P.A. Decisione della società di approvazione della proposta e delle condizioni del concordato > Decisione della società di approvazione della proposta e delle condizioni del concordato
P.A.1 - (CONTROLLO NOTARILE SUL CONTENUTO DELLA DECISIONE DI APPROVA-ZIONE DELLA DOMANDA DI CONCORDATO AI FINI DELLA SUA ISCRIVIBILITÀ NEL REGISTRO IMPRESE - 1° pubbl. 9/09 - motivato 9/11 – modificato 9/13)
Il controllo che il notaio verbalizzante la decisione o deliberazione di approva-zione della domanda di concordato deve effettuare al fine di valutare la sua iscrivibilità nel registro imprese ai sensi dell’art. 2436 c.c., richiamato dal comma 3 dell’art. 152 legge fall., è di legittimità e non di merito.
Detto controllo deve avere ad oggetto l’intero contenuto tipico previsto dalla legge per la specifica decisione verbalizzata. Dunque, nel caso di concordato fal-limentare, è riferito tanto alla domanda quanto alla proposta e alle condizioni del concordato (in quanto tutti tali elementi devono sussistere nella decisione verbalizzata dal notaio ai sensi dell’art. 152 legge fall.), mentre nel caso di con-cordato preventivo è riferito alla sola domanda (poiché in tale caso la proposta e il piano possono non essere approvati contestualmente alla domanda ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fall.).
Il notaio dovrà quindi verificare:
a) tanto nel concordato fallimentare quanto in quello preventivo, che siano sta-te rispettate le regole di competenza e di formazione della volontà sociale;
b) nel solo concordato fallimentare, che siano stati rispettati i limiti temporali di cui all’art. 124, comma 1, legge fall. e che la decisione approvi non solo la do-manda ma anche le condizioni del concordato. Si ritiene che sia soddisfatto det-to ultimo requisito qualora sia precisato, anche genericamente, ai sensi dell’art. 124 legge fall., se il concordato avverrà:
1 - mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie comun-que specificate (aumenti di capitale; emissione di obbligazioni, altri strumenti fi-nanziari o titoli di debito; costituzione di nuove società con conferimenti di rami di azienda e attribuzione delle partecipazioni ai creditori, ecc.);
2 - con l’intervento di un assuntore;
3 - con la suddivisione dei creditori in classi diverse;
4 - con soddisfazione non integrale dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipo-teca.
Al contrario il notaio non potrà effettuare alcuna valutazione in ordine alla ricor-renza dello “stato di crisi”; alla opportunità e fattibilità del piano; alla consisten-za dell’attivo e del passivo; ed in genere ogni altra valutazione relativa ad ele-menti il cui esame è riservato dalla legge all’attestatore, al giudice o ai creditori.
È inoltre inibita al notaio qualsiasi valutazione in ordine agli elementi che devo-no risultare dai documenti e dalla relazione del professionista che accompagne-ranno la domanda di concordato, ancorché indicati nella decisione o delibera-zione da lui verbalizzata.
Motivazione
Il D.Lgs. n. 83/2012 ha introdotto nel concordato preventivo la pos-sibilità di una differenziazione temporale tra una prima fase di semplice richiesta di ammissione alla procedura (c.d. "domanda di concordato in bianco") ed una seconda fase di specificazione del piano destinato alla concreta realizzazione della stessa (c.d. "proposta di concordato").
Lo scopo del nuovo istituto (c.d. "procedura di preconcordato pre-ventivo") è quello di consentire all'impresa che versi in stato di crisi, quale attività prodromica e funzionale alla presentazione di un piano destinato ad una soluzione concordata della crisi, di presentare una domanda che consenta di "cristallizzare" la situazione debitoria dell’impresa, evitando la formazione di crediti privilegiati nella fase immediatamente precedente alla presentazione della proposta. Nella procedura di preconcordato, infatti, gli effetti protettivi di cui all'art. 168 legge fall. sono prodotti fin dalla pubblicazione della domanda di con-cordato in bianco nel Registro delle Imprese.
Prima della modifica legislativa del 2012 gli operatori avevano cerca-to di attenuare la rigidità del sistema (che non prevedeva la possibilità di un lasso temporale tra la presentazione della domanda ed il deposito della proposta) utilizzando istituti che anticipassero gli effetti protettivi del patrimonio del debitore al momento della generica decisione di pre-sentare la richiesta di ammissione al concordato preventivo, senza do-ver attendere la formale presentazione della domanda-proposta nella quale dovevano essere precisate le modalità attuative del concordato stesso. A questo scopo veniva utilizzato (e non sempre avallato dalla giurisprudenza) lo strumento del vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. (che veniva costituito mentre era in corso la predisposizione, spesso lunga e complessa, del piano concordatario). In particolare l’atto di de-stinazione veniva costituito e trascritto su tutti i beni immobili dell’imprenditore in crisi (persona fisica o società) per realizzare l'inte-resse, ritenuto meritevole di tutela, di provvedere alla soddisfazione del-le ragioni, secondo il rispettivo grado di preferenza, di tutti i creditori dell'impresa stessa, evitando che l'aggressione disordinata del patrimo-nio dell'impresa in stato di crisi potesse comportare una dispersione di valore che danneggiasse i creditori ed impedisse un'equa distribuzione degli effetti dell'insolvenza. La risposta giurisprudenziale a questo uti-lizzo dell’atto di destinazione variava da distretto a distretto. Infatti, mentre alcuni Tribunali ritenevano legittima tale prassi, altri (Trib. Vi-cenza e Trib. Verona) ne affermavano l’invalidità, ritenendo che il con-cetto di meritevolezza degli interessi, che avrebbe giustificato la segre-gazione patrimoniale di cui all’art. 2645 ter c.c., dovesse limitarsi alle persone con disabilità, alle Pubbliche Amministrazioni, agli Enti a sco-po morale o, comunque, a fini solidaristici.
La tutela dell'esigenza in parola è stata accordata dal D.L. n. 83/2012 convertito con legge n. 134/2012, che ha introdotto nel testo dell'art. 161 legge fall. i commi 6 e seguenti, che disciplinano la proce-dura di preconcordato. In particolare, a seguito della citata modifica le-gislativa, è ammesso che l'imprenditore depositi immediatamente il ri-corso costituito dalla domanda di concordato in bianco e solo successi-vamente la proposta, con anticipazione degli effetti protettivi di cui all'art. 168 legge fall. al momento della pubblicazione della domanda nel Registro delle Imprese.
