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Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie - Orientamenti Societari, Commesione Società
H.K. SPA - Obbligazioni > SPA Obbligazioni
H.K.1 - (EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI NEL PRIMO ESERCIZIO - 1° pubbl. 9/04)
La società può deliberare l’emissione di un prestito obbligazionario anche nel corso del primo esercizio. In tal caso l’assemblea deve approvare un bilancio straordinario.

H.K.2 - (CONTROLLO DI LEGITTIMITÀ DELLE DELIBERE DEGLI OBBLIGAZIONISTI - 1° pubbl. 9/04)
Le delibere dell’assemblea degli obbligazionisti non sono soggette a controllo di legittimità da parte del notaio ma devono avere le forme previste per le assem-blee straordinarie (verbale redatto da notaio).

H.K.3 - (DIRITTI DEGLI OBBLIGAZIONISTI CONVERTIBILI IN CASO DI AZZERAMEN-TO DEL CAPITALE SOCIALE - 1° pubbl. 9/04 - modif. 09/07)
In caso di azzeramento del capitale sociale i portatori di obbligazioni convertibili perdono il diritto di conversione ma mantengono quello di opzione sul successi-vo aumento volto a ricostituire il capitale sociale.

H.K.4 - (DETERMINAZIONE DI EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI DA PARTE DELL’AMMINISTRATORE UNICO E ASSISTENZA DEI SINDACI - 1° pubbl. 9/06)
La determinazione dell’amministratore unico di emissione di obbligazioni assun-ta ai sensi dell’art. 2410 c.c. non necessita della contestuale assistenza dei sinda-ci finalizzata a rendere l’attestazione di cui all’art. 2412, comma 1, c.c.
Detta ultima disposizione, infatti, impone che i sindaci attestino il rispetto del limite quantitativo di legge in relazione alla emissione di obbligazioni e non an-che che detta attestazione sia contestuale alla decisione di emissione o resa nel-la stessa.

H.K.5 – (MODIFICA DEL RAPPORTO DI CAMBIO DELLE OBBLIGAZIONI CONVERTI-BILI IN SEGUITO AD AUMENTI GRATUITI O A RIDUZIONI PER PERDITE DEL CAPI-TALE SOCIALE – 1° pubbl. 9/07)
La modifica proporzionale del rapporto di cambio delle obbligazioni convertibili, nei casi di aumento del capitale mediante imputazione di riserve o di riduzione del capitale per perdite, avviene automaticamente ai sensi dell’art. 2420 bis, pe-nultimo comma, c.c., senza necessità che la delibera relativa a dette operazioni lo preveda espressamente.

H.K.6 - (COMPETENZA A DELIBERARE LA MODIFICA DELLE CONDIZIONI DEI PRE-STITI OBBLIGAZIONARI ORDINARI EMESSI ANTERIORMENTE ALLA RIFORMA - 1° pubbl. 9/07)
Nel caso di modifica delle condizioni di prestiti obbligazionari ordinari, emessi prima dell’entrata in vigore della riforma in forza di delibera dell’assemblea straordinaria dei soci, l’organo amministrativo è quello competente ad adottare la relativa delibera, posto che l’art. 2410 c.c., attribuisce ora agli amministratori, in via esclusiva, la competenza in ordine all’emissione di obbligazioni ordinarie (salvo che lo statuto disponga diversamente).
Resta, comunque, ferma la necessità che la modifica delle condizioni del prestito sia previamente approvata dall’assemblea degli obbligazionisti ai sensi dell’art. 2415 c.c.

H.K.7 – (PROCEDIMENTO DI MODIFICA DELLE CONDIZIONI DI UN PRESTITO OB-BLIGAZIONARIO E DETERMINAZIONE DEL MOMENTO DI EFFICACIA DELLA MODIFICA - 1° pubbl. 9/10)
Le modifiche alle condizioni di un prestito obbligazionario devono necessaria-mente essere approvate sia dalla società, tramite l’organo legalmente o statuta-riamente competente, sia dall’assemblea degli obbligazionisti, senza che assuma alcun rilievo l’ordine di adozione delle due deliberazioni.
Le modifiche saranno efficaci solo dopo che sarà stata iscritta nel registro impre-se la delibera della società ex art. 2436 c.c. (richiamato dall’art. 2410, comma 2, c.c.) e sia stata adottata la conforme delibera dell’assemblea degli obbligazioni-sti, ancorché non iscritta.
Tale ultima delibera, infatti, pur essendo soggetta a iscrizione nel registro impre-se, acquista efficacia immediata, non potendosi ad essa applicare il disposto dell’art. 2436 c.c. per assenza di richiamo.

H.K.8 – (PRESIDENZA DELL’ASSEMBLEA DEGLI OBBLIGAZIONISTI – 1° pubbl. 9/10)
In mancanza del rappresentante comune, l’assemblea degli obbligazionisti può essere presieduta dal presidente della società o da altro soggetto nominato di-rettamente dagli intervenuti.

H.K.9 – (DEROGABILITÀ DEI TERMINI PER LA CONVERSIONE ANTICIPATA DELLE OBBLIGAZIONI DI CUI ALL’ART. 2420 BIS, COMMA 4, C.C. – 1° pubbl. 9/11 – motivato 9/11)
L’art. 2420-bis comma 4 c.c. prevede un termine di complessivi 90 giorni per il procedimento di conversione anticipata delle obbligazioni nel caso in cui, prima della scadenza dei termini fissati per la conversione, la società voglia deliberare la riduzione reale del capitale sociale o modificare le disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili.
Detto termine di 90 giorni deve intendersi solo per i primi 30 giorni a favore degli obbligazionisti convertibili (trattandosi del periodo in cui possono richiedere la conversione), mentre il rimanente periodo di 60 giorni è un termine ordinatorio da considerarsi stabilito nell’interesse della società e quindi derogabile senza il consenso degli obbligazionisti, purché sia assicurato il diritto di intervento in as-semblea di coloro che nel frattempo hanno convertito le obbligazioni in azioni.

