rispetto all’ente trasformato.
La tutela prevista dall’art. 2500-novies c.c., infatti, non deve conside-rarsi norma eccezionale circoscritta alle sole ipotesi di trasformazione eterogenea (che nel nostro caso potrebbe, come sostenuto da alcuni au-torevoli studiosi non ricorrere, mancando il mutamento di scopo o di ente) bensì applicazione di uno strumento caratteristico e “tipico” del settore societario previsto a favore dei creditori (degli “enti” trasfor-mandi) che possono essere danneggiati da operazioni in senso ampio “imprenditoriali”. Si pensi, infatti, all’art. 2445 c.c., richiamato dallo stesso art. 2500-novies c.c., ed alle analoghe previsioni in materia di fu-sione, scissione e revoca della liquidazione.
Il differimento degli effetti dell’iscrizione previsto dalla norma, del resto, appare l’unico strumento che può impedire, per 60 giorni, l’attuarsi dell’effetto “onni-sanante” previsto dall’ultimo comma dell’art. 2500 (effetto che, ad esempio, esclude la fruibilità del rimedio revocatorio di cui all’art. 2901 c.c.).
Diversamente potrebbe, invece, forse ritenersi nel caso di trasforma-zione da impresa individuale a srl unipersonale, nel quale sembra possi-bile ravvisare lo stesso fenomeno (imprenditoriale) progressivo discipli-nato dall’art. 2500 quinquies c.c.; ricorrendo la eadem ratio, la norma po-trebbe quindi sembrare applicabile in forza di interpretazione estensiva, considerando il “parziale sacrificio” delle ragioni dei creditori giustifica-to come regola di genere per tale trasformazione.
Le conclusioni cui si è giunti sopra non hanno trovato nuovi e più convincenti argomenti contrari nella recente sentenza della Corte di Cassazione di data 14 gennaio 2015 n. 496, che - pronunciandosi sulla stessa fattispecie già oggetto della precedente (negativa) decisione della Corte di Appello di Torino 14 luglio 2010 – ribadisce la inammissibilità della trasformazione di società in impresa individuale.
La fattispecie esaminata dalla Corte era molto particolare, e l’intento perseguito dalle parti nel porre in essere molteplici operazioni (cessioni di quote, asserita trasformazione seguita però da immediata cancella-zione della società, assegnazione dell’azienda al socio e suo conferimen-to in altra società in concordato preventivo) era chiaramente quello di sottrarre il socio al fallimento della prima società, nelle more fallita, ap-punto. In effetti la conclusione (giusta) cui è giunta la Corte sarebbe sta-ta semplicemente motivabile con un’illecita cancellazione di società di persone che aveva (illegittimamente) evitato la liquidazione.
La Corte, però, si spinge a dichiarare l’inammissibilità della trasfor-mazione ricorrendo agli argomenti già in precedenza usati dalle tre de-cisioni di merito negative (si sottolinea, però, che certamente sono mol-to più numerosi i casi in cui tali trasformazioni son state iscritte senza andare al vaglio giudiziale, come dimostrato dalla loro regolamentazio-ne nelle Guide operative dei vari Registri delle Imprese, inclusa quella congiunta dei R.I. di Milano e del Triveneto).
La Corte afferma:
Che la trasformazione, in quanto deroga alla previsione dell’art. 2280 c.c., avrebbe carattere eccezionale, non applicabile al di fuori dei casi te-stualmente previsti: ma ciò, come noto, certamente è smentito per ipo-tesi non previste ma pacificamente riconosciute, come le trasformazioni tra società di persone
Gli “enti” che possono trasformarsi sono tutti caratterizzati dal ri-correre di almeno uno dei seguenti elementi: plurisoggettività e separa-zione patrimoniale. Ciò è certamente smentito, quanto al primo dalla pacifica trasformabilità delle s.r.l. e delle s.p.a. unipersonali; quanto al secondo, come minimo dalla prevista trasformabilità della comunione di azienda.
I creditori sarebbero inconsapevoli e quindi non protetti: smentito dalla generale applicabilità dell’opposizione di cui all’art. 2500-novies c.c. a tutti i casi in cui il creditore può concretamente essere danneggia-to da un’operazione straordinaria.
In effetti, il rilievo di fondo che caratterizza la posizione giurispru-denziale sta nell’affermata eccezionalità della trasformazione, che dero-ga, con la continuità, alla regola dell’art. 2280 c.c. che tutela i creditori.
Ma la nuova disciplina - completamente in linea con quelli che erano i principi ispiratori della dottrina societaria europea all’epoca della ri-forma – mostra invece, al contrario, che il legislatore della riforma ha considerato la conservazione dell’azienda per la continuazione (anche solo virtuale) dell’impresa, evitando inutili dispersioni di mezzi e di tempo, obiettivo “prevalente” rispetto alla tutela accordata ai creditori protetti dalla previsione dell’art. 2280 c.c., che rimane applicabile senz’altro nei casi cui si voglia cessare l’attività e disperdere l’azienda (liquidandola).
Anche il Tribunale di Bergamo, con provvedimento di data 31 marzo 2015 n. 676/2015 (quindi successivo alla richiamata sentenza della Cas-sazione) ha affermato l’ammissibilità della trasformazione (nel caso) di società di capitali con unico socio in impresa individuale, affermando espressamente il carattere “generale” che ormai deve riconoscersi alla trasformazione.
Il Registro Imprese di Trento ha, inoltre, iscritto senza difficoltà la trasformazione inversa, da impresa individuale in s.r.l. unipersonale, consentendo, tra l’altro, di applicare in via estensiva quanto previsto dall’art. 2503 c.c. per la fusione – e precisamente il deposito delle som-me dovute ai creditori – accordando così immediata efficacia alla tra-sformazione stessa.
K.A.38 – (MAGGIORANZE RICHIESTE PER LA TRASFORMAZIONE ETEROGENEA ATIPICA DI ASSOCIAZIONE NON RICONOSCIUTA IN SOCIETÀ DI PERSONE O DI CAPITALI – 1° pubbl. 9/14 – motivato 9/15)
La regola dettata dall'art. 2500 octies c.c. secondo cui nelle associazioni aventi personalità giuridica la deliberazione di trasformazione deve essere adottata con la maggioranza richiesta dalla legge o dall'atto costitutivo per lo scioglimento an-ticipato e quindi, stante il rinvio all’art. 21, ultimo comma, c.c., con il voto favo-revole di almeno i tre quarti degli associati, si deve ritenere applicabile anche al-la trasformazione eterogenea atipica di associazione non riconosciuta in società di persone o di capitali (v. orientamento K.A. 28), salvo ovviamente che l’atto co-stitutivo dell’associazione non preveda maggioranze diverse.
Motivazione
Si è già chiarito con l’orientamento K.A.28 che le facoltà di trasfor-mazione espressamente concesse ad una associazione riconosciuta de-vono ritenersi attribuite anche ad una associazione non riconosciuta ai sensi dell’art. 1322 c.c. per la positiva valutazione già effettuata dall’ordinamento con l’art. 2500-octies c.c. sulla trasformabilità di enti privi di personalità giuridica ovvero non soggetti a forme pubblicitarie.
Di fronte al quesito se le ipotesi individuate dal legislatore negli arti-coli 2500-septies e 2500-octies c.c. siano soggette al principio del numerus clausus, a fronte di un iniziale - e comprensibile - atteggiamento di pru-denza, la dottrina si è orientata nel senso di interpretare il sistema deli-neato dal legislatore come un sistema in linea di principio aperto e quindi ha optato per l'ammissibilità delle trasformazioni "atipiche", sia in ragione dell’ampiezza stessa della nozione di trasformazione, che ormai travalica i confini dei tipi societari e supera il principio dell’omogeneità causale, sia in ragione del principio di economia dei mezzi giuridici, ipotizzando - salvi ovviamente particolari limiti legali, contrattuali o sistematici - la configurabilità di fattispecie trasformative ulteriori e ritenendo ammissibile, in particolare e per quanto qui interes-sa, la trasformazione di un’associazione non riconosciuta in società di persone o di capitali. Il legislatore si sarebbe limitato a disciplinare le fattispecie ritenute più significative lasciando all’interprete il compito di valutare nel caso concreto la legittimità di ulteriori vicende trasformati-ve.
Con il presente orientamento si risponde ad un quesito ulteriore e specificamente quello attinente alle maggioranze necessarie per assume-re la decisione trasformativa dell’ente senza personalità giuridica.
L'art. 2500-octies c.c. regola sommariamente le modalità con le quali deve essere adottata la deliberazione di trasformazione per ognuno degli enti ivi indicati.
Nelle associazioni riconosciute la deliberazione di trasformazione deve essere assunta con la maggioranza richiesta dalla legge o dall'atto costitutivo per lo scioglimento anticipato. Il rinvio alla legge evoca l’art. 21, ultimo comma, c.c., ritenuto inderogabile, a norma del quale per de-liberare lo scioglimento dell’associazione occorre un quorum sia costitu-tivo sia deliberativo dei tre quarti degli associati. Pur essendo quorum particolarmente rafforzati, tuttavia l’atto costitutivo dell’associazione riconosciuta potrebbe prevedere maggioranze ancora più elevate o addi-rittura l’unanimità.