In tal modo si permette all'impresa in crisi di disporre di un congruo margine di tempo per elaborare il piano e la proposta, producendo in via immediata gli effetti protettivi sul patrimonio, che, prima della mo-difica del 2012, si sarebbero realizzati solo a seguito della presentazione della domanda-proposta di concordato, completa di tutta la documen-tazione prevista dall'art. 161, commi 2 e 3, legge fall. Le condizioni del concordato (o dell’alternativo piano di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis legge fall.) verranno rese note, al momento del deposito in tribu-nale (entro il termine che sarà fissato, a seguito della presentazione dell'istanza ai sensi dell'art. 161, comma 6, legge fall.) della proposta ai creditori.
Con la modifica del 2012, pertanto, nel concordato preventivo la domanda, intesa come istanza rivolta al tribunale per ottenere l’ammissione alla procedura, e la proposta, ovvero la precisazione delle concrete modalità di soddisfacimento dei creditori, possono solo occa-sionalmente trovare attuazione in un unico momento.
Preso atto della possibile non coincidenza temporale tra l'approva-zione della domanda e l'approvazione delle condizioni di concordato, si deve individuare quale tra le due relative delibere richieda la verbalizza-zione notarile, il deposito e l'iscrizione ai sensi dell'art. 2436 c.c.
Infatti, in base al combinato disposto dei commi 4 e 6 dell'art. 161 legge fall., la domanda di concordato deve essere approvata e sottoscrit-ta ai sensi dell'articolo 152 legge fall. e quest’ultima norma prevede che, nelle società di capitali e nelle cooperative, la proposta e le condizioni di concordato siano deliberate dagli amministratori (salva diversa previ-sione statutaria) e che tale deliberazione debba essere verbalizzata da Notaio, depositata ed iscritta ai sensi dell’art. 2436 c.c.
Il coordinamento tra queste due norme è reso ancor meno agevole dalla diversa terminologia utilizzata ed in particolare dal fatto che l’art. 161 legge fall. distingue tra domanda e proposta di concordato mentre l’art. 152 legge fall., nello stabilire i requisiti di forma della delibera, si riferisce, con disciplina unitaria, alla proposta (comprensiva, ovviamen-te, anche dell'istanza al tribunale) ed alle condizioni del concordato.
Per una prima opinione (Trib. Pistoia 30 ottobre 2012 e Trib. Milano 21 febbraio 2013) la verbalizzazione notarile dovrebbe ritenersi obbliga-toria solo per l'approvazione della proposta in cui sono stabilite le con-dizioni del concordato.
Militerebbero a favore di tale opzione ermeneutica sia un argomento letterale, che un argomento sistematico.
Sotto il primo profilo si osserva che dal testo dell’art. 152 legge fall., che si riferisce alla proposta e alle condizioni di concordato, si evince che la norma in esame non può trovare applicazione ove manchi l'indi-viduazione degli elementi essenziali della soluzione concordataria.
Con il secondo argomento, invece, si sostiene che la domanda di cui all'art. 161, comma 6, legge fall. non è una vera e propria domanda di concordato preventivo, ma una mera istanza volta ad ottenere un ter-mine di protezione, con finalità esclusivamente organizzative, che con-sente all'impresa in crisi di fissare la sua posizione debitoria in vista del-la successiva apertura della procedura concorsuale. Alla suddetta quali-ficazione della domanda di concordato in bianco come istanza con me-re finalità organizzative consegue la generale inapplicabilità diretta alla stessa delle norme sulla domanda-proposta di concordato ed in partico-lare l'inapplicabilità dell'art. 152, comma 2, lettera b) legge fall. laddove prevede che la deliberazione della domanda di concordato debba essere verbalizzata da Notaio, depositata ed iscritta ai sensi dell’art. 2436 c.c.
Di conseguenza nella procedura di preconcordato l’organo ammini-strativo (o il diverso organo previsto dallo statuto) potrebbe deliberare in merito alla domanda senza intervento del notaio, con verbale da non iscriversi nel Registro delle Imprese, dovendosi pubblicare la sola do-manda (a cura del cancelliere) ai sensi del comma 5 dell’art. 161 legge fall.
Per l'opposta opinione, invece, l'obbligatorietà della verbalizzazione notarile è riferita alla delibera sulla domanda di concordato in bianco (Trib. Modena 28 novembre 2012, Trib. Napoli 31 ottobre 2012, Trib. Cagliari 20 settembre 2012, Trib. Pisa 21 febbraio 2013, Trib. Mantova 14 marzo 2013, Orientamento dell'Osservatorio Societario del C.N.D. di Firenze, Pistoia e Prato e Studio CNN 100/2013).
Sotto il profilo letterale, infatti, si osserva che, per il combinato di-sposto dei commi 4 e 6 dell'art. 161 legge fall., è proprio la domanda che deve essere approvata ai sensi dell'art. 152 legge fall. e quindi con verbale notarile da depositare ed iscrivere ex art. 2436 c.c.
Ma sono soprattutto ragioni di ordine sistematico che inducono a preferire tale diversa interpretazione.
Da questo punto di vista sembrano decisive le modifiche alla disci-plina della procedura di preconcordato apportate dal D.L. n. 69/2013, convertito con legge n. 98/2013, che ha introdotto nella procedura di preconcordato:
- obblighi informativi periodici, accompagnati dal deposito di periodiche situazioni finanziarie;
- facoltà del tribunale di sentire in ogni momento i creditori, individuati da un elenco da allegare alla domanda di concordato in bianco, e di nominare il commissario giudiziale con immediate funzioni di vigilan-za;
- nei casi di condotte fraudolente del debitore, facoltà del tribunale di di-chiarare l'improcedibilità della domanda ed il fallimento del debitore;
- facoltà del tribunale di abbreviare il termine, già fissato da suo decreto motivato, per la presentazione della proposta quando risulti che l'attivi-tà del debitore è inidonea alla predisposizione della proposta stessa.