Motivazione
L’art. 2420 bis, comma 4, c.c. prevede un termine di complessivi 90 giorni per il procedimento di conversione anticipata delle obbligazioni nel caso in cui, prima della scadenza dei termini fissati per la conver-sione, la società voglia deliberare la riduzione reale del capitale sociale o modificare le disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili.
È in tal caso previsto che ai possessori di obbligazioni convertibili deve essere data la facoltà, mediante avviso depositato presso l’ufficio del registro delle imprese almeno novanta giorni prima della convoca-zione dell’assemblea, di esercitare il diritto di conversione nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione.
La funzione delle previsioni legali della facoltà di conversione antici-pata delle obbligazioni può essere individuata solo tenendo presente la specificità delle singole vicende che ne legittimano l’esercizio e, soprat-tutto, gli effetti che tali vicende producono sull’originario rapporto di cambio e sul rapporto di forze esistente tra i soci della società emittente e gli obbligazionisti convertibili della stessa, i quali sono creditori attuali e, al contempo, soci potenziali.
Il legislatore, infatti, si è posto il generale problema della necessità di tutelare i sottoscrittori in pendenza della conversione di fronte ad ope-razioni sociali suscettibili di modificare le stesse condizioni dell’investimento e cioè il diritto o il valore della conversione: in questa prospettiva, con particolare riferimento alle operazioni incidenti sul ca-pitale sociale, ha disposto che in caso di operazioni di aumento gratuito e di riduzione del capitale per perdite il rapporto di cambio si modifica in proporzione alla misura dell’aumento o della riduzione (art. 2420 bis, comma 5, c.c.); in caso di aumento a pagamento agli obbligazionisti spetta il diritto di sottoscrivere l’aumento di capitale in concorso con i soci (art. 2441, comma 1, c.c.).
Altre vicende societarie, in particolare quelle previste dall’art. 2420 bis, comma 4, c.c. e dall’art. 2503 bis, comma 3, c.c. (riduzione volonta-ria del capitale sociale, modificazioni delle disposizioni dell’atto costitu-tivo concernenti la ripartizione degli utili, fusione e, stante il rinvio ope-rato dall’art. 2506 ter, comma 5, c.c., scissione), pongono o una partico-lare esigenza conservativa degli originari equilibri tra soci ed obbliga-zionisti fissati al momento dell’emissione del prestito o la necessità di consentire agli obbligazionisti che ne abbiano interesse, di concorrere al procedimento formativo della deliberazione assembleare, attesa l’intensità del cambiamento organizzativo e strutturale che dette vicen-de comportano sulla società emittente il prestito.
Di qui il divieto sancito normativamente, in pendenza di conversio-ne, di deliberare la riduzione facoltativa del capitale e la modifica delle disposizioni dello statuto in tema di distribuzione di utili, a meno che non si attribuisca ai possessori delle obbligazioni convertibili, mediante pubblicazione di un avviso presso il registro delle imprese almeno no-vanta giorni prima della convocazione dell’assemblea, la facoltà di eser-citare la conversione anticipata nel termine di trenta giorni dalla pubbli-cazione.
I sottoscrittori vengono quindi tutelati attribuendo loro la possibilità di partecipare, come soci, alla deliberazione inerente le modifiche sopra indicate.
Identica disciplina in ipotesi di fusione o scissione, cui si aggiunge la previsione che ai possessori di obbligazioni convertibili che non abbiano esercitato la facoltà di conversione (la cui vitalità pertanto persiste in queste due particolari ipotesi) devono essere assicurati diritti equivalenti a quelli loro spettanti prima della fusione (salvo che la modifica dei loro diritti sia stata deliberata dall’assemblea degli obbligazionisti ai sensi dell’art. 2503 bis., comma 3, c.c.).
Il legislatore, come detto, pone due termini: almeno 90 giorni prima della convocazione assembleare per la pubblicazione dell’avviso; trenta giorni per esercitare la facoltà di conversione anticipata.
Con l’orientamento in esame si ritiene che solo il termine di trenta giorni disposto a favore degli obbligazionisti, per richiedere la conver-sione, sia inderogabile senza il loro consenso, mentre il rimanente pe-riodo di sessanta giorni, stabilito ovviamente nell’interesse della società onde permettere ai suoi amministratori di svolgere ordinatamente tutti gli adempimenti amministrativi dell’iter procedimentale, è certamente derogabile senza il consenso degli obbligazionisti, e quindi la delibera-zione può essere legittimamente assunta anche prima del maturarsi dell’intero periodo, purché sia assicurato il diritto di intervento in as-semblea di coloro che nel frattempo hanno convertito le obbligazioni in azioni.
Ciò in considerazione che evidentemente la norma, nel prevedere un ulteriore periodo di sessanta giorni dallo spirare del diritto di conversio-ne per celebrare l’assemblea, ha solo voluto consentire all’organo am-ministrativo tempi ragionevoli per espletare in modo ordinato gli adem-pimenti connessi all’esercizio della facoltà di conversione anticipata (es. iscrizione libro soci, emissione titoli, deposito attestazione presso regi-stro delle imprese ex art. 2444 c.c., ecc.) al fine di garantire l’effettività del diritto di intervento in assemblea di coloro che hanno convertito le proprie obbligazioni.