Per la decisione di trasformazione (eterogenea ed atipica) da assu-mersi da parte degli associati di associazione non riconosciuta nel silen-zio dello statuto, invece, le opzioni prospettabili sono tre: 1) o propen-dere per l’unanimità, giustificando questo irrigidimento in considera-zione del fatto che la regola della maggioranza qualificata sarebbe espressione del favor dell’ordinamento (tutto da dimostrare) per le asso-ciazioni riconosciute; 2) o invece propendere per l’applicazione della medesima disciplina dettata per le associazioni con personalità giuridi-ca; 3) o ancora ritenere che si applichino le normali maggioranze previ-ste per le modifiche dell’atto costitutivo e non quelle per lo scioglimento anticipato (in quanto la trasformazione realizza pur sempre una modifi-ca dello stesso) e quindi, in assenza di diversa disposizione statutaria, dall’art. 21, comma 2, c.c. (quorum costitutivo 3/4 degli associati, e quo-rum deliberativo maggioranza dei presenti).
La seconda opzione appare quella più convincente. Stante la sostan-ziale identità tra associazioni riconosciute e non riconosciute si propen-de per la diretta applicazione alle delibere assembleari delle associazioni non riconosciute delle stesse regole dettate per le prime, segnatamente in tema di convocazione e maggioranze.
La giurisprudenza infatti è generalmente orientata ad applicare alle associazioni non riconosciute norme, princìpi ed adempimenti valevoli per le associazioni riconosciute se, appunto (e come nel caso di specie), non correlati alla personalità giuridica o connessi al riconoscimento; lo stesso dicasi per la prevalente dottrina la quale però discute sulla appli-cazione diretta della disciplina per identità di tipo contrattuale o, invece, su quella analogica cui ricorrere in presenza di lacune.
K.A.39 – (TRASFORMAZIONE ETEROGENEA ATIPICA DI ASSOCIAZIONI TRA PRO-FESSIONISTI IN S.T.P. – 1° pubbl. 9/14 – motivato 9/15)
Ammessa la trasformazione eterogena atipica delle associazioni prive di perso-nalità giuridica di cui al Libro I del c.c. in società di persone o di capitali (v. orien-tamento K.A.28), si deve ritenere legittima - quantomeno ai sensi dell’art. 1322 c.c. - la trasformazione delle associazioni tra professionisti in società tra profes-sionisti.
La disciplina concreta di tale tipo di trasformazione dipenderà ovviamente dalla natura giuridica che si intende riconoscere alle associazione professionali: tra-sformazione eterogenea se si ritiene che le medesime siano vere e proprie asso-ciazioni o comunque centri autonomi di imputazione di rapporti giuridici, quan-tunque privi di personalità giuridica; trasformazione progressiva omogenea se si ritiene che le associazioni professionali abbiano natura di società semplice e si adotti un altro modello societario (mentre l’adozione delle regole proprie della s.t.p. attraverso il ricorso al modello della società semplice non avrebbe la natu-ra di trasformazione, bensì di modifica dei patti sociali - v. orientamento Q.A.17).
Motivazione
Si è già chiarito con l’orientamento K.A.28 che le facoltà di trasfor-mazione espressamente concesse ad una associazione riconosciuta de-vono ritenersi attribuite anche ad una associazione non riconosciuta ai sensi dell’art. 1322 c.c. per la positiva valutazione già effettuata dall’ordinamento con l’art. 2500 octies c.c. sulla trasformabilità di enti privi di personalità giuridica ovvero non soggetti a forme pubblicitarie.
Di fronte al quesito se le ipotesi individuate dal legislatore negli arti-coli 2500-septies e 2500-octies c.c. siano soggette al principio del numerus clausus, a fronte di un iniziale - e comprensibile - atteggiamento di pru-denza, la dottrina si è orientata nel senso di interpretare il sistema deli-neato dal legislatore come un sistema in linea di principio aperto e quindi ha optato per l'ammissibilità delle trasformazioni “atipiche”, sia in ragione dell’ampiezza stessa della nozione di trasformazione, che ormai travalica i confini dei tipi societari e supera il principio dell’omogeneità causale, sia in ragione del principio di economia dei mezzi giuridici, ipotizzando - salvi ovviamente particolari limiti legali, contrattuali o sistematici - la configurabilità di fattispecie trasformative ulteriori e ritenendo ammissibile, in particolare e per quanto qui interes-sa, la trasformazione di un’associazione non riconosciuta in società di persone o di capitali. Il legislatore si sarebbe limitato a disciplinare le fattispecie ritenute più significative lasciando all’interprete il compito di valutare nel caso concreto la legittimità di ulteriori vicende trasformati-ve.
Le s.t.p., la cui disciplina è attualmente contenuta nell’art. 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183 (e dal D.M. 8 febbraio 2013, n. 34), non costituiscono un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche disciplinate dal codice civile, con la conseguenza che le stesse sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto, salve unicamente le deroghe e le integrazioni espressamente previste dalla normativa speciale in relazione al loro par-ticolare oggetto (v. orientamento Q.A.2). Il comma 9 dell’art. 10 della menzionata legge n. 183/2011 mantiene in vigore le associazioni pro-fessionali e i diversi modelli societari disciplinati dalle leggi precedenti, tra cui in particolare le associazioni costituite ai sensi dell’art. 1 legge n. 1818/1939 tra le persone munite dei necessari titoli di abilitazione pro-fessionale e che utilizzano la dizione di “studio tecnico, legale, com-merciale, contabile, amministrativo o tributario”.
Ciò esposto, nulla sembrerebbe impedire la trasformazione eteroge-nea da associazione (riconosciuta o non) in s.t.p. e quindi il passaggio da un modello associativo caratterizzato dallo scopo ideale non econo-mico (e quindi dalla mancanza di scopo di lucro soggettivo) disciplinato dal Libro I del Codice Civile ad uno schema societario, salvo verificare se possa ritenersi configurabile ed esistente un’associazione di cui ap-punto al I Libro che almeno in nuce possa assumere la veste di s.t.p. e quindi un atto costitutivo che preveda obbligatoriamente, tra l’altro: a) l'esercizio in via esclusiva dell'attività professionale da parte dei soci; b) l'ammissione in qualità di soci di soli professionisti iscritti ad ordini, al-bi e collegi (in ogni caso per numero e per partecipazione al capitale so-ciale tali da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci) e di soggetti non professionisti ma soltanto per pre-stazioni tecniche, o per finalità di investimento.
Il campo d’indagine deve allora spostarsi sulla natura giuridica degli studi professionali e delle associazioni tra professionisti (“vecchie” in quanto costituite ai sensi dell’art. 1 della legge n. 1815/1939 e “nuove” cioè costituite dopo l’entrata in vigore della legge n. 183/2011) e quindi sulla loro trasformabilità o “conversione” in s.t.p.
Note sono le oscillazioni giurisprudenziali, anche recenti (ma per lo più emesse in costanza del previgente divieto di costituire società tra professionisti), sulla qualificazione dell’associazione tra professionisti, che rimane la forma più utilizzata per l’esercizio in forma congiunta di attività professionali: a) talvolta ritenuta costituire semplicemente un fa-scio di rapporti obbligatori interni tra gli associati, una somma di obbli-gazioni solidali nei confronti dei terzi, una situazione di comproprietà per quanto concerne i beni acquistati, priva quindi di rilevanza esterna; b) talora considerata associazione non riconosciuta tout court; c) talal-tra definita contratto associativo atipico di carattere misto; d) talaltra ancora qualificata come centro autonomo di imputazione di rapporti giuridici quantunque privo di personalità giuridica (il che la avvicine-rebbe in qualche misura alle associazioni non riconosciute); e) qualche volta assimilata alla società semplice. A seconda dei profili che si esa-minano ed ovviamente a seconda di quello che è lo scopo perseguito dall’associazione professionale si può tracciare una equiparabilità o meno con le associazioni non riconosciute.
L’individuazione della natura giuridica della figura in esame orienta ovviamente la risposta in merito alla sua trasformabilità in s.t.p. senza soluzione di continuità dei numerosi rapporti (rapporti di lavoro con i dipendenti, contratti di locazione e di leasing, contratti di somministra-zione, incarichi professionali, ecc.).
Venuto meno il divieto di costituire società tra professionisti ora ap-pare preferibile la tesi secondo cui le associazioni professionali avrebbe-ro la natura di società semplici (si confronti anche art. 5, comma 3, lett. c) T.U.I.R. che espressamente le equipara): lo scopo è pur sempre quel-lo di conseguire un vantaggio economico e l’attività svolta è di certo economica ma non riconducibile a quella commerciale (art. 2249 com-ma 2 c.c.).