Dette recentissime modifiche legislative, tese ad evitare un uso di-storto della procedura di preconcordato (che è stata strumentalmente utilizzata a volte per dilazionare la dichiarazione di fallimento, altre volte per sospendere azioni esecutive in corso, altre volte ancora per prorogare abusivamente il termine del pagamento dei creditori), rendo-no difficilmente sostenibile la qualificazione della domanda di concor-dato in bianco come istanza con semplice funzione organizzativa. Le facoltà e gli obblighi introdotti dal D.L. n. 69/2013 sembrano inequivo-cabilmente incardinare la domanda di concordato in bianco all'interno della procedura concorsuale e conseguentemente attribuirle natura di vera e propria domanda di concordato preventivo.
Da ciò consegue l'applicazione diretta di tutte le norme sull’ordinaria domanda di concordato preventivo anche alla domanda di concordato in bianco ed in particolare l'applicabilità dell'art. 152, comma 2, lett. b) legge fall. che richiede la verbalizzazione notarile della relativa decisio-ne.
Ulteriore argomento sistematico può ricavarsi dal raffronto tra la normativa di riforma e quella originaria della legge fallimentare.
A questo riguardo giova ricordare che, anteriormente alla riforma di cui ai D.Lgs. n. 5/2006 e n. 169/2007, sulla base del combinato dispo-sto degli originari artt. 161, ultimo comma, e 152, comma 2, legge fall., la domanda per l'ammissione al concordato preventivo doveva essere approvata dall'assemblea straordinaria delle società di capitali e delle cooperative. Inoltre, per giurisprudenza consolidata, dal momento del deposito del ricorso per l'ammissione al concordato derivavano effetti immediati sulla legittimazione al compimento delle operazioni gestorie degli amministratori, i cui atti erano, ai sensi degli originari artt. 167 e 168 legge fall., "ope legis" inefficaci se consistevano in pagamenti di cre-diti anteriori al concordato o in atti di straordinaria amministrazione non previamente autorizzati. Pertanto, secondo l'orientamento tradi-zionale, già dal deposito della domanda si verificava quella incapacità di intraprendere nuove operazioni che contraddistingue il passaggio dal-la gestione ordinaria a quella liquidatoria.
La gravità delle conseguenze della richiesta di ammissione alla pro-cedura concordataria, tanto per i terzi creditori (che sarebbero stati esposti alla ripetizione dei pagamenti resi "ipso iure" inefficaci per effetto del semplice deposito del ricorso), quanto per i soci (che avrebbero limi-tato di fatto il perseguimento dello scopo della società, approvando un atto che ne comportava l'incapacità ad intraprendere nuove operazioni), aveva indotto parte della giurisprudenza a ritenere necessario il control-lo omologatorio del tribunale per la relativa delibera assembleare (Trib. Roma 28 marzo 1998).
Le varie riforme della legge fallimentare, pur avendo reso maggior-mente flessibile l'istituto del concordato preventivo, non sembrano averne modificato la struttura essenziale. In particolare ancora oggi si debbono ritenere vigenti (pur con attenuazione dell'assolutezza) tanto il divieto di pagamento dei creditori prima dell'omologa del concordato, quanto l'obbligo di autorizzazione del tribunale per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione. L'eccezionale rilievo della deci-sione di presentare l'istanza di ammissione al concordato ha indotto il legislatore della riforma a prevedere che, nelle società di capitali e nelle cooperative, la stessa sia soggetta a vebalizzazione notarile. In tal senso si può leggere la relazione illustrativa al D.Lgs. n. 5/2006 dalla quale si apprende che la scelta di prevedere per le società di capitali e le coope-rative la verbalizzazione notarile della decisione dell'organo ammini-strativo sulla domanda di concordato deriva da un’esigenza di simme-tria con l’impostazione della riforma del diritto societario che ha enfa-tizzato, per tali tipi di società, la forma notarile come elemento perfe-zionativo dei procedimenti decisionali di maggior rilevanza.
Pertanto il legislatore del 2006, da un lato ha sottratto all'assemblea straordinaria la competenza sulla decisione di chiedere l'ammissione al concordato per attribuirla all'organo amministrativo, dall'altro ha co-munque attribuito il controllo di legalità della decisione al notaio ai sen-si dell'art. 2436 c.c. Il formalismo prescritto dall’art. 152 legge fall. tro-va, pertanto, tutt'oggi la propria giustificazione nell’importanza degli ef-fetti derivanti dalla proposizione della domanda di concordato, con par-ticolare riferimento al divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio dell’imprenditore (art. 168, comma 1, legge fall.) e di ac-quisire cause legittime di prelazione, salva autorizzazione del giudice (art. 168, comma 3, legge fall.), nonché all'obbligo di autorizzazione del tribunale per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione (artt. 167 e 161, comma 7, legge fall.). In tale prospettiva, l’intervento del notaio ha la funzione di garantire un controllo di legalità rispetto ad un atto idoneo ad incidere pesantemente sulla sfera giuridica dei terzi creditori nonché sulla capacità di agire della società (e quindi sul con-creto perseguimento dell'oggetto sociale). Nella procedura di precon-cordato tali rilevanti conseguenze non si ricollegano alla proposta con specificazione delle condizioni del concordato, ma alla pubblicazione della domanda di concordato in bianco, in quanto è da tale momento che si verificano tanto gli effetti "protettivi" della posizione debitoria dell'impresa (art. 168 legge fall.), quanto le limitazioni alla capacità di agire della stessa (art. 161, comma 7, legge fall.). Consegue che è la de-cisione relativa a tale domanda ad essere sottoposta a controllo notarile.
Quale ultima annotazione si osservi come il legislatore abbia impo-sto il formalismo notarile per tutti quegli atti che, eccezionalmente de-rogando al principio di cui all’art. 2740 c.c., risultino idonei a limitare la responsabilità patrimoniale generale del debitore e conseguentemente il potere di azione esecutiva dei creditori (fondo patrimoniale ex artt. 167 e ss. c.c., atto di destinazione ex art. 2645 ter c.c., patrimoni separati ex art. 2447 bis c.c., ecc.). L'obbligo dell'intervento notarile al momento del-la decisione sulla domanda di concordato in bianco, dal cui deposito si verificano gli effetti paralizzanti l’iniziativa dei creditori (divieto di ini-ziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio dell’imprenditore e di acquisire cause legittime di prelazione), appare quindi in sintonia con i principi generali dell’ordinamento.
Le esposte considerazioni permettono quindi di ritenere non decisivo il tenore letterale dell’art. 152 legge fall., rilevando come il riferimento in esso contenuto alla verbalizzazione notarile della proposta e delle condizioni trovi la propria giustificazione nel fatto che, anteriormente alla disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 83/2012, tali due fasi necessa-riamente coincidessero e che pertanto, con l’espressione utilizzata, il le-gislatore semplicemente volesse riferirsi al momento dal quale decorro-no gli effetti di cui all’art. 168 legge fall.