H.K.10 – (OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN AZIONI PROPRIE GIÀ EMESSE E DETE-NUTE IN PORTAFOGLIO DALLA SOCIETÀ EMITTENTE – 1° pubbl. 9/11 – motivato 9/11)
Si ritiene ammissibile l’emissione di obbligazioni convertibili in azioni proprie già emesse e detenute in portafoglio dalla società emittente.
In tal caso, posto che l’emissione non necessità di una contemporanea delibera di aumento di capitale, la competenza a deliberare l’emissione delle obbligazioni convertibili spetta all’organo amministrativo (salvo diversa disposizione statuta-ria), secondo la regola generale dell’art. 2410, comma 1, c.c., ovviamente nel ri-spetto dell’art. 2346 c.c. (e non all’assemblea straordinaria ex art. 2420 bis, comma 1, c.c.) e previa delibera dell’assemblea ordinaria che autorizzi la dismis-sione delle azioni proprie ex art. 2357 ter c.c.

Motivazione
La legge, così come in passato, disciplina con l’art. 2420 bis c.c. uni-camente il procedimento di conversione diretto in azioni della stessa so-cietà che emette il prestito obbligazionario, senza fornire una regola-mentazione generale della materia.
Non si occupa pertanto delle obbligazioni convertibili con metodo indiretto, cioè convertibili in azioni di altra società, appartenente o me-no allo stesso gruppo dell’emittente, già in circolazione o di futura emissione, né si occupa delle obbligazioni convertibili in azioni già emesse e detenute nel patrimonio della stessa società emittente.
È comunque generalmente riconosciuta, in applicazione diretta di gran parte dell’art. 2420 bis c.c., l’ammissibilità della conversione in azioni proprie già emesse e detenute in portafoglio dalla società emit-tente, nel rispetto, ovviamente, dei limiti all’acquisto di azioni proprie.
Con l’orientamento in esame, peraltro, oltre a ribadire la legittimità di questo tipo di operazione non espressamente disciplinato, si vuole fornire agli operatori una indicazione anche con riferimento specifico al-la questione della competenza organica alla relativa deliberazione di emissione posto che, con la riforma, l’assemblea straordinaria non è più l’unico organo competente in via originaria ed esclusiva per le decisioni di emissione di ogni categoria di obbligazioni.
Difatti, se la conversione in azioni proprie di nuova emissione, espressamente disciplinata dal legislatore, richiede necessariamente l’aumento del capitale della società emittente, nel caso in esame, invece, è ovvia l’assenza di un contestuale aumento del capitale sociale (dato che le azioni da attribuirsi in conversione sono già detenute in portafo-glio dalla società emittente) e quindi di un impatto diretto sulle posizio-ni soggettive dei soci della società emittente.
In mancanza di un contestuale aumento del capitale sembra allora più corretto ritenere che la competenza organica a deliberare l’emissione delle obbligazioni convertibili in questione (convertibili cioè con azioni proprie detenute in portafoglio dalla società emittente le ob-bligazioni) segua la regola generale di cui all’art. 2410, comma 1, c.c. che l’attribuisce in via primaria agli amministratori (salvo che lo statuto disponga diversamente), in quanto finalizzata ad ottenere una semplifi-cazione formale di una operazione gestionale, e non quella di cui all’art. 2420 bis, comma 1, c.c. che l’attribuisce invece all’assemblea straordina-ria proprio in ragione del fatto che l’aumento del capitale a servizio del-la conversione – nell’ipotesi in esame mancante – costituisce una deci-sione di natura essenzialmente organizzativa, che richiede, coinvolgen-done gli interessi, la formazione della volontà dei soci.
Con la precisazione necessaria che l’assemblea ordinaria mantiene la propria competenza e le proprie prerogative ai sensi dell’art. 2357 c.c. per procedere all’acquisto delle azioni proprie, ovvero, ai sensi dell’art. 2357 ter, comma 1, c.c., per autorizzare la dismissione delle azioni pro-prie a servizio del prestito convertibile.

H.K.11 – (RIDUZIONE FACOLTATIVA PER PERDITE IN PENDENZA DI PRESTITO OB-BLIGAZIONARIO CONVERTIBILE – 1° pubbl. 9/11 – motivato 9/11)
L’ipotesi di riduzione del capitale sociale per perdite facoltativa (non obbligato-ria ex artt. 2446 – 2447 c.c., per quanto volontaria) rientra nell’ambito di appli-cazione dell’art. 2420 bis, comma 5, c.c. e non del comma 4 di detto articolo.
È Infatti da ritenersi che l’espressione “riduzione volontaria” di cui al comma 4 dell’art. 2420 bis c.c. riguardi solo le ipotesi di riduzione reale del capitale socia-le.