Ad ogni buon conto: se ritenute associazioni tout court o comunque contratti associativi atipici, una volta ammessa la trasformazione etero-genea di associazioni non riconosciute in società e quindi riconosciuta lecita sia la trasformazione in società di persone sia in società di capitali (e pure in cooperativa, forma espressamente prevista anche per le s.t.p.) saranno applicabili direttamente le norme dettate dal legislatore per le trasformazioni eterogenee (soggette a tre livelli di disciplina e precisa-mente: 1) alle norme generali sulla trasformazione, con la sola eccezio-ne del comma 3 dell’art. 2500 c.c. in tema di efficacia della trasforma-zione in quanto espressamente derogata dall’art. 2500 novies c.c.; 2) alle norme generali sulla trasformazione eterogenea, tra cui senza dubbio quella in tema di opposizione dei creditori di cui, appunto, all’art. 2500 novies c.c. e pure quelle di cui agli artt. 2500 ter comma 2, 2500 quater comma 1 e 2500 quinquies, norme applicabili per analogia ad ogni ipote-si di trasformazione in società di capitali; 3) alle norme particolari pro-prie della fattispecie considerata).
Se ritenuta preferibile, invece, la tesi secondo cui le associazioni tra professionisti hanno la natura di società semplice, alla trasformazione in s.t.p., per la quale si adotti un modello societario diverso da quello della società semplice, si applicheranno le norme previste per la tra-sformazione progressiva omogenea (articolo 2500-ter c.c.); qualora, in-vece, si adottino le regole proprie della s.t.p. attraverso il ricorso al mo-dello della società semplice non si tratterà di trasformazione, bensì di mera modifica dei patti sociali (art. 2252 c.c.), in particolare quelli rela-tivi all’oggetto e alla ragione sociale (v. Consiglio Nazionale del Nota-riato, Studio d’Impresa n. 224-2014/I, Società tra professionisti – Que-stioni applicative ad un anno dall’entrata in vigore).
K.A.40 - (TRASFORMAZIONE DI ASSOCIAZIONE IN FONDAZIONE – 1° pubbl. 9/16 – motivato 9/17)
Appare ammissibile la trasformazione diretta da associazione in fondazione sia perché la trasformazione è istituto di carattere generale, sia per il principio dell’economia dei mezzi giuridici (vedi orientamenti K.A.27 e K.A.28).
Tale fattispecie trasformativa è inoltre oggi implicitamente ammessa dall’art. 3, comma 1, lett. e), della L. 6 giugno 2016 n. 106, che, delegando al Governo il po-tere di disciplinarne il procedimento, afferma vigere nell’ordinamento il “princi-pio generale della trasformabilità tra enti collettivi diversi”.
Fino a quando non sarà dettata la disciplina specifica di cui alla suddetta legge delega, alla trasformazione di associazioni in fondazioni si applicano in via ana-logica le disposizioni legislative che disciplinano le trasformazioni societarie ete-rogenee. In ogni caso l’operazione è sottoposta al vaglio dell’autorità ammini-strativa competente.
Ai creditori è concesso il rimedio dell’opposizione ex art. 2500-novies c.c.
L’atto di trasformazione deve rivestire la forma dell’atto pubblico.
Motivazione
La riforma del diritto societario del 2003 introduce il principio della trasformabilità tra enti collettivi diversi, come ormai riconosciuto una-nimemente dalla dottrina ed ora anche legislativamente dalla legge 6 giugno 2016 n. 106 (“Delega al Governo per la riforma del Terzo setto-re, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”) che all’art. 3, I comma lett. e) richiama espressamente tale principio ge-nerale, ritenendolo orami assodato.
Dunque se con la riforma del diritto societario del 2003 il legislatore ha previsto espressamente nell’art. 2500 octies c.c. la trasformabilità da associazione riconosciuta in società di capitali e, parallelamente, in for-za dell’art. 2500 septies c.c. la possibilità di trasformare una società di capitali in fondazione, appare ulteriormente possibile, per il principio di economia dei mezzi giuridici, procedere alla trasformazione diretta da associazione riconosciuta in fondazione (cfr. orientamento K.A.27).
Sembrerebbe infatti del tutto illogico ed antieconomico dover proce-dere, per ottenere il medesimo risultato, ad effettuare una pluralità di negozi, consistenti nella previa trasformazione dell’associazione ricono-sciuta in una società di capitali (ad esempio in una società a responsabi-lità limitata) e successivamente addivenire ad una ulteriore trasforma-zione, traghettando la società a responsabilità limitata in un ente del li-bro primo, quale una fondazione.
Ad ulteriore sostegno della tesi della trasformabilità diretta da asso-ciazione in fondazione, si può altresì richiamare il principio di conser-vazione dei patrimoni autonomi, in quanto tale operazione non com-porterebbe alcuna liquidazione e, con essa, la disgregazione patrimonia-le.
Del resto, la dottrina più moderna ha dimostrato come si assista ad un progressivo avvicinamento fra associazioni e fondazioni, tenuta an-che presente la categoria delle associazioni di partecipazione, che si col-loca in una via intermedia fra fondazione ed associazione; pertanto si ri-tiene ben possibile un transito diretto dall’uno all’altro ente.
La trasformazione diretta da associazione in fondazione, considerata anche la identità di scopi e la omogeneità di strutture, comporta ostaco-li ben minori rispetto al più tortuoso passaggio, pur consentito espres-samente dalla legge, da un ente a scopo non lucrativo in società di capi-tali e, successivamente, da società di capitali in altro ente a scopo non lucrativo.
L’art. 21, comma 2, c.c., stabilisce che nelle associazioni riconosciute per modificare l’atto costitutivo e lo statuto, è necessaria la presenza di almeno i tre quarti degli associati ed il voto favorevole della maggioran-za dei presenti; tale disposizione appare peraltro derogabile ove lo statu-to preveda maggioranze diverse.
Poiché il fenomeno della trasformazione consiste in una modifica-zione della struttura sociale in forza della quale un nuovo tipo di orga-nizzazione viene adottato in luogo di quello preesistente, esso ben si colloca nelle operazioni che l’assemblea dei soci, con le maggioranze di legge o con quelle previste nell’atto costitutivo, può adottare.
L’assenza poi di una disciplina dettagliata e completa per le opera-zioni di trasformazione fra gli enti del libro primo, fa ritenere possibile ricorrere ai criteri indicati dal legislatore in tema di trasformazione delle società di capitali, facendo ricorso all’analogia.
Naturalmente non potranno applicarsi direttamente tutte le regole indicate per la trasformazione delle società commerciali, ma occorrerà valutare, caso per caso, quali regole recuperare, adattandole al caso specifico.
Di conseguenza appare che l’ipotesi della diretta trasformazione fra enti del libro primo, possa essere ben assimilata ai casi di trasformazio-ne eterogenea e, pertanto, si ritiene debbano scattare in ogni caso le ga-ranzie previste per i creditori sociali, nel caso di operazioni capaci di compromettere, limitare o menomare i loro diritti di credito; di conse-guenza sembrerebbe ragionevole assegnare ai creditori un diritto di op-posizione analogo a quello loro riservato dall’art. 2500-novies c.c.
Si tratta, dunque, di comprendere quale possa essere il mezzo più idoneo per consentire ai creditori sociali dell’associazione di esercitare tale diritto di opposizione, in quanto l’associazione riconosciuta non è iscritta nel registro imprese e, quindi, manca ad oggi un mezzo legale di pubblicità.
Si ritiene tuttavia che ciò non debba né possa costituire un vero osta-colo, dal momento che l’informativa ai creditori sociali può essere fatta sia attraverso una specifica notifica diretta ai creditori, sia attraverso l’utilizzo di altri mezzi idonei quali, ad esempio, la pubblicazione dell’operazione sul bollettino ufficiale.
La trasformazione dell’associazione riconosciuta in fondazione comporta, inoltre, la necessità di adottare la forma dell’atto pubblico, in quanto, per ogni ipotesi di trasformazione, l’atto rimane soggetto alla disciplina prevista per il tipo adottato ed alle forme di pubblicità relati-ve.
Va infine ricordato come la deliberazione di trasformazione in fon-dazione, producendo gli effetti che il codice civile ricollega all’atto di fondazione, comporta la necessità dell’intervento dell’autorità governa-tiva che dovrà vagliare la regolarità dell’operazione, la congruità del pa-trimonio, nonché la coerenza dell’operazione con le finalità e gli scopi dell’ente.
Nel momento in cui si procede alla stampa del presente orientamen-to risulta portato all’esame delle competenti commissioni parlamentari lo schema di decreto legislativo adottato dal Governo in forza della leg-ge delega 6 giugno 2016 n. 106. Appare significativo che nell’art. 97 del-lo schema vengano adottate di fatto soluzioni, in ordine alla trasforma-zione degli enti libro primo, non difformi con quanto espresso nel pre-sente orientamento.
K.A.41 – (TRASFORMAZIONE ETEROGENEA ANTICIPATA – 1° pubbl. 9/16 – moti-vato 9/17)
Il comma 2 dell’art. 2500-novies c.c. prevede che nel caso di opposizione dei cre-ditori ad una trasformazione eterogenea trovino applicazione le disposizioni di cui all’ultimo comma dell’art. 2445 c.c.