Con riguardo all'istanza di concordato fallimentare, invece, nessuna novità è stata introdotta con il D.L. n. 83/2012 convertito con legge n. 134/2012, né con il D.L. n. 69/2013 convertito con legge n. 98/2013.
Solo nel concordato preventivo, infatti, si presentava l'esigenza prati-ca di anticipare gli effetti “protettivi" del patrimonio dell’impresa previ-sti dall'art. 168 legge fall. in un momento in cui non fossero ancora de-finiti i contenuti della proposta concordataria.
Pertanto nel concordato fallimentare il contenuto tipico ancor oggi previsto dalla legge per la relativa decisione è riferito tanto alla doman-da quanto alla proposta e alle condizioni del concordato (in quanto tutti tali elementi devono sussistere nella decisione verbalizzata dal notaio ai sensi dell’art. 152 legge fall.).
La differenza tra il contenuto della decisione sulla domanda-proposta di ammissione al concordato fallimentare rispetto a quello del-la decisione sulla domanda di ammissione al concordato preventivo si riflette sui poteri di controllo attribuiti al notaio verbalizzante.
Ciò discende direttamente dall’interesse che il legislatore ha ritenuto di tutelare imponendo, per la decisione di approvazione della richiesta di ammissione al concordato, gli obblighi di verifica e di iscrizione nel registro imprese previsti dall’art. 2436 c.c.
Nel concordato fallimentare, ove le esigenze di anticipazione degli effetti protettivi del patrimonio del debitore al momento della generica decisione di presentare la richiesta di ammissione al concordato non sussistono in quanto gli stessi sono già garantiti dal fallimento cui l'im-prenditore che propone il concordato è sottoposto, il controllo del no-taio verbalizzante garantisce ai soci e ai terzi che l’iter decisionale sia stato posto in essere dall’organo competente (si ricorda che lo statuto può derogare alla competenza "naturale" dell’organo amministrativo ex art. 152, comma 2, legge fall.), che siano stati rispettati i limiti temporali di cui all’art. 124, comma 1, legge fall. e che la decisione approvi non solo la domanda ma anche le condizioni del concordato, anche e so-prattutto in relazione alla circostanza che in base alla riforma di cui ai D.Lgs. n. 5/2006 e n. 169/2007 è possibile attuare un concordato con varie operazioni straordinarie: emissione di prestiti obbligazionari con-vertibili; emissione di titoli di debito; conferimenti di rami di azienda in società preesistenti o di nuova costituzione; aumenti di capitale riservati ai creditori; fusioni; scissioni; ecc. Non appare, comunque, rilevante, nemmeno in ipotesi di concordato fallimentare, un controllo notarile sulla fattibilità concreta del piano concordatario, peraltro estraneo alla competenza meramente giuridica del notaio verbalizzante, e che la stes-sa legge attribuisce ad un professionista specifico (il c.d. attestatore).
Nel concordato preventivo, invece, ove la verbalizzazione notarile è richiesta anche per l'approvazione della domanda di concordato in bianco, il controllo del notaio verbalizzante garantisce ai soci e ai terzi solo che l’iter decisionale sia stato correttamente posto in essere dall’organo competente. Ciò importa per il notaio verbalizzante la ne-cessità di verificare che l’organo amministrativo (o il diverso organo sta-tutariamente previsto) si riunisca e decida nella sua composizione gene-rale e non per mezzo di comitati esecutivi (o assemblee separate qualo-ra lo statuto di cooperativa preveda la competenza assembleare) o am-ministratori delegati; che lo stesso sia pienamente in carica al momento della decisione e quindi che non ricorrano ipotesi di “prorogatio” (per scadenza del termine di durata della nomina, o perché sia venuta meno la maggioranza degli amministratori, o perché sia venuto meno anche uno solo di essi in presenza di clausola statutaria “simul stabunt, simul cadent”), in quanto in tali casi l’organo amministrativo può compiere so-lo atti di amministrazione ordinaria ai sensi dell’art. 2386, ultimo com-ma c.c.; che la convocazione sia avvenuta secondo quanto previsto dal-lo statuto; che la adunanza si svolga con le modalità di legge e di statu-to.
In conclusione, il controllo del notaio verbalizzante ha ad oggetto il contenuto tipico previsto dalla legge per la specifica decisione verbaliz-zata e quindi: nel concordato fallimentare è riferito tanto alla domanda quanto alla proposta e alle condizioni del concordato; nel concordato preventivo è riferito alla sola domanda, poiché in tale caso la proposta e il piano possono non essere approvati contestualmente alla domanda ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fall.
P.A.2 - (LEGITTIMITÀ DELLA ADOZIONE DI UN’UNICA DECISIONE DI APPROVA-ZIONE DI PIÙ DOMANDE DI CONCORDATO TRA LORO ALTERNATIVE - 1° pubbl. 9/09 - motivato 9/11)
Si ritiene legittimo adottare con un’unica decisione o deliberazione più domande di concordato tra loro alternative, purché la scelta di presentazione dell’una o dell’altra domanda non sia rimessa al mero arbitrio del presentatore ma sia le-gata al verificarsi di determinati presupposti oggettivi (ad esempio fattibilità tec-nica, consenso preventivo di una o più categorie di creditori: banche od altri, ecc.).
Appare infatti meritevole di tutela l’interesse della società ad adottare una pro-cedura economica, quale quella dell’unica delibera, in un momento in cui non si siano ancora verificati i presupposti oggettivi che consentano l’esatta definizione di una sola domanda di concordato.
Motivazione
Sfruttando i principi enunciati nella motivazione dell’orientamento P.A.1 e assecondando, nei limiti imposti dalle disposizioni contenute nell’art. 152, comma 3, legge fall., l’esigenza pratica di assumere la de-cisione formale di presentazione di una domanda di concordato in una fase in cui non si siano ancora verificate le condizioni di fattibilità del piano concordatario, è possibile affermare la legittimità della approva-zione con un'unica delibera di più domande tra loro alternative, purché l’individuazione in concreto della domanda da presentare non sia ri-messa ad una scelta discrezionale del presentatore ma sia legata al veri-ficarsi di presupposti oggettivi.