Motivazione
La regola dell’adeguamento del rapporto di cambio, mirante a tutela-re l’attuazione proporzionalmente inalterata del diritto di conversione, opera in tutti i casi di riduzione del capitale per perdite, compreso, si ri-tiene, quello di riduzione facoltativa per perdite inferiori al terzo.
I commi 4 e 5 dell’art. 2420 bis c.c. risultano sostanzialmente immu-tati rispetto al testo previgente, salvo il corretto attuale riferimento alla “riduzione volontaria” del capitale in luogo della precedente espressione riferita alla “riduzione per esuberanza”, al fine di garantire il coordinamen-to con il novellato art. 2445 c.c., ed alcune altre modifiche del tutto marginali (termini espressi in giorni anziché in mesi, riferimento allo statuto e non più all’atto costitutivo).
Tuttavia, proprio il riferimento alla riduzione “volontaria” del capita-le ora contenuto nel comma 4 dell’art. 2420 bis c.c., in luogo del prece-dente alla riduzione per “esuberanza”, può generare il dubbio che detto comma si applichi anche alle ipotesi di riduzione facoltativa del capitale per perdite inferiori al terzo.
Seppure non disciplinata dal legislatore questa è un’operazione senz’altro legittima, osservandosi che se alla società è consentito ridurre il capitale sociale con restituzione dello stesso ai soci (art. 2445 c.c.), a maggior ragione deve ritenersi consentita la riduzione che si limita a prendere atto di una diminuzione patrimoniale già verificatasi.
Non si fa altro che adeguare il proprio capitale sociale nominale al valore del patrimonio esistente.
Tale operazione di riduzione è spesso eseguita onde consentire la cessazione del divieto di distribuzione degli utili se non realmente con-seguiti di cui all’art. 2433, comma 2, c.c., soddisfacendo altresì gli inte-ressi degli azionisti a che gli utili successivi non siano obbligatoriamente destinati a coprire le perdite pregresse (art. 2433, comma 3, c.c.).
Tornando alla questione se la riduzione del capitale per perdite con-siderata dall’art. 2420 bis, comma 5, c.c. sia solo quella obbligatoria ex art. 2446 c.c. (perdite superiori al terzo del capitale sociale) o anche quella facoltativa (perdite di minore entità) si può ritenere, così come si riteneva ante riforma, che non contenendo la norma alcuna distinzione tra le due ipotesi la stessa debba trovare applicazione anche nel caso di riduzione per perdite facoltativa.
L’interesse tutelato dalla disposizione di cui al comma 5 dell’art. 2420 bis c.c. di mantenere proporzionalmente inalterato il rapporto di cambio obbligazioni/azioni in presenza di perdite, al fine di non modi-ficare i diritti dei soci e degli obbligazionisti, ricorre infatti immutato in tutte le ipotesi di riduzione per perdite del capitale sociale, prescindendo dall’entità di queste ultime.
Deve quindi concludersi, come emerge con chiarezza anche dalla let-tura coordinata delle disposizioni in commento, che il comma 4 dell’art. 2420 bis. c.c. si riferisce alla sola riduzione “volontaria” prevista dall’art. 2445 c.c. e quindi alla riduzione c.d. “reale”; mentre il comma 2, si rife-risce, invece, alla sola riduzione del capitale per perdite, senza distin-zione alcuna sulla natura, obbligatoria o facoltativa, della stessa.

H.K.12 (DELIBERA DI EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI CHE PREVEDA LA COSTITU-ZIONE DI GARANZIE EX ART. 2414 BIS C.C. E DESIGNAZIONE DEL NOTAIO – 1° pubbl. 9/12 – motivato 9/13)
La deliberazione di emissione di obbligazioni che preveda la costituzione di ga-ranzie reali a favore dei sottoscrittori, deve designare il notaio che, per conto dei sottoscrittori, compia le formalità necessarie per la costituzione di dette garan-zie, anche nel caso in cui, per la costituzione delle garanzie, non sia prevista la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.
Il notaio designato può essere anche il medesimo che verbalizza la delibera di emissione delle obbligazioni.