Identica disposizione è contenuta nel comma 2 dell’art. 2503 c.c., in materia di opposizione dei creditori ad una fusione.
In entrambi i casi, dunque, l’opposizione non impedisce che l’operazione abbia luogo ove la società abbia prestato idonea garanzia (art. 2445, ultimo comma, c.c.).
A quanto sopra consegue che deve ritenersi legittimo procedere all’iscrizione con efficacia immediata di una trasformazione eterogenea, senza rispettare i termini per l’opposizione, qualora la società abbia volontariamente prestato l’idonea garanzia che consente l’iscrizione immediata di una fusione ex art. 2503, comma 1, c.c.: deposito presso una banca delle somme necessarie a pagare i creditori che non hanno prestato il consenso (ovvero fideiussione bancaria - vedi orien-tamenti L.C.1 e L.C.2).
Motivazione
Anche in tema di trasformazione eterogenea il codice civile prevede una specifica disciplina a tutela dei creditori che possano subire un no-cumento alle proprie aspettative a seguito dell’operazione di trasforma-zione.
E pertanto è previsto che l’efficacia della trasformazione sia differita di sessanta giorni rispetto all’ultimo degli adempimenti pubblicitari in-dicati dall’art. 2500 c.c. in quanto, in tale intervallo di tempo, i creditori stessi possono fare opposizione all’operazione.
L’articolo 2500-nonies c.c. autorizza tuttavia di anticipare gli effetti ri-spetto al detto termine di sessanta giorni nel caso in cui i creditori esprimano il proprio consenso, ovvero nel caso in cui siano stati pagati i creditori che tale consenso non abbiano manifestato.
La norma inoltre, nel comma secondo, richiama anche espressamen-te le disposizioni contenute nell’ultimo comma dell’art. 2445 c.c. che, in tema di riduzione volontaria del capitale sociale, ammette una anticipa-ta eseguibilità della delibera, allorquando lo consenta il tribunale ove ri-tenga infondato il pericolo di pregiudizio dei creditori, ovvero nel caso in cui la società abbia prestato idonea garanzia.
Va anche ricordato come in tema di fusioni (e scissioni) la nuova formulazione dell’art. 2503 c.c. ha chiarito che il deposito presso una banca della somma necessaria al pagamento dei creditori che non han-no dato il consenso all’operazione, autorizza l’esecuzione anticipata della fusione (o della scissione) rispetto al termine dei sessanta giorni previsto dalla norma medesima.
Sulla base di una interpretazione sistematica delle richiamate regole si può affermare sussistere un principio generale di tutela specifica dei creditori, applicabile in tutti i casi in cui, per effetto di operazioni straordinarie, possa arrecarsi un pregiudizio alle aspirazioni di soddi-sfazione delle loro rispettive posizioni. Tale tutela è assicurata con il ri-conoscimento della facoltà di opposizione alle operazioni deliberate, da esercitarsi entro una finestra temporale specificamente individuata dal legislatore.
Tale riserva temporale, che da un lato attribuisce la facoltà di oppo-sizione ai creditori e dall’altro impedisce l’immediata esecuzione delle delibere adottate, trova tuttavia un temperamento ogni volta in cui risul-ti l’espresso consenso del ceto creditorio, oppure appaia comunque as-sicurata la soddisfazione dei creditori attraverso una garanzia idonea a preservare le loro aspirazioni.
E pertanto appare ben possibile sostenere che anche nelle operazioni di trasformazione eterogenea possano trovare applicazione le medesime regole che in tema di fusione, consentono una esecuzione anticipata ri-spetto al termine normalmente previsto.
In applicazione di detto principio anche nei casi di trasformazione eterogenea si ritiene quindi consentito che gli effetti dell’operazione possano risultare anticipati, rispetto al termine dei sessanta giorni previ-sti nell’art. 2500 nonies c.c., qualora la società provveda a depositare presso una banca le somme necessarie a pagare i creditori che non han-no prestato il consenso, ovvero proceda a predisporre idonea fideiussio-ne bancaria.
In ordine alle caratteristiche e modalità con cui il deposito delle somme debba avvenire ed alle caratteristiche dell’eventuale fideiussione bancaria si rinvia espressamente alla motivazione dell’orientamento L.C.2.
K.A.42 – (LEGITTIMITÀ DELLA TRASFORMAZIONE DI ASSOCIAZIONE PROFESSIO-NALE IN SOCIETÀ – 1° pubbl. 9/18 – motivato 9/19)
Appare consentita la trasformazione diretta di associazioni fra professionisti in una delle società disciplinate nei capi V, VI e VII del Titolo V del Libro V del codice civile, nel rispetto della disciplina generale prevista dalla legge 12 novembre 2011 n. 183 e dalle leggi speciali di settore.
Motivazione
L’orientamento riguarda l’ammissibilità della trasformazione in via diretta di una associazione tra professionisti, costituita secondo la nor-mativa dettata dalla L. 23 novembre 1939 n. 1815, in una società di ca-pitali.
In ordine anzitutto all’assimilazione delle associazioni tra professio-nisti con le associazioni non riconosciute, si rinvia alla motivazione dell’orientamento A.A.11.
L’operazione in commento si colloca nel solco della linea interpreta-tiva tracciata dalla dottrina a seguito della riforma di diritto societario ed accolta dal legislatore anche recentemente con la riforma del Terzo Settore.
Va in primo luogo considerato come già l’art. 2500-octies c.c. abbia consentito la trasformazione diretta delle associazioni riconosciute in una delle società disciplinate nei capi V, VI e VII del Titolo V del Libro V del codice civile.
Ancorché la regola codicistica si riferisca espressamente alle “asso-ciazioni riconosciute”, non pare revocarsi in dubbio la piena applicazio-ne del meccanismo anche alle associazioni non riconosciute.
È stato giustamente rilevato come non può essere certo l’elemento del riconoscimento, che dipende solamente da un procedimento ammi-nistrativo, a costituire il discrimine; neppure l’elemento pubblicitario, ri-feribile alle sole associazioni riconosciute, può essere elemento valido a giustificare la supposta differenza, atteso che la medesima norma anno-vera espressamente anche i consorzi con attività interna e le comunioni di azienda, che pure risultano totalmente carenti di specifica pubblicità.
Ed infine, anche la supposta maggiore garanzia di consistenza pa-trimoniale “certificata”, riferibile alle sole associazioni riconosciute, ap-pare priva di rilevanza posto che in ogni caso la trasformazione in so-cietà di capitali comporta, per entrambe le strutture associative, la ne-cessità di predisposizione della perizia di stima richiesta dall’art. 2500-ter, comma 2, c.c., a garanzia del ceto creditorio.
Ma il panorama normativo di riferimento non si esaurisce certo nell’analisi, ancorché già sufficientemente convincente, dell’impianto contenuto negli artt. 2500-septies e segg. c.c.
Che infatti l’istituto della trasformazione, come principio applicabile ad ogni realtà aggregativa consentita, sia entrato a far parte delle regole generalmente riconosciute dal vigente diritto positivo appare conferma-to in maniera espressa anche nella legge 6 giugno 2016, n. 106 di “Dele-ga al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”. Ed infatti l’art. 3 primo comma lett. 3) della menzionata normativa assegnava al Governo la de-lega per disciplinare “il procedimento per ottenere la trasformazione di-retta e la fusione tra associazioni e fondazioni, nel rispetto del principio generale della trasformabilità tra enti collettivi diversi introdotto dalla riforma del diritto societario di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 6”.
Principio generale, appunto!
Come noto poi le nuove regole per il terzo settore contenute nel D.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 e nello specifico l’art. 98 che ha introdotto un nuovo art. 42 bis nel corpo del Libro primo del codice civile, confer-mano la piena operabilità dell’istituto della trasformazione alle associa-zioni riconosciute e non riconosciute oltreché alle fondazioni.
La disposizione, rubricata «Trasformazione, fusione e scissione», stabilisce infatti che, «se non è espressamente escluso dall’atto costituti-vo o dallo statuto, le associazioni riconosciute e non riconosciute e le fondazioni di cui al presente titolo possono operare reciproche trasfor-mazioni, fusioni o scissioni».
Stante il più volte ricordato principio di economia dei mezzi giuridici (vedi orientamenti K.A.27, K.A.28 e K.A.40), appare pertanto senz’altro possibile procedere direttamente alla trasformazione delle as-sociazioni tra professionisti in società di capitali.
Tuttavia, poiché il fenomeno della trasformazione consiste in una modificazione della struttura sociale in forza della quale un nuovo tipo di organizzazione viene adottato in luogo di quello preesistente, esso ben si colloca nelle operazioni che l’assemblea dei soci, con le maggio-ranze di legge o con quelle previste nell’atto costitutivo, può adottare, purché tale operazione non sia espressamente esclusa dall’atto costituti-vo o dallo statuto.