In tal modo, infatti, nessuna fase del procedimento decisionale viene sottratta al controllo di legittimità operato dal notaio e alla pubblicità nel registro imprese.
P.A.3 - (FORME DELLA DECISIONE DI APPROVAZIONE DELLA DOMANDA E DELLE CONDIZIONI DEL CONCORDATO IN PRESENZA DI ORGANI MONOCRATICI - 1° pubbl. 9/09 - motivato 9/11)
La previsione sulla forma della decisione di approvazione della domanda e delle condizioni del concordato, contenuta nel comma 3 dell’art. 152 della legge fall., trova piena applicazione anche in presenza di organi monocratici (amministrato-re unico o liquidatore).
Motivazione
L’art. 152, comma 3, legge fall., disciplina positivamente la sola ipo-tesi della decisione di approvazione della domanda e delle condizioni del concordato assunta dagli amministratori, rimettendo quindi all’interprete l’individuazione della disciplina applicabile nelle ulteriori ipotesi in cui lo statuto rimetta ai soci detta decisione, ovvero in quelle in cui la società sia priva di “amministratori” in senso letterale (si pensi alle società amministrate da un organo monocratico, a quelle azionarie che hanno optato per il sistema dualistico o a quelle in liquidazione).
In questo caso è dunque l’analisi dei principi sottostanti alla nuova normativa dettata dall’art. 152 legge fall. che rende possibile l’individuazione del trattamento da riservare alle suddette fattispecie.
È innanzitutto importante ricordare che la decisione degli ammini-stratori non ha natura “autorizzatoria”, volta cioè a consentire ad un al-tro organo della società un’attività altrimenti ad esso preclusa.
Essa è piuttosto l’espletamento di un potere originario ed esclusivo, con obblighi di forma che travalicano gli interessi dei soggetti diretta-mente interessati per confondersi con quelli della collettività, ed in ulti-ma analisi con l’ordine pubblico.
Tali interessi pubblicistici sono gli stessi ravvisabili nelle norme che inibiscono di porre in essere, a pena di nullità, determinati negozi senza rispettare la forma dell’atto pubblico. Si pensi all’ipotesi delle donazioni (art. 782 c.c.), a quella delle convenzioni matrimoniali (art. 162 c.c.) o ancora a quelle della costituzione di società di capitali (artt. 2328 e 2463 c.c.).
In tutti questi casi la forma non è richiesta in relazione al soggetto che pone in essere l’atto, bensì in funzione della natura di quest’ultimo e della sua particolare rilevanza sociale.
A ciò consegue che è possibile individuare nell’art. 152 legge fall. il principio in base al quale la decisione di approvazione della domanda e delle condizioni del concordato deve sempre rivestire la forma dell’atto pubblico soggetto ad “omologa” e ad iscrizione nel registro imprese, prescindendo dall’organo che in concreto l’abbia adottata.
Per quanto riguarda poi l’individuazione positiva dei soggetti natu-ralmente competenti ad adottare la decisione sul concordato nelle socie-tà di capitali, letteralmente limitata dall’art. 152, comma 2, lett. b), leg-ge fall., agli “amministratori”, non può non osservarsi come la stessa debba intendersi riferita all’organo gestorio, quale che esso sia, e non ai soli amministratori in senso letterale.
Il legislatore che ha riformato la normativa fallimentare ha operato una semplice scelta tra la conferma della competenza sull’approvazione della domanda di concordato prevista dalla vecchia normativa a favore dell’assemblea straordinaria dei soci (organo peraltro non più esistente nelle società non azionarie), ovvero l’attribuzione della stessa all’organo di governo della società, qualunque esso sia nel caso concreto: consiglio di amministrazione; amministratore unico; consiglio di gestione; liqui-datore unico; comitato di liquidatori; ecc.
È solo per semplicità redazionale, e per conformarsi a scelte stilisti-che già operate dal nuovo diritto delle società, che nel testo finale dell’art. 152 legge fall. la scelta a favore dell’organo gestorio è stato esplicitata come a favore degli “amministratori”.
Non è dunque ragionevole sostenere che tutte le volte che la società sia priva di “amministratori” in senso letterale, la competenza legale non operi, con la conseguenza che la decisione sulla domanda di con-cordato debba essere rimessa ai soci.
Del resto è lo stesso inciso contenuto nell’art. 152, comma 2, legge fall. che, consentendo all’atto costitutivo o allo statuto delle società di capitali di derogare alla competenza a favore degli amministratori, po-stula la necessità di una volontà espressa per attribuire ai soci il potere di compiere ciò che la legge gli ha “naturalmente” sottratto.
È dunque possibile individuare nella normativa in oggetto l’ulteriore principio in base al quale, salvo diversa disposizione dello statuto o dell’atto costitutivo, la competenza ad adottare la decisione sulla do-manda e le condizioni del concordato spetta all’organo gestorio.
Tale principio deriva anche dalla volontà del legislatore di considera-re il nuovo concordato come uno strumento di rilancio dell’attività im-prenditoriale della società (in stato di crisi e non necessariamente di in-solvenza), che non comportando automaticamente lo scioglimento della stessa, né presupponendo la sua messa in liquidazione, è sistematica-mente sottratto alla competenza naturale dei soci.
Per quanto riguarda le società in liquidazione è tuttavia necessario aggiungere che i poteri dei liquidatori, quali organo gestorio di detta fa-se, possono essere liberamente modulati in sede di nomina ai sensi dell’art. 2487, comma 1, lett. c), c.c.
Sarà pertanto possibile, senza modificare lo statuto o l’atto costituti-vo, riservare ai soci la competenza ad approvare la domanda di concor-dato mediante la semplice non attribuzione del relativo potere all’organo di liquidazione all’atto della sua nomina.
È infine da ricordare che è principio generale che le decisioni adotta-te dagli organi sociali sopravvivono al mutare soggettivo o qualitativo di detti organi, con la conseguenza che la decisione sul concordato eventualmente adottata da un amministratore unico potrà poi essere eseguita dal consiglio di amministrazione o dal liquidatore che even-tualmente gli sono succeduti, senza necessità della ripetizione formale, con intervento notarile, di una nuova decisione.
Qualora invece il nuovo organo gestorio non intenda dar seguito alla domanda di concordato approvata dal suo predecessore dovrà porre in essere una revoca formale della relativa deliberazione, al fine di rimuo-vere una pubblicità altrimenti ingannevole.