Motivazione
Il comma 1 dell’art. 2414 bis c.c. riproduce nella sostanza il testo del precedente art. 2414 c.c. Tuttavia si differenzia da quest’ultima disposi-zione sotto un duplice profilo. In primo luogo è stato eliminato il rife-rimento all’assemblea, in quanto la riforma ha attribuito all’organo amministrativo la competenza primaria all’emissione delle obbligazioni. In secondo luogo la norma del nuovo art. 2414 bis estende l’obbligatorietà della designazione del notaio a tutte le ipotesi di garan-zie reali previste nella delibera di emissione a favore dei sottoscrittori.
La norma appare inderogabile e non si ritiene che sussistano convin-centi ragioni per una sua applicazione parziale.
La ratio della regola è infatti ravvisabile nella tutela dei sottoscrittori, attuata attribuendo ad un soggetto terzo il compito di garantire la rego-lare costituzione delle garanzie che la delibera del prestito ha voluto lo-ro assegnare. Pertanto il notaio deve essere designato non soltanto ai fi-ni dell’iscrizione dell’ipoteca sugli immobili di proprietà sociale a ga-ranzia dell’emissione per somma superiore al limite oggi previsto dall’art. 2412, comma 1, c.c., ma anche per il compimento delle forma-lità relative ad ogni eventuale diversa garanzia reale prevista nella deli-bera di emissione, quali, ad esempio, la costituzione di pegno su beni propri o di ipoteca su beni di proprietà di terzi datori.
Poiché inoltre la norma fa riferimento alle formalità necessarie per la costituzione delle garanzie reali, appare evidente che tale regola abbia voluto assegnare ai creditori del prestito una tutela certa ed opponibile sotto ogni profilo. Ne discende che il suddetto obbligo di designazione sussiste non soltanto nei casi in cui la presenza del notaio sia effettiva-mente necessaria ai sensi di legge, ma altresì (interpretando in senso ampio la dizione “per la costituzione”) anche nelle ipotesi di compi-mento delle formalità richieste ai soli fini dell’opponibilità della garan-zia reale ai terzi. Si pensi, ad esempio, al requisito formale della scrittu-ra avente data certa previsto dall’art. 2787, comma 3, c.c., necessario per l’operatività della prelazione del diritto di pegno nei confronti dei creditori terzi: tale formalità, pur non essendo richiesta ai fini della co-stituzione della garanzia pignoratizia, ma solo per la sua opponibilità ai terzi, viene comunque qualificata come forma ad substantiam e non sem-plicemente ad probationem.
Va altresì precisato che tra le formalità necessarie per la costituzione di garanzie reali che richiedono l’intervento di un notaio rientra indub-biamente anche la girata in garanzia, laddove il prestito obbligazionario sia assistito da pegno su titoli azionari nominativi.
Infine va ancora sottolineato, con riguardo alle garanzie pignoratizie, che particolare rilievo pare assumere la disciplina di cui al D.Lgs. 21 maggio 2004, n. 170, con il quale si è data attuazione in Italia alla diret-tiva 2002/47/CE in materia di contratti di garanzia finanziaria. Tale decreto prevede infatti che, nell’ambito del suo campo di applicazione, al fine di attribuire i diritti di garanzia ai relativi beneficiari ed assicurare la loro opponibilità ai terzi è sufficiente che il contratto di garanzia fi-nanziaria sia provato per iscritto, che tale garanzia sia stata prestata e che detta prestazione sia a sua volta provata per iscritto mediante la re-gistrazione degli strumenti finanziari sui conti degli intermediari finan-ziari ai sensi degli artt. 30 e ss. del D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213 (cd. Decreto Euro), ovvero, nel caso di contante, mediante l’annotazione sul conto di pertinenza. In tali casi, dunque, la prestazione della garanzia reale non richiederebbe l’espletamento di alcuna formalità da parte del notaio che, di conseguenza, non dovrebbe nemmeno essere designato.
Tuttavia si ritiene che, anche laddove l’intervento del notaio non sia prescritto dalla legge, la sua designazione risulterebbe comunque neces-saria. Ciò perché la ratio dell’art. 2414 bis, c.c., come già ampiamente ri-levato, va individuata nell’esigenza di assicurare la regolarità della costi-tuzione della garanzia, a tutela dei sottoscrittori e dei successivi cessio-nari, indipendentemente dall’attribuzione al notaio, in via generale, del compito di svolgere le relative formalità.
Va ulteriormente rilevato che l’omissione della designazione compor-terebbe l’annullabilità della deliberazione di emissione ai sensi dell’art. 2377, comma 2, c.c. trattandosi non già di un caso di incompletezza del verbale, ma di una violazione di norma imperativa che in ambito nego-ziale darebbe luogo ad un vizio di nullità.

H.K.13 – (OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN QUOTE DI S.R.L. CON PROCEDIMENTO “INDIRETTO” - 1° pubbl. 9/20 – motivato 9/21)
Si ritiene ammissibile l’emissione di obbligazioni convertibili in quote di parteci-pazione di una società terza s.r.l.; le quote della società terza offerte in conver-sione possono essere già in possesso della società emittente il prestito, oppure possono essere di nuova emissione.
In entrambi i casi la competenza a deliberare l’emissione del prestito spetta all’organo amministrativo (salvo diversa disposizione statutaria) ai sensi dell’art. 2410, comma 1, c.c. e nel rispetto dell’art. 2412 c.c.
Qualora la conversione si riferisca a quote già detenute nel portafoglio della so-cietà emittente il prestito sarà opportuno vincolare in maniera adeguata tali partecipazioni al servizio della conversione al fine di garantire il diritto degli ob-bligazionisti di poterla effettuare; il tutto compatibilmente con il rispetto dei vincoli di circolazione delle quote previsti dallo statuto della s.r.l.
Qualora, invece, la conversione si riferisca a quote di futura emissione sarà ne-cessario che - precedentemente o contestualmente alla delibera di emissione del prestito, e comunque prima della collocazione delle obbligazioni - l’assemblea della società terza deliberi l’aumento del capitale sociale per un ammontare cor-rispondente alle quote da attribuire in conversione nel rispetto dei limiti indicati nell’art. 2481, comma 2, c.c. e sarà pure necessario rispettare le norme di legge per realizzare l’offerta diretta a terzi degli aumenti di capitale della s.r.l.
Il regolamento del prestito dovrà indicare, nel rispetto della convenzione neces-sariamente stipulata fra le società coinvolte nell’operazione, il rapporto di cam-bio, nonché il periodo e le modalità di conversione.
La liberazione dell’aumento di capitale della s.r.l. terza in caso di conversione potrà avvenire, a seconda dei casi, mediante rimborso da parte della società emittente il prestito direttamente alla società terza per conto dei convertitori, ovvero mediante compensazione di poste finanziarie tra la società emittente il prestito e la società terza, ovvero, ancora, attraverso qualunque altra modalità idonea ad estinguere sia l’obbligazione di liberazione in denaro dell’aumento di capitale che l’obbligo di rimborso della società emittente il prestito.