La norma richiamata descrive inoltre le formalità occorrenti ai fini della trasformazione, prevedendo la necessità della predisposizione da parte degli amministratori di una relazione relativa alla situazione pa-trimoniale dell’ente in via di trasformazione e contenente l’elenco dei creditori, aggiornata a non più di centoventi giorni precedenti la delibera di trasformazione.
Si prevede anche la necessità della relazione illustrante le motivazio-ni e gli effetti della trasformazione e si richiama infine la disciplina pre-vista negli articoli 2499, 2500, 2500-bis, 2500-ter, comma 2, 2500-quinquies e 2500-novies , in quanto compatibili.
La trasformazione dell’associazione in società di capitali comporta altresì la necessità di adottare la forma dell’atto pubblico, in quanto, per ogni ipotesi di trasformazione, l’atto rimane soggetto alla disciplina prevista per il tipo adottato ed alle forme di pubblicità relative.
La trasformazione di una associazione tra professionisti in società implica inoltre l’obbligo del rispetto della normativa sia generale che speciale prevista per le società tra professionisti.
E dunque occorrerà che l’atto di trasformazione si conformi alle re-gole riportate sia nell’art. 10 della Legge 12 novembre 2011 n. 183, sia nel relativo regolamento interministeriale, sia infine alla eventuale di-sciplina contenuta nelle leggi speciali riguardanti le singole professioni.
Si rinvia quindi integralmente agli orientamenti in tema di società tra professionisti contenuti nella sezione Q.A.
K.A. 43 - (TRASFORMAZIONE LIQUIDATIVA E INAPPLICABILITÀ DELL’ART. 2437-TER COMMA 2 C.C. – 1° pubbl. 9/18 – motivato 9/19)
La trasformazione “liquidativa” di una SPA con l’adozione di un tipo sociale di-verso, permanendo lo stato di liquidazione, motivata dal solo scopo di contene-re i costi della liquidazione medesima, non richiede, da parte dell’Organo Ammi-nistrativo, la predeterminazione del valore di liquidazione delle azioni di cui all’art. 2437-ter c.c., considerato che la fase dissolutiva in essere della società prevale sulle cause di scioglimento del singolo rapporto sociale (in tal senso indi-ci normativi di tale interpretazione sistematica possono rinvenirsi negli artt. 2437-bis ultimo comma, 2473 ultimo comma (per la SRL) e 2491 c.c.).
Motivazione
Il tema della trasformazione “liquidativa” di una società per azioni, per tale intendendosi la trasformazione in un tipo sociale diverso non accompagnata dalla revoca dello stato di liquidazione ed anzi finalizza-ta ad agevolare le operazioni liquidative, è stato oggetto in passato di diverse pronunce della giurisprudenza di merito, la quale ne ha afferma-ta la legittimità (App. Trieste 8 novembre 1986, in Riv. Not., 1987, 868 ss.; Trib. Milano 27 marzo 1996, Massime in tema di omologazione, in Riv. Soc., 1996, 269 ss.; App. Milano 6 ottobre 2000, in Giur. It., 2001, 1679, nota di Luoni; Trib. Milano 17 ottobre 2007, pubblicato unitamen-te allo Studio del CNN n. 221-2010/I, Riduzione del capitale per perdite e trasformazione di società in liquidazione, estensori Ferri jr - Paolini).
Tuttavia, non risulta essere stata in tali sedi approfondita la questio-ne relativa alla spettanza o meno del diritto di recesso in capo ai soci che non abbiano concorso all’approvazione della relativa delibera.
A tal proposito parte della dottrina ritiene che la deliberazione in esame sia ammissibile solo se assunta all’unanimità, in quanto l’insorgenza del diritto di recesso ed il conseguente rimborso della par-tecipazione ai soci receduti risulterebbero incompatibili con lo stato di liquidazione.
Secondo una diversa opinione il permanere dello stato di liquidazio-ne precluderebbe l’esercizio del diritto di recesso in quanto in tale fase i diritti patrimoniali dei soci devono essere posposti a quelli dei terzi ai sensi dell’art. 2491 c.c.. Detta norma, infatti, consentendo ai liquidatori di ripartire tra i soci acconti sul risultato della liquidazione purché dal bilancio risulti che la ripartizione non incide sulla disponibilità di som-me idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali, vieta di procedere a qualsiasi ripartizione tra i soci lesiva dei diritti dei creditori sociali.
Si è altresì sostenuto che, anche ove il recesso – se ritenuto ammissi-bile – fosse esercitato, non sarebbe comunque possibile procedere al rimborso della partecipazione, se non una volta verificata la capienza dell’attivo per la soddisfazione integrale dei creditori sociali (CNN Que-sito n. 86-2006/I, Trasformazione di s.p.a. in stato di liquidazione, estensore Paolini; CNN Quesito n. 126-2009/I, Trasformazione in so-cietà a responsabilità limitata di società per azioni in liquidazione, estensore Paolini; CNN Quesito n. 246-2009/I, Trasformazione di so-cietà consortile per azioni in liquidazione in società cooperativa per azioni. Legittimità e procedimento, estensori Boggiali - Paolini - Ruoto-lo).
Per quanto riguarda la questione in esame, è da ritenere che assuma carattere determinante la stessa disciplina in tema di recesso e, in parti-colare, la norma di cui all’art. 2437-bis, comma 3 c.c. – corrispondente a quella di cui all’art. 2473, comma 5 in tema di società a responsabilità limitata – ai sensi della quale il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, perde efficacia, se entro novanta giorni è deliberato lo scioglimento della società.
In forza di tale norma pertanto:
- nel caso in cui la delibera di scioglimento della società segua l’esercizio, da parte del socio, del diritto di recesso, quest’ultimo diviene privo di efficacia (per l’efficacia del recesso si rinvia alla massima H.H.9);
- nel caso in cui la società abbia già deliberato il proprio scioglimento e si trovi quindi in stato di liquidazione, deve desumersi che qualsiasi delibera, pur assunta a maggioranza, non può dar luogo al sorgere del diritto di recesso, con conseguente disapplicazione della relativa disci-plina, ivi compresa la necessità di predeterminare il valore di liquida-zione delle azioni (art. 2437-ter comma 5 c.c.).
Sostenere che durante la fase di liquidazione il socio possa esercitare il diritto di recesso, fermo restando il differimento della liquidazione della propria partecipazione ad un momento successivo al pagamento dei debiti sociali, contrasterebbe con le sopra citate norme, le quali non prevedono soltanto una mera postergazione del credito (alla liquidazio-ne) del socio receduto, bensì la preclusione dell’esercizio del diritto di recesso ovvero la caducazione di ogni suo effetto (compreso quello di cristallizzazione del valore di liquidazione della partecipazione). Cia-scun socio sarà pertanto coinvolto, insieme e a parità di condizioni con gli altri, nella liquidazione del patrimonio sociale ed avrà diritto alla quota di liquidazione indicata dai liquidatori nel bilancio finale di liqui-dazione.
In relazione all’istituto del recesso nelle società di capitali è possibile ricavare quindi il principio generale secondo cui la fase dissolutiva della società prevale sulla causa di scioglimento del singolo rapporto sociale o, rectius, che l’interesse della compagine sociale al disinvestimento e dei creditori sociali alla soddisfazione delle proprie pretese, prevale sull’interesse patrimoniale del singolo socio alla liquidazione della pro-pria partecipazione.
Il disposto dell’art. 2491 c.c. costituisce ulteriore conferma normativa di tale incompatibilità.
K.A.44 – (TRASFORMAZIONE DI SOCIETÀ DI PERSONE IN SOCIETÀ DI CAPITALI E DIRITTO DI RECESSO EX ART. 2500 TER C.C. - 1° pubbl. 9/20 – motivato 9/21)
In caso di trasformazione a maggioranza di società di persone in società di capi-tali ai sensi dell’art. 2500 ter c.c.:
1. è opportuno che tutti i soci siano preventivamente informati dell’operazione;
2. il socio non consenziente ha diritto di recesso; pertanto lo stesso:
- potrà intervenire all’atto di trasformazione, esprimere il proprio dissenso o astensione e dichiarare, seduta stante, la sua volontà di recedere dalla società, dichiarazione da riprodurre nell’atto di trasformazione;
- potrà intervenire all’atto di trasformazione e limitarsi ad esprimere il proprio dissenso o astensione, riservandosi di esercitare il diritto di recesso di cui all’art. 2500 ter c.c. in un secondo momento con apposito atto da comunicare alla so-cietà (prima o dopo l’iscrizione dell’atto di trasformazione nel Registro delle Im-prese);
- potrà non intervenire all’atto di trasformazione ed esercitare il diritto di reces-so di cui all’art. 2500 ter c.c. con apposito atto da comunicare alla società (prima o dopo l’iscrizione dell’atto di trasformazione nel Registro delle Imprese);
3. il recesso avrà effetto, nei rapporti tra società e socio recedente, dal momento in cui lo stesso viene ricevuto dalla società;
4. si ritiene che possano essere rimossi ex nunc gli effetti del recesso su richiesta del socio receduto accettata da tutti gli altri soci entro il termine previsto per la liquidazione.