P.A.4 - (FORME DELLA REVOCA DELLA DECISIONE O DELIBERAZIONE DI APPRO-VAZIONE DELLA DOMANDA DI CONCORDATO - 1° pubbl. 9/09 - motivato 9/11)
L’eventuale decisione o deliberazione di revoca della precedente approvazione della domanda di concordato deve essere assunta nel rispetto delle forme previ-ste dal comma 3 dell’art. 152 legge fall. ed iscritta nel registro imprese ai sensi dell’art. 2436 c.c.
Motivazione
Vedi sub P.A.3.
P.A.5 - (NON NECESSITÀ DEL CONCORSO DELLA CONFORME DECISIONE DELL’ORGANO GESTORIO NEL CASO IN CUI LA COMPETENZA AD APPROVARE UNA DOMANDA DI CONCORDATO SIA RIMESSA AI SOCI - 1° pubbl. 9/09 - moti-vato 9/11)
Nell’ipotesi che l’atto costitutivo o lo statuto riservino la competenza ad appro-vare una domanda di concordato ai soli soci, non si ritiene necessario che tale domanda debba essere anche approvata dall’organo gestorio.
In tale fattispecie, infatti, la decisione assunta dai soci non ha natura autorizza-toria, ma è l’espressione di una competenza esclusiva.
Quanto sopra vale anche per le società azionarie.
Motivazione
Una delicata questione, non affrontata dalla legge fallimentare, è quella relativa alla necessità o meno di porre in essere anche una con-forme decisione degli amministratori sulla domanda di concordato nel caso in cui lo statuto o l’atto costitutivo rimetta la decisione sulla stessa ai soci.
Tale dubbio è generato dalla circostanza che, dopo la riforma del di-ritto societario, gli amministratori delle società azionarie sono sempre responsabili degli atti gestori, anche nel caso in cui gli stessi siano stati preventivamente autorizzati dai soci (art. 2364, comma 1, n. 5), mentre nelle società a responsabilità limitata è prevista la responsabilità solidale degli amministratori con i soci nel caso in cui gli atti di amministrazio-ne posti in essere dai primi siano stati decisi od autorizzati da questi ul-timi (art. 2476, comma 7, c.c.).
Nell’ipotesi in cui lo statuto rimetta ai soci la competenza a delibera-re sulla domanda di concordato sembra tuttavia potersi escludere la ne-cessità di adottare una concorrente e conforme decisione degli ammini-stratori, ciò in virtù della chiara formulazione della disposizione di cui all’art. 152, comma 2, legge fall.
Detta disposizione evoca infatti una competenza originaria ed esclu-siva, che, in quanto tale, non può avere natura autorizzatoria, sia essa attribuita legalmente all’organo gestorio o convenzionalmente ai soci.
P.A.6 - (FORME DELLA DECISIONE DI PRESENTAZIONE DELL’ISTANZA DI FALLI-MENTO “IN PROPRIO” - 1° pubbl. 9/09 - motivato 9/11)
La disposizione di cui al comma 3 dell’art. 152 legge fall. ha carattere speciale, pertanto la stessa non trova applicazione nella procedura di approvazione da parte di una società della domanda con la quale si richiede il proprio fallimento.
Tale decisione potrà dunque essere adottata nelle forme ordinarie.
Motivazione
L’orientamento è volto chiarire come la disposizione di cui al com-ma 3 dell’art. 152 legge fall., disciplinante la forma della delibera avente ad oggetto l’approvazione della domanda e delle condizioni del concor-dato da parte della società, non sia applicabile per analogia all’ipotesi in cui una società richieda il proprio fallimento.
L’orientamento, che appare esprimere un principio pacifico, è stato formato in seguito alle istanze pervenute ad alcuni notai del Triveneto, all’indomani della riforma della legge fallimentare, di ricevere delibere degli organi amministrativi di società aventi ad oggetto, appunto, la ri-chiesta del proprio fallimento.
Tali istanze erano state avanzate nel presupposto che la forma nota-rile fosse necessaria per l’approvazione di qualsiasi domanda di ammis-sione a procedure concorsuali, esprimendo, l’art. 152, comma 3, l.f., un principio di ordine pubblico avente carattere generale.
Quanto sopra non può essere condiviso.
I motivi per cui il legislatore ha richiesto la forma notarile, e, soprat-tutto, l’“omologa” (verifica di legittimità ex art. 2436 c.c.), delle delibere con cui si approvi la domanda e le condizioni del concordato sono in-fatti riferibili esclusivamente alla decisone con cui si definisca la richie-sta di ammissione a tale procedura, in quanto atto di amministrazione normalmente sottratto ai soci e volto a superare uno stato di crisi, non necessariamente di insolvenza, al fine di rilanciare l’attività sociale (vedi più ampiamente sub orientamento P.A.1).
Nel fallimento non ricorre alcuno di detti elementi.
La richiesta del proprio fallimento da parte della società è infatti un atto dovuto, ricorrendone i presupposti, volto a liquidare il patrimonio sociale ed estinguere la società.
L’intero iter è soggetto ad una procedura rigida, sottratta all’autonomia propositiva della società tipica dei concordati, peraltro notevolmente ampliata dalla riforma fallimentare.
Per tali motivi non si ritiene applicabile, per analogia, alla delibera di approvazione della richiesta del proprio fallimento la disposizione di cui al comma 3 dell’art. 152 l.f., tale decisone sarà dunque adottabile nelle forme ordinarie.
È inoltre da sottolineare come sia principio ermeneutico largamente condiviso quello secondo il quale le norme procedimentali non sono su-scettibili di applicazione estensiva od analogica.
P.A.7 - (NON NECESSITÀ DI VERBALIZZAZIONE NOTARILE PER APPORTARE LE EVENTUALI INTEGRAZIONI AL PIANO CONCORDATARIO RICHIESTE DAL TRIBUNA-LE AI SENSI DELL’ART. 162, COMMA 1, LEGGE FALL. - 1° pubbl. 9/09 - motivato 9/11)
Le integrazioni al piano di concordato eventualmente richieste dal tribunale ai sensi dell’art. 162, comma 1, legge fall., non costituendo una nuova domanda né una modifica discrezionale di quella già presentata, possono essere validamente adottate dall’organo societario competente nelle forme ordinarie, senza che sia necessaria la verbalizzazione notarile di cui all’art. 152, comma 3, legge fall.