Motivazione
L’art. 2420-bis del codice civile disciplina esclusivamente l’emissione di obbligazioni convertibili in azioni, secondo il cd. procedimento diret-to. Ciò si verifica qualora, con la delibera di emissione di obbligazioni convertibili in azioni, venga contestualmente deliberato, da parte dell’assemblea straordinaria della società emittente, anche un aumento di capitale sociale di ammontare corrispondente alle azioni da attribuire in conversione, in proporzione al rapporto di cambio stabilito.
Accanto all’ipotesi “tipica” è possibile la variabile per cui la società emittente il prestito, offra in conversione agli obbligazionisti, azioni proprie già acquistate; in questo caso evidentemente non è necessario che venga anche deliberato un corrispondente aumento di capitale al servizio della conversione, in quanto le azioni sono già state emesse.
La dottrina ha inoltre elaborato diverse ulteriori ipotesi di conversio-ne del prestito obbligazionario, secondo un procedimento che viene de-finito “indiretto”, intendendosi per tale quello che si verifica allorquan-do, a fronte dell’emissione del prestito, la società offra in conversione partecipazioni di una società diversa dalla propria.
Pur in assenza di una disciplina specifica, è opinione consolidata che tale procedimento sia consentito, rispondendo ad un interesse meritevole di tutela.
Anche la legge bancaria contiene una espressa previsione di conver-sione “indiretta”: l’art. 12 del TUB, in materia di obbligazioni bancarie, distingue infatti tra obbligazioni convertibili in azioni della stessa banca emittente ed obbligazioni convertibili in azioni di altre società. In dot-trina si ritiene che tale norma sia espressione di un principio generale, come tale applicabile anche alle società di diritto comune.
Va ricordato anche che, con riguardo al procedimento “indiretto” di conversione, la dottrina si è spinta a considerare la possibilità di ammet-tere la conversione di titoli obbligazionari, in strumenti finanziari di di-versa natura, quali ad es. strumenti finanziari partecipativi diversi dalle azioni (fra i quali quelli indicati dall’art. 2346, comma 6, c.c. o quelli rappresentativi di quote di partecipazione ad un affare nell’ambito dei patrimoni destinati).
Posto che il meccanismo del prestito convertibile cd. “indiretto” si fonda appunto sul principio della meritevolezza e sull’applicazione ana-logica, pur nei limiti di compatibilità con le varie situazioni, l’orientamento in commento ritiene praticabile tale percorso, anche nel caso in cui le partecipazioni offerte in conversione siano riferite non ad azioni, bensì a quote di partecipazione in società a responsabilità limita-ta.
Il meccanismo è simile a quello già individuato dalla dottrina, nei casi in cui la conversione “indiretta” avvenga con offerta di titoli di so-cietà terze, con gli adattamenti di volta in volta necessari.
E pertanto:
a) nel caso in cui la società emittente il prestito detenga già le quote della srl offerte in conversione, oppure si obblighi ad acquisirle in tempo utile per la conversione, appaiono applicabili le stesse regole indicate per i casi di conversione “indiretta” di azioni già circolanti e conseguen-temente:
- non è necessario che sia deliberato alcun aumento di capitale socia-le al servizio dei convertitori, in quanto le quote da offrire in cambio sono già emesse;
- vanno in ogni caso rispettati i limiti indicati nell’art. 2412 c.c.;
- vanno rispettate le norme che attribuiscono agli obbligazionisti il di-ritto di anticipare la conversione, nelle situazioni descritte nell’art. 2420–bis, comma 4. c.c.;
- vanno rispettate le norme che impongono alla società emittente il prestito, di tenere a disposizione degli obbligazionisti le eventuali quote acquisite medio tempore, a fronte di aumenti gratuiti del capitale socia-le della società terza, con conseguente proporzionale modifica del rap-porto di cambio;
- vanno verificati (ed eventualmente rimossi prima della delibera di emissione del prestito), eventuali limiti statutari alla circolazione delle quote, in maniera da renderle trasferibili agli obbligazionisti, senza con-dizioni;
- è opportuno l’inserimento, nel regolamento del prestito, di garanzie ulteriori, volte a tutelate gli obbligazionisti per tutti gli eventi successivi alla sottoscrizione del prestito, che possano minare o pregiudicare il di-ritto di conversione.
Ulteriori accorgimenti devono essere adottati nel caso in cui le quote offerte in conversione, ancorché già emesse e liberate non risultino an-cora in possesso della società emittente.
Questa prospettiva appare più “a rischio” per gli obbligazionisti, in quanto il rapporto che nasce con l’emissione del prestito non si esauri-sce tra la società emittente ed i sottoscrittori dei titoli convertibili, ma coinvolge anche terzi soggetti che dovranno prestarsi al trasferimento dei titoli corrispondenti al rapporto di cambio. Nel regolamento occorre pertanto che la società assuma l’obbligo di acquistare le quote, successi-vamente all’emissione del prestito ed in tempo utile per l’eventuale con-versione. Tale obbligo può essere soddisfatto sia attraverso un acquisto diretto dei titoli e successivo ritrasferimento ai convertitori, sia attraver-so un acquisto diretto a favore di questi ultimi seguendo lo schema dell’art. 1411 c.c. o utilizzando altri congegni negoziali;
b) una variabile da considerare, frequente nei casi di società parteci-pate o controllate, consiste nella possibilità che le quote della società terza, offerte in conversione, non siano ancora in circolazione, ma di fu-tura emissione.
In questo caso è necessario il coinvolgimento anche degli organi del-la società terza. Infatti occorre sia che venga deliberato il corrisponden-te aumento del capitale sociale da parte dei soci della s.r.l. terza, sia che lo statuto di quest’ultima consenta la possibilità di offrire le quote in aumento a terzi, con esclusione quindi del diritto di opzione (salvo il caso in cui tutti i soci della s.r..l vi rinuncino contestualmente alla deli-bera di aumento). La delibera deve infatti prevedere la possibilità di sot-toscrizione da parte degli obbligazionisti del prestito ed avere natura ir-revocabile in quanto destinata ad incidere su posizioni giuridiche terze. Quanto ai tempi di assunzione di tale delibera si ritiene che essa vada presa prima o, al più tardi, contestualmente alla delibera che emette il prestito, ponendosi quale condizione di validità di quest’ultima.
Appare inoltre opportuno che venga preliminarmente perfezionato, tra la società emittente il prestito e la società s.r.l. terza, una convenzio-ne che regolamenti, nel dettaglio, sia l’impegno di far assumere da parte dell’assemblea dei soci della s.r.l. l’aumento di capitale al servizio degli obbligazionisti, sia le modalità con cui si intende perfezionare l’eventuale conversione;
c) ove non sia previsto un sovrapprezzo, la conversione delle obbli-gazioni in quote della s.r.l. va eseguita alla pari, prevedendo l’assegnazione, a ciascun obbligazionista convertitore, di una quota cor-rispondente al valore nominale del titolo convertito;
d) il regolamento del prestito dovrà inoltre indicare nel dettaglio le modalità con cui, la società emittente il prestito, dovrà riconoscere alla società terza, per conto dei convertitori, le somme necessarie a sotto-scrivere e liberare l’aumento, in proporzione al rapporto di cambio sta-bilito e consentire l’intestazione delle quote ai convertitori.
Differenti possono essere le modalità con cui l’obbligo di versamento della provvista occorrente a liberare i titoli viene assolto: ove la società emittente il prestito avanzi delle partite di credito nei confronti della so-cietà terza, o abbia effettuato finanziamenti o altre forme di versamento soggette a rimborso, la sottoscrizione delle nuove quote per conto degli obbligazionisti, potrà avvenire mediante meccanismi di compensazione delle varie poste. Differentemente la provvista occorrente a liberare le quote, potrà essere fornita direttamente dalla società emittente il presti-to alla società terza, mediante rimborso a favore di quest’ultima anziché a favore degli obbligazionisti, del prestito ricevuto e per conto di questi ultimi.
Il meccanismo attraverso il quale si perfeziona l’opzione di conver-sione, va infine minuziosamente disciplinato attraverso un accordo che coinvolge principalmente la società emittente, la quale assume la garan-zia della riuscita dell’operazione quale intermediario interessato e la so-cietà terza attraverso il proprio organo amministrativo.