Motivazione
L’art. 2500-ter c.c. stabilisce che “Salvo diversa disposizione del con-tratto sociale, la trasformazione di società di persone in società di capi-tali è decisa con il consenso della maggioranza dei soci determinata se-condo la parte attribuita a ciascuno agli utili; in ogni caso al socio che non ha concorso alla decisione spetta il diritto di recesso”.
La norma prevede, pertanto, la possibilità di trasformazione progres-siva di società di persone in società di capitali a maggioranza (calcolata sulla base della partecipazione dei soci agli utili) con una norma di de-fault, applicabile cioè in assenza di diversa disposizione dei patti sociali (che potrebbero, invece, richiedere anche per questa modifica del con-tratto sociale la necessità del consenso di tutti i soci, così come previsto in via generale dall’art. 2252 c.c., ovvero diverse maggioranze o mag-gioranze calcolate sulla base di diversi criteri, ad esempio per teste o per partecipazione al capitale). La norma, peraltro, è alquanto scarna e la-scia aperte molte questioni, fra le quali anche le seguenti alle quali nell’orientamento in commento si è cercato di dare una risposta:
1) la prima questione riguarda le modalità di coinvolgimento dei soci nella decisione di trasformazione, posto che nelle società di persone si può prescindere, anche per l’adozione di decisioni di modifica dei patti sociali, dal metodo assembleare
2) la seconda questione riguarda le modalità di esercizio del recesso
3) la terza questione riguarda gli effetti del recesso
4) la quarta questione riguarda la possibilità o meno nel caso di spe-cie di rimuovere gli effetti del recesso.
1. È opinione largamente diffusa in dottrina che anche la decisione di trasformazione nella forma di società di capitali possa essere adottata in seno alle società di persone senza dover necessariamente ricorrere al metodo collegiale. Circostanza questa che, se non pone problemi ogni qualvolta i patti sociali richiedano il consenso unanime di tutti i soci (in conformità al principio generale in tema di modifiche al contratto socia-le di cui all’art. 2252 c.c.), dà luogo a non poche difficoltà, di carattere pratico, ogni qualvolta, invece, sia sufficiente per la trasformazione il consenso solo della maggioranza dei soci. In questo caso, infatti, appare quanto mai opportuno che tutti i soci siano messi nelle condizioni di partecipare ad una decisione così rilevante per la vita della società, qual è per l’appunto la decisione di trasformazione in un altro tipo sociale (per il principio di correttezza e lealtà che deve essere sempre rispettato da tutte le parti di un contratto). Pertanto, anche se per le società di per-sone non trova di norma applicazione il metodo assembleare, essendo, peraltro, necessario, per la trasformazione in una società di capitali, sti-pulare un atto pubblico, innanzi al Notaio, al quale debbono presenziare contestualmente tutte le parti del contratto, è opportuno che tutti i soci possano poter esprimere il proprio consenso o dissenso alla trasforma-zione stessa. Di conseguenza è opportuno che tutti i soci siano preven-tivamente informati dell’operazione, con un congruo preavviso (e possi-bilmente con avviso da comunicare con modalità tali da comprovarne la ricezione).
Si segnala che autorevole dottrina ritiene illegittimo il comportamen-to della maggioranza che nel deliberare la trasformazione in oggetto non abbia previamente informato e convocato ciascuno dei soci, con la conseguenza che il diritto di recesso, una volta che sia stata adottata la delibera di trasformazione, spetterà anche al socio che non sia stato convocato; in tale caso, il comportamento illegittimo della maggioranza legittimerà il socio, a sua scelta, ad impugnare la delibera di trasforma-zione (nei limiti in cui la stessa non sia stata ancora iscritta al registro delle imprese, in considerazione dell’effetto sanante previsto dall’art. 2500-bis c.c.), a richiedere il risarcimento dei danni ed a esercitare il re-cesso. E le tre pretese spetteranno al socio cumulativamente e non in concorso tra loro alternativo.
2. Il socio che non condivide l’iniziativa della trasformazione intra-presa dalla maggioranza, debitamente informato, potrà esercitare il suo diritto di recesso con diverse modalità ed a prescindere dalla sua deci-sione di intervenire o meno all’atto di trasformazione. In particolare, il socio dissenziente:
(i) potrà intervenire all’atto di trasformazione, esprimere il proprio dissenso o astensione e dichiarare, seduta stante, la sua volontà di rece-dere dalla società, dichiarazione da recepire nell’atto di trasformazione; in questo caso della volontà di recesso saranno messi immediatamente a conoscenza tutti gli altri soci e quindi la società, e ciò renderà super-flua e non necessaria una specifica ulteriore comunicazione da parte del socio recedente; la dichiarazione del socio dissenziente recepita nell’atto notarile di trasformazione terrà, pertanto, luogo della comunicazione di recesso (atto unilaterale recettizio) che normalmente deve essere inviata alla società per l’esercizio del recesso;
(ii) potrà intervenire all’atto di trasformazione e limitarsi ad esprime-re il proprio dissenso o astensione, riservandosi di esercitare il diritto di recesso di cui all’art. 2500-ter c.c. in un secondo momento con apposito atto da comunicare alla società (prima o dopo l’iscrizione dell’atto di trasformazione nel Registro Imprese); ovviamente il socio partecipante all’atto di trasformazione dovrà far risultare dall’atto stesso il suo dis-senso o la sua astensione, condizione questa indispensabile per poter esercitare il recesso di cui all’art. 2500-ter c.c.
(iii) potrà non intervenire all’atto di trasformazione ed esercitare il diritto di recesso di cui all’art. 2500-ter c.c. con apposito atto da comu-nicare alla società (prima o dopo l’iscrizione dell’atto di trasformazione al Registro Imprese); il diritto di recesso spetta infatti per legge al socio che “non ha concorso alla decisione” e quindi spetta non solo al socio che abbia espresso il proprio dissenso o la propria astensione alla deci-sione di trasformazione ma anche al socio che non si sia affatto pro-nunciato non essendo intervenuto all’atto di trasformazione; ovviamen-te se il socio non intervenuto lascia decorrere il termine per l’esercizio del recesso (vedi in appresso sub 5.2) senza assumere alcuna iniziativa ovvero, anche prima del decorso di detto termine, manifesta, anche taci-tamente, la sua volontà di aderire alla trasformazione (accettando quote o azioni della società trasformata o esercitando diritti inerenti dette azioni o quote), il diritto di recesso non potrà più essere esercitato, ed il socio non intervenuto sarà considerato, a tutti gli effetti di legge, socio anche nella società trasformata, senza soluzione di continuità.
Sotto il profilo redazionale dell’atto di trasformazione si osserva quanto segue:
- nell’ipotesi di cui sub (i) già nell’atto di trasformazione si potrà dare atto dell’uscita dalla compagine sociale del socio receduto e si dovrà procedere all’eventuale riduzione del capitale sociale, secondo la disci-plina propria delle società di persone (art. 2306 c.c. nel caso di s.n.c. o s.a.s.). In alternativa si potrà prevedere che alla liquidazione della quota del socio receduto si è proceduto o si procederà mediante riserve dispo-nibili (anche create o da crearsi ad hoc mediante versamenti soci in con-to capitale) e quindi mantenendo invariato il capitale nel suo importo, con sua ridistribuzione tra i soci superstiti in proporzione alle quote da-gli stessi già possedute nella società di persone;
- nelle ipotesi di cui sub (ii) e sub (iii), invece, nell’atto di trasforma-zione si dovrà prevedere l’attribuzione delle quote di srl o delle azioni a tutti i soci già partecipanti alla società di persone trasformata (compresi i soci che non hanno consentito alla trasformazione) non essendo dato sapere se costoro eserciteranno il diritto di recesso loro riconosciuto dall’art. 2500-ter c.c.; successivamente, in caso di effettivo esercizio del recesso, dovrà essere adottata apposita delibera ricognitiva che dia atto del recesso e dell’eventuale riduzione del capitale a seguito dell’annullamento della quota o delle azioni del socio receduto (ferma restando la necessità di rispettare le regole sulla riduzione del capitale sociale ed sul minimo di legge previsto per la società di “arrivo”, come in appresso precisato sub 5.1), a meno che la liquidazione non avvenga con riserve disponibili, mantenendo immutato il capitale sociale nel suo importo originario da ridistribuire tra i soci superstiti in proporzione al-le rispettive percentuali di partecipazione al capitale.
3. Con riguardo agli effetti del recesso appare opportuno distinguere tra gli effetti del recesso tra le parti (che decorrono dalla ricezione della comunicazione di recesso da parte della società) e gli effetti del recesso verso i terzi (che dipendono dall’avvenuta iscrizione dello stesso al Re-gistro delle Imprese).