Motivazione
Come evidenziato in commento all’orientamento P.A.1, la ratio della disposizione contenuta nell’art. 152, comma 3, legge fall., nella parte in cui impone che le delibere di approvazione della domanda e delle con-dizioni del concordato siano sottoposte al controllo di legittimità del notaio verbalizzante, è quella di garantire l’interesse pubblicistico al ri-spetto delle competenze e dei limiti legali previsti dall’ordinamento in tale fase prodromica alla procedura concordataria.
Nell’ipotesi di integrazione del piano su richiesta del tribunale ex art. 162, comma 1, legge fall., l’organo societario competente non è chiama-to ad esprimere una nuova proposta di concordato, bensì ad adeguarsi ad una integrazione imposta dal tribunale pena la non ammissibilità del-la domanda.
In detta fattispecie è dunque carente l’interesse tutelato dall’art. 152, comma 3, legge fall., che pertanto non può trovare applicazione.
P.A.8 - (COMPETENZA NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI AD APPROVARE UN PIANO CONCORDATARIO CHE PREVEDA L’EFFETTUAZIONE DI OPERAZIONI STRAORDI-NARIE - 1° pubbl. 9/09 - motivato 9/11)
Nel caso in cui un piano concordatario di società di capitali preveda l’effettuazione durante la procedura di operazioni straordinarie di competenza dell’assemblea dei soci, quali un aumento di capitale o l’emissione di obbliga-zioni convertibili (art. 124, comma 2, lett. c) e art. 160, comma 1, lett. a) legge fall.), la competenza ad adottare la decisione o deliberazione di approvazione della domanda e delle condizioni del concordato rimane attribuita ai soli ammi-nistratori ai sensi dell’art. 152, comma 2, lett. c), legge fall., se non diversamente disposto dall’atto costitutivo o dallo statuto.
In tal caso, tuttavia, per poter dar corso all’operazione straordinaria sarà co-munque necessaria la rituale concorrente deliberazione dell’assemblea dei soci che la approvi.
La deliberazione dei soci potrà essere anteriore alla presentazione della doman-da, e dunque sospensivamente condizionata all’omologa del concordato, o suc-cessiva.
Motivazione
Una delle più importanti novità introdotte dalla riforma del diritto fallimentare in materia di concordato, sia preventivo che fallimentare, è quella di poter prevedere nel piano la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti senza alcun limite di forme.
È dunque possibile, in assenza di limiti legali, che il piano del con-cordato preveda l’effettuazione di operazioni straordinarie di compe-tenza dei soci.
La stessa legge fallimentare (artt. 160 e 124) esemplifica alcune di queste possibili operazioni: “attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche con-vertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito.”.
Ma la casistica delle operazioni straordinarie di competenza dei soci che possono essere poste utilmente in atto per soddisfare le esigenze del concordato è assai più ampia. Si pensi alle fusioni o alle scissioni; alle trasformazioni; agli aumenti di capitale riservati a particolari soggetti o con conferimenti in natura; alla costituzione di nuove società (good com-pany) mediante conferimenti di rami di azienda e successiva cessione delle quote o azioni delle stesse.
In tutti questi casi si pone il problema se, in assenza di specifiche di-sposizioni statutarie, la competenza ad approvare la domanda e le con-dizioni del concordato rimanga attribuita in via esclusiva agli ammini-stratori o debba essere trasferita all’assemblea dei soci, ovvero ancora se sia necessario porre in essere due delibere conformi e concorrenti, una degli amministratori e l’altra dei soci, ed in tal caso i tempi di queste de-libere.
La questione è delicata e pone un problema già noto del diritto socie-tario in relazione alla possibilità di far assumere una qualche rilevanza esterna, giuridicamente rilevante, a vicende endosocietarie.
In altre parole è necessario comprendere se sia possibile che gli orga-ni di una società adottino una decisione, rilevante nei confronti dei terzi, che abbia l’effetto di obbligare altri organi, la società o se stessi ad as-sumere una qualche ulteriore deliberazione, ovvero a non revocare un’eventuale delibera già adottata ma non ancora eseguita.
Si pensi al caso di una società che intenda lanciare un’offerta pubbli-ca di acquisto e scambio di azioni di un’altra società. In detta ipotesi l’organo amministrativo della società che lancia l’OPAS sarà competen-te a deliberare l’offerta di acquisto e scambio, ma l’aumento di capitale della medesima società che dovrà essere posto a servizio dello scambio sarà di competenza dell’assemblea dei soci.
In mancanza di norme espresse è necessario far riferimento ai prin-cipi generali del diritto delle società.
Secondo la teoria organica i singoli organi della società non assumo-no autonoma rilevanza esterna, così come gli organi del corpo umano non possono essere considerati distinti dalla persona cui appartengono.
Gli amministratori e i soci assumono le decisioni di loro rispettiva competenza. Saranno poi i legali rappresentanti che esprimeranno all’esterno le decisioni adottate dagli organi sociali, assumendo in tal modo valide obbligazioni a carico della società.
È dunque inconcepibile che un organo possa assumere validamente delle obbligazioni a proprio carico o a carico di altri organi; sarà solo il soggetto società, cui l’organo appartiene, che potrà assumere tali obbli-gazioni nelle forme proprie.
È poi importante sottolineare che, in omaggio ai principi di tutela della buona fede dei terzi contraenti, il legale rappresentante ha comun-que il potere di obbligare la società anche nell’ipotesi in cui non sia stata assunta dall’organo competente la relativa decisione (artt. 2384 e 2475 bis c.c.).
Trasferendo tali principi al caso dell’approvazione della domanda e delle condizioni del concordato che preveda l’effettuazione di operazio-ni straordinarie, si può affermare che, salvo diversa disposizione statu-taria, sarà l’organo gestorio che dovrà approvare sia la domanda che le condizioni, mentre sarà l’assemblea dei soci che dovrà deliberare l’operazione straordinaria.
Tale ultima delibera potrà essere adottata sia prima che dopo la pre-sentazione della domanda, costituendo esecuzione del piano e non suo presupposto.
Nel caso poi che nel corso del concordato l’assemblea non intenda adottare la delibera di approvazione dell’operazione straordinaria, o re-vochi la precedente delibera di approvazione della medesima operazio-ne non ancora eseguita, saranno esperibili gli ordinari rimedi offerti dal-la legge fallimentare.