H.K.14 – (SUSSISTENZA DI PERDITE NON RIPIANATE – DIRITTO ALLA CONVERSIO-NE E RAPPORTO DI CAMBIO DELLE OBBLIGAZIONI - 1° pubbl. 9/20 – motivato 9/21)
In presenza di perdite di qualunque entità, siano o meno formalmente accertate, gli obbligazionisti conservano inalterato il loro diritto di conversione secondo il rapporto di cambio originario fino a quando non sia ridotto il numero delle azioni emesse in dipendenza della riduzione (o azzeramento) del capitale a co-pertura delle medesime.
Il rapporto di cambio non subisce pertanto modifiche nel caso in cui le perdite vengano ripianate con utilizzo di riserve di patrimonio o mediante riduzione del capitale senza riduzione del numero delle azioni (dunque attraverso la diminu-zione del solo loro valore nominale, implicito o esplicito che sia).
La disciplina dell’art. 2420-bis, comma 5, c.c. è volta a conservare inalterato il rapporto di cambio in relazione alle percentuali partecipative e non al capitale (anche in senso economico) da esse rappresentato, pertanto le perdite devono incidere nella stessa proporzione e contestualmente sul valore nominale com-plessivo delle partecipazioni (attuali) degli azionisti e (potenziali) degli obbliga-zionisti. Fino a quando il valore nominale complessivo delle prime non è ridotto non può essere ridotto nemmeno quello complessivo delle seconde.