Si rammenta al riguardo che:
- il recesso, per opinione largamente diffusa in dottrina, ha effetto dal momento in cui lo stesso viene ricevuto dalla società. Valgono, anche per il recesso ex art. 2500-ter c.c., le stesse considerazioni fatte, con ri-guardo ai termini di efficacia, per il recesso in seno alla s.p.a (vedi orientamento H.H.9) e per il recesso in seno alla s.r.l. (vedi orientamen-to I.H.5).
- gli effetti della dichiarazione di recesso, inoltre, non dipendono dal-la liquidazione della quota: il recesso, produce i suoi effetti nei rapporti tra società e socio receduto dal momento della ricezione della comuni-cazione di recesso anche se la quota del socio receduto non è stata an-cora liquidata; in giurisprudenza (Cass., 8 marzo 2013, n. 5836; Cass., 11 settembre 2017, n. 21036) è stato riconosciuto che il recesso da una società di persone è un atto unilaterale recettizio e, pertanto, la liquida-zione della quota non è una condizione sospensiva del medesimo, ma un effetto stabilito dalla legge, con la conseguenza che il socio, una vol-ta comunicato il recesso alla società, perde lo “status socii” nonché il di-ritto agli utili, anche se non ha ancora ottenuto la liquidazione della quota.
Dal punto di vista strettamente operativo, l’esigenza di dover tener distinto il piano degli effetti tra socio e società dal piano degli effetti del recesso verso i terzi, porta come conseguenza, la necessità di formaliz-zare, successivamente alla comunicazione del recesso, una apposita de-libera ricognitiva, da iscrivere nel Registro delle Imprese in cui dare at-to dell’avvenuto recesso del socio e, di conseguenza, dell’avvenuta va-riazione della compagine sociale nonché dell’avvenuta variazione dell’importo del capitale in caso di sua riduzione (mentre ci si limiterà a dare atto della sola variazione della compagine sociale se la liquidazio-ne della quota del receduto avverrà con riserve disponibili senza ridu-zione del capitale, che dovrà essere ridistribuito tra i soci superstiti in proporzione alle rispettive percentuali di partecipazione al capitale). Ovviamente tale delibera ricognitiva non sarà necessaria:
- nel caso di esercizio del recesso contestuale all’adozione della deci-sione di trasformazione e recepito nell’atto di trasformazione stesso
- nel caso in cui il recesso venga comunicato e la liquidazione venga effettuata dopo l’iscrizione della delibera al registro Imprese mediante l’acquisto delle quote o delle azioni del socio receduto da parte degli al-tri soci o da parte di terzi così come consentito dall’art. 2437-quater, c.c. e dall’art. 2473 c.c. (in questo caso si procederà mediante un atto di cessione di quote o mediate la girata o la cessione delle azioni).
4. Si ritiene che possano essere rimossi gli effetti del recesso anche su richiesta del socio receduto accettata da tutti gli altri soci, sempre entro il termine previsto per la liquidazione della quota del socio receduto (ossia entro i sei mesi dalla data di efficacia del recesso). Si esclude il potere del socio che abbia già comunicato la sua volontà di recedere di revocare unilateralmente il recesso così perfezionato, imponendo agli altri soci il suo “rientro” in società. È opinione diffusa in dottrina che una volta divenuto efficace il recesso sia irrevocabile su iniziativa del so-lo socio che lo ha proposto. In questo senso l’orientamento I.H.10 (principio dettato in tema di s.r.l. ma applicabile anche nel caso di spe-cie).
Ciò non esclude che attraverso un accordo approvato da tutti i soci dell’originaria società di persone (poi trasformata), la richiesta di rimo-zione degli effetti del recesso proposta dal socio che aveva esercitato il recesso stesso venga accolta e lo stesso venga reintegrato nella compa-gine sociale con attribuzione di una quota o di azioni di valore corri-spondente a quella della quota già posseduta nella originaria società di persone. Tutto ciò sarà possibile sino a che non si sia proceduto alla li-quidazione della quota del socio recedente, liquidazione con la quale si conclude in via definitiva, il procedimento di recesso. Comunque, la ri-mozione degli effetti del recesso nel caso di specie avrà effetto ex nunc, con la conseguenza che eventuali decisioni assunte dai soci nel periodo intercorrente tra la comunicazione della dichiarazione di recesso e la sua rimozione, senza il consenso del socio receduto, sono e rimarranno valide.
Più problematica è, invece, la questione della revocabilità della deli-bera di trasformazione e dell’applicabilità, in via analogica, anche alla fattispecie in commento della disciplina dettata per le società di capitali (che prevede che il recesso non possa essere esercitato o che, se già esercitato, sia privo di efficacia se entro il termine previsto per la liqui-dazione della quota del socio receduto venga revocata la delibera che ha dato luogo al recesso stesso).
Non ci sembra possano esserci ostacoli ad ammettere la possibilità della revoca della delibera di trasformazione prima della sua iscrizione al registro Imprese. Fino a che la delibera in questione non produce al-cun effetto (art. 2500, comma 3, c.c.) i soci ben possono revocare la de-libera presa, non procedere alla sua iscrizione nel registro imprese ed impedire in tal modo il verificarsi degli effetti della trasformazione. In questo caso, non ci sembra possano neppure esserci ostacoli ad ammet-tere l’applicabilità, in via analogica, della disciplina dettata per le socie-tà di capitali, con la conseguenza che una volta revocata la delibera di trasformazione (prima e senza quindi che si sia proceduto alla sua iscri-zione nel registro imprese) anche il recesso dal parte del socio dissen-ziente non potrà più essere esercitato o se già esercitato (ad esempio con dichiarazione resa contestualmente all’adozione della delibera di trasformazione), sarà privo di efficacia.
Dubbia è, invece, la possibilità di revocare la delibera di trasforma-zione dopo la sua iscrizione nel registro imprese. Sembra potersi ricava-re dall’ordinamento una sorta di principio di “stabilità” della trasforma-zione, emergente dalla disposizione dell’art. 2500-bis c.c. (“Eseguita la pubblicità di cui all’articolo precedente, l’invalidità dell’atto di trasfor-mazione non può essere pronunciata [...]”). Se l’ordinamento esclude che si possa dichiarare l’invalidità di una delibera di trasformazione una volta eseguita la sua iscrizione nel registro imprese, benché delibera nul-la o annullabile, e quindi non conforme a legge, in considerazione dei gravi inconvenienti che potrebbero derivare dalla caducazione della tra-sformazione dopo la sua iscrizione, a maggior ragione, e per gli stessi motivi, si dovrebbe escludere la possibilità stessa di sua revoca post iscrizione.
5. La fattispecie presa in considerazione nell’orientamento in com-mento offre l’occasione per alcuni ulteriori spunti di riflessione in ordine alla disciplina applicabile al recesso ex 2500-ter c.c.:
5.1 – nel caso di trasformazione ex art. 2500-ter c.c. al diritto di re-cesso spettante al socio che non ha concorso alla decisione quale disci-plina si applica? Quella della società di “partenza” (ossia della società di persone) o quella della società di “arrivo” (ossia della società di capi-tali)?
Sul punto sono state manifestate varie opinioni:
(i) secondo una prima opinione si applicherebbe sempre la disciplina della società di “arrivo”
(ii) secondo una seconda opinione si applicherebbe sempre la disci-plina della società di “partenza”
(ii) secondo una terza opzione per l’individuazione della disciplina si dovrebbe fare riferimento al momento in cui è esercitato il recesso: se esercitato prima della iscrizione al registro imprese della decisione di trasformazione, fintantoché la società è ancora società di persone, tro-verebbe applicazione la disciplina in materia di società di persone; se esercitato dopo l’iscrizione al registro imprese della decisione di tra-sformazione, quando la società ha oramai assunto la veste di società di capitali, troverebbe applicazione la disciplina della società di “arrivo” (s.r.l, s.p.a. o s.a.p.a.).
In realtà sembra preferibile adottare soluzioni diverse in relazione ai diversi aspetti della disciplina del recesso e più precisamente a seconda che vengano in considerazione:
(a) i diritti sostanziali del socio recedente e la determinazione del va-lore di liquidazione
(b) ovvero gli adempimenti conseguenti dell’esercizio del diritto di recesso.
(a) Nel primo caso (diritti sostanziali del socio recedente e determi-nazione del valore di liquidazione) appare fondato fare riferimento, ai fini della individuazione della disciplina applicabile, al momento dell’assunzione della delibera e non a quello in cui viene fatta la dichia-razione di recesso (in questo senso Cass. 12 novembre 2018, n. 28987, sez. I civile); a sostegno di tale ricostruzione si può osservare che:
- se così non fosse il socio potrebbe scegliere, arbitrariamente ed a suo vantaggio, tra due discipline diverse (esercitando il recesso conte-stualmente alla trasformazione o prima o dopo l’iscrizione al registro imprese della delibera di trasformazione);
- il legislatore con il diritto di recesso ha attribuito al socio il diritto di non far parte della società nella sua nuova veste e ciò neanche per un istante;
- nel caso di trasformazione in s.p.a. non sarebbe possibile la preven-tiva determinazione del valore delle azioni (ed il relativo deposito pres-so la sede sociale) a sensi dell’art. 2437, c. 5, c.c.