Nel caso di concordato preventivo sarà quindi dichiarato il fallimen-to del debitore per mancanza nel corso della procedura delle condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato ex art. 173, comma 3, legge fall., mentre nel caso di concordato fallimentare sarà riaperta la proce-dura di fallimento per mancato adempimento degli obblighi derivanti dal concordato ex art. 137, comma 1, legge fall.
P.A.9 - (COMPETENZA A DELIBERARE IL CONCORDATO NELLE SOCIETÀ DI CAPITA-LI IN LIQUIDAZIONE - 1° pubbl. 9/09 - motivato 9/11)
Nel caso di società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limi-tata, nonché di società cooperative, in liquidazione, la competenza a deliberare la proposta e le condizioni della domanda di concordato spetta all’organo di li-quidazione, sempre che l’atto costitutivo o la delibera di nomina dei liquidatori non abbiano disposto diversamente.
La disposizione contenuta nella lettera b) del comma 2 dell’art. 152 legge fall., che attribuisce tale competenza agli “amministratori”, deve infatti essere inter-pretata come norma attributiva della competenza all’organo gestorio, quale esso sia, in luogo dell’assemblea dei soci.
Motivazione
Vedi sub P.A.3.
P.A.10 - (SORTE DELLA DELIBERA DI APPROVAZIONE DELLA DOMANDA DI CON-CORDATO ADOTTATA DAGLI AMMINISTRATORI NELL’IPOTESI DI SUCCESSIVA MESSA IN LIQUIDAZIONE DELLA SOCIETÀ - 1° pubbl. 9/09 - motivato 9/11)
La delibera adottata dagli amministratori di approvazione della domanda e delle condizioni del concordato, al pari di tutte le decisioni dell’organo gestorio, con-serva la sua validità anche nell’ipotesi che successivamente alla sua adozione, e prima della presentazione della domanda al tribunale, la società sia posta in li-quidazione e vengano nominati uno o più liquidatori.
Non sarà dunque necessario che il neonominato organo di liquidazione ridelibe-ri, nelle forme previste dall’art. 152, comma 3, legge fall., la domanda di concor-dato, nell’ipotesi che intenda presentare la medesima domanda già deliberata.
Qualora invece il nuovo organo gestorio intenda presentare una diversa doman-da di concordato, sarà necessaria una nuova formale delibera di approvazione, verbalizzata da notaio, previa revoca della precedente.
Motivazione
Vedi sub P.A.3.
P.A.11 - (FORME DELLA DECISIONE DI APPROVAZIONE DELLA DOMANDA E DELLE CONDIZIONI DEL CONCORDATO NELLE SOCIETÀ DI PERSONE - 1° pubbl. 9/09 - motivato 9/11)
Nelle società di persone la decisione di approvazione della domanda e delle condizioni del concordato non deve necessariamente risultare da verbale redat-to da notaio e depositato ed iscritto nel registro imprese a norma dell’art. 2436 c.c.
La disposizione di cui al comma 3 dell’art. 152 legge fall., nella parte in cui impo-ne l’intervento del notaio per la verbalizzazione sia delle “decisioni” che delle “deliberazioni”, appare infatti unicamente volta a chiarire che, con esclusivo rife-rimento alle ipotesi di cui alla lettera b) del comma 2 del detto art. 152 legge fall. (società di capitali), la forma notarile è necessaria in ogni caso: decisione assunta in forma collegiale, mediante consultazione scritta o consenso espresso per iscritto, ovvero decisione assunta in forma non collegiale.
Motivazione
L’orientamento in commento è volto a risolvere la questione posta da una possibile lettura della disposizione di cui all’art. 152, comma 3, legge fall., che renda applicabile alle società di persone gli obblighi di forma previsti per le società di capitali, poiché l’inciso “di cui alla lett. b) del comma 2” potrebbe riferirsi esclusivamente al sostantivo “deliberazio-ne”, e quindi all’ipotesi di cui al comma 2 di detto articolo (società di capitali), mentre il sostantivo “decisione” potrebbe riferirsi alle sole ipo-tesi di cui alla lettera a) di detto comma 2 (e quindi alle società di per-sone).
Detta lettura, per quanto sostenibile, non può tuttavia essere condivi-sa, poiché, oltre ad essere apparentemente macchinosa, disattende il principio in base al quale per le società di persone la pubblicità nel regi-stro imprese ha valore di mera “pubblicità notizia”.
P.A.12 - (DIVERSA DISPOSIZIONE DELL’ATTO COSTITUTIVO DI SOCIETÀ DI PERSO-NE CHE DEROGHI ALLA COMPETENZA LEGALE SULL’ADOZIONE DELLA DECISIONE DI APPROVAZIONE DELLA DOMANDA DI CONCORDATO - 1° pubbl. 9/09 - moti-vato 9/11)
In mancanza di un espresso limite di legge, la diversa disposizione dell’atto costi-tutivo di società di persone che deroghi alla competenza “naturale” prevista dal comma 2, lettera a) dell’art. 152 legge fall., sull’adozione della decisione di ap-provazione della domanda e delle condizioni del concordato, può avere il conte-nuto più vario.
È così, ad esempio, legittimo prevedere che la decisione sia validamente adotta-ta con il consenso:
a) dell’unanimità dei soci;
b) di una maggioranza calcolata per teste;
c) di una maggioranza calcolata in base alla quota di partecipazione agli utili o alle perdite;
d) dei soli soci accomandatari, all’unanimità o a maggioranza;
e) dei soli soci amministratori, all’unanimità o a maggioranza.
Motivazione
La disposizione contenuta nell’art. 152, comma 2, lett. a), legge fall., che consente di derogare convenzionalmente alla competenza “natura-le” da essa prevista, non fa alcun riferimento ad altri organi sociali cui tale competenza può essere attribuita.
Deve pertanto ritenersi che i soci siano liberi di disciplinare la mate-ria attribuendo la competenza anche a soggetti che, nel loro complesso, non integrano un organo della società ma che siano semplicemente inte-ressati, come categoria omogenea, alla vicenda concordataria.
Si pensi al rischio di fallimento che grava solo sui soci accomandata-ri o alle conseguenze di una tale procedura sui soci illimitatamente re-sponsabili indipendentemente dalla loro quota di partecipazione agli uti-li e al conseguente loro peso in una decisione “a maggioranza”.