Motivazione
Il rapporto di cambio tra obbligazioni convertibili e azioni determina la percentuale di partecipazione al capitale sociale che verrà attribuita agli obbligazionisti in caso di conversione, ossia nel caso in cui decida-no di trasformare l’iniziale investimento di capitale di debito in capitale di rischio.
Agli obbligazionisti deve peraltro essere attribuita in caso di conver-sione la medesima percentuale di capitale sociale, ossia del patrimonio della società, inizialmente determinata indipendentemente da eventuali incrementi o decrementi che si siano nel frattempo verificati a causa del-la gestione della società (ossia per cause diverse da eventuali aumenti di capitale a pagamento). In sostanza il codice prevede che la conversione abbia una sorta di “effetto retroattivo”: gli obbligazionisti che decidono di diventare azionisti devono partecipare ai risultati della gestione dell’impresa fin dalla erogazione del loro prestito.
Con tale regola, oltre ad evitare la possibile realizzazione di un “pat-to leonino” indiretto a vantaggio degli obbligazionisti convertibili, si evitano anche gli annacquamenti delle partecipazioni vecchie o nuove che conseguirebbero rispettivamente ad una riduzione per perdite o a un aumento gratuito del capitale che prendano in considerazione solo le azioni già emesse.
L’art. 2420-bis, comma 5, c.c. dispone quindi che «nei casi di aumen-to di capitale mediante imputazione di riserve e di riduzione del capitale per perdite, il rapporto di cambio è modificato in proporzione alla mi-sura dell’aumento o della riduzione».
In base a tale disposizione, dunque, gli obbligazionisti convertibili partecipano agli incrementi e ai decrementi del patrimonio sociale gene-rati dalla gestione della società successivamente alla sottoscrizione delle obbligazioni non solo nel caso in cui i medesimi non vegano imputati a capitale ma anche nell’ipotesi in cui tale imputazione avvenga.
Deve peraltro evidenziarsi che nonostante la disposizione in com-mento prenda in considerazione genericamente tutti i “casi di aumento di capitale mediante imputazione di riserve e di riduzione del capitale per perdite”, la stessa trova applicazione esclusivamente quando a tali operazioni consegua anche una modifica del numero delle azioni emes-se, poiché nel caso contrario il rapporto di cambio non viene alterato.
Si pensi ad un obbligazionista che abbia sottoscritto 100 obbligazioni a cui sia riconosciuto il diritto di convertire tali obbligazioni in 10 azioni della società, rappresentative del 10% del suo capitale sociale post con-versione, dunque nel rapporto di una azione ogni dieci obbligazioni convertite.
Nel caso in cui detta società aumenti o diminuisca successivamente il suo patrimonio senza variare il numero delle azioni emesse (perché prive di valore nominale espresso o perché tale valore viene corrispon-dentemente ridotto o aumentato), è solo conservando il rapporto di cambio originario che sarà possibile far partecipare detto obbligazioni-sta ai risultati della gestione dell’impresa generati dopo la sottoscrizione del prestito, in quanto le dieci azioni che verrebbero attribuite in caso di conversione continueranno a rappresentare il 10% del patrimonio effet-tivo della società, aumentato o diminuito che sia.
Qualora, invece, la società imputi al capitale sociale, riducendolo o aumentandolo, gli eventuali risultati negativi o positivi della gestione sociale successivi alla emissione del prestito, riducendo o incrementan-do il numero delle azioni emesse senza variare il loro valore nominale, per poter attribuire al suddetto obbligazionista la medesima percentuale del 10% del patrimonio effettivo della società occorrerà modificare cor-rispondentemente e proporzionalmente il rapporto di cambio originario.
Si pensi ad una società per azioni con capitale di euro 90.000, rap-presentato da 9.000 azioni aventi il valore nominale esplicito di euro10 ciascuna, che abbia emesso un prestito obbligazionario di euro 10.000 rappresentato da 10.000 obbligazioni convertibili in 1.000 azioni, dun-que nel rapporto di una azione ogni dieci obbligazioni convertite.
In base a tale previsione alla totalità degli obbligazionisti convertibili è stato promesso il 10% del capitale sociale post conversione (che sarà di euro 100.000), al quale dovrà ovviamente essere imputato l’intero am-montare del prestito convertito.
Nel caso in cui prima della conversione il capitale sociale di euro 90.000 venga ridotto per perdite ad euro 50.000 mediante annullamento di 4.000 azioni non sarà dunque possibile mantenere il rapporto di cam-bio di una azione ogni dieci obbligazioni convertite, poiché se così fosse nel caso di conversione totale del prestito la società si troverebbe ad avere un capitale di euro 60.000 (dato dai 50.000 euro residui incremen-tati dai 10.000 euro del prestito estinto), rappresentato da 6.000 azioni, e gli obbligazionisti, a cui verrebbero attribuite le 1.000 azioni originaria-mente previste, si troverebbero a detenerne il 16,66% della società anzi-ché il 10%.
Adeguando il rapporto di cambio in proporzione alla riduzione del capitale, ossia prevedendo l’attribuzione di 0,555 azioni per ogni dieci obbligazioni convertite, all’esito dell’eventuale conversione delle 10.000 obbligazioni verranno attribuite ai loro portatori 555 nuove azioni a fronte di un aumento di capitale di euro 5.555 (imputando a riserva la differenza del prestito di euro 4.445). Completata la conversione il capi-tale nominale sarà di euro 55.555 (dato dai 50.000 euro residui incre-mentati dai 5.555 euro del prestito estinto ad esso imputati), rappresen-tato da 5.555 azioni, quindi le 555 azioni attribuite agli obbligazionisti continueranno a rappresentare il 10% del patrimonio sociale.
La disposizione contenta nel comma 5 dell’art. 2420-bis c.c. deve pertanto essere interpretata nel senso che il rapporto di cambio è modi-ficato in tutti i casi in cui vari il numero delle azioni in circolazione in assenza di nuovi conferimenti, prescindendo dalla circostanza che tale variazione consegua ad un aumento gratuito del capitale o a una sua ri-duzione per perdite.
Di contro, ogni qualvolta il numero delle azioni emesse rimane inva-riato, anche se in dipendenza della mancata riduzione obbligatoria del capitale sociale per perdite, il rapporto di cambio non muta.
Conseguentemente la semplice presenza di perdite, ancorché for-malmente accertate mediante l’approvazione di un bilancio di esercizio o di una situazione patrimoniale straordinaria, non determina la modi-fica del rapporto di cambio fino a quando le stesse non siano imputate al capitale nominale con modifica del numero delle azioni emesse.



H.K.15 – (AZIONI SENZA VALORE NOMINALE E MODIFICA DEL RAPPORTO DI CAMBIO DELLE OBBLIGAZIONI - 1° pubbl. 9/20 – motivato 9/21)
Nelle società con azioni prive di valore nominale nelle quali siano eseguiti au-menti gratuiti o riduzioni per perdite del capitale senza emissione di nuove azio-ni il rapporto di cambio delle eventuali obbligazioni convertibili esistenti non muta, in quanto la disciplina dell’art. 2420-bis, comma 5, c.c. è volta a conservare inalterato il rapporto di cambio in relazione alle percentuali partecipative e non al capitale (anche in senso economico) da esse rappresentato.
Per lo stesso motivo il rapporto di cambio delle obbligazioni convertibili viene proporzionalmente modificato nel caso in cui, senza modificare l’entità del capi-tale sociale, venga aumentato o ridotto il numero delle azioni prive di valore nominale emesse.

Motivazione
Vedi sub H.K.14.