Inoltre, il legislatore con il diritto di recesso ha attribuito al socio il diritto a veder il proprio rapporto sociale (con riguardo ai propri diritti e doveri) disciplinato solo ed esclusivamente dalla disciplina (di legge e/o di statuto) che lui stesso aveva accettato nel momento in cui aveva ac-consentito a partecipare alla società, esclusa invece la sua sottomissione ad una disciplina (quella della nuova società) alla cui approvazione non ha affatto concorso.
Pertanto, nel caso dell’art. 2500-ter c.c., dovrebbero trovare applica-zione le disposizioni degli artt. 2289 e 2290 c.c.:
- il socio receduto avrà diritto soltanto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della sua quota (ciò non esclude, peraltro, che, se vi è un accordo tra le parti, si possa procedere alla liquidazione del socio receduto anche mediante assegnazione di beni in natura, ovvero in for-me miste, parte con beni in natura e parte in denaro);
- la liquidazione della quota sarà fatta in base alla situazione patri-moniale della società nel giorno in cui ha effetto il recesso;
- se vi sono operazioni in corso il socio receduto parteciperà agli utili ed alle perdite inerenti alle operazioni medesime;
- il pagamento della quota spettante al socio receduto dovrà essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui ha effetto il recesso;
(b) nel secondo caso (adempimenti conseguenti dell’esercizio del di-ritto di recesso: ad esempio riduzione capitale o modalità di effettua-zione della liquidazione) appare fondato fare, invece, riferimento, ai fini della individuazione della disciplina applicabile, al momento in cui vie-ne fatta la dichiarazione di recesso o viene eseguita la liquidazione; ad esempio se la dichiarazione di recesso e la liquidazione del socio rece-duto vengono fatti contestualmente alla delibera di trasformazione o comunque prima della sua iscrizione al registro imprese si dovrebbero applicare le norme della società “di partenza” (pertanto se si tratterà di una s.n.c. o di una s.a.s. per la riduzione del capitale troverà applica-zione la disciplina dettata dall’art. 2306 c.c.). Se la dichiarazione di re-cesso e la liquidazione del socio receduto vengono, invece, fatti dopo l’iscrizione al Registro Imprese della delibera di trasformazione, si do-vrebbero applicare le norme della società “di arrivo” (pertanto se si trat-terà di una s.r.l. troverà applicazione la disciplina dettata dall’art. 2473 c.c. se si tratterà di una s.p.a troverà applicazione la disciplina dettata dall’art. 2437-quater c.c. ).
5.2 – Va rilevato come nella disposizione dell’art. 2500-ter c.c. man-chi la previsione dei termini e delle modalità per l’esercizio del recesso, né una previsione di carattere generale in ordine a tali aspetti è rinveni-bile nella disciplina dettata per le società personali.
Sul punto sono state manifestate opinioni divergenti:
(a) da una parte vi è l’opinione di chi ritiene che in tutti i casi in cui il contratto sociale non disciplini in maniera puntuale il termine e le mo-dalità per l’esercizio di recesso, possa trovare applicazione la disciplina dettata dall’art. 2437-bis, comma 1, c.c., norma dettata per le s.p.a ma che enuncerebbe un principio di carattere generale applicabile anche a società diverse dalla s.p.a. in quanto non incompatibile con la struttura di dette società. Ad esempio, con riguardo alle s.r.l. (per le quali l’art. 2473 c.c. non prevede espressamente un termine per l’esercizio del dirit-to di recesso) si è ritenuto che in mancanza di una previsione dell’atto costitutivo disciplinante i termini di esercizio del recesso nei casi previ-sti dal primo comma dell’art. 2473 c.c. è applicabile per analogia la di-sciplina dettata dal comma 1 dell’art. 2437-bis c.c. In questo senso l’orientamento I.H.2; pertanto ad accogliere tale opinione ogni qualvol-ta i patti sociali di una società di persone trasformata nulla dispongano in ordine alle modalità per l’esercizio del recesso di cui si tratta, lo stes-so dovrebbe essere esercitato mediante lettera raccomandata da spedirsi entro quindici giorni dall’iscrizione nel registro imprese della delibera che ha disposto la trasformazione della società, e ciò in applicazione analogica della disciplina dettata dall’art. 2437-bis, comma 1, c.c.;
(b) dall’altra parte vi è l’opinione di chi esclude che possa applicarsi in via analogica, nel caso di mancata disciplina dei patti sociali, la di-sciplina dettata per le s.p.a. ritenendo che il socio non consenziente pos-sa esercitare il suo diritto di recesso in ogni tempo salva la prescrizione e salvo il diritto degli altri soci di chiedere al giudice la fissazione di un termine ex art. 1183 c.c. per l’esercizio del recesso. In questo senso si è pronunciata di recente anche la Cassazione (Cass. 12 novembre 2018, n. 28987, sez. I civile): “In caso di recesso del socio di s.r.l. esercitato suc-cessivamente alla trasformazione in s.p.a., in considerazione del raffor-zamento della tutela del diritto al disinvestimento dei soci di minoran-za, rispetto a quella della stabilità del vincolo associativo, dovuto alle nuove caratteristiche personalistiche del tipo societario della s.r.l. confi-gurato dalla riforma del 2003, la disciplina del diritto di recesso è quella dettata per le s.r.l. dall'art. 2473, comma 2, c.c. che non prevede termini di decadenza, essendo contrario alla lettera del comma 1 della citata norma, nonché alla "ratio legis" e alla buona fede, assoggettare il socio dissenziente ai ridotti termini di esercizio del recesso fissati per le s.p.a. dall'art. 2437-bis c.c., da ritenersi non applicabile analogicamente per la diversità di presupposti del recesso nei due tipi societari; pertanto, in detta ipotesi, il diritto di recesso del socio va esercitato nel termine pre-visto nello statuto della s.r.l., prima della sua trasformazione in s.p.a., e, in mancanza di detto termine, secondo buona fede e correttezza, quali fonti di integrazione della regolamentazione contrattuale, dovendo il giudice del merito valutare di volta in volta le modalità concrete di eser-cizio del diritto di recesso e, in particolare, la congruità del termine en-tro il quale il recesso è stato esercitato, tenuto conto della pluralità degli interessi coinvolti.”.
Detto pronunciamento della Cassazione non appare del tutto condi-visibile. Giusta la premessa, nel senso che in caso di trasformazione, al diritto di recesso spettante al socio non consenziente si applica la disci-plina, in ordine ai diritti sostanziali, della società di “partenza” e non quella della società di “arrivo”. Non sembra invece sufficientemente motivata l’esclusione dell’applicabilità alle s.r.l., in mancanza di un’espressa previsione statutaria al riguardo, della disciplina dettata dall’art. 2437-bis, comma 1, c.c. in ordine alle modalità di esercizio del recesso; come detto questa norma fissa un principio di carattere genera-le estensibile anche a società diverse dalle s.p.a. in quanto non appare per nulla incompatibile con la struttura delle altre società. È fondamen-tale che vi sia un termine perentorio entro il quale dover essere esercita-to il diritto di recesso, senza costringere le parti a ricorrere ad un giudi-ce, stante la situazione di grave incertezza ed instabilità in cui si verreb-be sicuramente a trovare la società nell’attesa che il socio dissenziente decida se esercitare o meno il suo diritto di recesso. Al contrario non troveranno applicazione in via analogica tutte quelle disposizioni che appaiono invece conformate al modello s.p.a.
5.3 - È opinione largamente diffusa sia in dottrina che in giurispru-denza che la valutazione della quota del socio receduto, ai sensi dell’art. 2289 c.c., non possa essere effettuata tenendo conto dei soli valori con-tabili del patrimonio o peggio ancora del solo valore nominale della quota. Lo stesso art. 2289 c.c. stabilisce che se vi sono operazioni in corso il socio receduto partecipa agli utili ed alle perdite inerenti alle operazioni medesime. Va fatta quindi una valutazione del patrimonio della società che tenga conto anche dell’avviamento e delle prospettive reddituali della società medesima. In questo senso si è pronunciata la Cassazione (Cass., 8 ottobre 2018, n. 24769, sez. VI – 1 civile): “In tema di valutazione della quota sociale ex art. 2289 c.c., occorre tener conto anche del valore dell'avviamento e, secondo una stima di ragionevole prudenza, della futura redditività dell'azienda, considerato che la nor-ma, facendo riferimento allo scioglimento del rapporto nei confronti di un solo socio, presuppone la continuazione dell'attività sociale che non può riferirsi solo ad un compendio statico e disaggregato di beni, ma deve essere valutata anche avuto riguardo alla sua fisiologica e naturale propensione verso il futuro”.
Pertanto, anche nel caso di esercizio del diritto di recesso ex art. 2500-ter c.c., trovando applicazione la disposizione dell’art. 2289 c.c., come sopra ipotizzato sub 5.1, ci si dovrà attenere ai criteri di valuta-zione del patrimonio indicati dalla dottrina e dalla giurisprudenza e quali sopra evidenziati.